MARUMARU

Maru,

marulla,

marumarata,

tempestada,

dolce e ingegnata,

umile e alta come creatura,

nuova e novella da favola bella.

Maru,

marella,

marumarella,

canzone di Maruzzella,

scilinguata cummarella di una ex Napoli bella,

tra vicoli e viuzze alla ricerca del cucco,

la Bellezza grande e non piccìola,

quella giusta di una donna libera e non sola.

Maru,

marolla,

marumarina,

eterna signorina,

pulzella fiori d’arancio,

vò ca ti mancio,

vò ca t’arrusicu u rosmarino

vò ca ti criscio ndo me giardino,

adorno di rose e di fiori

mentre tu dormi con i tuoi ossimori.

Maru,

marona,

marumarona,

brutta e arruffona,

donna molesta che fa sempre festa,

in giro per i borghi,

in giro per i canali,

in giro per i viali

alla ricerca dei Carnevali

che mancano alla dispensa

di una femmina senza credenza.

Maru,

marazza,

marumaruzza,

marummarazza ca ioca co iattu,

marumau che non è morto,

porcellana da ortobello,

cicoria la mattina e la sera,

radicchio dalle pieghe agognate,

rosolina papaverina con il cappello rosso,

shiopet da risi senza bisi,

la me Maru,

la me Marumaru.

Marameo!

Salvatore Vallone

nel lontano Karancino, il 10, del 6, nel 2023

REGINELLA

O Reginella,

mia salvezza eterea e celestiale,

donna delle mie brame e del mio reame in quel di Napoli,

oggi distrattamente ti penso in Ortigia

e inevitabilmente ripenso al fior caduco dei tuoi gentili anni,

un fiore reciso nel pieno rigoglio della giovinezza

dalla furia omicida di un bieco assassino.

Non hai avuto il tempo di cantare con me

mentre si mangiava pane e cirase,

non abbiamo avuto il tempo di baciarci con i pizzilli e senza.

Che vase, che vase!

La gelosia porta soltanto ghirlande intrecciate a lutto

e crisantemi di tutti i colori.

Bum, bum,

la rivoltella di un pazzo ha fatto bumbum

e ancora bumbum.

O Immacolatella napoletana,

o Madonna del Carmelo siracusana,

hanno ucciso Reginella in via Claudio Mario Arezzo al civico 32.

Correva il malefico 1948.

Salvatore Vallone

Karancino, 20, giugno, 2023

GLI ZOMBIE

TRAMA DEL SOGNO

Le narro un sogno che mi ha parecchio inquietato e che ha un oggetto ricorrente, ovvero gli zombie.

Ero tranquilla a casa con la mia famiglia e hanno suonato le autorità, invitandoci ad abbandonare velocemente le nostre abitazioni, preparare un bagaglio raffazzonato per noi e i bambini, e correre a ripararci in rifugi predisposti perché era imminente un’invasione di zombie.

In tutta furia sono andata in città a recuperare in un magazzino le valigie da preparare: la città era già semideserta, vedevo persone fuggire, ma abbandonati da soli trovavo tanti bambini, alcuni in fasce, altri che gattonavano o stentavano a camminare, tutti abbandonati dai genitori che presi dal panico li avevano lasciati indietro.

Ne prendevo uno d’istinto per proteggerlo, ma ero angosciata perché non potevo prenderli tutti ed avevo fretta di tornare dai miei, di bimbi, che mi aspettavano per andare al rifugio.

All’interno del magazzino, dove avevo la mia valigia rossa, ho sentito dietro la porta semichiusa di una stanza un ringhio che ero quasi certa fosse quello di uno zombie: ho comunque raggiunto la valigia, aspettandomi che da un momento all’altro il mostro uscisse da quella stanza, ma non è successo nulla e sono uscita di corsa senza problemi ma col cuore in gola.

Mi sono così diretta verso casa finalmente con una certa serenità perché ormai ero quasi arrivata…e il sogno è finito.

China

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Le narro un sogno che mi ha parecchio inquietato e che ha un oggetto ricorrente, ovvero gli zombie.”

