IL SOGNO INQUIETANTE DI MARION

“Salve dottor Vallone,

sono Marion e ho questo sogno da analizzare.”

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Il mio ex marito era seduto dentro un locale, presumibilmente con gli amici e in attesa di mangiare.

Quando l’ho notato, sono scappata su per le scale perché mi ha ricordato il suo essere violento con me.

Ma lui mi ha seguita e raggiunta.

Io ho gridato, ma lui aveva un’aria pacifica come se volesse chiedermi scusa per tutto il male che mi aveva fatto in passato.

Poi, mi ha fatto vedere la foto di sua figlia (noi non siamo riusciti ad avere figli insieme) e mi ha chiesto consiglio sul da farsi con l’attuale moglie.

Lui la vorrebbe lasciare, ma io gli ho consigliato il dialogo.

In seguito mi ha riferito che il problema erano le continue liti con la malvagia sua madre.

Io gli rimprovero il fatto che anche con l’attuale moglie sarebbe finita male se per l’ennesima volta avesse fatto prevalere sua madre.”

 

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

 

CONSIDERAZIONI

 

Il sogno di Marion tratta un tema delicato e tragico e, purtroppo, sempre attuale, anzi attualissimo: la violenza dell’uomo sulla donna, quello che oggi si definisce con un termine orribile, crudo ma vero, “femminicidio”, “uccisione della femmina o dell’essere psicofisico femminile” al di là di qualsiasi connotazione relazionale: madre, moglie, compagna, amica, sconosciuta  o altro. I dati statistici dicono che viene uccisa una donna al giorno soprattutto da uomini che condividono o hanno condiviso una relazione significativa. La prevalenza del crimine si attesta nella rottura del rapporto di coppia da parte della donna. Gli stessi dati statistici non ci possono dire quante donne subiscono violenza nel quotidiano vivere “intra moenia et extra moenia”, dentro le mura domestiche e fuori dalle mura domestiche. Sono talmente tante queste donne che inducono a formulare una “psicopatologia individuale e collettiva”, una “malattia storica e culturale”, ma soprattutto una “psicopatologia dell’universo psichico maschile”.

Il sogno di Marion è un singolo campione molto significativo che contiene una sofferta verità personale che consentirà di approfondire il tragico fenomeno psichico della degenerazione della “misoginia”, “avversione e odio nei riguardi delle donne”,  e di ricercarne “l’eziologia”, “l’origine” del male individuale e collettivo.

Il sogno di Marion coinvolge tutte le donne, consente di fissare assunti di base e di ribadire regole di comportamento dopo aver capito al meglio le psicodinamiche in cui questo tragico fenomeno coinvolge la donna sin dal suo primo manifestarsi.

Il sogno di Marion è un piccolo capolavoro di psicopatologia dinamica dell’uomo violento, del “misogino assassino e criminale”.

Il sogno è discorsivo e raccontato con estrema semplicità e senza sofisticazioni da parte dell’”Io” narrante ed è importantissimo per i risvolti clinici e psicopatologici, nonché per le diffuse psicodinamiche e per i simboli che esso contiene.

Il titolo “Donne! Attente al lupo!!!” non esime gli uomini e gli altri soggetti chiamati in causa, le madri e i padri, a tirarsi fuori dalle responsabilità psichiche e psicopatologiche.

Dopo queste delucidazioni procedo con la decodificazione del sogno di Marion e con il prelievo eziologico e psicopatologico, delle “radici e delle cause, nonché della malattia psichica”.

 

SIMBOLI ARCHETIPI FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

 

“Il mio ex marito era seduto dentro un locale, presumibilmente con gli amici e in attesa di mangiare.”

 

Il sogno di Marion propone immediatamente il coinvolgimento della sfera affettiva e dell’esercizio della stessa nella coppia: i simboli sono l’“ex marito” e il “mangiare”. Il tempo evocato da “ex” è il passato prossimo o recente.

Il “locale” e gli “amici” condensano la sfera sociale e la dimensione relazionale. Marion ha vissuto il suo “ex marito” come anaffettivo, incapace di amare e tendente a compensare la sua deficienza affettiva con un’immagine sociale gratificante e molto apprezzata nel giro degli amici e dei conoscenti: una “traslazione” difensiva dagli affetti costituiti agli affetti sociali. Il “cibo” evoca un “fantasma orale” la cui formazione risale al periodo successivo alla nascita, precisamente alla “posizione psichica orale”. Tale “fantasma” richiama necessariamente la figura materna con il relativo “fantasma” scisso nella “parte buona” e nella “parte cattiva”, tecnicamente il “seno buono” quello che nutre e che ama e il “seno cattivo” quello che odia e uccide. Questa è la traduzione comprensibile della rudimentale percezione psichica di un bambino di quattro mesi.

“Aspettavano” è la “proiezione” dell’attesa di Marion di essere finalmente oggetto d’amore e di affetto da parte del marito, oggetto d’investimento di “libido genitale” ossia di essere in coppia con il suo uomo.

 

“Quando l’ho notato, sono scappata su per le scale perché mi ha ricordato il suo essere violento.”

 

Il sogno propone con delicatezza il trauma di Marion, l’essere stata oggetto di violenza psicofisica da parte del marito e la sua fuga nella “sublimazione” delle sofferenze e delle pulsioni difensive per restare con quest’uomo malvagio fino alla separazione: “sono scappata su per le scale”.

Il conflitto di Marion si è attestato nel dilemma di restare con lui o di fuggire da lui, nel conflitto struggente di continuare ad amarlo nella speranza di un suo ravvedimento o di difendersi in qualche modo dalla sua violenza psichica e fisica. La memoria di Marion conserva i traumi di questo stato di grande sofferenza perché i meccanismi psichici di difesa si sono limitati a una blanda “rimozione” per continuare a vivere. Marion ricorda i suoi traumi con dignitosa paura e quest’ultima si esprime in un sogno pacato ma drammatico dal momento che evoca, tappa dopo tappa, le psicodinamiche sfaccettate delle violenze subite. Marion ha le coordinate mentali di quello che le è successo, ma di quello che ha vissuto e le è rimasto dentro è ancora in cerca di comprensione: le mille emozioni, le mille paure, le mille speranze, le mille angosce implicite nella frase “Mi ha ricordato il suo essere violento.”

 

“Ma lui mi ha seguita e raggiunta.”

 

Ecco che immancabilmente si presentano in sogno le immagini ricorrenti di questa dolorosa psicodinamica tra marito e moglie: la donna che fugge e il maschio che la insegue e la raggiunge per farle violenza in ogni modo e a tutti i costi. Il quadro è condito delle angosce d’impotenza che si vivono nella realtà e in sogno quando non si sa sfuggire a situazioni di pericolo. Marion non ha digerito i suoi vissuti traumatici e non ha cicatrizzato le sue ferite psichiche. Ricorda ed elabora la persecuzione subita. In sogno si fa seguire e raggiungere perché ancora rivive queste tremende dinamiche relazionali, perché ancora non le ha adeguatamente razionalizzate e perché ancora non si sente ripagata di tutto il male che ha subito da quest’uomo e con cui non ha ancora chiuso i conti. Ripeto: Marion ricorda i vissuti traumatici del suo passato con il suo “ex”, ma non ha chiuso i conti con quest’uomo violento. La rievocazione è parzialmente liberatoria del senso d’impotenza e dell’aggressività difensiva che allora non sapeva e poteva esprimere, di quella giusta rabbia che nasceva dall’ingiustizia dell’offesa. La pulsione vendicativa è naturale per la nostra dimensione psichica neurovegetativa, istanza “Es”.

 

“Io ho gridato, ma lui aveva un’aria pacifica come se volesse chiedermi scusa per tutto il male che mi aveva fatto in passato.”

 

Ecco la difesa dal trauma: la reazione del gridare. Ecco l’inganno del desiderio: un uomo buono. Marion ha spesso pensato a un’immagine positiva del suo uomo e si è raccontata la storiella che tutto si ripara e tutto si ricostituisce al meglio e si è detta che tutto sommato suo marito è un uomo buono dalla “aria pacifica come se volesse chiedermi scusa”. Marion è una donna offesa nella dignità e nell’amor proprio e in sogno ha una pacata reazione con il desiderio di un’umana rivincita.

