Estratto da: TEMA-Rivista di psicoanalisi clinica-n°1-Il fantasma-Ed. Sapere-Padova-1998
Il “fantasma” è un prodotto della “fantasia”, reale e illusorio allo stesso tempo.
Esso, infatti, ha una forte incidenza nella formazione e nell’attività psichiche, ma non serve a inserire e soddisfare i desideri nella realtà.
Il “fantasma” è una sintesi psichica operata attraverso una “condensazione”e una “drammatizzazione” del desiderio; la sua natura e la sua funzione sono essenzialmente difensive.
I “fantasmi” possono essere consci, come nel “sogno diurno”, o inconsci, come nel “sogno notturno”; essi trovano la naturale espressione anche nei sintomi psicopatologici e nei comportamenti coatti e ripetitivi.
Freud è decisamente convinto che l’attività psichica cosciente, ispirata al “principio della realtà”, è strutturata e modellata in ogni uomo secondo una vitalissima attività fantasmica inconscia, alimentata da prototipi originari o rappresentazioni primarie come la vita intrauterina, la scena del coito dei genitori o “scena primaria”, la seduzione e la castrazione.
Questi scenari immaginari e stereotipati sono e rappresentano le tormentate risposte del bambino ai grandi enigmi collettivi dell’origine, della sessualità e della perdita.
Nel loro insieme i “fantasmi” costituiscono, quindi, un patrimonio universale trasmesso filogeneticamente al di là dell’esperienza individuale e sono assimilabili agli “archetipi” junghiani.
Essi rappresentano le fasi critiche ed evolutive di ogni uomo e si snodano ripetitivamente dall’origine della vita, “scena del coito”, all’origine della sessualità, “scena della seduzione”, e all’origine della differenza dei sessi, “scena della castrazione”.
In ogni caso l’attività psichica cosciente è sostenuta da una sottesa attività fantasmica, prevalentemente inconscia, la quale ha inizio nei primi anni di vita, si innesta nel versante biologico, si evolve e si condensa durante l’infanzia nel registro simbolico definendo e caratterizzando in tal modo la vita psichica dell’uomo adulto.
L’interpretazione della “fantasia” e del “fantasma” o della “fantasia fantasmica” data da Freud è nettamente deterministica, in linea con il rigore dei principi del Positivismo a cui si era meticolosamente formato e a cui spontaneamente ubbidiva.
L’inquietante e dolorosa espressione psicopatologica della “fantasia fantasmica” sostiene e costringe Freud a elaborare una metodologia di ricerca e una griglia di conoscenza sulle cause psicologiche che producono e spiegano i sintomi.
Egli rileva, inoltre, la stretta connessione che tale indagine scientifica deve avere con la codificazione di una corretta e adeguata strategia psicoterapeutica e con quel registro clinico da cui era sempre partito per le costruzioni teoriche sull’Inconscio, i suoi dintorni e i suoi meandri.
Alla ricerca eziologica di Freud i “fantasmi” si presentano come il prodotto e il risultato psichici di stati precedenti ben caratterizzati, temporalmente e qualitativamente strutturati in linea evolutiva con la formazione psicologica di ogni uomo.
Si giustificano in tal modo l’assunzione dell’aristotelico rapporto metodologico di “causa ed effetto” e la tendenza metapsicologica a risalire con una costante ricerca a un principio unico o a una griglia epistemologica a cui “tutto” inequivocabilmente si collega e si spiega, un tutto da intendere nell’ampia accezione di espressione psichica normale e patologica allo stesso tempo.
Il “fantasma” trova altri interpreti all’interno della giovane famiglia psicoanalitica e la questione acquista i connotati di una divergenza e di un contrasto che caratterizzano non solo l’aspetto teorico ma anche la pratica clinica.
Diverso da Freud per formazione personale, più che per metodologia scientifica, Jung dà una interpretazione finalistica del “fantasma” e della “fantasia” in generale.
Egli accentua la valenza simbolica del primo e lo definisce un preciso e prezioso strumento di maturazione psicologica.
