IN NOME DELLA PIA

In un letto di spine spinate giace la Pia.

E’ appena caduta dalle mura del maniero di Nello dei Pannocchieschi,

in quel Castel di Pietra,

in Maremma,

un castello arcinoto per i suoi fantasmi in ghingheri bianchi e neri.

Ricordati di me che son la Pia,

Siena mi fè,

disfecemi Maremma.

In un letto di fuoco il Sommo poetastro la colse

e la depose sopra la pubblica coscienza

mettendola in versi aulici e proletari,

tanto da far contente la destra e la sinistra.

Quando tornerò nel mondo dei morti,

dopo questo gran paradiso di plastica e di amianto,

appena avrò un minuto di tempo in quella terra,

di te mi ricorderò,

o donna Silvana

dal mento aggraziato e dalle tette grosse,

tu che, insieme alla gracile Francesca da Rimini, girovaghi

nei gironi dei bordelli maltesi dell’Inferno di Dante,

l’amica di Paolo,

la moglie di Gianciotto lo sciancato,

quello che firmava i pizzini di Totò lu curtu

a che più oltre il becco non si metta.

Quando finirà questa cruenta guerra tra maschi e femmine,

tra uomini e donne,

tra mariti e mogli?

Da lì trarrem gli auspici della civiltà e della nuova Armonia.



Salvatore Vallone



Giardino degli Aranci, 28, 10, 2023

IN NOME DELL’AMICA INFELICE

Tra le viti ramate e odorose di mosto,

tra i filari antichi di crocifissi lignei e bagnati di zolfo,

si è addormentata la donna in un ripido letto di rovi.

Ahimè,

la giovine era angosciata,

era d’acciaio temprato,

aut aut e non et et,

tanto mai vel vel,

ma la giovine era angosciata.

Lei volle e sempre volle,

fortissimamente volle,

ma la sua forza si sposava con la fragilità.

Ella volle una corda di canapa

per il suo necessario esodo.

Lascia che sia fiorito il suo sentiero”,

canta il menestrello

in quella terra laboriosa di gelide freddezze.

Fai buon viaggio,

o anima inquieta,

tra le energie cosmiche intrise di terrene e umane storie.

Salvatore Vallone

Giardino degli aranci, 30, 10, 2023

DIALOGO TRA CHARLES E UN PASSEGGERE BAUSCIA E BAUCOT

– Charles –

La Morte seleziona.

La Specie si origina dalla Selezione

e la Selezione orienta l’evoluzione della Specie.

Sopravvivono gli uomini

che si adattano all’ambiente

e trasmettono ai discendenti

le caratteristiche biologiche forti e favorevoli.

– Passeggere –

E allora, mio caro scienziato, la Morte non è uguale per tutti,

non è come la Legge degli uomini vanagloriosi

sulle facciate di pietra ammuffita dei tribunali sfasciati,

sopra gli scanni arditi di giudici onesti e coraggiosi,

destinati a saltare per aria come fuscelli d’avena

insieme ai loro angeli custodi,

maschi e femmine,

come la cara Emanuela,

una donna con la vita davanti e tutta da godere.

La Morte discrimina,

è ingiusta come una giornata di nebbia nel Sahara

o una giornata di sole e senza mosche nella Padania,

ha una sua giustizia ingiusta,

sceglie secondo il suo naturale intendimento,

accatta per virtù e raccatta per necessità,

vecchi imbelli e bambini innocenti

come Mustafà Safir e il piccolo Alan Kurdi,

le vittime predestinate delle tempeste degli uomini cattivi,

non del mare di mezzo,

di quelli veramente perfidi e stronzi.

– Charles –

La Morte seleziona,

la Specie si origina dalla Selezione

e la Selezione orienta l’evoluzione della Specie.

Sopravvivono gli uomini

che si adattano all’ambiente

e trasmettono ai discendenti

le caratteristiche biologiche forti e favorevoli.