Nel sogno non ci sono simboli di difficile interpretazione, per cui si può decodificare quello che nel sogno è sotteso e sottinteso.

Degno di nota è il meccanismo psichico di difesa della “drammatizzazione secondo l’opposto” tra il gridare di lei e l’aria pacifica di lui. Il sogno sta riparando e reintegrando il trauma rievocandolo anche secondo il desiderio di riparazione di tanta offesa ingiustamente subita: “tutto il male che mi aveva fatto in passato”.

 

“Poi mi ha fatto vedere la foto di sua figlia (noi non siamo riusciti ad avere figli insieme) e mi ha chiesto consiglio sul da farsi con l’attuale moglie.”

 

Il trauma della violenza si evolve nel rimpianto della donna che non ha avuto figli e che non ha potuto realizzare la sua maternità. La frustrazione dell’esperienza psicofisica della maternità è evidente e l’averlo inserito in una parentesi, “(noi non siamo riusciti ad avere figli insieme)” lo evidenzia ancora di più, così come il rafforzamento del “noi” e “insieme” sa del dolore di Marion per il fallimento della sua coppia che non ha saputo e potuto evolversi in famiglia.

Si acuisce la sofferenza pacata di Marion nel constatare che lui ha avuto una figlia che il sogno mostra in foto per attestare un distacco emotivo difensivo, per evitare un coinvolgimento diretto e un ritorno del dolore.

A questo punto subentra una psicodinamica importante e degna di grande riflessione: la maternità mancata di Marion si trasla nel fare materno della “buona samaritana” che dopo aver subito tanto male si colloca come amorevole consulente in aiuto al “ritorno del sintomo” dell’ex marito. La “coazione a ripetere” è un meccanismo psichico normale ma che può degenerare nella perversione. Esso si attesta nella ripetizione difensiva dello schema psichico imparato e assimilato nel tempo dell’infanzia. L’ex marito accusa gli stessi sintomi “con l’attuale moglie”. Marion aspetta la sua rivincita, ma non è aggressiva, non sa difendersi dalla violenza maschile e da chi si avvicina a lei come agnello dopo essere stato in passato lupo. Questa è la psicodinamica della donna troppo buona e accondiscendente, poco affermativa e soccombente, una donna come una madre. Marion è diventata l’alleata materna dell’”ex marito”, ha fatto alleanza con il carnefice per difendersi dall’angoscia e dalla mortifera rabbia che ha nei confronti di chi l’ha colpita, umiliata e traumatizzata: “mi ha chiesto consiglio sul da farsi con l’attuale moglie.”

 

“Lui la vorrebbe lasciare, ma io gli consiglio il dialogo.”

 

Si ripresenta puntuale quello che a lei è mancato, il dialogo di coppia. Marion consiglia il suo “ex marito” di dialogare con la sua “attuale moglie” per salvare la nuova coppia e la famiglia. Marion proietta il suo desiderio e il piano strategico che non ha potuto istruire per inadempienza del marito. Quest’ultimo ripete lo schema della violenza e ripete la storia già vissuta della  rottura e della separazione. “Il dialogo” consigliato da Marion si attesta nella dialettica di coppia che disocculta se stessa, nella ricerca di una verità condivisa e nella ricerca di una compatibilità psichica e umana.

Marion è convinta che il “lasciare” la nuova donna non è la soluzione giusta e vuole riparare con il “consiglio” che non ha potuto applicare a suo tempo alla sua coppia.

 

“In seguito mi ha riferito che il problema erano le continue liti con la malvagia sua madre.”

 

Marion riattraversa pari pari in sogno la sua storia e propone la verità psichica e psicopatologica dell’”ex marito”, un uomo legato in maniera psicopatologica alla madre, lo psicodramma di un figlio debole e di una madre possessiva, di un figlio dipendente che dà alla madre il potere di interferire nella sua vita di coppia e nella sua famiglia. Questa è la degenerazione della “posizione edipica”. Marion aveva un marito rimasto “figlio-bambino” non emancipato dalla figura materna, non evoluto in uomo e soprattutto non cresciuto in autonomia psichica. In sogno Marion attribuisce all’”ex marito” la psicodinamica di un figlio buono e di una madre cattiva, di un uomo maltrattato da una madre malvagia. Marion fa la sua diagnosi e assolve il suo “ex marito” scaricando le responsabilità di lui sulla madre perversa.

Al di là del sogno di Marion, questa è una psicodinamica diffusissima che produce sofferenze e tragedie: un “figlio-bambino” precario a tutti i livelli,  un uomo ostile e violento con le donne con cui si relaziona a causa di una madre “malvagia” che lo ha castrato e dominato e che ancora lo tiene in pugno.

La “proiezione” difensiva del “malvagia” nei confronti della madre è evidente: malvagio è proprio il figlio nel sogno e nella realtà. Marion tenta ancora di assolverlo nonostante i danni subiti. Da notare che “madrenatura” ha dato una figlia a un uomo che con l’universo femminile non sa come muoversi, ma sa soltanto come muovere le mani e la voce.

 

“Io gli rimprovero il fatto che anche con l’attuale moglie sarebbe finita male se per l’ennesima volta avesse fatto prevalere sua madre.”

 

Marion proietta la sua diagnosi e la sua terapia: colpa dell’”ex marito” che fa “prevalere” la madre e le sue volontà nella nuova coppia e nella nuova famiglia, come a suo tempo aveva fatto nella sua coppia.

Si tratta della “proiezione” e della “traslazione” in tutto e per tutto del suo caso.

Resta il problema della violenza sulle donne e sulla mancata emancipazione degli uomini dalle madri, le madri castranti e seduttive che non liberano i figli ma li lasciano impaniati nelle spirali perverse di una relazione di seduzione di potere per i loro bisogni psicopatologici. Resta il problema dei padri deboli e inetti che non sanno intervenire in maniera costruttiva nella relazione con i figli troppo legati alle madri.

Del resto, se non si supera la “posizione edipica”, non si matura la “libido genitale”, per cui questi uomini non riescono ad amare e portano nella coppia la gelosia e l’impotenza, una miscela psichica che scoppia nella follia omicida in evocazione del passato e dello struggimento dell’infanzia nei confronti del padre e della madre. La donna paga il prezzo tragico di una degenerazione psichica che la trova del tutto estranea nella causa.

La psicologia dell’uomo che uccide la donna o la moglie si attesta a livello profondo in una grave psicopatologia di natura e di qualità edipiche, nella confusione tra la donna e la madre, nella trasposizione del tremendo conflitto psichico irrisolto con la figura materna nella figura della donna o della compagna o della moglie. Quest’uomo rivive tutte le sofferenze e le angosce a suo tempo vissute nei confronti dei suoi genitori, confonde la donna con la madre e si compensa realizzando tutto quello che aveva a suo tempo desiderato, il possesso, la punizione e l’annientamento. Il sentimento dell’amore è costituito in quest’uomo malato dal senso del possesso, dal bisogno di punire e dal definitivo vittorioso annientamento.

Tornando al sogno di Marion si rileva che “per l’ennesima volta” si ripresenta la “coazione a ripetere”, la solita minestra, il meccanismo psichico di difesa che diventa patologico quando non si sa ricorrere ad altri meccanismi per risolvere i conflitti e i problemi a causa di una povertà di schemi psichici e culturali.

 

PSICODINAMICA

 

Il sogno di Marion riepiloga l’infausta psicodinamica del dissidio di coppia legato alla mancata emancipazione edipica del maschio e al ricorso alla violenza per via traslata nella donna. Il sogno presenta diagnosi, terapia e prognosi: la dipendenza dalla madre, l’emancipazione dalla madre, il dialogo con la propria donna.

 

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

 

Il sogno di Marion è elaborato in prevalenza dall’istanza “Io” sotto forma di racconto, riflessione e rievocazione durante il dormiveglia e con il ricorso alla memoria per la formulazione diagnostica e terapeutica dell’esperienza drammatica. L’istanza “Es” è presente nella pulsione della paura, “ma io ho gridato”, nel bisogno di vendetta o riparazione del trauma. L’istanza

“Super-Io” non si manifesta. E’ coinvolta la “posizione psichica orale” e in prevalenza la “posizione psichica edipica”: affettività e figura materna, conflitto con la madre e con il padre.