La “fantasia”, quindi, secondo la “Psicologia analitica” di Jung ha la proficua funzione di determinare, grazie all’elaborazione del materiale psichico preesistente, un obiettivo formativo e una linea di sviluppo psicologico.
Il “fantasma” e la “fantasia” possiedono una carica psichica di natura progettuale e sono considerati una ricca riserva a cui attingere idee ed energie, motivazioni e incentivi per il futuro prossimo.
Di tutt’altra ispirazione e “più freudiane di quelle di Freud” sono le teorie e le strategie terapeutiche di Melania Klein, la quale ritiene la “fantasia” una funzione psichica elementare e interpreta i “fantasmi” una sintesi di istinto e di pensiero.
Essi sono elementi primari dei processi psichici inconsci e concernono il corpo e i relativi vissuti sin dagli albori della vita.
I “fantasmi” sono in relazione univoca con gli scopi istintuali e in riferimento diretto con l’oggetto del desiderio, per cui essi fungono da base e da sostegno sia nell’adattamento alla realtà da parte del bambino e sia nella formazione del pensiero logico dell’uomo adulto.
Il “fantasma” ha per la scuola psicoanalitica kleiniana una funzione psichica difensiva e rientra nell’assoluta normalità formativa ed evolutiva dal momento che è considerato nella sua origine come la semplice rappresentazione psichica dell’istinto.
I “fantasmi” sono, quindi, intessuti di vivaci sensazioni e di forti emozioni; essi non condividono alcuna caratteristica con i prodotti logici elaborati dai processi ideativi astratti.
Si rileva l’esistenza di una notevole affinità tra il “fantasma” e il processo pulsionale finalizzato alla realizzazione allucinatoria del desiderio.
Per quanto riguarda l’elaborazione fantasmica Melania Klein ritiene che si tratta di un’attività primaria contraddistinta dall’istruzione di meccanismi arcaici di difesa come la “scissione”, “l’introiezione” e la “proiezione”.
Proseguendo nella rassegna delle varie teorie sul “fantasma” si incontra l’interpretazione della “Psicologia dell’Io”; questa scuola si contrappone alle altre e ritiene che i “fantasmi”, in particolare quelli legati alle fasi primarie, siano esasperazioni teoriche e interpretazioni drammatizzate che hanno poco senso e minima importanza per l’uomo adulto.
I “fantasmi” sono produzioni psichiche dell’infanzia che vengono abbandonate nel corso della maturazione psicologica, intellettiva e culturale dell’uomo.
Essi non hanno alcuna incidenza nella vita psichica cosciente, nella formazione del carattere e nei processi mentali; in sostanza la “Psicologia dell’Io” destituisce di funzione e di senso per l’uomo adulto la primaria attività fantasmica.
Queste sono le interpretazioni teoriche e le convinzioni cliniche delle principali scuole psicoanalitiche sul “fantasma” e sulla “fantasia”.
Convergendo sulla concezione ortodossa, quella espressa per l’appunto dal padre della Psicoanalisi, bisogna rilevare l’esistenza di un rapporto tra “fantasma” e “sogno notturno”, tra “fantasia” e “funzione onirica”; la “fantasia” e i “fantasmi” non svolgono la funzione di custodire e preservare il sonno, ma sono strutturalmente e qualitativamente affini alle elaborazioni oniriche e condividono con il sogno sia i processi di formazione e sia il carattere fondamentale di procurare una soddisfazione del desiderio indipendente dalla realtà esterna.
Esiste, infatti, una stretta connessione tra i “fantasmi” e i meccanismi di formazione del “sogno notturno”, oltre che con i contenuti in esso espressi.
Ritroviamo nell’elaborazione dei “fantasmi” i principali meccanismi del “processo primario” deputati all’elaborazione del sogno come la “condensazione” e lo “spostamento” anche se la loro incidenza risulta più blanda e addomesticata rispetto al prodotto onirico puro.
Introduciamo un altro elemento di confronto, il “sogno diurno” o “sogno a occhi aperti”, per sostenere sia la tesi che vuole il “fantasma” essere la soddisfazione del desiderio al di là dei limiti imposti dalla realtà e sia la discussione sulla contrastata interazione dialettica tra l’invadente “principio del piacere” e il restrittivo “principio della realtà”.
