“Ho sognato di essere in riva al mare insieme a dei conoscenti che, ad un certo punto, decidono di tuffarsi in acqua senza alcun timore, per raggiungere la sponda opposta di quello che mi sembra la foce di un fiume.
Il mare è molto mosso e il vento è forte.
Io non mi fido a tuffarmi anche perché ci sono molte balene che saltano nell’acqua impetuosa e che mi fanno paura temendo di essere mangiata.
Ritengo possibile raggiungere l’altra sponda camminando lungo la spiaggia, ma arrivata ad una curva rocciosa, il vento mi spinge indietro con alti spruzzi d’acqua.
Desisto e dopo non molto, il tempo migliora, il cielo è blu, il sole splende e il mare calmissimo. A quel punto non sento più l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda.”
Moby Dick
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Ho sognato di essere in riva al mare insieme a dei conoscenti che, ad un certo punto, decidono di tuffarsi in acqua senza alcun timore, per raggiungere la sponda opposta di quello che mi sembra la foce di un fiume.”
Siamo in famiglia e ci troviamo di fronte all’avvenire: “in riva al mare”. I “conoscenti” sono i familiari, per l’appunto. Si vive e si va avanti nella vita con la ricerca coraggiosa di mete agognate, con la forza della giovinezza e il sostegno della famiglia.
“Tuffarsi in acqua” si traduce in un coinvolgimento esistenziale fatto di consapevolezza e non di pulsioni inconsce: esserci ed essere sul pezzo anche se questo “tuffarsi in acqua” evoca la figura materna.
“La foce di un fiume” significa la parte finale di un percorso e di un cammino operativo, il traguardo di tanti sforzi, ma include anche l’ultima fase del parto e la nascita, l’emancipazione della figlia Moby dalla augusta genitrice.
TRADUZIONE ESTETICA
Mi tufferò in acqua senza alcun timore
insieme a voi,
fratelli e sorelle,
insieme a tutti i nati da madre.
Non avrò paura di annegare,
non sarò fagocitata da colei che mi ha liberata
e da cui mi sono staccata,
non sarò divorata dal nulla inconsapevole ed eterno,
questo mare che tutto bolle e ribolle
o che sta fermo sulla linea dell’orizzonte.
Torno indietro e rivivo mia madre.
Sono cresciuta e sono grande.
Conosco bene mia madre
e saprò anche liberarmi del suo abbraccio fatale,
dalle sue ansie e dalle sue angosce.
Mia madre è importante,
come tutte le madri per tutti i figli.
“Il mare è molto mosso e il vento è forte.”
La vita e il vivere si traducono in forti emozioni e impetuosi sentimenti che rasentano lo stordimento e richiedono tanta forza per essere affrontati.
TRADUZIONE ESTETICA
Sul mare non luccica l’astro d’argento,
né placida è l’onda,
né prospero è il vento.
La donna sente dentro,
la donna sente fuori,
la donna si perde nel turbinio dei sensi
insieme alla vita che le scorre vitale
e non è mai appagata in questa ricerca
di una se stessa che è mare,
di una se stessa che è vento.
Portami via con te, o mare, o vento!
Datemi l’ebbrezza di una giornata felice
a bordo dei miei sensi e dei miei sentimenti.
“Io non mi fido a tuffarmi anche perché ci sono molte balene che saltano nell’acqua impetuosa e che mi fanno paura temendo di essere mangiata.”
Moby non si lascia andare alle sue emozioni e non si affida alle sue tempeste emotive, perché Moby non si affida alle madri che nuotano nel mare della vita e delle gravidanze. Moby ha paura di essere fagocitata dalla madre, ha bisogno di essere protetta dalla madre, desidera essere nel grembo materno. Moby svela il possessivismo materno che l’ha connotata nella sua esistenza e il suo travaglio a liberarsi dalla madre e dal suo mondo incantato fatto di favole e di regressioni. Moby ha paura della madre e di essere madre. Troppo tormento, troppa tempesta, troppe competizioni e Moby ha timore, è timida, è gentile, è umile, è piccola, è all’erta con le novità repentine.
TRADUZIONE ESTETICA
Madre della terra,
o madre mia carnale,
che vai nuda e sicura con le altre madri
incontro alle tempeste della vita di donna,
vergine di umiltà,
ricca di possesso e potere,
o mamma mia di sempre,
prenditi cura di me
che non so ancora nuotare,
che non so ancora salire le cime tempestose
che portano nel fondo del mare,
di quel mare,
di questo mare,
gli oceani interiori che ribollono dentro fragili e forti membra,
fragili di affanni,
forti di tenacia.
Di sale brilli nell’altare,
di sale il tuo pane sapeva
quando eri stanca di essere madre.
Tienimi con te,
mettimi dentro di te,
nel tuo ventre ampio e calorosamente caldo
che un giorno mi ha visto con te.
Proteggimi dal bene infido
e dammi la forza
di non cedere alle lusinghe del destino infame.
Fa’ che io sia padrona
del mio incedere elegante
in questa sfilata della vita che scorre
anche sui marciapiedi della graziosa cittadina
che mi vide timorosa
e oggi mi scopre civetta.
“Ritengo possibile raggiungere l’altra sponda camminando lungo la spiaggia, ma arrivata ad una curva rocciosa, il vento mi spinge indietro con alti spruzzi d’acqua.”
La dialettica psichica della diade “madre-figlia” è aspra e la libertà è lontana vista dalla spiaggia, non è lineare, il conflitto è acceso e il vento spinge a regredire con forti prepotenze materne. La figlia è entrata in conflitto con la madre: “posizione psichica edipica”. Tutto è normale e come da copione, ma la “curva rocciosa” attesta di forti ostacoli intercorsi e interposti nella liquidazione della conflittualità con la madre. Moby ha tanto sofferto per le irruenze emotive e sentimentali vissute durante la sua psicodinamica con la madre e di riferimento con il padre, per cui “l‘altra sponda” non è stata di facile approdo, in special modo per via agevole: “camminando lungo la spiaggia”.