 

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

 

I meccanismi psichici di difesa richiamati dal sogno sono la “proiezione”, la “condensazione”, lo “spostamento”, la “traslazione”, la “coazione a ripetere”, la “alleanza con il nemico”, la “drammatizzazione secondo l’opposto”, il “ritorno del sintomo”, il “ritorno del rimosso”. E’ presente il processo psichico di difesa della “sublimazione della libido”: “scappata su per le scale”.

 

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

 

Il sogno di Marion evidenzia tratti psichici legati alla “organizzazione orale”: sensibilità affettiva. Non manca un tratto “genitale” nel desiderio di maternità.

 

FIGURE RETORICHE

 

Le figure retoriche richiamate sono la “metonimia”, la “metafora”: “cibo”, “scappare”, “scale”.

 

DIAGNOSI

 

La diagnosi parla di un trauma psicofisico continuo e continuato da parte del marito e dello strascico emotivo collegato.

 

PROGNOSI

 

La prognosi impone a Marion di ben valutare la situazione da cui è sfuggita e di rafforzare il suo essere soggetto di diritto e non figlia di un dio minore. Marion deve collocarsi alla pari nelle future relazioni affettive.

 

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

 

Il rischio psicopatologico si attesta nella collocazione psichica materna di Marion in un’eventuale relazione di coppia e in una caduta dell’affermatività paritaria per conservare i vantaggi secondari di una relazione.

 

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

 

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Marion è “2” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.

 

RESTO DIURNO

 

La causa scatenante del sogno di Marion, “resto diurno”, si attesta in una riflessione sulla sua situazione esistenziale o in un ricordo evocato da uno stimolo comunicativo.

 

CONSIDERAZIONI METODOLOGICHE

 

Il “sogno-storia” di Marion offre la possibilità di fissare a vantaggio di tutte le donne una serie di norme a cui attenersi qualora si vengano a trovare nella dura situazione di subire violenza da parte di un uomo o del loro uomo.

 

  • Mettere fra parentesi i sentimenti e non minimizzare la gravità della situazione: meglio esagerare piuttosto che essere ammazzate.

 

  • Non essere fataliste e non attendere il miracolo del “tutto passa e tutto si risolve”. All’incontrario bisogna agire con freddezza, cautela e intelligenza.

 

  • Superare il pudore e comunicare il disagio in sul primo manifestarsi alle persone che ritenete degne di voi, di capirvi e di potervi aiutare.

 

  • Non cedere assolutamente all’onnipotenza del farcela a tutti i costi e da sole.

 

  • Affidarsi a un Centro o a un Ente preposti al caso e non chiudersi in se stesse. Il supporto psicologico e psicoterapeutico lo trovate in queste strutture.

 

  • Non lasciarsi suggestionare da promesse tipo “non lo faccio più, perdonami”. Considerare adeguatamente le minacce e specialmente le più sottili, quelle psicologiche.

 

  • Convincersi che la psicodinamica dell’uomo violento ha radici lontane ed è una psicopatologia grave non legata alla vostra azione e tanto meno alla vostra responsabilità.

 

  • Essere fermamente consapevoli che non potete aiutare chi ha necessità di curarsi.

 

  • Per rafforzare la vostra azione difensiva, considerate l’importanza dei figli e di evitar loro traumi familiari.

 

  • Volersi tanto bene, agire con il buon senso e seguire anche i consigli che troverete da voi stesse cammin facendo.

 

  • Ricordare sempre che il corpo è tutelato dal Diritto naturale e dalla Legge ordinaria e che nessuno può usargli violenza. Al primo ematoma “112” o “113” è il numero giusto.

   

GIOVATTINO CONFESSA

LA LETTERA

Egregio dottor Vallone,

devo dirle che il sogno che le ho spedito quest’estate lo avevo composto da sveglio. Volevo vedere se lei se ne accorgeva e me lo interpretava come un sogno.

Lei lo ha interpretato e io mi pento di averla ingannata e non so neanche perché l’ho fatto.

Mi scusi tanto. Comunque lei è un grande.

Giovattino”

LA RISPOSTA

Devo ringraziare Giovattino perché mi dà la possibilità di chiarire e di approfondire alcuni punti fondamentali intorno al motore che elabora i sogni, il “Processo primario” con i suoi meccanismi e l’attività e la funzione della “Fantasia”.

Non sentirti in colpa Giovattino perché io non ti porto alcun rancore, tutt’altro!

Ma, adesso devi sorbirti la lezione teorica e devi comprendere bene quello che ti spiego, altrimenti all’esame ti boccio.

Ho sempre scritto che il sogno è un prodotto psichico più vicino alla veglia che al sonno: “resto notturno”.

Tu mi hai mandato un tuo prodotto psichico elaborato da sveglio e, quindi, l’interpretazione che ti ho fornito ci sta tutta e vale tutta.

Leggimi adesso con attenzione.

LA LEZIONE

Le ricerche sulla dimensione psichica inconscia e sulla funzione onirica hanno consentito a Freud di stabilire una relazione tra il “sogno notturno” e la “fantasticheria”, altrimenti detta “sogno diurno” o “sogno a occhi aperti”.

Inoltre Freud ha potuto definire la controversa e polivalente funzione della “Fantasia”. Quest’ultima è intesa come attività vigile e finalizzata all’appagamento di desideri consci e inconsci.

Il senso originario e il significato corretto della parola “fantasia” è il seguente: “fare apparire nella luce” o “mostrarsi attraverso la luce”, un “prender luce” dall’interno; questo richiamo all’interiorità della luce ingloba il senso e il significato del termine “allucinazione”.

Fantasia” equivale, quindi, a un “dare luce dall’interno” al proprio materiale psichico, a un “mostrarsi con la luce” e non a un generico “mostrarsi nella luce” o a un estrinseco “venire alla luce”.

L’etimologia mette in rilievo nell’attività della “fantasia” il fattore allucinatorio radicato nell’interiorità e derivante da un’energia psichica che si esprime nell’eccitazione dei sensi e che in tal modo si scarica e appaga.

Il “sogno diurno” o “sogno a occhi aperti” è la soddisfazione del desiderio, al di là dei limiti imposti dalla realtà: dialettica tra l’invadente “principio del piacere” e il restrittivo “principio della realtà”.

Nella formazione dei “sogni diurni” hanno una maggiore implicazione i meccanismi del “processo secondario”; i “sogni diurni” si presentano, infatti, come storie coerenti e strutturate secondo coordinate logiche e nessi plausibili.

Per quanto riguarda i contenuti, i “sogni diurni” attingono ampiamente a elementi e a vissuti dell’infanzia.

Le loro trame sono spesso riprese anche dai “sogni notturni” e forniscono lo scenario onirico e la possibilità della gratificazione allucinatoria di un desiderio.

Queste trame non si limitano alle fantasie più o meno compiaciute e coscienti della veglia, ma si estendono alla dimensione psichica inconscia, per cui buona parte di esse non raggiunge la “Coscienza” e contribuisce essenzialmente a dare i diversi contenuti al “lavoro onirico”.

Freud fissa con precisione l’inizio dell’esercizio di questa funzione nel progressivo inserimento dell’attività psichica nel “principio della realtà” e nel consequenziale ridimensionamento del “principio del piacere”.

La “fantasticheria”, altrimenti detta “sogno diurno” o “sogno a occhi aperti”, è l’espressione di un desiderio del presente che trova immediato riferimento nel ricordo di un’esperienza piacevole vissuta nel passato e pone l’intenzione progettuale di essere rivissuto nel futuro prossimo.

Prodotto della “fantasia”, la “fantasticheria” è costruita con elementi sottratti alla realtà in atto ed estrapolati non solo dal tempo e dallo spazio, ma anche dal loro proprio significato per essere messi al servizio di desideri più o meno coscienti.