Nella formazione dei “sogni diurni” hanno una maggiore implicazione i meccanismi del “processo secondario”; i “sogni diurni” si presentano, infatti, come storie coerenti e strutturate secondo coordinate logiche e nessi plausibili.
Per quanto riguarda i contenuti, i “fantasmi” e i “sogni diurni” attingono ampiamente a elementi e vissuti dell’infanzia.
Le loro trame sono spesso riprese anche dai “sogni notturni” e forniscono lo scenario onirico e la possibilità della gratificazione allucinatoria di un desiderio.
Queste trame non si limitano alle fantasie più o meno compiaciute e coscienti della veglia, ma si estendono alla dimensione psichica inconscia, per cui buona parte di esse non raggiunge la “Coscienza” e contribuisce essenzialmente a dare i diversi contenuti al “lavoro onirico”.
La differenza tra i “fantasmi” e i “sogni a occhi aperti” si attesta nel fatto che questi ultimi sono il modo, più o meno elaborato e cosciente, in cui i primi si riflettono e si manifestano.
Una definizione adeguata della “fantasmizzazione” esige che essa sia un’attività psichica fondamentale e prodotta da un desiderio insoddisfatto nella realtà.
Freud fissa con precisione l’inizio dell’esercizio di questa funzione nel progressivo inserimento dell’attività psichica nel “principio della realtà” e nel consequenziale ridimensionamento del “principio del piacere”.
Il primo impone all’Io le sue esigenze di controllo e di dominio sulle pulsioni dell’Es, per cui anche la naturale soddisfazione allucinatoria del desiderio legata al sogno notturno risulta deludente e inadeguata a scaricare tutta l’energia investita e rimossa.
Si spiegano in tal modo sia la sottrazione di una parte delle pulsioni libidiche a una crudele repressione o a un infausto ridimensionamento e sia la formazione di una nuova modalità psichica deputata a soddisfarle in maniera sostitutiva e fittizia: questa funzione di supporto, di compensazione e di compromesso è proprio la “fantasmizzazione”.
Questo ampliamento teorico operato da Freud è un importante corollario non solo alla scoperta e allo studio dell’eziologia delle nevrosi, in particolare della cosiddetta “scena della seduzione”, ma anche alla scoperta e allo studio del “complesso edipico”.
Tali connessioni testimoniano che il “Sapere” di Freud non è settoriale e conchiuso, ma allargato e aperto nelle sue diverse componenti; esso implica un continuo rimando teorico e clinico tra le sue parti dal momento che deriva essenzialmente da un’acuta e proficua pratica psicoterapeutica e si arricchisce con l’afflusso di nuovi dati empirici.
Esaminiamo il rapporto che Freud pone tra la causa delle nevrosi e il “fantasma”.
La prima eziologia delle nevrosi si basava sulla “scena della seduzione” o sul vissuto del trauma reale della seduzione del bambino da parte degli adulti e in particolare dei figli da parte dei genitori; si trattava di un’inquietante tesi che supponeva di fatto la perversione sessuale e la depravazione incestuosa di questi ultimi.
Questa cruda teoria viene superata dalle successive intuizioni e constatazioni cliniche; il trauma della seduzione sessuale lascia il posto alla realtà psichica di un desiderio sessuale incestuoso e di fantasie specifiche nel bambino riferite ai genitori.
Si apre la strada allo studio del contrastato “complesso edipico”, un’ambigua e contorta situazione psicologica conflittuale di natura intrapsichica e relazionale, oltretutto determinante nella formazione psichica di ogni uomo, e si pone il problema della sua possibile “rimozione”.
Infatti i processi di fantasmizzazione si attivano in abbondanza con gli enigmatici vissuti, le gratificanti fantasie e gli audaci desideri legati e annessi alla magmatica e polivalente relazione dei figli con i genitori.
La scoperta dei “fantasmi edipici” evidenzia secondo Freud non solo la funzione difensiva esercitata dal “fantasma” e dalla “fantasia” nei confronti del desiderio, ma anche la stessa funzione difensiva instruita da quest’ultimo nei riguardi delle frustrazioni prodotte da una severa realtà a sua volta determinata da rigorosi e restrittivi principi.