TRADUZIONE ESTETICA
Vento,
ancora il vento mi porta l’odore acre della competizione,
ancora una spiaggia si allontana dai miei occhi ingenui
e ancora il mare mugugna e muggisce
in tanta tempesta dei sensi e degli umori.
Quanta necessità sofferta per far crescere la libertà dentro!
Mamma,
mormora la bambina,
mentre pieni di pianto gli occhi,
per la tua piccolina non compri mai balocchi,
mamma tu compri soltanto le ciprie per te.
Colonie aromatiche della compagnia delle Indie
per una donna d’alta classe,
una boccetta di chopard casmir
per la signorina che verrà,
una bambolina di pezza ruvida con diadema di perle marine
per il regno fantasioso
di una principessa minore e del suo re maggiore.
“Desisto e dopo non molto, il tempo migliora, il cielo è blu, il sole splende e il mare calmissimo. A quel punto non sento più l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda.”
“L’altra sponda” è la libertà dopo la guerra, dopo il conflitto, dopo la sofferenza acuta di rinunciare a un pezzo di radice. La vera e veritiera “altra sponda” è l’autonomia psicofisica, il fare legge a se stessa nel corpo e nella mente, la soluzione delle pendenze edipiche, lo scioglimento dei nodi marinari che tenevano attraccata la barca al molo. Moby mostra a se stessa con il suo sogno la psico-dialettica che ha vissuto e le psicodinamiche che ha istruito per la risoluzione del suo “complesso di Edipo”, tappa che l’ha particolarmente attratta per la figura femminile della madre, fascinosa e misterica nel suo essere l’origine della sua esistenza.
“Desisto”, posizione psicologica buddista, non mi coinvolgo, mi lascio andare, cesso di combattere, apatia stoica di chi conosce il vero, latino “de-sisto”, mi colloco da una parte in un’altra parte. Questo verbo così chiaro è altrettanto profondo e ricco di implicazioni mistiche, culturali, religiose, filosofiche, semiologiche e tanto altro. In un semplice “desisto” sono condensati l’approdo e la ricerca ulteriore della verità personale, figlia di quella Verità collettiva e assoluta che non si nasconde più all’occhio smagato e all’intelletto libero di chi ha tanto cercato e finalmente trovato dopo tanto cammino, come Moby.
“Il tempo migliora” si traduce sto crescendo e sto risolvendo le mie dipendenze e pendenze, edipiche nel nostro caso, sto maturando e anche l’umore si assesta in una dimensione psichica matura.
“Il cielo è blu”, tutto è più tranquillo in me e fuori di me, “sublimo” l’angoscia con la migliore consapevolezza, ho collocato i miei valori in un luogo superiore e le mie verità al di là di ogni discussione logora e logorante, insomma mi sono liberata del “fantasma” materno e adesso mi sento compatta.
“Il sole splende”, la luce della ragione illumina il camino della vita e dell’azione, la consapevolezza si è estesa al “senso di sé” ed è diventata autocoscienza, “sapere di sé. “Cogito ergo sum” e sono cartesianamente una persona pensante e fattiva, associo il pensiero all’azione come la Storia di Benedetto Croce, insomma, procedo nell’esistenza con lo strumento della Ragione e del Sapere.
“Il mare calmissimo” contiene una forma di atarassia, di assenza di angoscia, di apatia stoica che, non è caduta della vitalità emotiva e sentimentale, bensì padronanza di sé tramite la “coscienza di sé”, ampliamento del “sensus sui”, maturazione della persona e della personalità, compattezza psichica. Il “mare” è simbolo dell’inconscio vitalistico e neurovegetativo, oltre che dell’esistenza.
E’ giusto e sacrosanto che, a questo punto, Moby non senta il bisogno e “l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda”, la madre o un altro traguardo, il padre o un altro obiettivo.
Sembra rinuncia e rassegnazione e invece è la rappresentazione in sogno della SAGGEZZA, della “sapientia sui”. Moby non è approdata nell’altra sponda, ma è approdata nel suo porto. Adesso l’angoscia della perdita è appagata e automaticamente scomparsa. Nulla chiede in Moby di sopravvivere, tutto chiede di vivere.
TRADUZIONE ESTETICA
Desisto,
mi colloco altrove,
atarassia,
il senza angoscia,
la cura di Franco,
un disco,
un quarantacinque giri di allora,
di quando ero una ragazzina tutta madre e tutta chiesa,
niente casa del popolo,
così come voleva la mamma,
la mia balena,
la saggezza è sapore di sale,
non quello altrui,
è il mio sale,
il mio sale in zucca,
il mio mare salato,
mare immenso e salato,
mare e marosi,
io so di me,
io finalmente so di me,
tu, o mare, non mi agiti
perché non sei agitato,
sei ammarato nella marina,
mentre il tempo soffia sulle vetuste scene
dei teatri antichi e greci,
quando si recita il soggetto di Edipo,
l’uomo dai piedi ritorti,
figlio del mare e della luna,
figlio di Laio e Giocasta,
figlio delle stelle di Tebe,
solo in un quadrivio all’europea
con precedenza a destra e a sinistra,
comme vous voulez,
sotto questo cielo intirizzito dall’incesto,
stupito e stupefatto dalle donne dionisiache
che in corteo sbranano il capretto
secondo la sanguinolenta processione del fine settimana,
“Era
appena arrivato l’autobus per l’aeroporto dove mi aspettava un
aereo per la Germania, dove sarei andata a trovare il mio ragazzo.
Faccio per caricare la valigia nel bagagliaio, quando qualcosa mi
distrae.
Una
volta arrivati all’aeroporto, vado a prendere la valigia ma,
sorpresa, mi accorgo che non c’è. Allora, ricordo di non averla
mai caricata, perché distratta da qualcosa.
Presa
dal panico, decido di avvertire casa per vedere se qualcuno sarebbe
potuto andare a prendere il mio bagaglio, ma, preso in mano il
telefono, mi accorgo che si trattava di quello di mio padre, che è
identico al mio. Tuttavia, non potevo utilizzarlo dato che, per
farlo, c’era bisogno di un pin che non conoscevo.
