POCA ROBA, POCA COSA

Sento e non vedo,

immagino il senso che mi sostiene,

e non è il sesto o il settimo o l’ennesimo,

sento mentre fruga tra le parole

che ci siamo dette ieri l’altro,

io e te,

noi due,

ensemble,

i soliti ignoti insopportabili tra i nuovi pacchi della sera,

pacconi,

pacchetti,

tra skey dati a vanvera in questa fiera dei mortidifame.

Oh dio,

oh dea,

non vedo.

Preservami dal male televisivo e dal cancro mediatico,

illustrami i vecchi quiz ritoccati alla china,

mandami un male incurabile in tanta malora,

tra tanta gente che rema contro la bellezza,

la grande Bellezza di Napule.

Viri Napule e poi mori…da puzza bella.

Salvatore Vallone

Il Giardino degli aranci, 28, 05, 2023

IO, LUI E L’ALTRO

TRAMA DEL SOGNO

Il sogno, almeno per quello che mi ricordo, iniziava in un laboratorio medico. Io e il mio ragazzo eravamo lì come a sostituire qualcuno e dovevamo svolgere del lavoro.

C’è stato un litigio con una persona che mi ha aggredito e il mio ragazzo per difendermi l’ha uccisa, non ricordo come. Il sogno, per lo più, era la scena dopo, quando dovevamo nascondere il corpo. Lo facevamo a pezzi e c’era sangue dappertutto.

Il tutto accadeva dietro uno scaffale dove c’era roba fuori posto a terra. Io ero preoccupata perché c’era un sacco di roba da sistemare e da pulire. Il corpo lo volevamo gettare in un fiume. Il mio ragazzo sembrava fin troppo rilassato.

Lui, d’altronde, pensavo, lo aveva già fatto, aveva già ucciso una persona prima, ma io avevo paura che lo beccassero. Io, forse, mi sarei fatta due o tre anni per aver visto e non aver detto nulla, lui sarebbe stato in carcere a vita e già immaginavo come sarebbe stato andarlo a trovare in prigione tutta la vita.

Non avrebbero capito che lo aveva fatto per difendermi. Mi ricordo che era tardi, dovevamo timbrare a un certo orario. Lui mi sa che era andato a sbarazzarsi di alcuni pezzi, io stavo ancor nel laboratorio. Mi ricordo che guardavo tipo il camice della vittima insanguinato e alcuni pezzi, qualche attrezzo insanguinato, tutti dentro un armadio a vetrata, e pensavo “domani dobbiamo ricordarci di finire il lavoro”.

Poi mi sono messa a impastare la frolla, mischiando quella vecchia un po’ ossidata alla nuova, (questo elemento di cibo vecchio e cibo nuovo è presente in ogni sogno da quando sono qui), l’ho mescolata troppo ed è diventata inutilizzabile.

Era piena di bolle e molto strana, così l’ho usata per scriverci sopra “ricordati di pulire il sangue”. Era un appunto per il mio ragazzo e per l’indomani. Poi ho timbrato, sono andata via anch’io pensando che era un rischio lasciare il tutto così e che quando avrebbero controllato chi stava in ruota il giorno della sparizione di quella persona, ci avrebbero scoperti.

Non avevamo fatto un lavoro pulito, troppo sangue dappertutto.

Poi ho sognato che guidavo una moto. Il mio ragazzo mi insegnava come fare, mi seguiva con una auto, ma la moto era senza freni e, quando acceleravo, dovevo frenare con i piedi. Finivo al centro di un incrocio, mi piaceva andare veloce, ma poi non riuscivo a frenare e seminavo il mio ragazzo, non lo vedevo più e dovevo aspettarlo.”

Marionne

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Il sogno, almeno per quello che mi ricordo, iniziava in un laboratorio medico. Io e il mio ragazzo eravamo lì come a sostituire qualcuno e dovevamo svolgere del lavoro.”

Il sogno di Marionne ha una sua lunghezza perché ha una sua retorica e la retorica è sempre una difesa psichica dall’angoscia e dal risveglio. Per continuare a dormire, Marionne si serve, senza alcuna volontaria scelta e consapevole presenza, di lunghe scene e di tante osservazioni per non cadere nell’incubo, proprio perché il sogno tratta temi affettivi e sessuali abbastanza inquietanti come il potere seduttivo e la deflorazione, con annessa la pulsione a scegliere, più che a tradire.

Marionne si trova “in un laboratorio medico”, nel luogo di lavoro camuffato in maniera sanitaria proprio per il rilievo traumatico assunto dalla circostanza apparentemente fortuita. In effetti, Marionne sceglie liberamente di giostrarsi nel luogo di lavoro insieme a due uomini, uno non visibile e l’altro ben presente. “Dovevamo svolgere del lavoro” offre in immagine proprio l’adescamento seduttivo e l’eccitazione sessuale. Ci sono due uomini per Marionne, il suo “ragazzo” e l’altro, “qualcuno da sostituire”: una tresca bella e buona.

C’è stato un litigio con una persona che mi ha aggredito e il mio ragazzo per difendermi l’ha uccisa, non ricordo come. Il sogno, per lo più, era la scena dopo…quando dovevamo nascondere il corpo. Lo facevamo a pezzi e c’era sangue dappertutto.”

Ecco il fattaccio!

Marionne stava con una persona violenta, “c’è stato un litigio con una persona che mi ha aggredito”, e si è lasciata salvare e conquistare da un’altra persona, “il mio ragazzo”, intervenuto per risolvere la questione e mettere fine a una relazione insana che produceva e scatenava soltanto aggressività. Degna di nota è l’operazione psichica di “spostamento” della forte carica aggressiva, quasi mortifera, che Marionne attribuisce al suo ragazzo: “per difendermi l’ha uccisa”. In compenso dopo lo fanno “a pezzi” in due, distribuzione equa dell’aggressività meravigliosamente rappresentata anche dal macabro “sangue dappertutto”: meccanismo psichico della “figurabilità”. La simbologia risente della retorica del caso e dell’amplificazione suggestiva dell’uccisione dell’altro. A Napoli il triangolo si chiude e si scrive in questi termini dialettali: “issa, issu e o malamente”.

Il tutto accadeva dietro uno scaffale dove c’era roba fuori posto a terra. Io ero preoccupata perché c’era un sacco di roba da sistemare e da pulire. Il corpo lo volevamo gettare in un fiume. Il mio ragazzo sembrava fin troppo rilassato.”

Marionne, di certo, aveva le idee confuse in quel periodo della sua vita e, in specie, per quanto riguarda le relazioni affettive e sessuali. Tra il desiderio e l’originalità Marionne ha “un sacco di roba da sistemare” e da assolvere, pardon “da pulire”. La fanciulla è cresciuta e si è evoluta in donna, ma l’educazione ai diritti del corpo è stata carente, per cui Marionne si è fatta da sola e ha fatto da sé. Su questi temi il suo “ragazzo” è notevolmente disinibito, “fin troppo rilassato”. Succede che nel gioco delle conoscenze e dei confronti, il viaggio psicofisico, che va dall’adolescenza alla prima giovinezza, si fa travagliato e gli scaffali non bastano, per cui la “roba” va “fuori posto” e a terra. I “sensi di colpa” da assolvere sono i migliori compagni dell’evoluzione.

Lui, d’altronde, pensavo, lo aveva già fatto, aveva già ucciso una persona prima, ma io avevo paura che lo beccassero. Io, forse, mi sarei fatta due o tre anni per aver visto e non aver detto nulla, lui sarebbe stato in carcere a vita e già immaginavo come sarebbe stato andarlo a trovare in prigione tutta la vita.”

Diversità d’educazione e di ruolo: “lui, lo aveva già fatto, aveva ucciso una persona prima”. Il reato è il sesso e il tradimento, il “triangolo post edipico”. Ricordo che il “primo triangolo” è quello con il padre e la madre, quello formativo a tanti livelli e, in specie, per l’autonomia psicofisica e la rete delle relazioni. Insomma, Marionne è alle prime armi e si confronta sul tema dell’aggressività sessuale con il suo “ragazzo” più navigato ed esperto. Capita sempre nel periodo dell’addestramento, soprattutto quando è mancata una giusta educazione al corpo e ai bisogni psicofisici di evoluzione da parte dell’ambiente. Capita che la cosiddetta riservatezza o timidezza si fondono e si confondono in una misura adeguata al timore di fare e di brigare al momento giusto e a trazione dell’istinto sessuale e della pulsione erotica. Marionne “proietta” per difesa sul suo ragazzo la diversità educativa e l’entità del senso di colpa e si difende attribuendo a se stessa una colpa minore e una punizione inferiore, mentre il “carcere a vita” attesta della enorme stazza del senso di colpa, sempre di Marionne, nell’essersi coinvolta in tanta impresa di crescita psicofisica. La colpa è “di aver visto e di non aver detto nulla”. Il richiamo educativo va alla “scena primaria”, alla relazione erotica e sessuale, immaginata o vista, tra il padre e la madre.

Non avrebbero capito che lo aveva fatto per difendermi. Mi ricordo che era tardi, dovevamo timbrare a un certo orario. Lui mi sa che era andato a sbarazzarsi di alcuni pezzi, io stavo ancor nel laboratorio. Mi ricordo che guardavo tipo il camice della vittima insanguinato e alcuni pezzi, qualche attrezzo insanguinato, tutti dentro un armadio a vetrata, e pensavo “domani dobbiamo ricordarci di finire il lavoro”.