La “fantasticheria” è, quindi, lo strumento attraverso cui si conferisce struttura e coerenza logiche a elementi fittizi e immaginari per costruire situazioni persuasive e convincenti, oltre che appaganti.

Essa è sempre allettante e gratificante, sia perché soddisfa allucinatoriamente desideri che nella realtà non possono essere riproposti e realizzati, sia perché produce una tensione e una valorizzazione specialmente quando si riferisce a pesanti frustrazioni vissute da compensare e a tristi ingiustizie subite da riparare.

La “fantasticheria” è, infatti, considerata dalla Psicoanalisi il contro-effetto di un desiderio inappagato attraverso cui l’emancipazione da pesanti situazioni oggettive avviene proprio liberando il desiderio, altrimenti represso e insoddisfatto.

Nella “fantasticheria” esiste una contaminazione tra presente, passato e futuro, in quanto si attinge dal passato un’esperienza rilevante nella vita psichica, la si associa a un desiderio presente e la si proietta nel futuro per la possibile realizzazione.

Le “fantasticherie” si articolano secondo una sofferta linea di sviluppo e ricercano nel loro versante estremo soddisfazioni immaginarie di desideri ambiziosi ed erotici; esse prosperano in maniera direttamente proporzionale agli impedimenti della realtà psichica e alle frustrazioni della situazione esistenziale in atto.

Anche quando non appaga il desiderio, la “fantasticheria” risponde all’esigenza di una sua legittimazione e favorisce al pari dell’ “abreazione catartica” una scarica emotiva di natura terapeutica.

La “fantasticheria” compensa anche in maniera abnorme quelle soddisfazioni che la realtà nega o ridimensiona; s’istruisce, in tal modo, un conflitto più o meno aspro tra il “principio della realtà” e il “principio del piacere”, tra le istanze psichiche associate dell’Io e del Super-Io e l’istanza pulsionale dell’Es.

La “fantasia” concepisce e ricerca il piacere fuori dalla realtà e dai suoi angusti limiti.

Questi “sogni a occhi aperti” si pongono come “resti diurni” ossia come il nucleo dei sogni notturni, il quale sviluppa i temi dei “sogni diurni” nelle condizioni in cui essi diventano fruibili per il “lavoro onirico”, quando le pulsioni sono libere di rappresentarsi e di appagarsi, sia pur nell’alterazione operata dai meccanismi deputati alla formazione del sogno.

Le “fantasticherie” possono essere subconsce o coscienti e non sono soltanto causa dei sogni notturni, ma anche dei sintomi nevrotici; esse si legano inequivocabilmente non soltanto alla cosiddetta normalità psichica, ma anche alla psicopatologia.

Questa attività fantastica è regolarmente frequente nei bambini, perché essi hanno facilità di accedere ai “processi primari” e di sottrarsi alla realtà e ai suoi principi, destituendo di concretezza e di peso i fatti e le evenienze reali a favore della gratificante soddisfazione delle pulsioni.

Come i sogni, le “fantasticherie” sono anche appagamenti di desiderio e si basano soprattutto sui vissuti dell’infanzia.

Esse sono creazioni che godono d’indulgenza da parte della censura dell’Io e del Super-Io; la loro composizione rivela che lo spunto del desiderio ha condensato e spostato in un nuovo insieme il materiale psichico originario.

CONGEDO

Caro Giovattino,

come hai potuto notare, le cose sono molto più complicate di quanto si pensa. Si possono interpretare anche le “fantasticherie”.

Meriti un ringraziamento e un regalo.

Per dimostrarti che il tuo tranello è stata l’occasione per approfondire i temi, ti

dedicherò la decodificazione della canzone dei Pooh “Uomini soli”, il prodotto culturale che ha vinto il festival di Sanremo nel 1990.

Lo troverai nei prossimi articoli del mio blog.

Cordialità

Salvatore Vallone

TRA MADRE E PADRE

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“Michele sogna di essere in canoa nel Gran Canyon.

Dopo si trova in albergo a fare le valige per tornare a casa.

Cammina lungo la piscina e viene morso alla caviglia da un cobra.

Il padre lo porta in ospedale dove viene curato.”

 

Michele riattraversa in poche e precise battute oniriche la sua “posizione edipica”, la sua relazione con il padre e con la madre: potenza di sintesi chiarificatrice del sogno! Questo riepilogo, di solito, avviene nel periodo contrastato dell’adolescenza, quando la liquidazione psichica delle figure genitoriali è ancora in fase evolutiva e il traguardo dell’autonomia è ricco di contrasti.

Andiamo a cambiare il codice al sogno di Michele: dal “contenuto manifesto” al “contenuto latente”.

La “canoa” rappresenta l’universo femminile rafforzata anche dall’acqua del fiume Colorado nell’Arizona settentrionale in cui Michele si trova. Ecco come il sogno serve la figura materna tra una canoa e l’acqua di un fiume! L’acqua rievoca il liquido amniotico del grembo materno in cui si forma la vita. L’acqua è il principio del “Tutto” secondo il primo filosofo, Talete.

La scena onirica si sposta “in albergo a fare le valige”: la valigia è un grembo materno, un simbolo ontogenetico di recettività femminile, l’archetipo “Madre”, finalizzata alla “filogenesi”, amore della Specie.

Michele deve fare le valige per “tornare a casa”, riappropriarsi della propria struttura psichica e della propria autonomia. La “casa” è il simbolo dell’organizzazione caratteriale, della “formazione reattiva” altrimenti definita carattere. La tensione di Michele è intenzionata alla conquista della propria indipendenza psichica.

I simboli materni non si fermano qui perché subentra “la piscina” lungo la quale Michele cammina.Nel riattraversare la figura materna Michele incontra il padre e ne sperimenta il rigore: la “castrazione” edipica è servita nel morso del cobra alla caviglia. Michele si imbatte nella furia paterna per aver tanto osato nei confronti della madre e automaticamente espia la colpa del suo desiderio di possesso: questo è il vero significato della “castrazione”. Il “cobra” è chiaramente un simbolo fallico e riguarda la sfera sessuale del padre e del figlio, l’identificazione al maschile nel padre e l’identità maschile del figlio. Il serpente condensa anche la colpa e il sapere di sé, la colpa e l’autonomia psichica. Il serpente tentò l’ingenua Eva nel giardino di Eden promettendogli proprio la fine della dipendenza e la consapevolezza di sé.

Perché il cobra morde Michele alla “caviglia”? Perché la caviglia è il simbolo del progresso evolutivo e questo tratto psichico è rappresentato dall’organo debole di Michele in questo momento della sua vita. Si pensi a Omero e all’Iliade, si pensi ad Achille, l’eroe vulnerabile soltanto nel tallone, la parte del corpo rimasta fuori dall’immersione nelle acque della palude Stige, invulnerabilità voluta dalla madre Tetide. Correva il secolo ottavo “ante Cristum natum” e i Greci allucinavano la loro “fantasia collettiva” elaborando miti o “sogni a occhi aperti”. Ritornando alla caviglia di Michele, è opportuno precisare che tutti abbiamo almeno un organo debole, quello che abbiamo vissuto in maniera sofferta e contrastata o per malattia o per “scissione”, la “parte negativa” del corrispondente fantasma.

Convergiamo sul sogno di Michele. “Il padre lo porta in ospedale dove viene curato.” Ecco puntuale l’epilogo giusto: il padre, che prima era stato condensato parzialmente nel “cobra”, adesso esce allo scoperto e soccorre il figlio. Diciamo meglio: il figlio si fa soccorrere dal padre stringendo alleanza con il nemico di prima e procedendo, nonostante la caviglia avvelenata dal cobra, verso la liquidazione della posizione edipica identificandosi nelle parti migliori della figura paterna e acquisendo l’identità maschile. L’adolescenza di Michele è in attesa di riconoscere il padre e la madre, il giusto epilogo del travaglio edipico.

La prognosi impone a Michele di proseguire il suo cammino verso l’autonomia psichica e di ridurre le turbolenze psicofisiche evolutive, classiche dell’adolescenza, semplicemente accettandole con il fascino del nuovo che avanza.