Così,
sempre più in ansia, mi rivolgo a un uomo dell’agenzia degli
autobus, spiegandogli la situazione, ma senza ammettere il fatto che
io stessa non avevo infilato la valigia nel bagagliaio, dicendo
invece che qualcun altro l’aveva tirata fuori a mia insaputa.
Mi
vergognavo abbastanza di questa mia grande distrazione.
Lui
mi dice, rassicurante, che la mia valigia era stata trovata, che era
in viaggio su un autobus e che avrei dovuto aspettarla lì.
Sarei
arrivata a prendere il mio aereo?”
Questo
è il sogno di Bruna.
INTERPRETAZIONE
E CONTENUTO LATENTE
CONSIDERAZIONI
Si
tratta di un sogno carico di simbologie femminili che sviluppa il
tema della consapevolezza di essere femmina e il potere di essere
donna, l’assimilazione dell’identità psichica femminile in
espresso riguardo alla sessualità e alle figure dei genitori. E’
una tematica universale e una tappa evolutiva che riguarda le ragazze
che si affacciano alla vita amorosa relazionandosi a un uomo in
questo caso, una figura che oltretutto ha la sua radice e il suo
modello nel padre. Ricordo che per par condicio la madre funge per
l’identificazione e l’identità psichiche della figlia.
“Era
appena arrivato l’autobus per l’aeroporto dove mi aspettava un
aereo per la Germania, dove sarei andata a trovare il mio ragazzo.
Faccio per caricare la valigia nel bagagliaio, quando qualcosa mi
distrae.”
Bruna
è in procinto di incontrare il suo ragazzo e, sognando, mette in
discussione il suo essere femminile in previsione dell’intimità da
convivere e timorosa della femminilità da offrire. “L’aereo” è
un simbolo materno, così come la “valigia” rappresenta il grembo
con gli annessi e connessi genitali e sessuali dell’universo
femminile. Bruna ha qualche sospeso con la consapevolezza della sua
femminilità e qualche timore in riguardo alla sua sessualità, per
cui non carica la “valigia nel bagagliaio”. Bruna ha qualche
conflitto latente con la madre. La “distrazione” è una difesa
psichica che si chiama “rimozione”. Lei parte ma dimentica, non
vuol pensare a quel qualcosa di intimo e privato che si prospetta in
questo happening con il suo ragazzo.
Buon
viaggio, allora, anche con questa vena di vago erotismo e di stupore
diffuso: “qualcosa mi distrae”.
“Una
volta arrivati all’aeroporto, vado a prendere la valigia ma,
sorpresa, mi accorgo che non c’è. Allora, ricordo di non averla
mai caricata, perché distratta da qualcosa.”
Bruna
ha dimenticato di caricare la valigia nell’autobus che la sta
portando all’aeroporto per volare verso
il suo amore. Ritorna la distrazione, “quando qualcosa mi distrae”
e “perché distratta da qualcosa”, Bruna mantiene in vita il
meccanismo di difesa della “rimozione”, Bruna si aliena
leggermente e senza pericolo in quella che è la parte del suo corpo
più coinvolta in quest’avventura, la sua natura femminile e la sua
sessualità. Il “non averla mai caricata” si traduce in non
averla mai adeguatamente vissuta e razionalizzata. Bruna è una
giovane donna e in quanto tale non ha avuto ancora la possibilità di
fare le giuste esperienze di vita e di vitalità erotica, per cui va
da sé che si senta frastornata e inadeguata a tanto viaggio. La
leggera brezza della “rimozione” aiuta e incoraggia a proseguire
il cammino verso
l’innamorato e nella vita. Ritorna
“l’aeroporto” nel sogno a testimoniare del “tramite” che
porta all’autonomia psicofisica, alla libera gestione del suo
“psicosoma”. Bruna deve partire e, se non parte, non cresce.
La
domanda legittima a questo punto è la seguente: quale
causa innesca questa
“rimozione”?
“Presa
dal panico, decido di avvertire casa per vedere se qualcuno sarebbe
potuto andare a prendere il mio bagaglio, ma, preso in mano il
telefono, mi accorgo che si trattava di quello di mio padre, che è
identico al mio. Tuttavia, non potevo utilizzarlo dato che, per
farlo, c’era bisogno di un pin che non conoscevo.”
Ecco
in ballo la figura paterna e in forma esplicita!
Bruna
riesuma il padre in un contesto erotico e leggermente conflittuale,
uno status psicofisico dettato dalle radici della sua formazione e
dalla sua evoluzione psichica, in particolare la “posizione
edipica”, i vissuti affettivi ed erotici in riguardo alla
dialettica “padre-figlia” in questo caso, ma in cui è coinvolta
necessariamente la “madre” per rendere completo il quadro
psicodinamico. Bruna,
sognando, si mette in relazione con il padre
tramite il “telefono” di
lui e giustifica il lapsus con la condivisione dello stesso modello.
Ma guarda un po’ come ragiona Bruna in sogno. Invece di rivolgersi
all’ufficio dei bagagli smarriti, richiama il padre e la relazione
pregressa con lui per dire che in questa “rimozione” della sua
femminilità e in questo viaggio verso la passione ha una parte
importante ma non determinante, perché c’entra anche la madre e la
stessa Bruna in un’ampia
gamma dell’atavica
diatriba sul
freudiano “complesso di Edipo”. La differenza tra la figlia e il
padre si attesta nel “pin”, nel codice personale che giustamente
Bruna non conosce e che si traduce nella formazione e nell’evoluzione
psicofisiche. Del resto, i vissuti formativi sono estremamente
personali e unici ed è questa unicità che ci rende fortunatamente
originali e irripetibili. Il
padre non può andare a prendere il bagaglio smarrito della figlia.
La questione s’intriga e si evolve verso le giuste e naturali
conseguenze, seguendo sempre la linearità evolutiva del fenomeno
onirico e della psicodinamica innescata.
Nulla
di nuovo sotto il sole!
“Così,
sempre più in ansia, mi rivolgo a un uomo dell’agenzia degli
autobus, spiegandogli la situazione, ma senza ammettere il fatto che
io stessa non avevo infilato la valigia nel bagagliaio, dicendo
invece che qualcun altro l’aveva tirata fuori a mia insaputa.”