Marionne è “mater et magistra” nei riguardi del suo ragazzo e sente il bisogno ambiguo di difenderlo, di tutelarlo e, di conseguenza, gestirlo anche nella “timbratura del cartellino, pur essendo alle prime armi e “a un certo orario”. Pur tuttavia, Marionne riconosce che lui agisce in piena autonomia nello scaricare la sua parte d’aggressività: “sbarazzarsi di alcuni pezzi”. Insomma Marionne desidera un ragazzo sveglio e autonomo in apparenza, un uomo che sa fare sessualmente la sua parte e con l’aggressività dovuta al caso e all’uopo. Le schermaglie erotiche e affettive non finiscono mai e trovano nella vittima, il terzo uomo, il trofeo conquistato dopo un apprezzabile lavoro di seduzione e da ripetere nel tempo: “dobbiamo ricordarci di finire il lavoro”. Non è facile, ma è eccitante per una donna alle prime armi gestire due uomini navigati. La cornice macabra e sanguinaria si riduce a un semplice e obsoleto tradimento sessuale sul luogo di lavoro.

Poi mi sono messa a impastare la frolla, mischiando quella vecchia un po’ ossidata alla nuova, (questo elemento di cibo vecchio e cibo nuovo è presente in ogni sogno da quando sono qui), l’ho mescolata troppo ed è diventata inutilizzabile.”

Cambia apparentemente la scena. Da una tresca cruenta tra l’orrido e l’erotico, tra Dario Argento e Tinto Brass, la scena si sposta candidamente sull’attività lavorativa dentro l’ambiguo laboratorio di pasticceria, il luogo del crimine efferato e dell’intesa massimamente cordiale tra un uomo e una donna che oltretutto sa ben “impastare la pasta frolla” e conosce i segreti chimici degli alimenti sopravvissuti al triste destino del divoramento cruento. Allora, ragioniamo in maniera suadente e convincente. Marionne scivola dalla dimensione psicofisica sessuale nella sfera affettiva, “mi sono messa a impastare la frolla”, e tenta di conciliare in piena autonomia di donna gli affetti del passato con i nuovi amori, i nuovi “investimenti di libido”. Ricordo che il cibo è squisitamente il simbolo degli affetti familiari e appartiene ai primissimi vissuti della “posizione psichica orale” nel primo anno di vita. Marionne fatica a mettere insieme in linea evolutiva l’amore vissuto ed esperito in famiglia con il suo attuale mondo affettivo e la sua nuova palestra di vita. Non trova la qualità diversa, sempre di pasta “frolla” si tratta, ma sicuramente non riesce a conciliare l’amore verso i suoi genitori con l’amore verso gli uomini che gestisce in apparente stato di subalternità. Il sentimento vissuto in famiglia è stato ed è sicuramente pacato nella sua intensità, non aspira alla passione sfrenata e al coinvolgimento sessuale dei corpi, non chiede un’intesa speciale in tanto misfatto di ambiguità e di gestione di due figure maschili, una aggressiva e l’altra complice. Marionne squaderna nel sogno la sua gamma di uomo nell’accezione psicofisica e sotto l’egida dell’attrazione sessuale, rievocando i “fantasmi” della sua “posizione psichica orale, anale, narcisistica, edipica e genitale”, della sua formazione psichica insomma. Marionne ha tanto pensato e non riesce a comporre in buona sintesi e armonia i vissuti al riguardo. Questo è il motivo per cui la pasta frolla vecchia non è compatibile con la nuova: “cibo vecchio e cibo nuovo”, “l’ho mescolata troppo ed è diventata inutilizzabile”. E questo è un bel conflitto da risolvere in maniera equa dando a Cesare quel che è di Cesare, il padre, e a Giulia quel che è di Giulia, la madre. In sostanza, Marionne non ha lavorato adeguatamente sulla sua “posizione edipica”, per cui resta conflittuale con se stessa e con gli uomini a cui si lega e si accompagna. Sembra facile lavorare la frolla, ma non è così.

Era piena di bolle e molto strana, così l’ho usata per scriverci sopra “ricordati di pulire il sangue”. Era un appunto per il mio ragazzo e per l’indomani. Poi ho timbrato, sono andata via anch’io pensando che era un rischio lasciare il tutto così e che quando avrebbero controllato chi stava in ruota il giorno della sparizione di quella persona, ci avrebbero scoperti. Non avevamo fatto un lavoro pulito, troppo sangue dappertutto.”

La complicità nella coppia è un elemento, pardon alimento, necessario per l’evoluzione di Marionne e del suo ragazzo, specialmente in un contesto di adulterio e di trasgressione, di tradimento e di colpa. “Ricordati di pulire il sangue” è la sanzione biblica del padreterno e della sua atavica Legge. C’è qualcosa di metafisico in questa frase di Marionne che evoca filosofie e tragedie, culture e tradizioni, peccati originali e turbamenti dell’equilibrio voluto dagli dei dell’Olimpo, trasgressioni alla Legge del Padre e ossequi alla Legge della Madre. Insomma è un concetto atavico e codificato in una semplice espressione linguistica fatta di un imperativo, di un infinito e di un sostantivo: “memento culpam solvere”. L’esperienza e i vissuti collegati sono stati formativi per Marionne e sono avvolti dal senso di colpa da espiare e possibilmente in maniera costruttiva e prospera per l’avvenire.

Poi ho sognato che guidavo una moto. Il mio ragazzo mi insegnava come fare, mi seguiva con una auto, ma la moto era senza freni e, quando acceleravo, dovevo frenare con i piedi. Finivo al centro di un incrocio, mi piaceva andare veloce, ma poi non riuscivo a frenare e seminavo il mio ragazzo, non lo vedevo più e dovevo aspettarlo.”

Come volevasi dimostrare. Dicevo, per l’appunto, del versante formativo e Marionne evoca la sua sessualità, la vita e la vitalità della “libido”: “guidavo una moto”. Quale simbologia e quale allegoria possono essere più intriganti del mettersi a cavallo di una moto per gestire gli eventi psicofisici del sistema neurovegetativo? Marionne dice di avere un maestro e trova nel suo “ragazzo” la persona giusta per far brillare le polveri aggiungendo un’altra simbologia neurovegetativa, “un’auto”, generosamente regalata al suo ragazzo al fine di raggiungere una buona intesa e tutto quello che ci va dietro. La disinibizione erotica e sessuale si evidenzia nella “moto senza freni”, così come il potere della donna è fortemente appagato dall’uso dei “piedi” per frenare. Marionne gestisce la sua sessualità con la consapevolezza del potere che incarna, proprio nel senso di possesso nella carne. Ricordo che il “piede” è classicamente un simbolo fallico per il suo privilegio di essere calzato, di immettersi in un ambito recettivo. Chiariamo: nel trasporto dei sensi Marionne ha il potere su di sé e sull’altro, “finivo al centro di un incrocio”, ha l’orgasmo facile, “mi piaceva andare veloce”, ha una sensibilità erotica accentuata e prolungata come natura femminile comanda e rispetto al maschio e nel caso “al suo ragazzo”: eiaculazione ritardata di quest’ultimo. In questo caso la donna è favorita se il ritardo resta in una arco temporale gestibile e all’interno di uno stato di eccitazione. Questo capoverso del sogno di Marionne sintetizza con l’allegoria la sua vita e la sua vitalità sessuale ed erotica, nonché la relazione di potere che si squaderna in una posizione altolocata rispetto al maschio e non soltanto a livello sessuale. Marionne ha una sua forza e una volitività equamente distribuita tra l’Io e la dimensione pulsionale, l’Es. Non disdegna di comparire nel sogno neanche il “Super-Io”, la censura e l’espiazione della colpa, come nel capoverso dominato da “ricordati di pulire il sangue”.

Il sogno di Marionne è lungo e articolato, ma ha mantenuto una linea guida di senso e di significato, denotando sempre una buona dose di narcisismo anche nei momenti in cui la donna si è furbescamente sottomessa all’uomo.

Questo è quanto in maniera allargata potevo dire dell’Odissea onirica di Marionne.

Buona navigazione nel mare della vita!

LA CASA RIARREDATA

TRAMA DEL SOGNO

“Ho sognato di correre per strada scalza, in slip e canottiera con un odometro (quell’arnese con la ruota usato dai geometri per misurare le distanze).

Era buio e, correndo, dovevo entrare nella strada dove abitano i miei genitori, ma sono andata oltre e mi sono passati vicino su un motorino due uomini di colore dalle intenzioni malevoli nei miei confronti (o almeno è quello che io credevo).

Impaurita mi avvicino a dei poliziotti chiedendo aiuto, ma mi allontanano in malo modo dicendomi che se vado in giro svestita così, me li vado a cercare i guai.

Entro in una chiesa, non ho più l’odometro e sono normalmente vestita. Cerco un posto libero per me e il mio compagno (ma lì sono sola), non trovo nessun posto che mi soddisfi (ma posti liberi ce ne sono) e così me ne vado.

Mi ritrovo a camminare sulla strada della mia ex casa coniugale. Titubante, entro, sperando di non essere vista.

Stranamente le porte sono tutte aperte. Intravedo da una porta l’attuale moglie del mio ex con sua figlia (che però sembra un maschio) che sono fuori in giardino, lei ha dei capelli folti e molto ricci (non è così nella realtà); lei non mi vede.

Entro nella cucina, ma sembra essere diventato un salottino con tende rosse e arancioni svolazzanti dall’aspetto orientaleggiante. A guardare bene vedo qualche mobile da cucina e fornelli e penso che sia stata ri-arredata in modo strano e non consono.

Decido di andarmene, ma devo fare attenzione perché la casa è controllata da vigilanza armata e mi chiedo che senso abbia, considerato che le porte sono tutte aperte ed io sono riuscita ad entrare indisturbata.

Esco e, pur essendo a livello della strada, devo scendere delle scale di cemento scomode e impervie; quando sono sulla strada, mi compiaccio del fatto che nessuno si sia accorto della mia incursione nella casa.”

Sonia

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Ho sognato di correre per strada scalza, in slip e canottiera con un odometro (quell’arnese con la ruota usato dai geometri per misurare le distanze).”