La Morte non è ingiusta.

Ti sbagli passeggere e di grosso.

Si vede che sei un bauscia e un baucot.

La Selezione naturale determina un adattamento

degli organismi all’ambiente e i caratteri biologici,

acquisiti e scartati attraverso la pressione selettiva,

consentono di vivere soltanto agli individui forti.

La Morte è sempre e soltanto la Morte.

Ti ho spiegato come da un libro aperto.

Se non capisci,

nescio,

non so che farti.

– Passeggere –

E’ vero.

Tu parli come un libro stampato,

mio caro Charles.

E così dalla Morte nasce la Vita futura

attraverso l’annientamento delle Specie e degli individui deboli

e la trasmissione dei caratteri e dei tratti forti.

Ho detto bene?

Dalla Morte,

dalla carestia,

dalla malattia,

dall’epidemia,

dalla pandemia,

dalla guerra

deriva l’esistenza di animali più elevati.

Dimenticavo,

dalla ferinità e dalla stupidità degli uomini nascono buoni corpi,

poderose razze,

donne di teutonica mammella,

uomini di immense coglionate.

– Charles –

Ipse dixit.

Tu l’hai detto e io non lo confermo.

Io non voglio avere niente a che fare con te.

– Passeggere –

Mi discacci come fece Berluscotto a Finasso?

Dimmi, invece, quale Etica in questo dramma naturale?

Quali valori governano la Morte e i suoi comportamenti?

Dimmi,

o scienziato e giornalista,

o politico e opinionista,

o conduttore del treno chiamato desiderio,

dimmi dov’è quel chissà chi lo sa

che rende la vita degna di essere vissuta

in tanta tempesta di ormoni e di virus

che pretende di governare il dna del pipistrello

con l’acido lisergico e con una bottiglia di champagne

delle colline limitrofe a Bordeaux e Col san Martin,

in quei terrapieni ovattati di mille virtù francesi.

Per non parlare della mariagiovanna,

non la giornalista dalla vasta presenza,

la droga mortifera che ti fa passare il mal di testa.

Dimmi,

dimmi caro maliardo sapiente

dove va a dormire il sole nelle notti di mezza estate

quando gli innamorati fanno l’amore sulla spiaggia di Rimini

dopo essere stati a ballare tutta la notte all’Altro mondo.

Eppure,

caro Charles,

tu sapevi di tutto questo imbroglio

e l’avevi visto nei fringuelli delle Galapagos

e nei passeri di piazza Pancali nella maleodorante Ortigia,

quelli che ti cagano sulla testa mentre passeggi.

E ora tu mi dici soltanto che dobbiamo morire

per rafforzare questa Specie di uomini malvagi

che sparano ai poveri migranti neri

e sghignazzano davanti alle cazzate quotidiane dei talk choc.

Sai cosa ti dico?

Meglio bauscia che scienziato!

Meglio baucot che sapiente della Sapienza o della Bocconi,

del Sacco e dello Spallanzani,

dell’Università di Padova e di Tremestieri.

A cosa serve la Scienza,

se poi ti lasci invadere dalle pulci ballerine e dalle zecche clandestine,

se non regali soldini a pioggia a Tizio,

a Caio,

a Sempronio

e anche al povero e timido Bortolo.

E Giobattino cosa può dire sentendosi escluso?

Schei anca a Giobatta!

E bella e finita che sia questa sagra paesana

di scienziati e di bauscia,

di saputelli e di baucot,

di donne che sanno

e di maschi che pretendono.

E poi l’aggressività dove la mettiamo?

Tra i cuscini delle pulzelle o nella conservazione della razza?

– Charles –

Tu sei tutto scemo.

Io mi disgiungo e mi defilo.