“Presa
dal panico” in precedenza e “sempre più in ansia” adesso,
Bruna viaggia verso la soluzione del problema: ritrovare e
riappropriarsi della propria “valigia” dimenticata da qualche
parte senza l’ausilio del padre e proprio adesso che sta per volare
per raggiungere il suo ragazzo “in Germania” e
consumare la sua carica erotica.
Degna di nota è la componente isterica e leggermente fobica della
nostra eroina, il panico e l’ansia, ma si tratta di somatizzazioni
che si fondono e si confondono con la piacevole eccitazione che sta
provando da un paio di giorni a questa parte in attesa di volare
verso una forma di rendiconto della sua formazione erotica e
sessuale. Dopo il padre ritorna una figura maschile, “un
uomo dell’agenzia degli autobus”, uno “spostamento e una
“traslazione” che rende meno traumatico il prosieguo del sonno e
del sogno. L’ansia e il panico si risolvono “spiegando la
situazione” e chiaramente a se stessa e con la truffa
dell’omissione, “senza ammettere”, che è una mezza furbesca e
quasi consapevole “rimozione”. Bruna si sta dicendo “ adesso
vado dal mio moroso in Germania e chi vivrà vedrà con valigia e
senza valigia, ma è meglio che recuperi una certa qual
consapevolezza della mia sessualità.” Lei
aveva infilato la valigia nel bagagliaio, ma qualcun altro l’aveva
tirata fuori a mia insaputa: una consapevole bugia difensiva per non
pagare il dazio, per non prendere del tutto coscienza di quanto il
padre abbia contribuito con la sua figura nella formazione della sua
struttura psichica reattiva ed evolutiva e nella sua vitalità
erotica e disposizione sessuale. Degna di nota è la difesa
protettiva della sua sessualità e si vede chiaramente in “io
stessa avevo infilato la valigia nel bagagliaio”, due simboli
femminili che attestano delle paure maturate da Bruna nel corso della
sua formazione psichica evolutiva. Chi mi aveva fatto conoscere la
mia sessualità è quel qualcun altro che risponde alla figura
paterna. I conti tornano e tornano alla grande a confermare la bontà
della griglia interpretativa della “posizione edipica”. Si nasce
femmine, ma si diventa femmine. Così parlò Sigmund!
“Mi
vergognavo abbastanza di questa mia grande distrazione.”
Non
è vero, si tratta di un naturale meccanismo psichico di difesa che
ha nome “rimozione” associato a una consapevole tutela da
incidenti sociali in corso d’opera. Meglio aver paura, piuttosto
che prendere botte con grande danno. La “distrazione” si traduce
in “metto una cosa da un’altra parte e la sottraggo alla sua
naturale e giusta collocazione”. E’ una difesa psichica che si
definisce “spostamento”
e serve a distribuire eventuale angoscia in maniera di renderla
vivibile senza alterare l’equilibrio omeostatico anche durante il
sonno e nel sogno. Ricordo che il sentimento della “vergogna”
verte simbolicamente su temi riguardanti l’intimità, la vita
erotica e sessuale, i bisogni del corpo. Bruna sta recuperando in
sogno la sua identità di giovane donna che si appresta a vivere
esperienze degne di interesse per la loro carica erotica e per
la crescita personale.
“Lui
mi dice, rassicurante, che la mia valigia era stata trovata, che era
in viaggio su un autobus e che avrei dovuto aspettarla lì.”
Coordino
per capire meglio. Bruna si fa rassicurare sulla sua femminilità e
sulla sua sessualità dall’addetto ai bagagli smarriti, una figura
maschile che è la “traslazione” del padre, quindi Bruna si fa
rassicurare dal padre sulla sua femminilità e sulla sua sessualità
perché la sua evoluzione psicofisica è passata attraverso la
dialettica psichica “edipica” e abbisogna dell’autorizzazione
del padre. A tutti gli effetti realistici Bruna si autorizza a
procedere da sola con quelle titubanze eccitanti che condiscono la
preziosa minestra delle esperienze sessuali. Le sue paure sono state
risolte nel migliore dei modi attraverso il riconoscimento del padre
e dei diritti del suo corpo, oltre che del suo essere femminile.
Sembra che non
si sia
presentata in sogno la figura materna trattandosi di identificazione
e di identità psichiche e questa assenza significherebbe
che la madre è stata ben razionalizzata e archiviata almeno per il
momento e in questa situazione. Del resto, Bruna va a trovare un
uomo, il suo uomo, e il padre serve anche come nulla osta per evitare
i sensi di colpa e come figura di riferimento maschile. In
effetti la madre è simboleggiata nella “valigia” dentro
“l’autobus”, per cui il quadro edipico si compone in tutti i
suoi elementi costitutivi e la vitalità sessuale di Bruna, la
figlia, sembra avviarsi nella prosperità, visto che tutti gli
elementi della diatriba sono stati richiamati e andati nel loro
giusto posto. In precedenza la stessa Bruna aveva affermato che lei
in persona “non aveva infilato la valigia nel bagagliaio”
denotando la relazione con la madre e connotandola come un contrasto
che si risolve al meglio e senza danno per i contendenti.
L’identificazione femminile nella figura materna c’è stata,
l’autorizzazione paterna c’è stata, il “Super-Io di Bruna ha
detto di sì a questa avventura, l’identità femminile è
acquisita, per cui si può partire per vivere la grande storia di una
donna innamorata del suo giovane uomo. Si
vola in Germania con la Lufthansa.
“Sarei
arrivata a prendere il mio aereo?”
Bruna
esprime nel finale del sogno, mentre si sta svegliando a causa del
protrarsi emotivo del “lavoro onirico”, il suo dubbio
esistenziale: “riuscirò a vivere bene la mia femminilità e la mia
sessualità e a dispormi in maniera recettiva verso le sensazioni del
mio corpo e verso il mio uomo?” La
titubanza è la maniera migliore per concludere un sogno completo e
composto nella sua ricca e prolifica sinteticità.