Il sogno ricorre semplicemente perché contiene materiale psichico profondo che non ha ancora visto un’adeguata luce della coscienza e non ha trovato la giusta consapevolezza. Il sogno spurga i fantasmi e li seduce allettandoli in maniera truffaldina. Gli “zombie” rappresentano la parte psichica inanimata, quella dimensione psichica che non ha trovato nell’esistenza un adeguato riscontro oggettivo, i desideri importanti e tralignati in angosce, i bisogni inappagati e vaganti nel teatro profondo.

Ero tranquilla a casa con la mia famiglia e hanno suonato le autorità, invitandoci ad abbandonare velocemente le nostre abitazioni, preparare un bagaglio raffazzonato per noi e i bambini, e correre a ripararci in rifugi predisposti perché era imminente un’invasione di zombie.”

China sta bene nella sua dimensione psichica, ha maturato una organizzazione stabile che le consente di vivere in maniera degna con l’equilibrio conquistato. Ma il “Super-Io” è riottoso e ogni tanto fa le bizze. “Le autorità” che suonano alla porta rappresentano il sistema delle censure e dei limiti e sono foriere di dolore in quanto trascinano sensi di colpa. La “invasione di zombie” è chiaramente l’avvento tirannico del “Super-Io” che presenta il conto delle colpe nella forma angosciante dell’animato minaccioso perché rappresenta ciò che non ho fatto o non ho potuto fare.

In tutta furia sono andata in città a recuperare in un magazzino le valigie da preparare: la città era già semideserta, vedevo persone fuggire, ma abbandonati da soli trovavo tanti bambini, alcuni in fasce, altri che gattonavano o stentavano a camminare, tutti abbandonati dai genitori che presi dal panico li avevano lasciati indietro.”

Le valigie da preparare” rappresentano il grembo materno, “i grembi materni”, le gravidanze attese e vissute, la pulsione alla maternità, la “libido genitale” di una donna dispostissima alla figliolanza e all’accudimento. Il “magazzino” rappresenta la dimensione preconscia di China dove risiedono i vissuti conflittuali e i tormenti dell’animo femminile. La solitudine della donna e delle donne si manifesta nella “città semideserta”, nelle “persone” che fuggono di fronte a un evento delicato e a una scelta etica: l’abbandono psicofisico dei bambini, la solitudine angosciante dell’infanzia. China ha sperimentato sulla sua pelle l’abbandono e la scelta di portare avanti una gravidanza da sola e contro i giudizi altrui. I suoi genitori non saranno stati accudenti e premurosi nei suoi vissuti infantili e la famiglia ha risentito di una pulsione egoistica dei suoi componenti. La sensibilità di China verso l’infanzia è altamente delicata e quanto traumatica nella sua sostanza psicofisica. Il “panico” dei genitori rappresenta l’immaturità alla cura e all’amore verso i figli.

Ne prendevo uno d’istinto per proteggerlo, ma ero angosciata perché non potevo prenderli tutti ed avevo fretta di tornare dai miei, di bimbi, che mi aspettavano per andare al rifugio.”

Persiste l‘ipersensibilità di China nei riguardi dell’infanzia, dei bambini e dei figli. Persiste la manifestazione nevrotica o conflittuale dell’istinto materno in questo teatro femminile onnipotente che mostra i bimbi e i figli. Quanta angoscia e senso depressivo di perdita in questa donna che ha contato le sue uova da fecondare, le sue mestruazioni! Il “rifugio” rappresenta il grembo materno protettivo, quello che esula dai conflitti inutili di stampo sociale e politico: i figli sono figli e vanno amati tutti indistintamente. Ritorna la lezione di Edoardo De Filippo nella splendida Filumena Marturano. I figli sono delle madri e saranno le donne a proteggerli dalle mille violenze dell’universo maschile. Istinto, “ne prendevo uno d’istinto” ed “ero angosciata” fanno il paio e vanno di pari passo in questa fiera dell’orgasmo materno.

All’interno del magazzino, dove avevo la mia valigia rossa, ho sentito dietro la porta semichiusa di una stanza un ringhio che ero quasi certa fosse quello di uno zombie: ho comunque raggiunto la valigia, aspettandomi che da un momento all’altro il mostro uscisse da quella stanza, ma non è successo nulla e sono uscita di corsa senza problemi ma col cuore in gola.”