A mai più.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 22, 03, 2021

SEMPRE DI SERA

Il giorno fu pieno di lampi,

il dì fu gravido di luci,

la tempesta attendeva la quiete,

nel borgo di lucide case

ora verranno le stelle,

le stelle già morte lontano,

giù giù,

a portata di mano,

cadranno le tacite stelle,

cadranno da un luogo lontano,

cadranno in un tempo vicino:

il nostro.

La luce delle stelle morte è tra noi,

c’illumina,

ci guida,

ci consola.

Può la luce arrivare dal passato?

Può esserci luce nella polvere delle stelle,

come in tutte le cose più belle,

sugli augelli che fan festa,

sulle galline tornate in su la via in attesa del gallo?

O Luce,

luce dei miei occhi,

rischiarami il biondo cammino

che porta alla siepe del tuo gelsomino.

Nei campi c’è un breve gregré di ranelle.

Gregré,

gregré,

gregré ancora.

Una mano tremante si accosta al mio volto.

E’ mia madre incredula davanti al mio corpo.

Le tremule foglie dei vetusti pioppi si muovono in coro,

trascorrono di una gioia leggiera

quando la mano incontra il mio sangue.

Hanno ammazzato mio padre Turiddru,

il compare di Bernardo e di Gaspare!

Che giorno di lampi!

Che giorno di scoppi!

Erano bombe,

non erano tuoni,

era mio nonno in fuga dalla guerra

con il suo bel sacco di bianca farina sulle spalle irsute

per nutrire i suoi rondinini.

Gli hanno sparato sul far della sera.

Che pace, la sera!

Si aprono le stelle nel cielo tenero e vivo.

Là, presso le allegre ranelle singhiozza monotono un rivo.

Di tutto quel cupo tumulto,

di tutta quell’aspra bufera,

non resta che un dolce singulto nell’umida sera.

Tutto è finito in un rivo canoro.

Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d’oro.

O stanco dolore, riposa!

La nube nel giorno più nera

fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera.

Che voli di rondini intorno!

Che gridi nell’aria serena!

La fame del povero giorno prolunga la garrula cena.

Poi i canti di culla,

che fanno ch’io torni com’era,

sentivo mia madre,

poi nulla,

sul far della sera,

sul far di quella sera,

sul far di questa sera.

Salvatore Vallone

Harah Lagin, 20, 07, 2023

THANATOS

Thanatos

ci attanaglia,

ci tampina,

me tapina!

Avanti un altro tampone

per il prossimo coglione

che negligentemente ci rovina.

Quanti cani dovete portare a pisciare, cagare, sniffare?

Scusate l’espressione,

di sicuro preferite la locuzione

“fare i bisognini”.

I negozi per animali devono restare aperti

per i nostri amici a 4 zampe, poverini!

(Ma prima, d’estate li abbandonavamo nei cigli delle autostrade).

E in Africa ci siamo dimenticati da decenni

della moria di denutriti bambini.

Ognuno ha le sue priorità,

le sue verità,

le sue velleità,

le sue vanità.

Oddio!

Come farò senza la parrucchiera,

l’estetista, la manicure e la ceretta?

Ma dove devi andare?

A CASA DEVI STARE!

Vedrai la ricrescita bianca,

le gambe irsute, le unghia non limate e pittate,

ma sentirai il mio CUORE,

quando la sera ti sentirò rientrare

e senza baciarti

ti chiederò:

come stai Amore?

Giulena

Palermo, lunedì 30 del mese di marzo dell’anno 2020

PELLEGRINO

Pellegrino, non si passa così dentro una rosa.

Quando sei entrato come luce nella mia stanza,

adorna di cianfrusaglie,

la polvere si è alzata lenta

e ha tolto al tempo la sua connotazione di misura,

come nei sogni.

C’erano binari saldi a terra per il passaggio dei treni:

morte,

vita,

andare,

restare.

Mi tormenta come un dondolo il giro della vite nel legno del pioppo,

l’ombra sta scemando,

è mattina.