Il rischio psicopatologico si attesta nel blocco clinico dell’emancipazione edipica e nelle conseguenti psiconevrosi con somatizzazioni e nell’insicurezza ingiustificata assunta come compagna del viaggio esistenziale.

Riflessioni metodologiche:il sogno di Michele e la presenza del “cobra” induce a parlare della liceità e della bontà dell’esposizione della nudità dei genitori ai figli. Freud raccontò, in latino per uno strano pudore, la visione traumatica della madre nuda: “vidi matrem nudam”. In nome di un forzato senso della modernità sin dagli anni settanta i nuovi genitori hanno esteso, sulla scia della contestazione giovanile del ’68 e delle opere sociologiche di Marcuse e della scuola di Francoforte, la liberalizzazione sessuale anche in ambito familiare e in giusta opposizione al bieco moralismo culturale e religioso del recente passato. Era anche il tempo del progresso economico e dell’emancipazione femminile. L’innovazione dell’istituto familiare è proceduta in maniera oscillante, tra eccessi e carenze, tra nuovi schemi e antiche  nostalgie. La famiglia borghese soppiantava la famiglia patriarcale, ma portava i suoi pregi e i suoi difetti, come avviene in tutte le umane cose. Tra i punti labili si colgono alcune forzature nell’ambito psicologico. Se l’emancipazione sessuale e la questione femminile sono da sposare in blocco insieme all’educazione sessuale, l’esibizione del corpo in maniera gratuita ha procurato più guasti che vantaggi, dal momento che non è stato ben individuato se la nudità dei genitori fosse un problema dei genitori o un’esigenza psichica evolutiva dei figli. Specialmente durante il tormentato periodo edipico, la nudità dei genitori accentua i tormenti del desiderio psichico e fisico di possesso e favorisce l’incidenza del “fantasma di castrazione”. La bambina vive la sua diversità rispetto al maschietto e quest’ultimo vive la sua inferiorità rispetto al padre. Le implicazioni psichiche profonde sono tante e notevoli e non si riducono a quelle più semplici che ho in precedenza elencato, ma la prognosi vuole che la nudità dei genitori sia esibita con giudizio e con le giuste cautele e senza compiacimenti, in attesa che il senso del pudore e l’amor proprio si insinuino nei figli adolescenti. Domanda: quanto è bisogno dei figli vedere i genitori nudi? Quanto è bisogno dei genitori mostrarsi nudi? Spesso i bambini chiedono alla mamma di mostrare la sua intimità agendo direttamente le loro pulsioni edipiche. L’adolescente si chiede perché la sessualità non è materia di educazione familiare. Al fine di evitare conflitti nevrotici e ritardi nella risoluzione edipica, è auspicabile per i genitori riacquistare il giusto pudore maturato nell’adolescenza; il tutto anche al fine di evitare la presenza velenosa del “cobra” nel corredo dei fantasmi dei loro figli. In conclusione, consiglio la lettura del testo di Herbert Marcuse “Eros e civiltà”, un insegnamento ancora attuale e tanto utile.

LUI E LEI … LE FIGLIE E L’ALTRA

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“Gemma sogna di trovarsi con sua figlia di fronte a uno strano sentiero che bisogna percorrere.

Lei va per prima e incoraggia la figlia di fronte all’acqua; la figlia devia trovando la via.

Gemma, invece, barcolla e sta per cadere da uno scalino; poi vede uno strano essere e sceglie un’altra strada.

Finalmente arriva alla cassa, come se il percorso di prima fosse stato un supermercato.

Dietro di lei c’è lui, alto, e le dice che è venuto da lei, ma si rammarica di aver lasciato a casa la moglie e la figlia piangenti.”

Il sogno di Gemma propone un tema importante: l’innamoramento e l’amore,

un dilemma da districare tra gli affetti storicamente consolidati e istituzionalizzati e gli affetti in deroga e sensibili alla colpa.

La trama è semplice e i simboli sono significativi.

Questo sogno è stato fatto anche in dormiveglia su un vissuto in atto e altamente considerato:l’innamoramento. La valenza narrativa si alterna e a volte prevale sulla valenza simbolica.

Vediamo subito la decodificazione dei simboli e poi componiamo la psicodinamica.

Il “sentiero strano che bisogna percorrere” condensa l’ineluttabilità dell’esercizio del vivere e la ricerca della soluzione di un conflitto o la risoluzione di un progetto.

La “figlia” è l’affetto consolidato e la proiezione dell’altra parte di sé, quella che vuol conoscere, quella che vuol sapere.

L’”acqua” condensa l’universo femminile, le pulsioni neurovegetative e le emozioni profonde, gli affetti e la recettività sessuale, la madre e la donna. Gemma è una buona educatrice e incoraggia la figlia e se stessa a crescere e a diventare autonoma. La figlia o l’altra parte di sé è una brava scolara perché devia subito trovando la via: tutto questo è nei desideri di Gemma.

Barcollare e stare per cadere rappresentano il dubbio e l’induzione alla colpa, la tentazione e la crisi della coscienza morale, il richiamo alla trasgressione e la censura.

“Vede uno strano essere e sceglie un’altra strada”. Si tratta della parte emergente e nuova di sé, la parte non agita ma latente, il “non nato” che vuole nascere ma che fa paura.

La “cassa” rappresenta il “Super-Io”, la censura morale e l’espiazione della colpa: “il redde rationem”, il rendimi conto di quello che fai.

Il “supermercato” condensa la socializzazione e lo scambio, la relazione e l’opinione, la trattativa e lo scambio, la seduzione e la truffa.

“Lui” condensa la trasgressione e il desiderio, la pulsione e la seduzione, l’investimento della “libido” e l’oggetto dell’attrazione, l’oscurità subdola e clandestina.

Lui è “dietro di lei” ad attestare la volitività di Gemma, la sua sicurezza e la sua determinazione nel prendere ciò che vuole: una buona consapevolezza del suo valore globale.

Lui è “alto”, un piccolo dio, qualcosa di sacro, un padre eterno, un fascinoso Marcantonio, una figura autorevole e inarrivabile. Questa caratteristica fisica e simbolica, “alto”, viene attribuita al padre dalle bambine in piena fase edipica. Gemma ha qualche pendenza verso il padre, deve liquidare ancora qualcosa verso l’augusto genitore.

Lui “dice che è venuto da lei”: ottimismo e potere di Gemma nell’esporre il suo desiderio.

Il “rammarico” etimologicamente contiene il termine “amaro” per rappresentare il travaglio della consapevolezza e della scelta, il dolore della deliberazione e della decisione da parte dell’”Io” di agire il desiderio.

Del resto, ha “lasciato a casa la moglie e la figlia piangenti”, per cui la scelta non è indolore e spavalda, è dettata dalla consapevolezza sadica di nuocere agli affetti costituiti e conclamati.

Ricostruiamo il quadro narrativo del sogno.

Gemma s’imbatte in un’esperienza nuova di vita che non aveva pensato di poter fare e la sua premura va alla figlia: l’amore materno in primo luogo. Pur tuttavia, Gemma è decisa a seguire i suoi nuovi vissuti e incoraggia la figlia all’emancipazione dalla sua figura, una soluzione ai suoi sensi di colpa più che una “maieutica” evolutiva.  Gemma segue la sua pulsione e la figlia devia trovando la via. La madre è libera e pronta alla trasgressione nel momento in cui si libera dell’amore materno e sceglie se stessa.

Pur tuttavia, Gemma non è convinta di quello che sta vivendo e che sta facendo anche se è più forte della sua volontà. S’imbatte nella “parte negativa di sé” e si censura correggendo il tiro con un’altra soluzione. Si rende conto di quello che sta facendo e teme il giudizio della gente.

Ecco il “casus belli”, il conflitto di Gemma:  lui ha scelto lei, ma ha lasciato la sua famiglia in lacrime.

Il sogno attesta di una tentazione trasgressiva e dei conti da fare con il “Super-Io”, l’istanza psichica morale, un conflitto che arriva quando meno te l’aspetti e quando pensavi di essere sopravvissuta a certe esperienze. Non bisogna mai pensare di essere al di sopra di ogni sospetto e di ogni possibilità, così come non bisogna mai rassegnarsi di fronte al gioco del caso. Bisogna tenerlo sempre in considerazione e averne una piena consapevolezza perché la “rimozione” può non funzionare e il rimosso può ritornare con la forte esigenza di tradursi in esperienza concreta.