Sonia si trova in quella fase dell’esistenza in cui la vita invita a una riflessione degna del miglior filosofo tedesco o di Thomas Mann. Sonia ama la libertà e soprattutto sentirsi libera, è insofferente ai divieti e ai tabù, alle preclusioni e alle inibizioni. Sta bene, sta veramente bene. Sta vivendo in libertà e sta riflettendo sul cammin di sua vita. E’ questa l’esigenza della donna, “correre per strada scalza”, tirare fuori la sua “parte psichica maschile” e prendere in mano le redini della sua vita, tirare fuori finalmente gli attributi e vivere alla grande riflettendo e con le giuste e naturali difese sessuali e affettive: “in slip e canottiera con un odometro”.

Buona corsa!

Era buio e, correndo, dovevo entrare nella strada dove abitano i miei genitori, ma sono andata oltre e mi sono passati vicino su un motorino due uomini di colore dalle intenzioni malevoli nei miei confronti (o almeno è quello che io credevo).”

Lo stato di coscienza è obnubilato, crepuscolare. La vigilanza vacilla, ma la vena riflessiva è a mille. Viene meglio pensarsi al “buio” anche perché l’interesse precipuo di Sonia è quello di fare un tagliando psichico, di revisionarsi nei pezzi e negli ingranaggi. “Correndo” rivisita la sua vita in famiglia senza dare la minima impressione di “regredire”, di tornare indietro a “posizioni” già vissute della sua evoluzione psichica per motivi difensivi dall’angoscia dell’oggi. E’ “andata oltre”, per il momento non ha recriminazioni da fare a se stessa e ai suoi augusti genitori, per cui la strada al “buio” si lascia correre bene e in maniera eccitante. Sonia è in uno stato proficuo di benessere psicofisico, si sente addosso una buona dose di “libido genitale” e una gran voglia di far sesso. Correndo si è eccitata e ha proprio bisogno di un uomo doppio e di colore, simbolicamente attestandone la virilità più che la pericolosità sociale. Le intenzioni di Sonia su se stessa sono decisamente benevoli, si vuol bene e ha voglia di appagare i suoi istinti e i suoi desideri sessuali in maniera accentuata e inequivocabile. Tecnicamente si può dire che emergono le pulsioni dell’Es e le reazioni si colorano di rosso. L’istanza sessuale dice la sua e vuole conto e ragione delle sue richieste. L’Io deve dare una risposta a tanta domanda. Soprattutto l’Io deve mettere d’accordo le pulsioni dell’Es e i divieti del Super-Io che si è profilato nelle figure dei “genitori”. Sonia è in pieno trambusto dei sensi e in altrettanto pieno conflitto con le sue cosucce psichiche.

Vediamo dove va a parare.

Impaurita mi avvicino a dei poliziotti chiedendo aiuto, ma mi allontanano in malo modo dicendomi che se vado in giro svestita così, me li vado a cercare i guai.”

Adesso l’istanza censoria e limitante del Super-Io si è manifestata in carne e ossa nelle figure e nelle divise “dei poliziotti”. La richiesta d’aiuto si attesta nella paura morale, più che etica, nei divieti familiari e culturali, visto che ricorre a una simbologia istituzionale, i “poliziotti”, e con un “sos” dettato dal sentimento complesso della paura, “impaurita”. Sonia ha preso paura delle sue cariche erotiche e sessuali che sono emerse in sogno e si sono fomentate tra seduzione e dondolii in una cornice di rivisitazione della sua esistenza e del suo percorso di vita. Il “Super-Io” di Sonia è drastico e all’antica: del tipo “queste cose non si devono fare e tanto meno pensare. E poi, perché non usi bene la seduzione mettendoti addosso un vestito, usando delle modalità relazionali con esposizione ed esibizione, dei modi di essere da farsi desiderare?” Insomma il potere di una donna non è la nudità e l’offerta tacita e larvata di un corpo da portare in un amplesso molto mascolino, i “due uomini di colore dalle intenzioni malevole”. Il potere di una donna si colloca nel fascino che sa creare nell’altro e sicuramente in un maschio ben piantato. Svestita non vado bene, devo vestirmi per avere risultati migliori, devo farmi desiderare e non mostrare la mia disponibilità. I “guai” migliori sono quelli che si camuffano e che arrivano dietro una sottile e arguta regia: il fascino e la seduzione. Il Super-Io è giudizioso e l’Io non può che acconsentire. L’Es ne esce sacrificato, se qualcosa non cambia a livello di strategia psichica globale.

Sonia, pensaci tu!

Entro in una chiesa, non ho più l’odometro e sono normalmente vestita. Cerco un posto libero per me e il mio compagno (ma lì sono sola), non trovo nessun posto che mi soddisfi (ma posti liberi ce ne sono) e così me ne vado.”

Allora Sonia cambia la scena. In questi tempi di misura obbligata delle distanze viene a mancare l’odometro e il motorino dei due mori è scomparso per lasciare il posto alla “chiesa” e al desiderio di avere vicino il suo compagno. Sonia è irrequieta, prima era sessualmente eccitata, adesso ha “sublimato la libido genitale” e non si trova assolutamente bene in questa veste di suora novella, come il buon vino di febbraio. Adesso, in compenso, Sonia si è “normalmente vestita”, ha ripreso i suoi vecchi modi di essere, di esistere, di offrirsi, di relazionarsi e ha anche sentito il desiderio di avere vicino il suo compagno, l’uomo che non c’è quando si ha bisogno, l’uomo che Sonia non rende presente perché non sente il bisogno di averlo presente. I posti a sedere ci sono, ma Sonia non ha bisogno di ristagnare nella “sublimazione della libido” e specialmente dopo il promettente esordio nel sogno. E quest’uomo non fa al caso suo, non rientra nelle sue modalità innovative di essere e di esistere, non è il nuovo che avanza, è il vecchio e l’obsoleto che ritorna e che Sonia non gradisce assolutamente, tanto meno il suo Es con tutto il corredo di pulsioni erotiche e di desideri sessuali che si ritrova. Sonia non trova nessun posto che la soddisfi. Eppure i posti ci sono e sono tanti e sono liberi e sono in chiesa, ma Sonia è veramente attizzata dalla ricerca di cambiare e soprattutto dal non ricorrere alla “sublimazione” per risolvere la sua vitalità sessuale. Sonia è inappagata, non sta né in cielo, né in terra, né in nessun luogo, “nessun posto” la soddisfa. La “libido” aspira a una migliore soluzione.

Sonia, dove ci porti adesso con il tuo sogno?

Mi ritrovo a camminare sulla strada della mia ex casa coniugale. Titubante, entro, sperando di non essere vista.”

Nella strada della sua “ex casa coniugale” Sonia procede per associazione e alla “chiesa” dell’attuale stato psicofisico oppone la sua modalità di essere donna e di vivere la “libido” con il precedente uomo, l’ex marito. Sonia rivisita la sua dimensione di donna sposata e si scopre “titubante”, poco affermativa e poco sicura di sé, molto difesa e strutturata nella relazione coniugale, meglio, nella sua modalità psicofisica di essere e di esistere all’interno della relazione di coppia. Ecco, Sonia è attratta dalla questione femminile in riguardo allo stare in coppia. Qual’è il ruolo e la funzione della donna nel rapporto con l’uomo? Sonia accusa questa lacuna psicofisica, non ha imparato ed evoluto questi abiti e questi modi nella sua adolescenza e, di conseguenza, la sua evoluzione al femminile ha trovato una donna “scalza, in slip e in canottiera”, un ruolo precario e senza fascino, una parte poco seduttiva ed eccessivamente disinibita. Sonia non ha piena consapevolezza di questa “parte psichica di sé” che riguarda il potere della seduzione: “sperando di non essere vista”.

Il prosieguo del sogno deve essere illuminante.

Stranamente le porte sono tutte aperte. Intravedo da una porta l’attuale moglie del mio ex con sua figlia (che però sembra un maschio) che sono fuori in giardino, lei ha dei capelli folti e molto ricci (non è così nella realtà); lei non mi vede.”

Sonia sta visitando la sua dimensione maritale di donna. La speranza di non essere vista si evolve nella certezza che “lei non mi vede”. Lei è l’altra, quella attuale del suo ex, quella che ha preso il suo posto coniugale e che ha una figlia che sembra un maschio. Loro sono “fuori in giardino”, si espongono, si offrono, socializzano, hanno “stranamente le porte tutte aperte”. Lei ha tante idee e anche sofisticate. Questa donna è l’immagine ideale di Sonia, una donna disinibita e appagata nella maternità e molto capricciosa, seduttiva nel dire e nel fare, fascinosa e vaporosa come i suoi “capelli”, le sue idee innovative. Nella realtà quella donna dell’ex non è proprio così perché quella è Sonia, l’immagine ideale di Sonia, la donna che avrebbe voluto essere e che non è stata almeno fino a questo momento. Ma l’istinto è buono e la tensione a migliorarsi altrettanto. Non resta che provarci sotto la spinta della nuova condizione di donna che, rivisitando la sua vecchia storia, può attingere le novità desiderate e archiviare gli errori commessi dentro e fuori. Bisogna aprire le porte, bisogna farsi vedere, bisogna far crescere i capelli e fare possibilmente le “meches” sui tanti ricci spuntati come idee nuove, come pensieri prepotenti e positivi.

Quale parte della sua casa psichica Sonia andrà a visitare in sogno?

Entro nella cucina, ma sembra essere diventato un salottino con tende rosse e arancioni svolazzanti dall’aspetto orientaleggiante. A guardare bene vedo qualche mobile da cucina e fornelli e penso che sia stata ri-arredata in modo strano e non consono.”