Da bambina China ha immaginato il rapporto sessuale con il maschio in maniera violenta e mortifera. “Magazzino” è simbolo dell’Inconscio, la dimensione psichica dove China ha riposto le sue fantasie sul tema del coito e della sessualità. La “valigia rossa” condensa il grembo femminile e l’apparato recettivo sessuale, magari nel periodo mestruale. La porta semichiusa e il ringhio ipotizzano la bambina che, suo malgrado, ascolta il coito dei genitori nella stanza accanto, la famosa “scena primaria” realmente vissuta o soltanto immaginata. Lo “zombie” in questo caso è il maschio che dà la morte nel momento in cui feconda, l’angoscia della fecondazione più che della penetrazione. C’è di tutto in questo capoverso a conferma del tema ampio e poliedrico che China sta elaborando dormendo. Ci mette dentro di tutto a conferma di quanto sia stata turbata e disturbata durante la sua infanzia da queste dinamiche psicofisiche. Ci mette anche la soluzione di tanto trambusto esistenziale e sessuale: sono cresciuta e diventata donna pienamente consapevole e autonoma. Del maschio non ha più angoscia e tanto meno del coito, resta soltanto la giusta ansia tra il senso e il sentimento, la libido e l’amore.

Mi sono così diretta verso casa finalmente con una certa serenità perché ormai ero quasi arrivata…e il sogno è finito.”

China si è ricompattata, ha razionalizzato, crescendo, il suo universo psicofisico femminile nel versante sessuale e materno. La “casa” rappresenta la sua psiche e il patrimonio acquisito nella sua esistenza: “finalmente”. Ad maiora, semper!

Salvatore Vallone

Il giardino degli aranci, 25, giugno, 2023

LA FRITTATA DI CRAPA PELATA

Mentore,

mentitrice,

donna di tanta fede,

meretrix,

femmina insanguinata,

matrix,

bella frittata di crapa pelata,

rimatrix,

vaja con dios me amor,

tu che conosci il mio dolore

e ancor cerchi una fede,

tu che lasci dondolarti sulla consolle dell’Italo

o sulla sguainata freccia rossa di Vladimir,

o domina che insegui i fantasmi del passato,

quelle trappole infernali del pope Cirillo

che per tanto tempo han funzionato anche in Paradiso

quand’eri con la tua donna,

là dove io nun vurria gire senza di te

perché non poderei gaudere

istando da Lei diviso,

senza di Ella nun vurria trasiri,

ma, se nun trasu, nun nescio,

non so e non saprò mai

lu godimentu di un campo di grano ancora verde,

la poesia di un odio gentile come Giocasta la casta,

niura comu la fami di marzu e d’aprile

tra i rovi amorosi dai fiori bianchi delle drupacee

orgogliose sui muretti a secco dell’ameno Karancino,

guardami dal maligno ancora in boccia,

preservami il bieco mediatico

che più benigno non si puote

per i tempi che sono e che verranno,

per omnia saecula saeculorum.

Amin.

Salvatore Vallone

Il Giardino degli aranci, 29, 05, 2023

SOLSTIZIO

Solstizio,

sol stat,

sto stas, steti, statum, stare.

Fermati, o frate sole,

ho gridato,

anch’io sto,

anch’io risto,

io mi fermo qui,

qui con te,

qui dove vivi tu,

dove c’è sempre il sole,

il sole,

il sole nel cielo,

in mezzo al mare,

il mare nel cielo,

il cielo azzurro nel sole arancione,

il mare verde nel sole giallo,

dove ci sei tu,

tu che cucini le lasagne al ragù

in ricordo della pasta con la salsa della mia adorata mamma,

una pasta fritta e rifritta la sera del dì di festa

e non solo per me e Silvia,

la pasta al forno con le melanzane e le polpette,

la mortadella e la provoletta a forma di caciocavallo.

Eh, cosa succede?

Ahi, ahi, ahi,

an’ammazzatu cumpari Turiddru!

Aveva fatto becco Alfio con donna Lola,

ma Alfio lo ha mandato in paradiso.

Erano amanti.