Ho
fatto leggere l’interpretazione dl sogno di Bruna a un mio amico
veneto che di mestiere fa il tappezziere e a tempo perso il
carrozziere. Alla fine Denis ha commentato in questo modo: “ma ti
te varda cossa vien fora quando si decide di andare a scopar. Par mi
no l’è possibile.”
Gli
ho risposto che non è importante che sia vera o falsa
l’interpretazione e che, invece, è giusto porre il problema della
auto-consapevolezza in quello che facciamo e viviamo per non essere
presi per il culo da noi stessi anche nelle situazioni più eccitanti
e birichine. Non c’è
cascato e ha continuato a borbottare nel suo argentino dialetto che
“no l’è possibile, no. Ti
t’esagera come sempre.”
L’interpretazione
del sogno di Bruna si può concludere degnamente
qui, nonostante
le convinzioni del mio amico Denis.
“In una festa in cui non sapevo la presenza di mia sorella, la incontro.
Mi viene vicino e getta delle scarpe con il tacco nella piscina.
Io le dico: “ma cosa fai?” E mi rendo conto che era ubriaca.
Lei a quel punto mi insegue e io scappo. A un certo punto mi fermo, lei va avanti e cade nella piscina.
Io mi rendo conto che lei non riesce a riemergere e la tiro fuori dall’acqua, affidando le sue cure a mia madre e alla mia compagna, dicendo loro che devo andare a trovare il marito.
Trovo il marito nella parte coperta della “masseria” appoggiato ad un muro e gli chiedo dove fosse mia sorella e da quanto non la vedeva.
Lui mi risponde che non sapeva e che ha sempre saputo di avere la fiducia da parte nostra.
Io gli rispondo che, una volta messa la fede al dito, si stava comportando male.
Finisce qui.
Raffaele
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“In una festa in cui non sapevo la presenza di mia sorella, la incontro.”
Raffaele si imbatte subito nello struggimento del “sentimento della rivalità fraterna. Si trova in famiglia, un luogo felice, ma arriva una rivale, una contendente, una ladra d’affetti e di attenzioni, “mia sorella”, non solo in carne e ossa, ma soprattutto in “presenza”, quasi un daimon persecutorio e, quanto meno, infido. Raffaele non sapeva perché sapevano i suoi genitori e nello specifico la madre.
“Mi viene vicino e getta delle scarpe con il tacco nella piscina.”
Le “scarpe” sono un chiaro simbolo femminile, vaginale per la precisione. Se poi hanno “il tacco”, si tratta di una donna fallica, una femmina di potere, una persona seducente e ricercata, appetitosa e ricca di sé: la solita rappresentazione dell’universo femminile che risale alla figura della dea Afrodite e alle Sirene. La “piscina” è una rappresentazione simbolica della Madre, le ‘viene vicino” condensa l’ambito familiare e la convivenza, “getta” equivale a fondersi con la madre. Insomma, Raffaele ha una sorella ingombrante che ha una relazione privilegiata con la madre, oltretutto viene vissuta come una donna di potere per la sua spiccata femminilità e sessualità. Si prospettano per Raffaele conflitti con l’universo femminile.
Mi piace soffermarmi sulla visione culturale e rappresentazione seduttiva della donna, per affermare l’obsoleto “fantasma” maschile dell’angoscia di castrazione, nella prima infanzia collegata al padre. Sul cambiamento della rappresentazione di questa “fantasma” si fonda il possibile cambiamento di tanti mali che ieri e soprattutto oggi sono una costante e tragica minaccia per le donne: il femminicidio. Un maggiore e migliore presenza del padre nell’educazione familiare è sempre necessaria e non soltanto auspicabile. Il Tempo evolve anche la Cultura, per fortuna, e la Psicologia consegue.
“Io le dico: “ma cosa fai?” E mi rendo conto che era ubriaca.”
Raffaele vive la sorella come facile a lasciarsi andare e all’orgasmo, abile ad abbassare i livelli della vigilanza della coscienza, a disporsi a gustare l’estasi e lo sballo. Raffaele vive la donna in maniera diametralmente opposta a se stesso: “mi rendo conto”. La sorella condensa l’universo femminile. Di fronte all’autocontrollo di Raffaele la sorella è il massimo del lasciarsi andare neurovegetativo e morale. Se il fratello è apollineo, la sorella è, di certo, dionisiaca. “Io le dico”: prescrizione, rigore, “Super-Io” esigente e censorio. “Ma cosa fai” cela, per converso e meno male, anche il desiderio di autocritica. Raffaele sogna e rivedendosi si mette in discussione.
“Lei a quel punto mi insegue e io scappo. A un certo punto mi fermo, lei va avanti e cade nella piscina.”
Raffaele è pienamente entrato in conflitto con la sorella, l’elemento femminile in generale, si serve della sorella per rievocare la sua formazione psichica e i suoi vissuti verso le donne, i suoi “fantasmi” al riguardo. Viene fuori questo tira e molla, questo desiderio e rifiuto, questa ambivalenza psicofisica con l’aggravante della “caduta nella piscina”: il “sentimento della rivalità fraterna”. Raffaele proietta nella sorella il suo bisogno di madre, di tanta madre, una “piscina” per l’appunto, quella dove la sorella si abbandona e si rilassa, “cade”. Il sogno si serve dei meccanismi della “traslazione” e della “proiezione” per consentire il prosieguo del sonno e per evitare il risveglio traumatico, l’incubo. In sintesi: il bambino Raffaele è stato tanto geloso della sorella e tanto bisognoso di madre, l’adulto Raffaele vive la donna come facile a lasciarsi andare fisicamente e psicologicamente, confermando una rappresentazione dell’universo femminile obsoleta e non certo originale.
“Io mi rendo conto che lei non riesce a riemergere e la tiro fuori dall’acqua, affidando le sue cure a mia madre e alla mia compagna, dicendo loro che devo andare a trovare il marito.”