La cucina è immancabile ed è immancabilmente la zona degli affetti, la parte psichica deputata all’esercizio delle relazioni significative e dei sentimenti di solidarietà e di partecipazione, la vita dei legami psichici ispirati alle buone intenzioni dell’amore, la zona dello scambio e del commercio psichici, l’area degli affetti e della comunicazione. Sonia nota subito che non è la cucina di una volta, rileva subito che è stata trasformata in “un salottino” esotico con una formalità estetica e relazionale. E gli affetti non sono più quelli di una volta e l’amore non si scambia in maniera “genitale”, senza nulla chiedere in contraccambio, ma si smercia secondo modalità di apparente vivacità e prive di sostanza. La vita affettiva è stata “ri-arredata”, è stata riadattata alle nuove persone e alle nuove evenienze con originalità, ma senza tradizione. Gli affetti si scambiano all’impronta e non hanno la sostanza delle radici e la continuità della famiglia. Il suo ex si è dato alle novità del tempo, magari si è risposato con una donna straniera e di cultura diversa, magari ha cambiato arredamento per dimenticare e dare spinta alla voglia di nuovo e di originale. Tutto questo è materiale psichico di Sonia “proiettato” per difesa sul suo ex e sul contorno affettivo e sociale. In effetti, è Sonia che ha tanta voglia di riformularsi nei diversi settori della sua area psicosociale, nonché affettiva ed erotica sessuale.

Quale altro rilievo, alla luce del suo monotono e superato passato, Sonia escogiterà per evolversi?

Decido di andarmene, ma devo fare attenzione perché la casa è controllata da vigilanza armata e mi chiedo che senso abbia, considerato che le porte sono tutte aperte ed io sono riuscita ad entrare indisturbata.

Sonia taglia la testa al toro, “decido” ossia taglio, meglio, Sonia taglia con il passato perché sente l’emergenza di un drastico cambiamento. Ma ancora le resistenze non mancano e immancabilmente affiorano dal “profondo psichico”, condizionato dai vissuti e dagli schemi del passato. La sua “casa” psichica ha un “Super-Io” molto rigido, ha una serie di divieti che tralignano nei sacri tabù, ha introiettato una morale rigida e puritana, è governata da un sistema di censure che ricorda l’Italia democristiana degli anni cinquanta. Per sua fortuna Sonia ha maturato un “Io” intelligente e critico, oltre che abilmente analitico, che riesce anche a ridicolizzare l’azione limitante del “Super-Io”, ha acquisito una forma di autoironia nel dirsi che non ha senso chiudersi dentro, se poi si sente il prepotente bisogno degli altri e delle relazioni del suo tipo, quelle che le si confanno e che rientrano nella sua formazione e nei suoi tratti caratteristici, nelle sue tendenze ed elezioni. Faccio finta di non voler nessuno e invece ho bisogno di tutti. “Far entrare” ha una valenza recettiva che viaggia dallo psichico al sessuale, dalla relazione libera alla disposizione al coito, dall’affabilità alla seduzione. Questa è la nuova consapevolezza di Sonia: un bel traguardo e una buona conquista nella crescita personale. Il fallimento di un matrimonio o di una relazione non viene per nuocere, anzi è uno strumento di maturazione per il bisogno di evolversi che ti lascia dentro.

Dove ci porta adesso Sonia dopo questo proficuo “sapere di sé”?

Esco e, pur essendo a livello della strada, devo scendere delle scale di cemento scomode e impervie; quando sono sulla strada, mi compiaccio del fatto che nessuno si sia accorto della mia incursione nella casa.”

Ci porta fuori dalla casa, nel suo ambito relazionale, nel suo quartiere e nella sua piazza. Nell’incamminarsi trova la chiave di ulteriore comprensione di sé e del suo patrimonio psichico da investire in nuove forme di relazione e in rinnovate modalità sociali di offerta di sé. Pur essendo tra la gente, Sonia sente il bisogno di “scendere delle scale di cemento scomode e impervie”. Traduco l’arcano e l’assurdo che soltanto nel sogno può convivere grazie ai meccanismi del “processo primario”, deputato alla formazione del sogno: “devo materializzarmi, devo rivalutare il mio corpo e i suoi bisogni nelle relazioni sociali, devo investire il mio essere corporeo femminile in attesa di essere conosciuta anche per le qualità del carattere, devo essere per niente platonica per commutarmi nell’Aristotelismo e nell’Epicureismo, nel dato di fatto del corpo e nell’esaltazione del piacere, “eu-daimonia”, avere un buon demone dentro, uno spirito vitale che coincide con lo psicosoma, il corpo-mente”. Non è finita la psicodinamica evolutiva. Sonia si compiace con se stessa per la sua liberazione e per la sua abilità nel non essere incorsa nelle “resistenze” e nei blocchi delle sue strade psichiche a opera dei poliziotti e dei carabinieri della sua Psiche, i dettami del “Super-Io”. Adesso vive meglio e si vive decisamente meglio, con amor proprio e con amore. La sua casa psichica è stata veramente “RI-ARREDATA”.

Brava Sonia!

Hai visto cosa combini dormendo e sognando?

IL PROCESSO

TRAMA DEL SOGNO

“Zacca è testimone a un processo e va con il marito.

Davanti a lei quattro avvocati aspettano d’interrogarla.

Poi la chiamano e uno legge le generalità.

Si avvicina al bancone e un altro si alza e le si avvicina e prendendole il volto tra le mani controlla le ghiandole della gola.

Il cuore comincia a batterle più forte e l’avvocato, sempre con le mani tra il collo e la faccia, sembra stia aspettando che si tranquillizzi.

Lei allora pensa a cosa penserà il marito che è seduto alle sue spalle sul modo strano che hanno di controllare se si hanno oggetti pericolosi addosso.”

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Zacca è testimone a un processo e va con il marito.”

Il sogno di Zacca è un prodotto psichico surreale nella sua semplice cornice e ricorda le apparenti elucubrazioni di Kafka nel suo “Processo”. E’ una modalità d’approccio con se stessi e, nello specifico, con quella umana parte psichica che Freud denominò “Super-Io”, l’istanza morale e censoria che esige l’espiazione e la riparazione della colpa, la punizione e la condanna per tutto il male che nasce dal peccato originale, arriva alla “ubris” greca e si condensa nella persona di Ciccio Atanasio, un uomo qualsiasi che partecipa per essenziale connaturazione psicofisica al consorzio dell’umana pietà. Il “Super-Io” freudiano nasce dalla riflessione sul post grande Guerra, sugli eventi distruttivi e luttuosi della prima guerra mondiale, sull’afflusso nel suo studio di psicoterapia di uomini traumatizzati nel corredo psicofisico da episodi reali che si amplificavano nel ritorno a una impossibile normalità. All’antico e laico “principio del piacere” e al vecchio e sempre greco “principio di realtà” Freud associò, per completezza e “par condicio”, il “principio del dovere”, a cui far corrispondere un giudice togato e benemerito sempre pronto alla censura e alla condanna: il tutto in offesa all’amor proprio e al narcisismo.

Zacca in sogno istruisce il suo processo, il processo a se stessa e, nello specifico, a parti di sé affette da colpa e vissute come degne di condanna e di espiazione. Zacca porta come oggetto giuridico “il marito”, la sua modalità di vivere l’uomo con cui ha costruito la coppia e possibilmente la famiglia, meglio, la sua modalità di viversi in coppia e con l’uomo che a suo tempo ha scelto e concordato una serie di sensi e di sentimenti, nonché un progetto psico-esistenziale con tanto di banda e ricevimento nell’hotel grande della città di Acicastello. Zacca mette in discussione se stessa tramite la figura dell’uomo con cui si accompagna nel quotidiano esercizio del vivere, vaglia e valuta le sue scelte di allora in riferimento al presente. L’oggetto del contendere giuridico e processuale non è il marito, ma quest’ultimo è la “proiezione” della sua deliberazione e della sua scelta di allora, di quel quando il “principio del piacere” urgeva e presentava le sue istanze psicofisiche e il “principio di realtà” era fiero del suo “nihil obstat” alla richiesta di matrimonio.

Meglio di così non è possibile nelle umane traversie semplicemente perché al bene e al male non c’è mai fine qualitativa e temporale.

Davanti a lei quattro avvocati aspettano d’interrogarla.”

La colpa è tanta e il caso è grave se servono “quattro avvocati” per l’interrogatorio del secolo, per giunta sono in attesa e tutti sul piede di guerra alla luce del fatto che sono “davanti a lei”.

Di quale mefistofelica colpa si è macchiata Zacca?

E quale inconfessato e inconfessabile peccato racchiude dentro e si trascina dietro?

L’istanza freudiana del “Super-Io” è chiamata in causa alla grande e con urgenza: la censura e la morale. Zacca nutre un senso di colpa altamente sostanzioso, se abbisogna di ingrandire il suo “Super-Io” in maniera sconsiderata. Oppure l’esagerazione è funzionale a qualche operazione di assestamento psichico dei vissuti di una certa qualità. La psicodinamica è intrapsichica e il prosieguo lo dirà o, almeno, si spera.

Poi la chiamano e uno legge le generalità.”

Niente di grave, Zacca parte dal “chi sono io”, dalla sua identità psichica e quest’esordio è altamente positivo e lascia ben sperare sull’equilibrio psicofisico globale che il “Super-Io” potrebbe disturbare. Zacca converge su se stessa e richiama le sue energie migliori per non alienarsi e smarrirsi nei meandri dei codici e delle norme che governano la Legge psichica. Zacca si fa chiamare da quella “parte di sé” che inquisisce su se stessa in aderenza al codice di sopravvivenza e di mantenimento, nonché di ripristino dell’equilibrio psicofisico. Tutti ci chiamiamo, tutti abbiamo una parola per noi stessi, tutti abbiamo un verbo senza essere il Verbo. E’ strano il fatto che uno, un anonimo avvocato, legga le parole generiche che contraddistinguono l’individualità di Zacca. La lettura assume il tono ieratico di una divulgazione inquisitoria di fronte alla Legge altrettanto anonima e generica come l’ambiente e il tono del sintetico quadretto. Si può rilevare un complesso d’inferiorità, un senso d’inadeguatezza, una sindrome da soggetto di minor diritto o da figlia di un dio minore. L’atmosfera e l’umore versano nella tristezza e nella ristrettezza. Si spera tanto in un miglioramento del caso e del malato.