Ora Turiddru, il masculu, non vuole entrare senza la sua Lolita,

Lola,

pardon,

quella Lola

che sa ancora di latte nelle poppe

e porta la camicia bianca e rossa

come una ciliegia turgida dell’Etna focosa,

il Mongibello,

u Muncibbeddru,

quella Lola che si affaccia al balcone bombato di ferro barocco

e atteggia la bocca al sorriso malizioso della piana di Catania

e non al riso sguaiato della pianura padana.

O Lola,

sia beato

chi ti da il primo bacio

in sul mattino e sul far della sera,

anche nel dì di festa,

o Lola,

sulla tua soglia è sparso il sangue amaro di Salvatore,

il compare infido di Alfio il selvaggio,

u sarbaggiu.

Che me ne importa a me,

ah, ah,

ah, ah,

se muoio ucciso da un carrettiere cafone,

io speriamo sempre che me la cavo,

e se muoio

e vado in paradiso

e non La trovo quella madonna angelicata,

io manco ci entro

e torno giù,

giù da Lola,

donna Lola.

Salvatore Vallone

Hàrah Làgin, ( il Giardino degli aranci ), 21, 05, 2023

“SO CHE SARO’ FELICE”

TRAMA DEL SOGNO

Ero in un grande piazzale, che poteva essere quello di un’area di servizio autostradale, ma molto più ampio. C’erano molte corsie di entrata e uscita e ne imboccavo una in automobile.

Le altre automobili mi venivano incontro in senso vietato, ma non avevo alcun timore, ero molto sicura e mi sentivo davvero bene, contenta di intraprendere un viaggio.

Di colpo ero a piedi, camminavo su una passerella sopraelevata che portava alla fermata di un tram. Una fiumana di gente mi camminava incontro, ero l’unica a procedere nella direzione in cui procedevo.

Avevano tutti una faccia allegra, nessun muso lungo e anch’io ero in pieno benessere. Tutte le persone che vedevo mi sono sconosciute nella realtà.

Arrivavo in un grande bazar al coperto, molto simile a quello di Istambul, colmo di uomini di diverse età. In questo clima di piacevole caos mi viene voglia di farmi toccare il seno e mi ritrovo a petto nudo davanti ad uno specchio.

Ho il seno gonfio, non più grande di come è di fatto, ma più gonfio, come prima che vengano le mestruazioni. Lo prendo tra le mani e stringo, mi dico che ho delle belle tette, guardo i capezzoli e sono belli, fiorenti.

Sento il bisogno di farmi toccare il seno e un uomo sconosciuto lo prende tra le sue mani e lo stringe. Non lo accarezza, lo stringe, ma senza farmi male.

Nel sogno vivevo questo gesto come molto eccitante, ma non esclusivamente in senso sessuale, proprio in senso vitale. Mi sentivo bene, molto bene, come quando sai che sarai felice.”

Berenice

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Ero in un grande piazzale, che poteva essere quello di un’area di servizio autostradale, ma molto più ampio. C’erano molte corsie di entrata e uscita e ne imboccavo una in automobile.”

Berenice è in attesa, attende con una buona disposizione e una altrettanto buona disponibilità, è socialmente sicura di sé, si offre all’altro e agli altri: “ero in un grande piazzale”.

La sua offerta è variegata e va dalla relazione banale alla relazione significativa, dal lavoro all’affettività, dalla seduzione alla sessualità: “area di servizio autostradale, ma molto più ampio”.

La precisazione arriva nella predilezione dell’offerta erotica: “molte corsie di entrata e uscita e ne imboccavo una in automobile”. Berenice è orgogliosa e sicura di sé, del suo portamento e delle sua azioni e in specie quelle intese alla seduzione accattivante. Berenice calza bene il suo corpo e associa una valida consapevolezza del suo essere femminile: donna e domina.

Le altre automobili mi venivano incontro in senso vietato, ma non avevo alcun timore, ero molto sicura e mi sentivo davvero bene, contenta di intraprendere un viaggio.”