Come volevasi dimostrare. Madre e sorella appaiono in sogno spudoratamente e altrettanto spudorato è Raffaele il censore, l’uomo che vuole sanare le situazioni relazionali. Appare anche la dialettica di coppia in doppia versione: la “mia compagna” e “il marito” della sorella. Riconfermo: nei vissuti di Raffaele la sorella e la donna sono facili a lasciarsi andare, così come la madre la sorella a cui Raffaele si affida, presumendo la loro diversità in base al suo desiderio e al suo bisogno di avere una donna a sua immagine e somiglianza. Il “marito” include anche la figura paterna, un barlume spostato di padre in mancanza di una sostanziosa figura paterna. L’eroe Raffaele blocca l’orgasmo della donna, vive male il lasciarsi andare alle pulsioni del sistema neurovegetativo della sua donna sentendolo come un difetto e un pericolo. Della serie: ragioniamo sempre e comunque, che è meglio.
“Trovo il marito nella parte coperta della “masseria” appoggiato ad un muro e gli chiedo dove fosse mia sorella e da quanto non la vedeva.”
La figura maschile nel sogno di Raffaele si scinde nel censore e nel libertario, colui che reprime e colui che se ne fotte. Nella casa psicologica, la “parte coperta della masseria”, albergano due figure: il marito e il fratello-padre che protegge a suo modo la sorella o la donna in generale. Raffaele è combattuto tra il collocarsi come freddo critico e come premuroso attendente nei riguardi della donna, oscilla tra queste due pulsioni di protettore e di inquisitore. Ripeto: c’è poco padre in questo contesto familiare e il figlio ne ha preso il posto e ne ha usurpato il ruolo. Il “muro” attesta simbolicamente di questa difficoltà di Raffaele a liberarsi di sovrastrutture inutili nei riguardi della donna.
“Lui mi risponde che non sapeva e che ha sempre saputo di avere la fiducia da parte nostra.”
Non sapeva della donna, ma sapeva della stima formale della famiglia. La fiducia è un elemento freddo e un tramite fragile che non cementano la relazione. Raffaele oscilla nuovamente tra l’uomo ingenuo che non conosce la psicologia delle donne e l’uomo ineccepibile che si comporta bene con le donne. Raffaele non si coinvolge nelle relazioni con l’universo femminile, ma di lui non si può dire alcunché di negativo, anzi tutt’altro. Ha preso il posto del padre e ne fa le veci. Questo cognato ha tanto sapore di padre.
“Io gli rispondo che, una volta messa la fede al dito, si stava comportando male.”
“La fede al dito” è una chiara simbologia del coito, la prima rappresenta la vagina e il secondo condensa simbolicamente il pene. Come dire in gergo giovanile e simpaticamente: dopo che me l’hai data, sono diventato strafottente, sicuramente non sono più quello di prima. L’attrazione sessuale si spegne dopo la conquista sessuale della donna, dopo il coito si va spegnendo il desiderio e la pulsione. Dopo aver appagato il senso della conquista e il bisogno del possesso, l’investimento affettivo ed emotivo va progressivamente scemando. Raffaele rappresenta nel sogno questa sua difficoltà a stabilire una relazione matura con una donna e a investire di volta in volta sempre nuova “libido”, a portare avanti la relazione affettiva e sessuale in un unico contesto: la cura amorevole della sua donna. Il perché di tutto questo trambusto psichico il sogno lo accenna quando parla della figura materna e della collocazione paterna del figlio. Inoltre, è di rilievo la dimensione razionale in eccesso e la paura della donna dionisiaca o in orgasmo.
Dire di più non so, per cui la decodificazione del sogno di Raffaele si ferma a queste succose e interessanti linee.
“Ho
sognato una mia cara zia. Era sorridente. Si trovava nella casa dove
prima abitavo con la mia famiglia. Era di sera e nella casa c’era
la luce accesa.
La
casa era pulita e in ordine. Si vedeva che la zia stava bene, come
quando veniva a trovarci e sorrideva contenta.
Passavo
da lì con i miei figli piccoli e, come se la casa fosse a
pianterreno, guardavo attraverso i vetri della finestra.
Allora
raccontavo ai miei figli che io in quella casa ci abitavo da piccola.
La
zia mi vedeva e apriva e io facevo notare ai miei figli come allora
vivevamo in una casa così piccola.
Poi
su un tavolo vedevo in una cesta tanti sacchetti da sposa con dei
nastrini e fiorellini, alcuni erano un po’ aperti e altri chiusi, e
pensavo che fossero quelli del matrimonio di mia figlia.
Il
pavimento della stanzetta era lucido e pulito, non vedevo il letto e
c’erano delle piante ben curate e messe vicino a questo tavolo.”
Sofia
P.S.
Ricordo
che qualche giorno prima io e i miei cugini abbiamo pagato al Comune
la tassa per evitare al feretro della zia lo sfratto dal loculo in
cui riposa da più di venticinque anni.
CONSIDERAZIONE
L’ultima
notizia di Sofia necessita di una severa riflessione.
La
“Pietas” è morta.
Il
sentimento di appartenenza alla famiglia umana è stato ucciso dalla
trista e fredda amministrazione comunale. Il culto dei morti è vivo
nei cuori dei sopravvissuti, ma non è contemplato negli aridi
verbali delle istituzioni. Per fare cassa il sindaco e il consiglio
comunale hanno imposto una sostanziosa tassa per prolungare la
permanenza dei resti del defunto agli occhi e alla memoria dei
posteri, pena lo smaltimento delle ossa e delle ceneri in un anonimo
ossario. E così, i nipoti hanno versato il freddo denaro per
consentire alla zia di essere ancora ricordata tramite il luogo e lo
spazio occupato in cimitero e regolarmente pagato. Questo generoso e
nobile riscatto dei familiari è ispirato a quella “Pietas” di
cui dicevo in precedenza, quel sentimento che nella mitologia greca
spingeva il giovane Enea a caricarsi sulle spalle il vecchio padre
Anchise e a salvarlo dalle ceneri di Troia e dall’ira veemente dei
Greci. Enea non salvava soltanto il corpo di Anchise dalla sicura
morte, Enea riconosceva e onorava le sue radici ancora vive e
visibili e le portava in salvo per onorarle a favore della sua
identità psicofisica, culturale e civile. Il sentimento della
“Pietas” e il culto della memoria tramite i defunti si attestano
nel rafforzamento della nostra identità e della nostra storia: noi
siamo i nipoti della zia e apparteniamo a quella famiglia da cui
traiamo i connotati organici, psichici e culturali.