Devo andare a lavorare,

devo essere intelligente

e salire i gradini due a due,

la più dura delle scalate.

Lontana da te,

vicina a te,

gennaio,

dicembre,

passaggi nelle geometrie dei giorni colmi di lampi

che segnano il tracciato della rampa.

Sali a passi leggeri,

mi scansi,

sei Venezia che resiste allo sprofondo,

passi verso la luce di prima,

quella nella mia stanza

che intanto cola a picco nei ricordi.

Ah, se avessimo deciso di essere due confini!

E invece solo distanze,

polvere sui papaveri che bordano autostrade pellegrine.

Rosa gialla purissima,

resisti,

ti voglio guardare nel tuo maggio odoroso,

chiuderò gli occhi alla mostra dei tuoi petali

per non vederli cadere sul prato d’erba stanca dell’estate

che arriva sempre, indomita e fugace.

Sempre e per sempre tua.

Sabina

Dolomiti, 12, 05, 2023


NOSTALGIA

Scavo con le mani dentro il petto,

sangue caldo,

vita che pulsa,

cuore.

Non ti ho mai perso,

non sei un treno,

sei una casa.

Nessuna morte all’orizzonte,

ciuf ciuf,

stazione.

Nulla che sappia di mani strette per un addio,

che poi si devono lavare.

La furia dell’amore non si lava,

stesi esausti dormiamo,

pregni di umori umani.

Incenso e mirra.

Doni.

SAZA

Il Giardino delle Dolomiti, 21, 04, 2023


IL RISVEGLIO

Svegliarsi ogni mattina

con in testa una signorina,

svegliarsi finalmente con te,

con la mia Giannina.

Svegliarmi una mattina

insieme alla mia signorina,

svegliarmi ogni giorno insieme a te

che sei la mia piccina.

Svegliarmi sempre e sempre ormai con te

che sei la mia cagnolina.

In quel tempo fu Bobby a svegliarmi,

oggi sei tu a risvegliarmi.

Moi je t’aime,

chiunque tu sia,

o dulcedo dell’anima mia.

Salvatore Vallone

il Giardino degli aranci, 28, 05, 2023

NOSTALGHEIA CANAILLE

E così te la intendi con il massimo dei minimi,

con i seguaci dell’improponibile e improbabile Jacques,

il francese alle Gauloises dal dolce sapore di prugna.

E così segui anche tu la luce delle stelle morte,

il fenomeno luminoso di un noumeno,

un visibile e massiccio pensabile,

la scia ardente delle moderne camere mortuarie,

le sale umane del congedo inumano.

E magari vai a comprare in libreria quel malloppo di detto e ridetto

per arricchire gli editori ingordi e gli autori innarcisiti,

quelli che hanno ucciso i libri di carta con i diritti in salotto,

la manega di esibizionisti sporcaccioni

che toccano i culi delle donne improvvide.

E magari mi dirai alla stazione del fiero Primolano

che le stelle sono morte per colpa dell’Alighieri

che infine uscì a rivederle dopo cotanto inutile fottio,

dopo tanto strafottente primeggiare tra impari.

Eppure Ulisse ti parlò a suo tempo e a suo modo

con tanto di baldracche nel suo pullman diretto a Monza,

con tanto di libri da svendere nelle catene erremoscia & cavalieri.

Tu sapevi di quel dolore del ritorno e del ritorno del dolore.

Io te l’avevo spiegato ad ampie falcate sulla strada di Damasco

insieme a Palinuro,

il nocchiero del capo,

colui che non deve chiedere mai

semplicemente perché non ha editori disposti al culo,

benemeriti della patata igp e dop.

Tu hai guardato indietro e non avanti,

hai amato il dolore e non il progetto,

tu non ci sei ieri alla fiera perché oggi c’eri in te stessa,

una persona giuridica senza futuro

e con tanto di pedigree nel collo senza collana e senza imbroglio.