Berenice è cresciuta e si sente sicura e affermata, decisa e consapevole delle sue doti e delle sue abilità, del suo essere femminile e del suo portamento. Berenice è particolarmente sensibile a cogliere le trasgressioni e a proiettarle negli altri. In ciò dimostra un “Super-Io” consistente anche se non tirannico: “le altre automobili mi venivano incontro in senso vietato”. A tutti gli effetti Berenice è una donna emancipata e non moralista e tanto meno bigotta: “non avevo alcun timore”. Conosce il mondo e le cose del mondo al punto di accusare un benessere nella deroga e nell’innovazione, nella trasgressione e nella competizione, nella seduzione e nell’esercizio della “libido”. La vita l’attrae e sta bene nel suo corpo: “contenta di intraprendere un viaggio”.

Di colpo ero a piedi, camminavo su una passerella sopraelevata che portava alla fermata di un tram. Una fiumana di gente mi camminava incontro, ero l’unica a procedere nella direzione in cui procedevo.”

L’originalità è un’altra dote di Berenice. La donna va controcorrente, è innovativa, non è banale e tanto meno convenzionale. La realtà l’attrae e la concretezza la contraddistingue nel viavai dell’esistenza sua e altrui. In questo tragitto vitale tiene banco ai suoi compagni di viaggio e si distingue per la sua unicità psicofisica: “l’unica a procedere nella direzione in cui procedevo”. L’altolocazione dell’Io si manifesta chiaramente anche nel camminare “su una passerella sopraelevata”. La “fermata del tram” introduce un “fantasma di morte”, un’istanza depressiva di perdita, ma ancora il sogno non dice dove vuole andare a parare e a chi si rivolge, anche se il fantasma appartiene alla proprietaria del sogno, Berenice per l’appunto.

Avevano tutti una faccia allegra, nessun muso lungo e anch’io ero in pieno benessere. Tutte le persone che vedevo mi sono sconosciute nella realtà.”

Niente di depressivo, dietrofront! Anche se il “tram simbolicamente non promette nulla di buono, tanto meno di allegro, Berenice si trova “in pieno benessere” insieme ai suoi simili che sono dissimili nel corpo e nella mente, nella persona insomma. Berenice conferma la sua individualità irripetibile calata nella socialità, tra la gente anonima e affratellata nella condivisione della quotidianità. Mi ripeto. Berenice sta bene tra la gente e con la gente e ama distinguersi dalla massa.

Arrivavo in un grande bazar al coperto, molto simile a quello di Istambul, colmo di uomini di diverse età. In questo clima di piacevole caos mi viene voglia di farmi toccare il seno e mi ritrovo a petto nudo davanti ad uno specchio.”

Al “tram” Berenice reagisce introducendo con piena consapevolezza “il seno”. Al “fantasma di morte” subentra un “fantasma di vita”. Del resto, Eros e Tanatos vanno a braccetto anche in questo “grande bazar al coperto di Istambul” tra maschi mediterranei particolarmente appetiti e ben disposti alla seduzione nelle note erotiche del vangelo di Berenice. “Il “seno ha una ambivalenza simbolica nel coniugare la “libido” nella versione erotica ed affettiva. Il seno è buono perché nutre ed è particolarmente sensibile al piacere, è erogeno nel mantenere la vita e nel vivere la vitalità. Oltre ad essere particolarmente seduttivo anche per questa naturale ambivalenza, il seno racchiude una componente narcisistica e fallica, potere e bellezza. Il “caos” è “piacevole” soprattutto perché il seno è complesso nella sua fenomenologia, coniuga istanze erotiche e affettive con naturalezza e senza imbarazzi di sorta. Berenice sa e appare particolarmente disinibita con i maschi, “gli uomini turchi di diverse età”. Berenice conosce bene il suo corpo e sa come gestirlo in mezzo alla gente: “mi ritrovo a petto nudo davanti a uno specchio”.

Ho il seno gonfio, non più grande di come è di fatto, ma più gonfio, come prima che vengano le mestruazioni. Lo prendo tra le mani e stringo, mi dico che ho delle belle tette, guardo i capezzoli e sono belli, fiorenti.”