Questo
discorso non fa una grinza, ma non si conclude con la tristezza e la
rabbia di un Comune inumanamente balordo che per sanare il bilancio
impone le tasse sulle tombe, semplicemente si allarga
nell’interiorità di ogni nipote che ha avuto modo tramite questo
stimolo di riesumare i propri contenuti psichici in riguardo alla
famiglia e nello specifico alle figure genitoriali. Il fatto storico
e concreto di sanare un freddo debito con il potere politico e
amministrativo scatena la tematica dell’identità psichica di ogni
nipote e i meccanismi dell’identificazione messi in atto per la
propria formazione evolutiva e per la propria “organizzazione
psichica reattiva” o struttura. Sofia ha sognato di sé e della sua
formazione in netto riferimento alla figura materna e alla maternità.
Il sogno è interessato fortunatamente non alle beghe politiche, ma
alle psicodinamiche umane anche belle e piacevoli e non sempre
travagliate.
INTERPRETAZIONE
“Ho
sognato una mia cara zia. Era sorridente. Si trovava nella casa dove
prima abitavo con la mia famiglia. Era di sera e nella casa c’era
la luce accesa.”
Sofia
ha “spostato” o “traslato” nella “cara zia” la figura
materna con tutto il carico di vissuti che ha contraddistinto la sua
formazione e la sua evoluzione durante l’infanzia e l’adolescenza.
L’essere “sorridente”
conferma la bontà del vissuto e la bellezza della relazione
“madre-figlia”, nonché l’assenza di sensi di colpa. La “casa”
è il simbolo della nostra “casa psichica”, della nostra
“organizzazione psichica”, della nostra struttura formativa ed
evolutiva. Sofia sognando precisa
che il materiale prodotto la
riguarda in prima persona, la sua “famiglia”. In quella casa e
con quella famiglia sono cresciuta e mi sono formata. “Abitavo”
dà proprio il senso della consistenza psicofisica e della pienezza
della vita vissuta in quel contesto spaziale e temporale. “Era di
sera” suggerisce uno stato crepuscolare della coscienza, ma questo
obnubilamento viene ridimensionato dalla “luce accesa” ossia
dalla presenza dell’Io e delle sue funzioni razionali. Sofia “sa
di sé” e della sua storia, ha ben razionalizzato la sua infanzia e
adolescenza e le psicodinamiche familiari.
Riepilogando:
Sofia sogna la madre e il proficuo periodo dell’infanzia senza
traumi e sensi di colpa. In sogno ha operato uno “spostamento”
difensivo della figura materna nella “zia” per continuare a
dormire e a sognare. La causa scatenante del sogno è stato l’evento
storico del pagamento del canone cimiteriale a favore della salma
della cara zia, familiare
con cui condivideva la permanenza in
un tempo diverso nella
stessa casa.
“La
casa era pulita e in ordine. Si vedeva che la zia stava bene, come
quando veniva a trovarci e sorrideva contenta.”
Come
dicevo in precedenza, la relazione con la zia era di buona qualità e
di buon spessore nella memoria storica di Sofia, ma il capoverso si
traduce nel modo seguente: la relazione con mia madre è stata chiara
e non presenta sensi di colpa, ”pulita e in ordine”. Inoltre, la
vivevo bene e senza traumi e rancori, con pienezza di sensazioni e di
sentimenti. Anche la sua morte non ha compromesso e alterato questo
vissuto nei riguardi di mia madre. “Contenta” dà il senso della
pienezza del vissuto amoroso e “sorrideva” attesta della bontà e
della bellezza dell’esperienza di figlia. Sofia esterna un buon
vissuto nei riguardi della madre, dimostra di rievocarla senza
particolari angosce e di non avere resistenze psichiche nel far
emergere i ricordi.
“Passavo
da lì con i miei figli piccoli e, come se la casa fosse a
pianterreno, guardavo attraverso i vetri della finestra.”
Sofia
rievoca in sogno la sua infanzia e si porta dietro l’infanzia dei
suoi figli. Questo elemento è significativo perché, annullando la
dimensione temporale, Sofia ha la possibilità di viversi in sogno
simultaneamente come figlia e come madre. La “casa a pianterreno”
conferma la realistica concretezza del vissuto nei riguardi della
madre e della loro massiccia solidarietà in vita e in morte. La
separazione tra figlia e madre consiste nei “vetri della finestra”,
le due dimensioni sono descritte in maniera che la vicinanza non
venga turbata, così come la distanza non venga annullata. Si tratta
di un convivere figurato della vita e della morte, della relazione e
della separazione, della presenza e dell’assenza. Sofia porta i
figli dalla nonna e li informa sulla sua infanzia. L’amore materno
coinvolge Sofia e i suoi figli, la prima con la madre defunta, i
secondi con la madre viva. Il sogno di Sofia oscilla tra questi due
piani, il fisico e il metafisico, il reale e il surreale a riprova
che la funzione onirica viaggia in maniera autonoma dalla Ragione e
dalla Realtà e grazie alla Fantasia riesce a creare quadretti
estetici e fortemente suggestivi.
“Allora
raccontavo ai miei figli che io in quella casa ci abitavo da
piccola.”
“Di
madre in figlia”, Sofia figlia si racconta come madre ai figli,
mostrando a se stessa il cammino esistenziale che si è snodato sotto
i suoi passi e la formazione che si è data tramite quelle esperienze
vissute “da piccola”. Sofia forma anche i figli comunicando la
sua formazione e precisa loro che nella semplicità abitano i vissuti
di una vita di bambina fortunatamente serena. Rivisitando i luoghi
della sua infanzia, Sofia incontra la madre e mostra i suoi figli
senza perdere l’occasione di essere “magistra” oltre che
“mater”, proprio “raccontando” una metodologia
psicoterapeutica che porta colei che parla, Sofia, alla presa di
coscienza dei suoi vissuti e coloro che ascoltano, i figli,
all’identificazione nella madre e nella famiglia. Sofia è una
madre che ha dato ai figli anche il suo esempio, oltre che il suo
insegnamento. Sofia in sogno gestisce la madre e i figli parlando di
sé. Questa opportunità è legata alla figura della zia e alla
disposizione fiscale del Comune in materia cimiteriale.