Si avvicina al bancone e un altro si alza e le si avvicina e prendendole il volto tra le mani controlla le ghiandole della gola.”

Un avvocato che prende “il volto” dell’imputata ”tra le mani” per controllare le ghiandole della gola”, non si è mai visto nelle scene forensi, ma in sogno anche questo simpatico quadretto è possibile creativamente “figurare”, impressionare con immagini, allucinare con le tensioni. Insomma, Zacca si sta inquisendo da sola e in ottemperanza al rigore del suo “Super-Io” e si sta dicendo che le sue “ghiandole” sono da controllare in maniera severa e secondo la Legge, la legge di Zacca. Quest’ultima, fuor di metafora e di metonimia, si sta dicendo che la sua endocrinologia è entrata in crisi progressiva e che i motivi del suo severo giudizio sono rintracciabili anche negli effetti biologici del tempo crudele che toglie funzionalità e funzioni, come la procreazione ad esempio, nonché riduce le pulsioni erotiche e sessuali e riformula l’estetica in nuovi codici tutti da scoprire. Zacca si trova davanti la sua capacità endocrina e la sua immagine evoluta di donna. Questa operazione dialettica significa che Zacca sta attraversando un momento della sua vita in cui sta facendo i conti con l’invecchiamento, la menopausa, la perdita di fascino e di funzione procreativa. Le ghiandole non sono quelle della gola, i linfonodi, ma le ovaie. E non dimentichiamo che c’è un marito nel sogno come compagno interessato di viaggio: un valido riferimento della psicodinamica scatenata nella protagonista.

Il cuore comincia a batterle più forte e l’avvocato, sempre con le mani tra il collo e la faccia, sembra stia aspettando che si tranquillizzi.”

Zacca è proprio alle prese con se stessa, è agitata nei sensi e nei sentimenti. Il “cuore” è simbolo di vita e di emozioni assolutamente neurovegetative, autonome e spontanee come le erbe dei campi all’esordio della primavera. Zacca è in preda alla libera azione del sistema neurovegetativo, obbedisce alle pulsioni dell’Es e l’Io non riesce a essere padrone in casa sua, non interviene a sedare lo scombussolamento emotivo della donna. Zacca è proprio sull’orlo di una crisi di nervi.

Ripeto e mi ripeto volentieri se serve a definire il conflitto intrapsichico in atto.

E’ in atto l’emersione dal Profondo psichico delle tensioni legate ai conflitti pregressi e non adeguatamente risolti a suo tempo e al tempo giusto, una “conversione isterica” che funge da “catarsi” del sistema nervoso in quanto scarica le energie accumulate e inespresse e riporta l’equilibrio dello psicosoma al meglio consentito nel momento in atto: “omeostasi”. La sede di questo materiale psichico irruento è l’Es, nonché il serbatoio naturale delle tensioni di tanta conflittualità. L’Io non riesce a svolgere la sua funzione di contenimento e di equilibrio psicosomatico, non può svolgere il suo compito importante di ago della bilancia tra la psiche che urge e il corpo che esprime. Oltretutto, il “Super-Io” di Zacca, “l’avvocato, sempre con le mani tra il collo e la faccia”, non sta infierendo nell’acuire con le sue dosi la forte reazione emotiva dell’Es, “il cuore”, attende bonariamente che si scarichi la tensione nervosa per poi presentare le sue credenziali e le sue istanze. Riepilogo questo breve trattato sul meccanismo psichico di difesa della “conversione isterica”: l’istanza psichica equilibratrice dell’Io non è riuscita a svolgere la sua funzione tra le istanze emotive dell’Es e le istanze repressive del “Super-Io”, tra le pulsioni e le inibizioni, nonostante la parziale e temporanea remissione dell’azione della censura superegoica. Ricordo ancora che “tra il collo e la faccia” albergano la testa-mente e il petto-affetto. Zacca è nel mezzo e cerca la sua virtù.

Lei allora pensa a cosa penserà il marito che è seduto alle sue spalle sul modo strano che hanno di controllare se si hanno oggetti pericolosi addosso.”

“Pensa a cosa penserà il marito”. E’ questo il paradigma della psicodinamica paranoica, far pensare gli altri quello che noi stessi pensiamo, meccanismo psichico di difesa della “proiezione”, così diffuso e così delicato, così facile e così pericoloso. Per difesa ci si spoglia del proprio materiale psichico e lo si attribuisce agli altri, al marito nel caso di Zacca, un uomo che “è seduto alle sue spalle”, ma che è in prima fila nel ballo degli attori navigati e furbastri, almeno e sempre nei vissuti della moglie e della donna Zacca. La causa scatenante della psicodinamica conflittuale è decisamente la modalità di vivere il marito e a lui viene sacrificato il vitello d’oro dell’equilibrio psicofisico della nostra protagonista. Zacca non ha “oggetti pericolosi addosso”, Zacca non si vive come attraente e seduttiva, Zacca non è quella boma di donna che avrebbe voluto essere per il suo uomo. Ritorna la causa del conflitto, la valutazione severa che Zacca fa di se stessa in riferimento alle azioni del marito che assiste nello sfondo apparente, ma che è la causa scatenante di tanto impeto ritorto contro se stessa.

Cosa penserà il marito del tempo che è passato e ha lasciato i segni sul corpo, più che sulla mente, di Zacca?

Quale arma resta addosso a Zacca in questo drammatico frangente della sua vita?

L’intelligenza, l’intus-legere, la capacità di discernere e di adattarsi, l’intelligenza operativa, quella che si confa alle mille occasioni della vita e del vivere come risposta a se stessi in primo luogo e, soltanto di poi, agli altri, marito compreso.

Zacca si è controllata addosso e invece di scoprire le sue qualità interpretative, si è lasciata abbagliare dai beni effimeri della procacità e dell’avvenenza.

Un consiglio filosofico alla donna che non si sente più la gran “donna” di prima: “panta rei”, “tutto scorre”, dice Eraclito l’oscuro, dal profondo di quello che di lui ci è rimasto, la sintesi poderosa del suo complesso pensiero. E allora, carissima Zacca, lasciati scorrere addosso le ventate del tempo e addolcisci ogni mattina il caffè con tanto amor proprio. L’atarassia ti farà più matura e più bella.

L’IO COME STRUTTURA DIFENSIVA

La “difesa” è un’attività dell’Io destinata a proteggere l’uomo da una intensa esigenza pulsionale di tipo espansivo e repressivo.

Il “sistema delle difese” non coincide con la reazione psichica giustificata dalla presenza di un conflitto tra le varie istanze psichiche Io, Es e Super-Io o tra queste e la realtà. La Psicopatologia è esclusa dai comportamenti dettati dalle difese nel loro naturale esercizio.

Il “sistema delle difese” si attesta nella formazione dei tratti originali della “organizzazione psichica reattiva ed evolutiva”: naturali modi di inquadrare i vissuti e le esperienze di vita.

I “processi e i meccanismi di difesa” sono gestiti dall’Io e servono alla formazione psichica e all’adattamento nella realtà di ogni uomo.

Il disagio psichico si attesterà nell’uso inefficace o rigido delle “difese”, nel loro dannoso adattamento alla realtà esterna. La Psiche non funziona in maniera armonica e flessibile quando il “sistema delle difese” è stereotipato, quando si istruiscono pochi “meccanismi e processi” nonostante la loro varietà.

Le “difese” non si devono confondere con le “resistenze”. Queste ultime sono forze che impediscono la coscienza del rimosso fomentando una falsa immagine di sé, difendendo dall’angoscia di acquisire una “coscienza di sé” libera dagli inganni e dalle errate convinzioni.

Si possono distinguere i “processi e i meccanismi” di difesa in “primari” e “secondari”, primitivi e di ordine superiore.

I primi hanno lo scopo filogenetico di ridurre i livelli d’ansia e d’angoscia e sono il “ritiro primitivo”, il “diniego”, il “controllo onnipotente”, la idealizzazione”, la “proiezione”, la “introiezione”, la “identificazione proiettiva”, la “scissione dell’imago”, la “scissione dell’Io”.

I secondi sono regolati dai “processi secondari” e dal “principio di realtà” e fungono all’equilibrio della “organizzazione psichica” interna nell’adattamento alla realtà esterna. Essi sono la “rimozione”, la “regressione”, “l’isolamento”, la “intellettualizzazione”, la “razionalizzazione”, la “moralizzazione”, la “compartimentalizzazione”, “l’annullamento”, il “volgersi contro il sé”, lo “spostamento”, la “formazione reattiva”, il “capovolgimento”, la “identificazione”, l’acting out”, la “istintualizzazione”, la “sublimazione”, la “legittimazione”, la “assoluzione”.

Resta assodato che i “processi e i meccanismi di difesa” sono operazioni di protezione messe in atto dall’Io per garantire la sicurezza psichica e che esse agiscono contro le emergenze proibite e pericolose prodotte dalle rappresentazioni pulsionali provenienti dall’Es e dal Super-Io.

I “meccanismi di difesa”, visti in prospettiva dinamica ed economica, costituiscono un costante e sincronico articolarsi di molte difese, oltre che un gerarchizzarsi delle stesse a vari gradi.