Questo capoverso onirico segna il trionfo della “posizione fallico-narcisistica” proprio con la sua istanza a piacere e a piacersi, autocompiacimento. In particolare è la valenza estetica a manifestare la pulsione erotica: prima la bellezza e dopo la funzionalità erotica e sessuale. “Gonfio” contiene lo stesso potere di una erezione prepotente e affermativa. Lo prendo tra le mani e lo stringo” conferma l’eccitazione naturale che travalica nella sana masturbazione, Il senso del Sublime si manifesta nella bellezza e nella sensualità diffusa: “mi dico che ho delle belle tette, guardo i capezzoli e sono belli”. Il capezzolo rappresenta simbolicamente il potere fallico che non è da meno all’erezione maschile. Berenice dimostra una sua personale fallicità restando in un ambito squisitamente femminile e in questa posizione psicofisica richiama il mito di Afrodite, la simbologia fallico-narcisistica in versione femminile e “fiorente”.

Sento il bisogno di farmi toccare il seno e un uomo sconosciuto lo prende tra le sue mani e lo stringe. Non lo accarezza, lo stringe, ma senza farmi male.”

Berenice non è tipo da solipsismo masturbatorio, è una donna che ama relazionarsi e tanto e con tanta gente, è disinibita senza essere trasgressiva, ha una buona consapevolezza del suo corpo, vive bene la sua “libido”. In questo contesto onirico Berenice inventa il suo “uomo sconosciuto” che sa ben dove mettere le mani e come muoverle. La protagonista conosce i suoi bisogni e le sue pulsioni “anali” senza che queste ultime tralignino nel dolore e tanto meno nella violenza. Quel tanto che basta per sentire appieno la vitalità delle sue belle tette. Il suo maschio non è effeminato, ma deciso e volitivo. Questo è il modello maschile di Berenice. “L’uomo è sconosciuto” perché simbolicamente più eccitante nel suo essere trasgressivo. Si conferma il seno nella valenza erotica e sessuale. Il simbolismo affettivo non compare in questo frangente del sogno. Il quadretto è delicato nel suo erotismo diffuso.

Nel sogno vivevo questo gesto come molto eccitante, ma non esclusivamente in senso sessuale, proprio in senso vitale. Mi sentivo bene, molto bene, come quando sai che sarai felice.”

Nella chiusura del sogno Berenice riflette e commenta bene nel cogliere il diffuso benessere psicofisico che ha vissuto dormendo. E’ questo il classico sogno di una persona che sta bene perché si vive bene e soprattutto “in senso vitale”, corpo. Berenice ha una buona carica di “libido” che dispensa in sogno a testimoniare di un futuro prospero e di un avvenire felice: “eudaimonia” ossia “avere un buon demone dentro”. A chiosa metto in evidenza la coscienza di sé, l’auto-consapevolezza di una donna cresciuta bene con se stessa e con gli altri.

Averne di Berenice in questo mondo particolarmente ambiguo e arruffone.

U TUPPU

U tuppu tuppa,

senza tuppu nun si tuppa

picchi u tuppu s’antuppa.

A vecchia co tuppu si tuppa,

s’intrippa e s’intruppa

com’a lupa c’allappa e c’allippa.

A picciotta senza tuppu nun si tuppa,

a picciotta co tuppu allippa,

ma nun allappa.

Il poeta è un rigattiere,

uno squallido merciaiolo,

un trovatore da art de trombar,

uno squallido trombatore,

un provenzale che ha letto tanto,

uno squallido lettiere,

un troviere cavalleresco a cui nulla osta,

cui nihil obstat,

neanche un ergastolo ostativo e non,

perché il poeta è un furtivo ladruncolo,

un sussurratore che usa le parole degli altri,

un ladrone che preleva da un vecchio bancomat verbale in disuso,

un accalappiatore che acchiappa il già detto per ridirlo,

un Ali Babà che dice quello che si può sempre ridire

perché è stato detto,

il già detto che non è il già visto,

è il già sentito,

il deja entendu nei vicoli sdirupati di Calascibbetta,

nelle trazzere sdurrubbate e polverose di Spacafunnu,

nei Superconvenienti di Mariastella la zozza,

nei Centri ecologici per la raccolta del cibo avariato.