La prognosi impone a Gemma di valutare attentamente le ingiunzioni del “Super-Io” fino al grado di accettabilità e di convenienza e di deliberare e di decidere con piena consapevolezza in riguardo alla possibilità pratica e pragmatica. In questo severo compito la funzione mediatrice dell’”Io” è particolarmente importante per equilibrare il desiderio e la frustrazione.

Il rischio psicopatologico s’incentra nel sacrificio della “libido” ridestata e immessa in circolo. La frustrazione dell’energia vitale porta immancabilmente a una conversione somatica con una serie di disturbi collegati. Inoltre, la vanificazione del progetto di agire il vissuto sentimentale ed erotico risveglia il tratto depressivo.

Considerazioni metodologiche: il sogno di Gemma induce a riflettere

sul fenomeno dell’innamoramento e sui risvolti psichici che comporta quando avviene nella piena maturità e con situazioni personali e istituzionali affermate. Perché il marito o la moglie, il padre o la madre, il compagno o la compagna si abbandonano alle sensazioni e ai sentimenti dell’adolescenza, il periodo in cui si era “ignoranti” e “infanti” ossia senza esperienza e senza parole? Perché? Perché un uomo di cinquant’anni lascia moglie e figli con la semplice giustificazione del suo innamoramento per una trentenne? Perché una donna si perde irrimediabilmente per un altro uomo con la giustificazione che verso il marito non provava più niente? E perché..? E perché..? La casistica è tanta. Poche idee ma chiare sono necessarie a questo punto. Ci si innamora a una certa età per “fuga dalla depressione”. Di fronte alle frustrazioni personali e alle delusioni esistenziali scatta il meccanismo di difesa dall’angoscia della “regressione” a tappe gratificanti in riguardo agli investimenti della “libido”. Di fronte alle minacce della senilità e alla progressiva perdita di potere libidico, scatta il tratto depressivo che abbiamo incamerato sin dal primo anno di vita e che immancabilmente di tanto in tanto abbiamo ridestato e nutrito con le esperienze traumatiche della vita. Ecco che operiamo una fuga salutare difensiva dal presente con la regressione a tappe evolutive gratificanti ma vissute nella convinzione che si tratta di qualcosa di nuovo e d’inaspettato. In effetti si tratta di una soluzione inconsapevole dell’istanza depressiva che urge e chiede di essere curata. E allora? Allora bisogna sempre stare all’erta con l’autocoscienza, curarla gelosamente e sapere dove mi trovo e cosa possiedo. L’amore era per Schopenhauer una illusione ingannevole della maligna essenza dell’universo chiamata “Volontà di vivere”. Leggete a tal proposito il testo intitolato “L’amore”. Ma, al di là dei filosofi e delle personali convinzioni, il benefico “sapere di sé” evita disastri individuali e sociali, evita di fare del male a se stessi e ai figli in questo caso. L’autonomia psichica dà ed è disposta anche a non ricevere, è essenzialmente “genitale” ossia donativa. Non è sempre opportuno  immettersi nel circuito delle dipendenze affettive con la fasulla convinzione che si tratta del vero e grande amore della vita. Il vero e grande amore della propria vita deve essere in primo luogo il proprio sé. Per quanto riguarda innamoramenti celestiali e infatuazioni uniche si tratta di assolute minchiate inventate dai preti in vena di sballo o dal “Genio della Specie”, come diceva il grande Arturo.

IL TRAVAGLIO DELLA RINASCITA

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“Gregorio sogna di trovarsi in compagnia di una donna dentro una cabina a due posti e con vetrate e sospesa in aria sui binari.

A un certo punto Gregorio si è ritrovato fuori dalla cabina e la guardava dall’esterno e percepiva di dover fare un salto perché le rotaie finivano e la cabina sarebbe precipitata.

Infatti la cabina andava giù e Gregorio si sentiva sicuro, poi ha percepito che qualcosa non andava e ha avuto paura e subito dopo c’è stato lo schianto.

E’ caduto a terra a pancia in giù cosciente guardando la donna che era in sua compagnia. Ha sentito la testa come in una morsa tra la strada e la cabina, ma senza alcun danno fisico.

Subito dopo si è rialzato come se niente fosse successo chiedendo all’amica se stesse bene. L’amica aveva delle perdite di sangue nel viso, ma stava bene.”

 

Il sogno di Gregorio si presenta simbolicamente ben quadrato con le sue acrobazie aeronautiche o con i suoi voli da montagne russe del miglior lunapark di Vienna. Le condensazioni sono particolarmente significative e intessono la consueta psicodinamica edipica intessuta in maniera personale.

Procediamo con chiarezza e sintesi.

Gregorio si trova “in compagnia di una donna dentro una cabina a due posti con vetrate”. Si evince che questa donna è la madre dal fatto che la “cabina”, in quanto recettiva, rappresenta la figura materna, “a due posti” è un rafforzamento della coppia edipica, le “vetrate” esprimono  l’esibizione sociale protetta dei ruoli di madre e di figlio, l’essere “sospesa in aria” condensa il meccanismo psichico di difesa della “sublimazione”, i “binari” esprimono il senso della costrizione e della necessità naturale. Il “binario” esprime un “fantasma di morte” collegato alla figura materna, un’istanza depressiva di dipendenza e di perdita. Tirando le somme, Gregorio ha una relazione con la madre contraddistinta da dipendenza affettiva e il tutto secondo i dettami edipici della “sublimazione” ossia della nobilitazione desessualizzata del legame. Gregorio ha superato la tappa del possesso della madre e dell’odio verso il padre e si sta avviando verso la liquidazione della posizione edipica. Sognando si è portato la mamma in alto sublimandola e dentro una cabina lucida e trasparente a testimonianza della consapevolezza del suo “status” psichico e della qualità del suo legame.

“A un certo punto Gregorio si è ritrovato fuori dalla cabina e la guardava dall’esterno”; per accrescere la consapevolezza della possibilità del distacco Gregorio esce fuori dalla cabina, sempre in un dimensione sublimata, per capire il rischio psichico di mantenere la sua relazione con la madre in termini squisitamente edipici. Gregorio si autopartorisce, “percepiva di dover fare un salto perché le rotaie finivano e la cabina sarebbe precipitata.” Le costrizioni psichiche, le dipendenze dalla madre, le psicodinamiche dell’infanzia devono evolversi in un salto di qualità della relazione con la madre e della vita psichica. Si profila per Gregorio un’auspicabile maturazione umana, un distacco anche doloroso, le rotaie, ma necessario per crescere. Gregorio e la mamma devono precipitare perché i binari sono terminati con le costrizioni psichiche, Gregorio è cresciuto ed è pronto per trovare la dimensione giusta del suo rapporto con la madre. Il precipitare comporta una simbologia depressiva di perdita, dal momento che la dinamica è rischiosa e drammatica, ma include anche il simbolo della concretizzazione materiale della figura materna, il viverla così com’è, il “riconoscerla” secondo i dettami della Psicoanalisi.

“Infatti la cabina andava giù e Gregorio si sentiva sicuro, poi ha percepito che qualcosa non andava e ha avuto paura e subito dopo c’è stato lo schianto.”

In un primo tempo il distacco dalla madre avviene in maniera sicura, Gregorio è pronto a liquidare il complesso di Edipo. Di poi, subentra la vertigine della libertà e la paura che quest’ultima non traligni in solitudine. Lo “schianto” è il prezzo che si paga alla perdita del rassicurante passato e all’acquisto di una dimensione nuova e ambita, la realtà adulta; l’aspetto tragico dello schianto è legato anche al senso di colpa di aver rotto l’unità della diade madre-figlio.

“E’ caduto a terra a pancia in giù, cosciente e guardando la donna che era in sua compagnia. Ha sentito la testa come in una morsa tra la strada e la cabina, ma senza alcun danno fisico.”