La vitalità, la varietà e la ricchezza delle “difese” sono la migliore garanzia di un proficuo equilibrio psichico per ogni uomo. Viene a cadere la tradizionale tesi sulla Patologia del sistema delle difese. Quest’ultima consisterà nella mancanza di diversità, di elasticità e di efficacia dei “processi e dei meccanismi di difesa”.

Il soggetto “normale” deve possedere buone “difese”, diversificate e duttili, che permettono un sufficiente gioco pulsionale che non opprime l’Es, una giusta considerazione della realtà che non inquieta e disturba il Super-Io, un arricchimento costante dell’Io in ambito di relazioni mature e di scambi soddisfacenti.

Le “difese” non devono essere energeticamente dispendiose, bensì efficaci a ripristinare lo stato di equilibrio psicofisico nel minor tempo possibile. Inoltre, le “difese” devono essere realistiche e utili.

L’Io deve oscillare attorno a un asse medio che lo arricchisce e previene i rischi nel suo affascinante e avventuroso cammino.

QUALCHE CONSIDERAZIONE

La “rimozione” è la difesa principale e la più elaborata. Essa ricopre nell’economia psichica un posto quantitativo primordiale, possiede una rete di difese accessorie e satelliti come “l’isolamento”, lo “spostamento”, la “condensazione” e “l’evitamento”.

Un altro gruppo di “meccanismi di difesa” è più arcaico della “rimozione” e si attesta in misure più radicali che esulano dall’orbita nevrotica per situarsi in quella psicotica. Esse sono lo “sdoppiamento dell’Io”, lo sdoppiamento dell’imago”, “l’annullamento”, il “diniego”, la “negazione”, “l’identificazione proiettiva” e “l’identificazione con l’aggressore”.

La “proiezione” e la “introiezione” hanno un posto a parte nel sistema delle difese a causa della loro relazione dialettica nell’identificazione con l’Io e il non Io, l’oggetto esterno.

La “sublimazione” si può classificare a parte, alla luce delle sue specificità, come “processo” di difesa.

La “regressione” e la “fissazione” sono “processi” di difesa sintonici e sincronici.

PSICOANALISI DEL GRUPPO

L’uomo è un vivente sociale, un animale che abita nella “polis”, città stato della Grecia antica, fa delle scelte e prende delle decisioni insieme agli altri. Aristotele: “zoon politicon”.

Un gruppo è costituito da individui intesi a evolversi psicologicamente in persone.

Ogni persona ha una organizzazione psichica, una sua struttura evolutiva, un suo carattere, una sua personalità, una sua gruppalità interna, una sua modalità culturale, interpretativa ed esecutiva, una sua rete di relazioni interne che dispongono verso l’esterno secondo modalità esperite e tendenti alla finalità e all’innovazione.

La coppia è un gruppo biologico e la famiglia è la cellula della società.

La famiglia ha una “organizzazione psichica collettiva” che si forma e si evolve attraverso l’interazione delle “organizzazioni psichiche” dei vari membri a cominciare dalla coppia.

La famiglia possiede, di conseguenza, una connotazione psichica originale e individuale, come se fosse una persona, incentrata sulle modalità di pensare e di agire, di intendere e di volere, di sentire e di ragionare, di interpretare e di eseguire.

Ogni famiglia possiede un “Es”, un “Io, un “Super-Io”, le istanze psichiche freudiane estese e applicate al gruppo.

Ogni famiglia ha un corredo di istinti e di pulsioni, ha una rappresentazione dei bisogni e dei desideri, ha una intimità, ha una sub-liminalità e un “principio del piacere”: istanza psichica “Es”.

Ogni famiglia ha una modalità razionale e logica, una sua vigilanza e una auto-consapevolezza, una linea di pensiero e di azione, un esercizio del “principio di realtà” e della volontà, ha una sua filosofia di vita e una sua subcultura: istanza psichica “Io”.

Ogni famiglia ha una gradazione del senso del dovere e del limite, del divieto e del tabù, della censura e della morale: istanza psichica “Super-Io”. Ogni famiglia vive al suo interno una rete di azioni possibili e tollerabili, non impedibili, che contempla e fissa la legalità al suo interno. La tensione interattiva del gruppo è volta a realizzare il valore della tolleranza.

Ogni famiglia è un’isola libera che trova il suo significato all’interno dell’arcipelago. La famiglia non è, di certo, anarchia e follia, è un microcosmo autonomo nel macrocosmo. La sua libertà è condizionata dal contesto e dalla tradizione, ma soprattutto dalle funzioni psichiche che al suo interno vedono la luce e la vita, agiscono e si evolvono.

L’istituto familiare è un gruppo umano caratterizzato nella sua formazione dalle modalità psichiche evolutive di cui l’individuo è portatore. La Psiche individuale e la Psiche della famiglia si servono degli stessi “meccanismi” e “processi” psichici di difesa dall’angoscia e sviluppano contenuti propri, sia come persona e sia come gruppo. La prima privilegia ed elabora i vissuti individuali in riguardo a se stesso e alla realtà esterna, la seconda privilegia ed elabora i temi sociali della relazione e della convivenza.

La combinazione e l’interazione delle “organizzazioni psichiche” all’interno del gruppo familiare caratterizzano la qualità dei vissuti dei vari membri e del gruppo stesso. In quest’opera educativa il condizionamento psichico delle figure genitoriali è di grande influenza e importanza per la formazione dei figli e per la trasmissione culturale dei valori. Di poi, le strutture scolastiche assolvono il compito di arricchire l’identità storica e sociale, nonché di allargare il contesto della collettività nazionale e internazionale.

I processi di identificazione e l’identità psicosociali completano il percorso educativo e formativo della persona e del gruppo.

Partiamo dalla cellula biologica della società, la famiglia, inquadrandola per comodità teorica e sempre applicando lo schematismo psichico evolutivo della persona.

Una famiglia può definirsi a prevalenza “orale”, “anale”, “fallico-narcisistica”, “edipica”, “genitale”. Il termine “prevalenza” attesta della compresenza interattiva degli altri fattori secondo incidenze minori. Lo stato puro è utopico.

La famiglia a prevalenza “orale” si connota per l’affettività e per il sentimento che mette in circolazione e fa prevalere al suo interno e che esibisce all’ambiente esterno. E’ sensibile alla perdita di questi attributi e, di conseguenza, tende a strutturare tratti depressivi. L’affabilità e la volitività, la generosità e l’afflato emotivo sono dominanti nella fenomenologia e negli investimenti sociali rispetto alle altre caratteristiche psichiche maturate nel corso della sua evoluzione. La recettività prevale sulla donazione sociale.

La famiglia a prevalenza “anale” è caratterizzata dall’esercizio dell’aggressività nel versante interno ed esterno: sadismo e masochismo. La valenza mentale è la diffidenza e la ritrosia, la valenza psichica è fobica e ossessiva con tratti paranoici. La parsimonia nel dispensare affetti ed emozioni struttura difficoltà espressive e comunicative. L’avarizia connota la degenerazione degli investimenti materiali, così come l’aggressività per difesa paranoica si può evolvere nella violenza. La famiglia a prevalenza “anale” accusa conflitti nell’acquisizione e della distribuzione dei sentimenti e dei messaggi collettivi, nonché a livello razionale tende a coltivare le sue cognizioni e le sue convinzioni. Gli scambi psicosociali sono contraddistinti dalla dialettica della chiusura e del rifiuto.

La famiglia a prevalenza “narcisista” è auto-referente e superba, onnipotente e sprezzante, ostica e fredda. Tende all’isolamento per orgoglio e pregiudizio. La sua autonomia è apparente e la sua dipendenza non viene riconosciuta in alcun settore. La rete delle relazioni è altolocata e subalterna alla nobiltà psichica e al valore del gruppo familiare. I fattori e i veicoli altruistici sono disconosciuti nella vera essenza e vengono esaltati a proprio vantaggio e a propria esaltazione. L’isolamento domina socialmente nonostante il bisogno di manifestarsi per autoesaltazione, ma la famiglia a prevalenza “narcisistica” non si accorge dell’esistenza degli altri e tanto meno del loro concorso alla formazione della società. L’autolesionismo è il nucleo psichico che si evidenzia quando viene socialmente giocato nel massimo dell’esaltazione e dell’onnipotenza. La sfida con se stessi tocca corde sensibili e l’onnipotenza si converte nell’impotenza, ma la ripartenza è la tappa successiva al fallimento.

La famiglia a prevalenza “edipica” si presenta con un tasso polemico e conflittuale molto elevato al suo interno e all’esterno. La socializzazione è importante perché è la palestra dello scontro e del valore. La critica in eccesso procura enormi difficoltà nelle relazioni e tendenza all’isolamento per molestie procurate e subite in reazione e in difesa dall’ambiente sociale. Il comportamento oppositivo denota una modalità di pensiero divergente e tendente all’originalità. L’azione è contraddistinta dalla ricerca di un coinvolgimento dialettico e competitivo, nonché dalla tendenza a vivere negli altri quelle autorità da combattere e quelle imposizioni da rifiutare. La famiglia a prevalenza “edipica” ha bisogno della società per competere e per innovare, per contestare e progredire. Ha una valenza positiva nel favorire il progresso civile tramite il confronto e lo scontro. Ha seguaci e conoscenti indifferenti per mancato investimento. La malattia della famiglia è la frustrazione delle energie investite e la penuria dei risultati, a cui consegue un tratto psichico isterico nello scarico della frustrazione sociale.