A proposito, o poeta vate di Montpellier,

ricordami di comprare

un panino allo sgombro della ditta Drago da Giuseppe,

gli affastellati affumicati della Frishies per l’amata Gianna,

i biscotti integrali del Mulino bianco per Salvatore,

ricordami di fare il solito pellegrinaggio al Lidl,

di comparare gli orologi dalla cinesina senza culo e con le tette grosse,

prendere i noccioli da Marchetto di Belvedere,

di degustare lo gyogurth di Gianfranco da Lucia la santa.

E intanto,

mentre non te ne accorgi,

ohi, ohi, ohi,

vardè tosati,

prima spaccano l’atomo,

ahi ahi ahi, che dolor,

e poi lo sposano con la picciotta senza tuppu.

Viva, viva, viva gli sposi

e a matri che allatta e alletta co tuppu e senza tuppu.

Viva la mamma,

viva le figlie della lupa fascista,

le giovani donne di Cecco degli angeli,

quelle che tuppano senza tuppu,

les filles de Francoise la francese ardita,

pelle e ossa sotto il maglione nero alla dolce vita.

Viva, viva l’olio extravergine d’oliva,

tassato dal pizzo pazzo di Matteo il brigante

che tuti i vol e nisuni lo cioe,

che tutti lo cercano e nessuno lo trova.

Che vergogna questo tuppu intuppatu in mezzo alle cosce!

Destati Sicilia e giù botte da chiaroveggenti con l’Etna!

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 19, 01, 2023

MA L’AMORE NO – ATTO SECONDO

Ma l’amore no, l’amore mio non può

disperdersi nel vento con le rose,

tanto è forte che non cederà,

non sfiorirà.”

Le rose al vento,

la rosa scarlatta,

le rose hanno le spine,

la rosa s’incarna,

la rosa è anche rossa.

Ma cos’è questa rosa?

Cos’è questa rosa

che deve disperdersi nel vento insieme all’amore?

Questa rosa così forte non perderà i petali,

non invecchierà lentamente fino a morire,

resterà viva,

sempre viva,

è eterna e onnipotente,

omnia potest

perché questo amore è mio,

è il mio amore,

quello di un uomo che ama una donna,

ama la rosa,

ama la sua rosa.

Ma tutto questo non è amore.

Il vento soffia e nevica la frasca,

ma le rose non sfioriscono,

la rosa bianca,

la rosa gialla,

la rosa rossa,

la rosa nera,

la rosa scarlatta,

la rosa mulatta,

la rosa rosata,

la rosa.

Io, tu e le rose.

Quante rose attorno a noi

che ammicchiamo e accattoniamo,

che odoriamo e slinguazziamo.

Finalmente un po’ di coraggio!

Sursum corda,

animo ragazzi,

in alto i calici,

andiamo alla conquista delle rose.

Rosa dolze e aulentissima

c’apari in ver la state,

le donne ti desiano pulzelle e maritate.

Forte è la focora

che spinge il testosterone

verso la Botanica simbolica di una donna d’amare.

Ma tutto questo, oggi, non è amore.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 20, 08, 2022

AL MARE

Domani andrò al mare.

Domani ti telefonerò.

Al mare tutti telefonano ogni giorno.

Al mare tutti telefonano a tutti sempre.

Io non voglio essere da meno.

Al mare tutti telefonano.

Io non sono diverso.

Al mare tutti telefonano a tutti.

Io domani andrò al mare.

Io domani ti telefonerò dal mare.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 02, 09, 2022

CANTO D’AMORE ARABO

Voglio proprio te,

voglio che tu diventi mia moglie.

Ora che sei diventata l’amata del mio cuore

vai a prendere gli anelli,

o sposa di tutte le spose.

Ho annunciato alla famiglia

che tu sei l’amata del mio cuore.

Voglio che tu sia la mia passione e la mia follia,

per me dolcissima,

o amata del mio cuore.

Voglio fare per te un corteo nuziale.

Non mi bastano i sospiri

per te che sei tutta delicatezza e leggerezza,

o amata del mio cuore.

Voglio farti camminare su fiori,

voglio cantare di te,

voglio che tutti parlino di te,

o amata del mio cuore,

tu che sul mio cuore riposi,

tu che accresci la mia felicità

e sotto le miei ali dormi.

Traduzione di Bruna Gelardi

Siracusa, 20, 08, 2022