“La
zia mi vedeva e apriva e io facevo notare ai miei figli come allora
vivevamo in una casa così piccola.”
Ritorna
il concetto della semplicità formativa ed educativa, la modalità di
vita e l’insegnamento dei genitori che dal poco hanno eretto un
monumento più duraturo del bronzo: “io facevo notare ai miei
figli”. Sofia mostra la sua empatia con la madre in “la zia mi
vedeva e apriva”, evidenzia una relazione a filo doppio nel dare e
nell’avere, del reciproco scambio e della reciproca comprensione:
empatia e simpatia, ti sento dentro e sentiamo insieme. Sofia
sottolinea ancora le virtù della modestia e della semplicità,
nonché i valori della solidarietà e della vicinanza affettiva. Il
detto popolare vuole che in una botte piccola ci sia sempre e
soltanto del buon vino e che le cose piccole sono piene di
sentimento; Sofia è una strenua seguace di questa filosofia
collettiva. Sottolineo “mi vedeva e apriva” come i simboli
portanti di un’esistenza equilibrata e solidale. Questo capoverso è
pregno di affettività, senso e sentimento.
“Poi
su un tavolo vedevo in una cesta tanti sacchetti da
sposa con dei nastrini e fiorellini, alcuni erano un po’
aperti e altri chiusi, e pensavo che fossero
quelli del matrimonio di mia figlia.”
A
questo punto il sogno di Sofia prende il volo e passa
all’approfondimento della relazione con la figlia a confermare
ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, il titolo del sogno
“di madre in figlia”. Dopo aver sviluppato la preziosa e semplice
dialettica relazionale con la madre, Sofia svolge il suo vissuto
verso la figlia adducendo una simbologia classicamente materna, come
se consegnasse il testimone della maternità alla figlia dopo averlo
ricevuto dalla madre in questa staffetta ontogenetica e filogenetica:
origine di ciò che è e amore della specie o di ciò che è,
entrambe le origini attribuite alla dea Madre e all’universo
psicofisico femminile. Riepilogo e snodo il discorso simbolico del
capoverso preso in considerazione. Sofia introduce due simboli
classicamente femminili e materni, la “cesta” e i “sacchetti”,
nonché la “sposa” e gli annessi e connessi estetici “dei
nastrini e fiorellini”. L’esaltazione del grembo e della
fecondazione si riscontra nell’evidenza della cesta che contiene i
sacchetti, le uova pronte per essere fecondate e le uova ancora in
via di maturazione e simbolo dell’abbondanza e della fertilità, la
cornucopia della donna matura e pronta per essere fecondata, un
discorso semplice e naturale che esclude fronzoli e ideologie. Il
richiamo finale al matrimonio della figlia taglia la testa al povero
toro per far pendere la bilancia sul tema archetipale della dea
Madre, sulla condizione naturale della donna feconda, sullo schema
culturale della verginità e dell’illibatezza, sul valore della
fertilità nella coppia. “Di madre in figlia e di madre in figlia”
è il titolo corretto e completo del sogno di Sofia. Sottolineo la
delicatezza e la semplicità descrittiva dei quadretti che Sofia
sognando riesce a elaborare, adducendo figure retoriche di massima
divulgazione come le metafore della “cesta e dei sacchetti da
sposa”.
“Il
pavimento della stanzetta era lucido e pulito, non vedevo il letto e
c’erano delle piante ben curate e messe vicino a questo tavolo.”
Sofia
ritorna alla “zia” ossia alla “madre” spostata nella “zia”,
quella figura materna a cui ha donato con
il pagamento del tributo la
possibilità di memoria e di convivenza nel
cuore e fuori dal cuore, in un cimitero amministrato da personaggi
crudeli
e senza sentimenti, dal
mondo arido
della politica e delle
amministrazioni comunali. Sofia
ripropone il suo vissuto sulla
madre molto lindo ed esente da conflitti e sensi di colpa, la sua
buona “razionalizzazione” della figura materna e del lutto legato
immancabilmente alla perdita: “vedevo”. La dovizie di particolari
simbolici come “le piante ben curate” e “il pavimento lucido e
pulito della stanzetta” dimostrano quella vena realistica e
concreta che ha fatto della semplicità psichica un modo di vivere e
di affrontare la vita.
Il
sogno di Sofia è un’esaltazione del sentimento universale della
“Pietas”. Sofia nella sua individualità riconosce e onora la sua
radice materna e a lei porta riconoscenza e devozione all’interno
di una cornice didattica dell’amore materno rivolto alla figlia che
va in matrimonio, quell’unione a cui la nonna non ha potuto
assistere e partecipare. Anche questo non è un dolore di Sofia, ma
una pacata riflessione. Degna di nota è la modalità di sognare nel
suo essere positiva, lineare, semplice e modesta. Gli orpelli
retorici e tronfi non rientrano nella psiche di Sofia e in special
modo nella rievocazione della madre, così come, quando la madre era
viva, le difese psichiche sono state ampiamente ridotte
all’essenziale e hanno permesso a Sofia di essere autonoma e di
eliminare il rischio di dipendere dalla figura materna.
Un
ultimo ringraziamento va alle autorità comunali che hanno favorito
con una tassa “impietosa” un così bel sogno e una altrettanto
bella psicodinamica nella forma più naturale possibile.
E’
oltremodo doveroso un promemoria profetico per gli altri nipoti che
hanno contribuito al pagamento del tributo. Anche voi avete sognato
immancabilmente vostra madre nelle sfumature simboliche che hanno
contraddistinto la personale relazione psichica con lei. Se non ve ne
siete accorti, vuol dire che funzione simbolica del sogno ha ben
coperto la figura materna e magari avete sognato una mucca al posto
della mamma.