La famiglia a prevalenza “genitale” assolve pienamente la formula aristotelica dell’animale politico. E’ amorevole e razionale, ubbidisce al “principio di realtà” senza trascurare il “principio del piacere” e il “principio del dovere”. Cura l’affettività e i sentimenti, i bisogni e le riflessioni, non sacrifica alcunché della costellazione delle pulsioni e dei desideri, così come razionalizza molto bene la sfera dei limiti sociali e delle imposizioni legali. La famiglia a prevalenza “genitale” ha capacità recettiva e altruistica, assorbe e restituisce, produce investimenti sociali solidali e partecipa alle psicodinamiche politiche senza fanatismo e con tolleranza. L’Io familiare “genitale” delibera e decide con equilibrio e armonia secondo i “processi secondari” della razionalità e senza smarrire la gioia dell’equilibrio tra la Mente e il Corpo. Il suo unico rischio è proprio quello di “regredire” a forme precedentemente vissute e problematiche per l’incompletezza e la parzialità della loro evoluzione.

TAGLIANDO PSICOFISICO 2

LA PAURA

Di fronte a un pericolo o a una situazione problematica scatta un’emozione primaria, gestita dal sistema neurovegetativo o involontario, che prepara il nostro psicosoma all’emergenza da affrontare o da evitare: la “PAURA”.

Siamo in un ambito psicofisico di piena salute, niente di patologico.

Tutto ok!

Il proverbio antico dice che è meglio aver paura, piuttosto che prendere botte o subire un danno.

La “paura” ha un oggetto ben preciso e conosciuto, per cui è possibile una reazione di lotta o di fuga, di coinvolgimento o di evitamento: dipende dall’entità dell’oggetto “paura”. Il criterio di scelta è sempre la sopravvivenza e il minor danno. La consapevolezza dispone ad affrontare razionalmente la circostanza o a evitarla.

Niente eroismi e niente onnipotenze!

La “paura” può essere anticipata dalla memoria. La deliberazione dell’Io, razionale e vigilante, deve essere sempre funzionale al benessere della mente e del corpo.

A questo punto ci dedichiamo un po’ di tempo, ci rilassiamo e analizziamo le nostre paure in atto e legate all’emergenza che stiamo vivendo. Più paure abbiamo e meno danni psichici maturiamo.

Adesso riflettiamo sulle paure che avevamo prima del coronavirus” e verifichiamo se si sono amplificate o ridotte nell’impatto traumatico.

Verifichiamo ancora e analizziamo bene se sono venute fuori altre paure o se l’ambito mentale e lo stato emotivo sono rimasti uniformi.

Sappiamo che la “paura” non è fobia e tanto meno angoscia, che ha un oggetto ben preciso, che è di qualcosa preciso e non di altro. Sappiamo di che si tratta e la controlliamo affrontandola o evitandola. Queste manovre sono valutate dalla Ragione e sono giuste e proficue. L’evitamento è una difesa naturale, un frutto dell’intelligenza operativa o furbizia che dir si voglia, e non ha niente a che vedere con l’omonimo “meccanismo di difesa” dall’angoscia.

A questo punto riflettiamo ancora sulle paure e le scriviamo nel libretto di manutenzione della nostra macchina psicofisica e nella pagina successiva all’ANSIA.

Ricordiamoci che più paure tiriamo fuori ed elenchiamo e meno fobie e angosce avremo nel tempo. Usiamo la testa per riflettere e capire le nostre paure: razionalizzazione dell’Io.

Bene!

Domani analizzeremo la FOBIA.

UNA MACCHINA DA SVENIMENTO

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“Fabio sogna di essere in macchina e di sentirsi svenire.

Si rende conto che sta svenendo e una mano da dietro gli prende la nuca con due dita facendogli male.

Una voce dice ripetutamente: lascialo che gli fai male.”

 

Il sogno di Fabio verte decisamente sulla sfera sessuale e descrive il conflitto tra la mente e il corpo, tra il senso e il sentimento, tra il “principio del piacere” e il “principio di realtà”, tra l’”Es” e l’”Io”, tra la pulsione istintiva e la riflessione cosciente.

Iniziamo a decodificare questo semplice “resto notturno” di Fabio.

La prima associazione a portata di mano è la macchina e lo svenimento. Come più volte ho scritto la “macchina” rappresenta il “sistema neurovegetativo” nella sua valenza sessuale per il semplice fatto che è un meccanismo automatico, un meraviglioso congegno che va al di là della volontà individuale e che gestisce i fattori vitali determinanti. Lo “svenimento” è il simbolo del lasciarsi andare e del disimpegno psicofisico, dell’abbandono della sfera intellettiva e dell’autocontrollo, della caduta delle resistenze mentali per ascoltare il corpo e le sue esigenze biologiche. Lo “svenimento” è un meccanismo prototipo di difesa da un trauma improvviso e si attesta nel rifiuto del corpo di mantenersi in contatto con la realtà arrestando le funzioni vigilanti in maniera transitoria.

“Fabio sogna di essere in macchina e di sentirsi svenire.”

Fabio è in preda alla pulsione sessuale, vuole abbandonarsi al moto della “libido” e agli effetti benefici del “sistema neurovegetativo”. Proprio quando sta per lasciarsi andare, subentra la paura di vivere la sessualità in maniera libera e senza inibizioni, si presenta l’ostacolo doloroso di un mancato collegamento tra la razionalità vigilante e la sfera affettiva e sentimentale. La “nuca” è il simbolo del “tramite” tra la testa e il torace, tra la sede della ragione e la sede del sentimento, tra la vigilanza e l’affetto. Ma a cosa serve nella vita sessuale la vigilanza e l’autocontrollo? Sono i peggiori compagni di viaggio nel trasporto dei sensi verso le acrobazie erotiche. Eppure Fabio comincia bene e finisce male, conosce la “grammatica” ma non la mette in “pratica”. Nel momento in cui si appresta a lasciarsi andare e si dispone al gusto della “libido genitale”, si blocca per un inutile e inopportuno bisogno di vigilare su se stesso e di controllare la situazione in cui si trova.

Ecco che “Si rende conto che sta svenendo e una mano da dietro gli prende la nuca con due dita facendogli male.”

Fabio si rende conto di questa odiosa interferenza e di questa blasfema intromissione del “sistema nervoso centrale” sul “sistema nervoso neurovegetativo” e si ripete che è un dolore gratuito e un “fantasma” da sgominare e da tenere sotto controllo in special modo nei momenti dell’intimità sessuale. Fabio ha ben chiara la consapevolezza di questo conflitto che lo vuole da un lato disposto al piacere e dall’altro titubante a lasciarsi andare. Il fantasma in questione è quello che riguarda la dimensione sessuale. E’ vero che Fabio ha bisogno di affidarsi alla donna che appetisce e con cui si relaziona, ma è in primo luogo verissimo che Fabio deve vivere bene la sua sessualità e disinibire la pulsione in atto. La causa può ritrovarsi nella soluzione incompleta del complesso di Edipo, ma in questo caso si predilige il rapporto con il corpo in assenza di elementi edipici e soprattutto per il sogno successivo, confezionato nella stessa notte, e che analizzerò nella prossima decodificazione con il titolo “A proposito ancora di Fabio”.

“Una voce dice ripetutamente: lascialo che gli fai male.”

Fabio ha piena consapevolezza della necessità di abbandonare il conflitto doloroso e di abbandonarsi tra le braccia del suo Eros e dell’altrui Afrodite in particolare.

La prognosi è favorevole perché la coscienza del conflitto è limpida.

Il rischio psicopatologico si attesta nell’istruire difese intellettive per giustificare il mancato coinvolgimento sessuale, il meccanismo di difesa, anche delicato e pericoloso, della “razionalizzazione”.

Riflessioni metodologiche: il sogno di Fabio verte sul problema antichissimo del rapporto tra la “Natura” e l’”Uomo” e, convergendo sull’Uomo, tra la “mente” e il “corpo”, tra la “psiche” e il “soma”, un problema classico della “cultura occidentale” di cui siamo degni eredi nel bene e nel male. La “cultura occidentale” nasce nella Grecia del primo millennio “ante Cristum natum” e matura dell’Uomo e della Natura una concezione “olistica” in un contesto “ilozoistico”: “Uomo” e “Natura” sono il “Tutto vivente”. L’uomo greco, pur tuttavia, elabora la questione antropologica oscillando tra una concezione di “fusione” e una concezione di “scissione” e questo travaglio è confermato dai miti specifici di Orfeo in riguardo alla “scissione” tra la parte maschile e la parte femminile e quello di Dioniso in riguardo alla “fusione” dell’uomo con la Natura. Agli esordi la cultura greca opta per una sintesi olistica vivente di Uomo e di Natura, di psiche e di soma in riguardo all’uomo. L’anima greca, in particolare, si riduce al “daimon”, allo spirito vitale. La rivoluzione dei Sofisti, Socrate compreso, mette in primo piano l’Uomo sulla Natura, opera la prima scissione portata avanti da Platone con la trascendenza della Verità e da Aristotele con il primato della ragione scientifica sulla Natura. Eccezion fatta per Platone, si parlava di “anima alla greca”, in termini più concreti di vitalità, piuttosto che d’immortalità. La religione cristiana introduce in Occidente la scissione tra anima immortale e corpo mortale, concezione mutuata dall’Ebraismo da cui era derivato. Inoltre, il Cristianesimo apporta la rivoluzione dell’estensione del privilegio ebraico di essere figli di Dio a tutta l’umanità. Subentra in Occidente il concetto di anima immortale, di peccato e di Regno dei cieli. L’uomo è scisso tra l’anima immortale e il corpo mortale, tra i valori dello spirito ei valori del corpo, il primato dei primi sui secondi. La scissione è compiuta e siamo nel primo secolo “post Cristum natum”. Trattasi di una scissione metafisica e culturale che ha inciso e incide sull’uomo occidentale in continua tensione tra il sacro e il profano. Questa scissione tra mente e corpo ha pesanti risvolti clinici nella vita sessuale dell’uomo occidentale. In effetti tale scissione non ha motivo di esistere, dal momento che l’uomo è una unità psicosomatica e la relazione tra mente e corpo non si attesta tra dimensioni diverse, ma semplicemente tra funzioni diverse. La “scissione” è un naturale meccanismo psichico di difesa, classico della modalità mentale dell’infanzia, ma diventa molto pericoloso nell’età adulta perché porta alla formulazione delirante di una “neorealtà” tutta personale e, di conseguenza, alla crisi del “principio di realtà” gestito dall’”Io”. In riguardo a Platone, ricordo che la sua teoria dell’anima o delle anime, immortali e superiori al corpo mortale, vuole l’anima razionale aver sede nella testa, l’anima irascibile nel torace e l’anima concupiscibile nel bassoventre. In base all’esaltazione di una delle anime si distinguono socialmente i filosofi, i guerrieri e i mercanti. Gli altri uomini erano schiavi perché senza diritti politici ed erano stimati indegni del valore uomo. Ricordo ancora che al potere politico erano destinati i filosofi perché competenti della “Verità”. Questo si diceva e avveniva ieri. Oggi è tutto un altro discorso.