La consapevolezza accompagna il “fantasma della rinascita” simbolicamente presente nel sentire “la testa in una morsa tra la strada e la cabina”. Gregorio elabora in sogno la simbologia di un parto travagliato “ma senza alcun danno fisico”. Interessante la scena onirica di Gregorio caduto “a pancia in giù” che guarda la madre “che era in sua compagnia”. La diade si è liberata dopo lo schianto. La pancia in giù attesta di una posizione fetale così come lo schianto attesta di un “fantasma di morte” depressivo o di una soluzione violenta alla perdita. In effetti, la caduta dalle montagne russe di Gregorio e della madre avviene in un contesto meno tragico rispetto al contenuto del simbolo.

A questo punto abbiamo la conferma del parto simbolico andato a buon fine: “l’amica aveva delle perdite di sangue nel viso, ma stava bene.” E per quanto riguarda Il figlio il sogno dice che “si è rialzato come se niente fosse successo”.

Il sogno di Gregorio dimostra come il riconoscimento della madre, fatto al momento giusto, sia impresa indolore, nonostante la scenografia acrobatica e la soluzione finale da ossa rotte. Nel sogno ci si può permettere acrobazie che nella veglia sarebbero tragiche. Gregorio era pronto e degno della sua autonomia: “fare legge a se stesso”.

La prognosi impone a Gregorio di rafforzare la sua emancipazione dalla madre e la sua acquisita autonomia rivolgendosi all’universo femminile con intraprendenza e sicurezza.

Il rischio psicopatologico si attesta nella “regressione” per bisogni affettivi o per il tralignare della libertà in solitudine e nella sintomatologia classica delle psiconevrosi edipiche: isterica, fobico-ossessiva e depressiva.

Riflessioni metodologiche: il sogno è ricordato,composto, raccontato. Da energia ribelle in piena elaborazione psichica nella fase del sonno R.E.M. viene progressivamente ridotto al risveglio in parole tranquille. In queste operazioni il sogno riceve un accomodamento emotivo e logico attraverso dei nessi che necessariamente non contiene perché non viene elaborato dai “processi secondari” e, quindi, è esente dalla consequenzialitàlogico-discorsiva. Di per se stesso il sogno è prossimo al delirio perché viene elaborato dai “meccanismi primari” o in maniera generica dalla “fantasia”, quella modalità funzionale della mente che da bambini o in sogno è assolutamente normale, ma da adulti e da svegli è delicata perché rappresenta il linguaggio delle psicosi o dell’arte, delle malattie gravi o del linguaggio creativo. Del sogno vero e proprio perdiamo la gran parte e la parte migliore, l’essenza, del sogno ricordiamo soltanto una minima parte e quest’ultima la riduciamo a congettura e a possibilità. Il sogno ridotto a storia e a psicodinamica, da “contenuto manifesto” a “contenuto latente”, non equivale al vero sogno, al sogno nella sua purezza e nella sua verità oggettiva. Quello che chiamiamo sogno, in effetti, può esser considerato un “sogno a occhi aperti” o a “occhi semichiusi” o a una “fantasticheria” da svegli elaborata. Pur tuttavia, il sogno resta sempre e in qualsiasi modo un prodotto psichico significativo che da dormiente ha più probabilità di essere profondo. Il sogno ricordato e accomodato è una traccia del vero sogno integro e profondo. L’interpretazione o la decodificazione è la ricostruzione archeologica di un reperto antico o lo studio di un fossile sopravvissuto al presente, dal momento che la psiche temporalmente si riduce a un “breve eterno”. Questo commento problematizza il sogno, ma conferma che è una “via regia di accesso all’Inconscio” o alla dimensione profonda, come voleva il padre della Psicoanalisi Sigmund Freud.

IL  RICONOSCIMENTO  DELLA  MADRE TRA  ANDROGINIA  E  SOPRAVVIVENZA

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“Anna sogna di trovarsi di notte in un luogo illuminato soltanto dal riflesso della luna.

Davanti a lei c’è un canale sommerso dall’acqua che straripa e allaga i campi.

Anna vede soltanto il riflesso dell’acqua, ma sa che ci sono le sponde sotto forma di muretti e che fungono da passerelle.

L’acqua scorre impetuosa e Anna cammina velocemente sopra il

muretto-passerella destro seguendo il flusso forte della corrente.

A un certo punto si rende conto che deve tornare indietro e per risalire il canale deve spostarsi a sinistra e poi saltare a destra: così di continuo. Comincia a saltare a sinistra e a destra e riesce a farlo bene. Per un tratto vede suo figlio che risale il canale insieme a lei, ma dopo non lo vede più.

Risale la corrente con l’angoscia di cadere dentro l’acqua e di annegare.

Ma vede che ce la fa facilmente e che è semplice e divertente saltare a  sinistra e a destra.

Anna è contenta e soddisfatta di se stessa.”

Si prospetta l’interpretazione di un sogno veramente funambolico, non solo a livello dinamico, ma anche a livello simbolico dal momento che le condensazioni sono precise e di vasta portata; alcune hanno una valenza di “archetipi”, sono simboli universali che vanno al di là dell’elaborazione  culturale e individuale, altre sono ad ampio spettro perché includono temi culturali e filosofici. Si tratta nello specifico dei simboli della “acqua”, della “destra”, della “sinistra”, della “luna”. E’, inoltre, sorprendente come il sogno di Anna riesca a camuffare la figura materna e la psicodinamica collegata all’universo femminile con una simbologia assolutamente naturale: “l’acqua” e la “luna”. I simboli sono attinenti per diversi aspetti e per alcuni attributi.

Il sogno di Anna si può definire “come riconoscere la madre” nella fase finale del complesso di Edipo e mostra la dialettica madre-figlia senza trascurare le paure e le angosce che si accompagnano all’emancipazione relazionale e all’autonomia psichica.

Il sogno contiene ancora una caratteristica importante che si può definire “come si risolve il complesso di Edipo in una dimensione di sopravvivenza”: una forma di onnipotenza nell’andare sopra la vita. ”L’acqua scorre impetuosa e Anna cammina velocemente sopra il muretto-passerella destro seguendo il flusso forte della corrente.” Il sogno di Anna è coniugato al femminile e, oltre al funambolismo, presenta i caratteri acrobatici della magia. “Anna vede soltanto il riflesso dell’acqua, ma sa che ci sono le sponde sotto forma di muretti e che fungono da passerelle.” Trattasi dell’illusione ottica di camminare sulle acque da parte di un eventuale ingenuo spettatore e della consapevolezza di Anna del sostegno determinante dei muretti. Inoltre, Anna,  per risalire il canale, “comincia a saltare a sinistra e a destra e riesce a farlo bene.” Questa è la potenza plastica della “figurabilità” del sogno che supera i limiti della fisica gravitazionale e fa gridare al miracolo. Quanto meno Anna in sogno si permette delle gesta ginniche che nella realtà sono molto improbabili.

Il sogno di Anna si può, in ultima istanza, definire nel suo oscillare a destra e a sinistra come la dialettica psichica tra la “parte maschile” e la “parte femminile”, altrimenti detta “androginia psichica”, che per la sua prima formulazione ci riporta al “Convito”, un delizioso dialogo del grande Platone datato quarto secolo “ante Cristum natum”. Vi invito a leggerlo e nel caso specifico si tratta della parte VI, il discorso di Aristofane.