Ma anche questa attività fantasmica, così accentuata nella sua natura pulsionale e considerata nella sua caratteristica di “formazione di compromesso”, può subire l’intervento difensivo della “rimozione”, per cui i suoi prodotti, i “fantasmi” per l’appunto, possono essere resi inconsci.
Il “fantasma” presenta uno statuto composito e variabile: la maggior parte della produzione fantasmica è inconscia almeno in senso descrittivo, in quanto si può trattare di “fantasmi” elaborati nell’Inconscio secondo i meccanismi del “processo primario” e mai usciti da questa sede psichica oppure si può trattare di “fantasmi” rimossi ossia che hanno avuto un marginale accesso alla Coscienza e una massiccia presenza nel Preconscio e che soltanto in un secondo tempo sono stati depositati negli strati profondi della psiche.
Queste formazioni fantasmiche, passibili di “rimozione”, possono subire ulteriori elaborazioni, trasformazioni e camuffamenti sia pur mantenendo la struttura logica e l’organizzazione consequenziale del “processo secondario”.
Esse, elaborate nel Preconscio come si diceva in precedenza, possono anche non raggiungere la Coscienza e stazionare nella loro naturale sede a meno che non ricevano per imprevedibili evenienze o per contingenze fortuite un aumento di investimento energetico che le rende temibili e pericolose per l’Io e per l’equilibrio psichico; in questo caso esse vengono nuovamente rigettate nell’Inconscio.
Freud spiega questa psicodinamica e il destino di questo tipo di “fantasmi” con la metafora dei meticci, uomini che a prima vista sembrano di razza pura, ma che a una attenta valutazione evidenziano i tratti somatici misti che tradiscono il loro ibridismo, per cui vengono emarginati dagli uomini di razza pura come contromisura alla minaccia di contaminazione e di degrado.
Pur tuttavia i “fantasmi” rimossi possono esprimersi ugualmente, senza accedere alla Coscienza e al giudizio dell’Io, nei sintomi, nei rituali nevrotici, nelle creazioni artistiche, nei giochi dei bambini, nelle paraprassie o false azioni, nei lapsus verbali e in altro materiale psichico ambiguo e scoprente.
Questi prodotti si rapportano al “fantasma” così come il “contenuto manifesto” del sogno si collega in maniera inscindibile al “contenuto latente”.
L’evoluzione e l’azione di un “fantasma” si diversificheranno in base alla struttura psichica in cui sono inscritti e a cui appartengono, struttura che essi stessi hanno contribuito a formare nei tratti fondamentali.
Niente di paradossale in questa constatazione di Freud, dal momento che il “fantasma” nella norma sarà agito quando la sua elaborazione sarà resa accettabile all’Io e alla censura del Super-Io oltre che compatibile con il “principio della realtà” e le esigenze di equilibrio psichico dell’uomo adulto.
Questa psicodinamica segue le direttive e le coordinate della “normalità”, uno stato oltretutto difficile da codificare quando l’aspetto conflittuale del “fantasma” rientra negli argini di una funzione anche allucinatoria come nel sogno ma sempre al servizio della realtà e dell’armonia psicologica.
Per una struttura psichica, invece, che non riesce a comporre secondo il “principio della realtà” il “fantasma”, una struttura nevrotica per l’appunto, ogni circostanza fortuita può essere favorevole alla realizzazione patologica del “fantasma” e dell’annesso desiderio insoddisfatto; in tal modo si ha un effetto traumatico che può dar luogo a uno scompenso psichico e alla comparsa di sintomi.
Il conflitto nevrotico non rientra, quindi, nella suddetta “normalità” in quanto è rimasto ancorato al “principio del piacere” e non è sceso a patti con l’Io e con il “principio della realtà”, per cui il destino del “fantasma” può sfociare naturalmente nella psicopatologia.
L’analisi del processo di fantasmizzazione nelle strutture psicotiche evidenzia proprio la realizzazione allucinatoria del “fantasma”: lo psicotico nega la discordanza tra quest’ultimo e la realtà, per cui dà realtà con l’allucinazione al desiderio proprio agendo il “fantasma” stesso nella convinzione assoluta che esso sia non solo una realtà ma anche la vera realtà.