LUI E LEI … LE FIGLIE E L’ALTRA

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“Gemma sogna di trovarsi con sua figlia di fronte a uno strano sentiero che bisogna percorrere.

Lei va per prima e incoraggia la figlia di fronte all’acqua; la figlia devia trovando la via.

Gemma, invece, barcolla e sta per cadere da uno scalino; poi vede uno strano essere e sceglie un’altra strada.

Finalmente arriva alla cassa, come se il percorso di prima fosse stato un supermercato.

Dietro di lei c’è lui, alto, e le dice che è venuto da lei, ma si rammarica di aver lasciato a casa la moglie e la figlia piangenti.”

Il sogno di Gemma propone un tema importante: l’innamoramento e l’amore,

un dilemma da districare tra gli affetti storicamente consolidati e istituzionalizzati e gli affetti in deroga e sensibili alla colpa.

La trama è semplice e i simboli sono significativi.

Questo sogno è stato fatto anche in dormiveglia su un vissuto in atto e altamente considerato:l’innamoramento. La valenza narrativa si alterna e a volte prevale sulla valenza simbolica.

Vediamo subito la decodificazione dei simboli e poi componiamo la psicodinamica.

Il “sentiero strano che bisogna percorrere” condensa l’ineluttabilità dell’esercizio del vivere e la ricerca della soluzione di un conflitto o la risoluzione di un progetto.

La “figlia” è l’affetto consolidato e la proiezione dell’altra parte di sé, quella che vuol conoscere, quella che vuol sapere.

L’”acqua” condensa l’universo femminile, le pulsioni neurovegetative e le emozioni profonde, gli affetti e la recettività sessuale, la madre e la donna. Gemma è una buona educatrice e incoraggia la figlia e se stessa a crescere e a diventare autonoma. La figlia o l’altra parte di sé è una brava scolara perché devia subito trovando la via: tutto questo è nei desideri di Gemma.

Barcollare e stare per cadere rappresentano il dubbio e l’induzione alla colpa, la tentazione e la crisi della coscienza morale, il richiamo alla trasgressione e la censura.

“Vede uno strano essere e sceglie un’altra strada”. Si tratta della parte emergente e nuova di sé, la parte non agita ma latente, il “non nato” che vuole nascere ma che fa paura.

La “cassa” rappresenta il “Super-Io”, la censura morale e l’espiazione della colpa: “il redde rationem”, il rendimi conto di quello che fai.

Il “supermercato” condensa la socializzazione e lo scambio, la relazione e l’opinione, la trattativa e lo scambio, la seduzione e la truffa.

“Lui” condensa la trasgressione e il desiderio, la pulsione e la seduzione, l’investimento della “libido” e l’oggetto dell’attrazione, l’oscurità subdola e clandestina.

Lui è “dietro di lei” ad attestare la volitività di Gemma, la sua sicurezza e la sua determinazione nel prendere ciò che vuole: una buona consapevolezza del suo valore globale.

Lui è “alto”, un piccolo dio, qualcosa di sacro, un padre eterno, un fascinoso Marcantonio, una figura autorevole e inarrivabile. Questa caratteristica fisica e simbolica, “alto”, viene attribuita al padre dalle bambine in piena fase edipica. Gemma ha qualche pendenza verso il padre, deve liquidare ancora qualcosa verso l’augusto genitore.

Lui “dice che è venuto da lei”: ottimismo e potere di Gemma nell’esporre il suo desiderio.

Il “rammarico” etimologicamente contiene il termine “amaro” per rappresentare il travaglio della consapevolezza e della scelta, il dolore della deliberazione e della decisione da parte dell’”Io” di agire il desiderio.

Del resto, ha “lasciato a casa la moglie e la figlia piangenti”, per cui la scelta non è indolore e spavalda, è dettata dalla consapevolezza sadica di nuocere agli affetti costituiti e conclamati.

Ricostruiamo il quadro narrativo del sogno.

Gemma s’imbatte in un’esperienza nuova di vita che non aveva pensato di poter fare e la sua premura va alla figlia: l’amore materno in primo luogo. Pur tuttavia, Gemma è decisa a seguire i suoi nuovi vissuti e incoraggia la figlia all’emancipazione dalla sua figura, una soluzione ai suoi sensi di colpa più che una “maieutica” evolutiva.  Gemma segue la sua pulsione e la figlia devia trovando la via. La madre è libera e pronta alla trasgressione nel momento in cui si libera dell’amore materno e sceglie se stessa.

Pur tuttavia, Gemma non è convinta di quello che sta vivendo e che sta facendo anche se è più forte della sua volontà. S’imbatte nella “parte negativa di sé” e si censura correggendo il tiro con un’altra soluzione. Si rende conto di quello che sta facendo e teme il giudizio della gente.

Ecco il “casus belli”, il conflitto di Gemma:  lui ha scelto lei, ma ha lasciato la sua famiglia in lacrime.

Il sogno attesta di una tentazione trasgressiva e dei conti da fare con il “Super-Io”, l’istanza psichica morale, un conflitto che arriva quando meno te l’aspetti e quando pensavi di essere sopravvissuta a certe esperienze. Non bisogna mai pensare di essere al di sopra di ogni sospetto e di ogni possibilità, così come non bisogna mai rassegnarsi di fronte al gioco del caso. Bisogna tenerlo sempre in considerazione e averne una piena consapevolezza perché la “rimozione” può non funzionare e il rimosso può ritornare con la forte esigenza di tradursi in esperienza concreta.

La prognosi impone a Gemma di valutare attentamente le ingiunzioni del “Super-Io” fino al grado di accettabilità e di convenienza e di deliberare e di decidere con piena consapevolezza in riguardo alla possibilità pratica e pragmatica. In questo severo compito la funzione mediatrice dell’”Io” è particolarmente importante per equilibrare il desiderio e la frustrazione.

Il rischio psicopatologico s’incentra nel sacrificio della “libido” ridestata e immessa in circolo. La frustrazione dell’energia vitale porta immancabilmente a una conversione somatica con una serie di disturbi collegati. Inoltre, la vanificazione del progetto di agire il vissuto sentimentale ed erotico risveglia il tratto depressivo.

Considerazioni metodologiche: il sogno di Gemma induce a riflettere

sul fenomeno dell’innamoramento e sui risvolti psichici che comporta quando avviene nella piena maturità e con situazioni personali e istituzionali affermate. Perché il marito o la moglie, il padre o la madre, il compagno o la compagna si abbandonano alle sensazioni e ai sentimenti dell’adolescenza, il periodo in cui si era “ignoranti” e “infanti” ossia senza esperienza e senza parole? Perché? Perché un uomo di cinquant’anni lascia moglie e figli con la semplice giustificazione del suo innamoramento per una trentenne? Perché una donna si perde irrimediabilmente per un altro uomo con la giustificazione che verso il marito non provava più niente? E perché..? E perché..? La casistica è tanta. Poche idee ma chiare sono necessarie a questo punto. Ci si innamora a una certa età per “fuga dalla depressione”. Di fronte alle frustrazioni personali e alle delusioni esistenziali scatta il meccanismo di difesa dall’angoscia della “regressione” a tappe gratificanti in riguardo agli investimenti della “libido”. Di fronte alle minacce della senilità e alla progressiva perdita di potere libidico, scatta il tratto depressivo che abbiamo incamerato sin dal primo anno di vita e che immancabilmente di tanto in tanto abbiamo ridestato e nutrito con le esperienze traumatiche della vita. Ecco che operiamo una fuga salutare difensiva dal presente con la regressione a tappe evolutive gratificanti ma vissute nella convinzione che si tratta di qualcosa di nuovo e d’inaspettato. In effetti si tratta di una soluzione inconsapevole dell’istanza depressiva che urge e chiede di essere curata. E allora? Allora bisogna sempre stare all’erta con l’autocoscienza, curarla gelosamente e sapere dove mi trovo e cosa possiedo. L’amore era per Schopenhauer una illusione ingannevole della maligna essenza dell’universo chiamata “Volontà di vivere”. Leggete a tal proposito il testo intitolato “L’amore”. Ma, al di là dei filosofi e delle personali convinzioni, il benefico “sapere di sé” evita disastri individuali e sociali, evita di fare del male a se stessi e ai figli in questo caso. L’autonomia psichica dà ed è disposta anche a non ricevere, è essenzialmente “genitale” ossia donativa. Non è sempre opportuno  immettersi nel circuito delle dipendenze affettive con la fasulla convinzione che si tratta del vero e grande amore della vita. Il vero e grande amore della propria vita deve essere in primo luogo il proprio sé. Per quanto riguarda innamoramenti celestiali e infatuazioni uniche si tratta di assolute minchiate inventate dai preti in vena di sballo o dal “Genio della Specie”, come diceva il grande Arturo.