Partiamo con l’analisi del sogno estrapolando i simboli dominanti. Il sogno si svolge “di notte” a testimoniare che la coscienza è obnubilata. Anna è in uno stato crepuscolare, in una dimensione interiore e intima: al tema del sogno, che di per se stesso sviluppa l’interiorità, si associa anche l’atmosfera psichica di abbandono al sonno e al sogno, di disimpegno dalle mille attività della giornata, di riflessione su se stessa. Non basta la notte a connotare la scena onirica, ma si aggiunge come rafforzamento la fievole e bianca luce del “riflesso della luna”. La “luna” è il classico simbolo dell’universo femminile e nello specifico del ciclo mestruale, ma condensa anche il fascino e la seduzione nelle espressioni più crudeli. Si pensi alla “licantropia”, al tema favolistico del “lupo mannaro”, al delirio legato alla visione della luna piena e all’angoscia innescata dalla luna nuova. Quando è luminosa, la luna non contiene la “parte negativa” del fascino e della seduzione femminile, quella che, invece, contiene la “luna nera”, la luna nuova, quella minacciosa e infida che si sa che è in cielo ma non si vede, quella che guarda dall’alto e si nasconde agli occhi atterriti del povero maschio. Questa fase lunare condensa la “parte negativa della donna” in quanto minaccia il maschio nella sua virilità con la sua seduzione subdola, castrante e addirittura mortifera. Si richiamano a tal uopo i miti in riguardo a Lilith, alle sirene, alle maghe, alle streghe, tutte figure femminili improntate a tremendo danno per l’universo maschile soltanto perché portano il maschio alla perdizione con le lusinghe carnali, con le magie psichiche, con la decerebrazione, con la malattia mortale e con l’asportazione traumatica del membro. Ovvio che questa cultura è stata elaborata dai maschi sin dal tempo antico, a testimonianza del terrore che incuteva la femmina, più che la donna, con l’angoscia di castrazione collegata alla recettività sessuale del suo corpo e soprattutto con l‘angoscia collegata alla prorompente sessualità, così diversa da quella maschile e così impegnativa per il maschio. Nel sogno di Anna la luna è luminosa, quindi è femmina e seducente e fa da degno contorno coreografico al teatro femminile in cui si svolge la psicodinamica. La notte e il paesaggio oscuro, inoltre, condensano la femminilità neurovegetativa, l’intimità, la seduzione, la caduta della vigilanza e della razionalità, la creatività, la fantasia, i meccanismi del “processo primario”, proprio quelli che elaborano il sogno.

Procediamo con l’analisi.

Davanti ad Anna c’è “un canale sommerso dall’acqua che straripa e allaga i campi”. Il “canale” nella  sua funzione di regolamentare l’acqua ha una valenza maschile di natura logica e impositiva, mentre l’acqua è un attributo simbolico dell’archetipo “Madre”. Il simbolo femminile dell’acqua è dominante nel sogno di Anna in maniera direttamente proporzionale alla sua forza e alla sua potenza. L’acqua è regolata dal canale in cui impetuosa scorre, ma straripa e allaga il territorio circostante. L’acqua è l’elemento classicamente associato alla vita per la fertilità della madre terra e per il feto che naviga nel liquido amniotico durante la gravidanza. Va considerato che la donna forgia la vita nel suo grembo secondo il registro biologico del sistema neurovegetativo ed endocrino. L’acqua rappresenta, inoltre, l’energia vitale, lo slancio vitale, la forza irresistibile della natura, il sistema neurovegetativo, la “libido” di Freud depurata in parte dalla valenza sessuale e arricchita di una valenza energetica, il principio cosmogonico del primo filosofo greco, Talete.

Simboli maschili sono il canale con gli argini che non si vedono e la “destra”.

Rappresentano la direttività e la razionalità legate all’universo maschile. Ma la femminilità del sogno è anche direttiva e precisa. Anna coniuga la parte fallico-narcisistica introducendo nel sogno la sua parte maschile introiettata quando da bambina si viveva in attesa che si evidenziassero i caratteri sessuali. Anna “vede soltanto il riflesso dell’acqua”, è attratta dalla sua femminilità e dalla figura materna sopra cui cammina nella parte destra e seguendo il flusso della corrente. Anna domina la scena ed è padrona della sua psicodinamica, dal momento che va verso “destra” e procede sicura sopra il muretto dell’argine del canale: ”sa che ci sono le sponde sotto forma di muretti che fungono da passerelle”. Va giù di corsa con impeto e sicurezza nel giostrarsi con la sua femminilità e con la figura materna. L’identificazione ha avuto buon fine ed è arrivata all’identità psichica femminile con quel tratto maschile di impeto e di sicurezza. Fino a questo punto la parte progredente del sogno.

“A un certo punto si rende conto che deve tornare indietro”. Anna ha la consapevolezza di aver osato tanto e deve rivisitare, più che regredire, le sue conquiste saltando a sinistra e a destra, da una sponda all’altra del canale. Anna torna indietro a rafforzare la sua identità per l’insorgere di una normale paura di se stessa e della sua sicurezza. Del resto, il sogno di Anna ha visitato la madre e adesso deve rassodare le sue conquiste. Il figlio l’accompagna, ma Anna non ha un conflitto con la sua maternità, per cui può lasciarlo e non lo vede più. Si è soltanto ricordata che anche lei è mamma come la sua mamma. Il saltare a sinistra e a destra vuole attestare la completezza dell’ essere umano nella “androginia psichica”. Ogni persona, al di là del suo sesso biologico, a livello psichico possiede ed esprime quelle che simbolicamente si definiscono “parte maschile” e “parte femminile”, la parte razionale e la parte emotiva, la parte affermativa e la parte remissiva, la parte fallica e la parte recettiva: attributi del corredo psichico ascritto simbolicamente all’universo maschile e all’universo femminile. Nel rivisitare se stessa Anna mostra in sogno tutta la sua umana consistenza, l’angoscia di cadere nell’acqua. La femminilità ha un peso e un costo per essere portata in giro una volta libera dall’invadenza della figura materna. E’ questa la valenza edipica nell’ultima fase, il riconoscimento della figura materna per affermare se stessa come femmina. Si presenta l’angoscia di essere fagocitata dalla madre, di non riuscire a liberarsi dal possesso della figura materna. Anna ha fatto la sua ribellione alla madre per affermarsi come persona e ci è riuscita perché ha vissuto la madre come l’altro da sé e non necessariamente come una matrigna o una strega, la “parte negativa della madre”.

E’ semplice e divertente risalire e non regredire. E’ come se fosse il rafforzamento di una presa di coscienza. Anna sa di sé e della sua femminilità e si è riscattata dalla madre. Anna è appagata. Magari in sogno si è spaventata, ma dopo ha risolto anche la paura e ha rivisto la sua emancipazione e la sua autonomia psichica. Bisogna vivere la madre nella sua sacralità e nella giusta dimensione psichica e non come un ostacolo all’affermazione. L’identificazione si è risolta nell’identità, per cui ”Anna è contenta e soddisfatta di se stessa.”

La prognosi impone ad Anna di godere delle sue conquiste psichiche e di rafforzare il suo rapporto con la madre con una finalità generosa dopo aver tanto ricevuto. I genitori anziani vanno adottati dai figli e non depositati dolcemente in case di riposo, i nuovi “lager”. Anna deve portare avanti la sua autonomia con un intento donativo.

Il rischio psicopatologico si attesta nella “regressione” al conflitto con la madre per l’insorgere di un bisogno di dipendenza psichica a causa di una crisi affettiva. Consegue la caduta della qualità della vita con sintomi psicosomatici da psiconevrosi edipica.

Riflessioni metodologiche: il sogno di Anna induce a parlare sul destino del complesso di Edipo, in particolare sul tema se si risolve del tutto o se si trasforma. La risposta immediata è che il complesso di Edipo, meglio il paradigma edipico, non si risolve mai del tutto così come si prospetta nella teoria psicoanalitica e così come si propone ogni genitore e ogni figlio. La relazione edipica si può proiettare sui figli e capovolgere da parte dei genitori sotto l’incalzare dell’angoscia di morte legata all’evoluzione del tempo e all’involuzione organica della vecchiaia. Come si manifesta? Facilmente un padre e una madre non vogliono fare a meno del possesso del figlio o della figlia. Oltretutto nella senescenza i genitori hanno bisogno di essere serviti e mantenuti. Si generano in tal modo conflitti tra genitori e figli, tra famiglia d’origine e famiglia di nuova formazione. E’ famoso il mito della suocera cattiva. Non sono soltanto i figli che devono risolvere il complesso di Edipo, ma anche i genitori che si ritrovano a vivere quello che hanno già vissuto al loro tempo con i loro genitori. Si ripete la storia della “Nutella”: la nonna la dava alla mamma, la mamma la dà alla figlia, la figlia la darà a sua figlia e così nel tempo che sarà: una “coazione a ripetere” della squisita crema al cacao e alle nocciole da spalmare sugli affetti familiari. Ma, attenzione al diabete!