Il delirio psicotico è la traduzione in atto della perdita di contatto con la realtà esterna e con i principi razionali, per cui si ripristinano i meccanismi del “processo primario” e si attivano i “fantasmi” in chiare allucinazioni e in azioni comprensibili e giustificate da chi le instruisce, ma enigmatiche e inaccettabili da parte di tutti gli altri dal momento che esulano dal “principio della realtà” e dalle norme del pensiero logico o “processo secondario”.
In questa pesante situazione psicopatologica il contatto con la realtà è momentaneamente sospeso o compromesso o irrimediabilmente perduto a favore dell’immediato collegamento e della drammatica messa in atto del personale corredo interiore di natura fantasmica tutto ispirato al “principio del piacere”.
Ritornando sulla funzione del “fantasma” Freud può affermare che essa non si attesta soltanto nella difesa “a posteriori” dell’Io e dell’equilibrio psichico dall’irruzione incontenibile dei desideri inappagati e inconsci, ma essa partecipa in maniera diretta e “a priori” soprattutto all’elaborazione e alla formulazione dell’Io stesso e in modo specifico del cosiddetto “carattere”.
I tratti dell’Io non sono altro che la manifestazione possibile e sublimata dei personali “fantasmi” originari; la loro particolare elaborazione contribuisce a diversificare e quasi a rendere irripetibili la personalità e il carattere di ogni individuo.
I “fantasmi” traspaiono nel modo di essere, di pensare e di agire; il carattere non è altro che la “formazione reattiva” possibile dei “fantasmi” messi al servizio dell’Io e della realtà o rimossi in vario grado.
Pur tuttavia l’abbandono del “principio del piacere” non è mai totale e definitivo, per cui la Psiche mantiene un nucleo residuo della sua pulsione desiderativa anche se la gratificazione del desiderio avverrà nella “normalità” sotto la supervisione e la garanzia dell’Io e nei limiti delle norme imposte dalla realtà, in quei “sogni” di varia natura per l’appunto di cui si è detto in precedenza.
Riepilogando: anche se la progressiva introduzione del “principio della realtà” nell’attività psichica porta al graduale superamento del “principio del piacere”, l’attività fantasmica non viene liquidata nonostante la tendenza e la tensione dell’Io a emanciparsi dalla tirannia del “fantasma” e dall’onnipotenza del desiderio.
I “fantasmi”, di conseguenza, si differenzieranno sempre più dai prodotti del pensiero logico e saranno estromessi dalla funzione vigilante dell’Io; pur tuttavia Freud ribadisce che il fondamento e le caratteristiche del pensiero e del carattere di ogni uomo si costituiscono in base all’impatto e all’interazione del corredo dei “fantasmi” con le norme razionali e le severe prescrizioni del “principio della realtà” assimilate dall’Io e inscritte nella sua dimensione profonda.
In sostanza tutta la vita psichica legata all’istanza cosciente e alla funzione vigilante dell’Io è intessuta sulle trame dell’attività fantasmica ed è resa originale proprio da quei “fantasmi” che si agitano e recitano il proprio canovaccio nel teatro inconscio della psiche.
In modo specifico la Psicopatologia grave è la naturale epifania dell’azione irruenta e devastante dei “fantasmi”; lo psicotico agisce e rappresenta lucidamente il suo delirio fantasmico anche nelle espressioni tragiche ed estreme dell’autodistruzione masochistica depressiva e dell’eterodistruzione sado-maniacale e perversa.
I “fantasmi” si traducono in fatti nelle paranoie deliranti e nelle conversioni isteriche.
Dietro qualsiasi sintomo si cela una formazione psicopatologica che coincide con le elaborate trame di precisi “fantasmi”.
Esse sono non solo le manifestazioni di quel materiale psichico che si agita interiormente secondo le precise norme di un’interazione dialettica tra la dimensione profonda e la coscienza vigilante e razionale dell’Io, ma anche le strutture caratteristiche di ogni individuo.