O angelo del cielo restituisci alla mia bambina

quelle stelle morte che ancora sono vive

e parlano al suo cammino illuminandolo di lastricate zolle.

Meglio venirci con la testa bionda sul guanciale

per le ultime carezze degli ipocriti dissennatori.

E’ vero che non siamo mai soli nelle nostre brande

e odoriamo di morte per inedia e di violenza militare.

E’ vero che sei la creatura di un qualche dio mercenario,

ma non dovevi di certo innamorarti di quell’Ulisse

che annegò nelle fogne delle colonne

dove Ercole pose li suoi riguardi

a che il poeta più oltre non si metta.

Lascia gli idoli del foro e del mercato,

abbraccia gli idoli della tribù e della spelonca,

stai in mezzo alla gente ignara

che porta gioiosamente a spasso per la città

una donna argentata sul pulpito inanimato,

ama la Parola di Giovanni,

quel Verbo che non si compra perché non si vende,

quel verso libero che non è dolore del passato,

dolore del presente,

dolore del futuro,

ma semplicemente un emerito dono

che non si compra perché non si vende.

Solo così eviterai le chiese e le parrocchie,

i salotti osceni e le sirene ricostituite,

mia cara Gianna,

nostalgica addolorata madonna

che non ristai in un altare mercenario o in una bancarella premiata.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 18, 12, 2022

MARZO 2021

Oh giornate del nostro riscatto

Oh dolente per sempre colui

Che da lunge, dal labbro d’altrui,

Come un uomo straniero, le udrà!”

Quanta retorica,

Alessandro il cattolico,

per una patria che non c’è!

Quale riscatto?

Quello dei mercanti in odore di politica

o quello degli ignoranti nemici di Platone?

Cosa vai blaterando insieme a Giacomo da Recanati

per quell’Italia che non c’era,

per questa Italia che non c’è.

Lo vanno dicendo in tivù i furbastri menagrami

per quest’Italia che non c’è.

Siamo stranieri e siamo dolenti,

siamo lontani l’uno dall’altro e senza labbra.

Chi ci ascolterà?

Chi ascolterà le nenie delle madri

e le prediche dei padri,

chi ascolterà un popolo muto

accovacciato come un cane ai piedi del nuovo padrone?

Dopo il puffo arriva il buffo,

dopo il puffo e il buffo emerge dalle fogne il pacioccone,

il pericolo dell’inconcludenza,

la voce del padroncino.

Che a’ suoi figli, narrandole un giorno,

Dovrà dir sospirando: “Io non c’era;

Che la santa vittrice bandiera

Salutata quel dì non avrà.”

Io ho fatto il militare a Lecce, a Palmanova e a Caserta.

Avevo la divisa color sabbia e il fal americano,

ero capo di un carro armato americano,

di quelli abbandonati dagli yankee

dopo le loro scorribande al whisky e al napalm,

dopo i figli, neri e bianchi, abbandonati in giro per il mondo.

E anche dietro la collina c’era la Morte cupa e assassina,

quella dei pazzi terroristi che uccidevano il fratello e i fratelli.

Quanta vergogna, quanta follia!

Un fantasma si aggirava per il Globo,

il fantasma del Comunismo,

il fantasma del Fascismo,

il fantasma del terrorismo.

Cosa vuoi che ti racconti,

o figlio,

di questi tragici momenti

in cui ci si ammazzava per diletto tra di noi,

tra fascisti e comunisti,

tra celerini e studenti,

tra caramba e operai.

Cosa vuoi che ti racconti,

o figlia,

di cosa nostra e cosa vostra,

dei giudici morti ammazzati e dei politici che li abbandonarono,

del pane di casa e delle panelle di stato.

Si è voluto così colà

dove ancora si puote ciò che si vuole.

Abbiamo chiesto,

ma non ci è stata data risposta alcuna.

A noi prescrisse il Fato ignota e illacrimata sepoltura.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 13, 05, 2021