FANTASMA DI MORTE E TUTELA PSICOLOGICA DELL’INFANZIA

La “cultura occidentale” negli ultimi decenni del secolo scorso ha progressivamente elaborato un nuovo schema “tanatologico”, un nuovo “discorso sulla morte”.

Questa rappresentazione evoluta della morte si è basata su un crudo realismo e si è rivelata inizialmente drammatica proprio per il ridimensionamento etico del precedente “valore morte”; il nuovo schema culturale ha perso la sua benefica “pietas” e la sua salutare discrezione per acquistare in traumatica divulgazione.

La trasmissione è stata notevolmente favorita dalle immagini, “codice iconico”, le quali hanno contribuito all’introiezione” del nuovo schema, così come ne hanno supportato nel tempo la varia “proiezione”.

La “Psiche collettiva” attraverso le immagini si è “in-formata” alle nuove emergenze culturali e in forza del massiccio uso dei sistemi di comunicazione è stata di volta in volta trasmessa una rappresentazione della morte sempre più crudele nella sua forma e irreparabile nella sua drasticità biologica.

La “cultura occidentale” ha progressivamente evoluto la nuova “tanatologia” in una infausta “tanatocrazia” proprio attraverso il rilievo emotivo e lo spazio divulgativo concessi alle immagini di morte.

“Tanatocrazia” significa, per l’appunto, “potere della morte” ed è un variegato e sottile assunto di case culturale che si riduce facilmente in immagine e con altrettanta facilità si inscrive nella “Psiche collettiva” turbando l’ “Immaginario culturale” e la dimensione inconscia individuale con il suo concretizzarsi in vissuti psichici a forte carica emotiva: i “fantasmi”.

Il “fantasma” in psicologia dei processi culturali è sempre uno schema interpretativo ed esecutivo della realtà, un modo psichico profondo dell’uomo di comprendere, rappresentare e vivere la situazione in cui si trova e di determinare l’azione idonea alla circostanza come risposta più adeguata e proficua.

Il “fantasma” è, quindi, un “segno” individuale e collettivo di natura psichica e di acquisizione culturale.

Per sua struttura esso possiede un alto contenuto simbolico e una forte carica emotiva, per cui si riversa con naturale disposizione e si condensa per congrua affinità nell’immagine: la trasmissione visiva gli è particolarmente congeniale.

Fantasma e immagine condividono una similarità strutturale e qualitativa; il fantasma si traduce in immagine e l’immagine rappresenta ed evoca il fantasma perché è l’immediata espressione, “proiezione”, di un materiale psichico profondo progressivamente introiettato e rafforzato.

La “Psiche” individuale e collettiva è costituita da fantasmi universali, “archetipi”, che trattano temi umani universali al di là dello spazio, del tempo e della cultura: la vita e la morte, l’origine e le figure genitoriali, la sessualità e la procreazione, temi condivisi e necessariamente convissuti da tutta l’umanità al di là delle differenze culturali e razziali, forme psichiche universali della natura umana.

Inoltre i fantasmi sono culturali e limitati nello spazio, nel tempo e nella dimensione sociale, quando trattano forme psichiche che condizionano il pensiero e l’azione di un gruppo umano ben definito.

Esemplificando, sono fantasmi culturali quelli della razza e del primato di un popolo con tutti i miti a essi collegati, in quanto sono schemi che si affermano attraverso il condizionamento educativo a volte anche esasperato e artificiale.

Un fantasma è, inoltre, individuale quando esprime caratteristiche psichiche della persona che lo elabora e lo formula: un vissuto psichico.

L’attività fantasmica è molto ricca nell’infanzia e la fantasia dei bambini crea originali fantasmi spostando e condensando vissuti personali negli oggetti più disparati: un orsacchiotto diventa tutt’altro che un semplice pupazzo di “peluche” e può esorcizzare l’angoscia dell’abbandono e della solitudine con il suo rappresentare la figura materna.

La funzione fantasmica del bambino, inoltre, elabora naturalmente nella sua evoluzione psichica i simboli universali, “archetipi”, così come acquisisce i valori culturali che vengono trasmessi dal sistema educativo e li concretizza in schemi esecutivi e in vissuti individuali.

Un fantasma è costituito da una componente razionale e logica in quanto si può tradurre in un concetto, da una componente simbolica e mitica in quanto sposta e condensa significati ed emozioni diverse, da una componente cenestetica e pulsionale in quanto procura nell’uomo una serie di sensazioni di varia qualità e induce ad agire e a reagire.

Esemplifichiamo proprio con l’inquisito “fantasma di morte”.

Esso ha una componente logica e fenomenica in quanto rappresenta il freddo concetto della morte: la morte è la naturale evoluzione biologica del corpo.

Ha una componente simbolica e mitica in quanto significa la fine, il distacco, la separazione, l’anaffettività, la solitudine, la perdita, la depressione: una fusione di sentimenti e di vissuti.

Ha una componente cenestetica e pulsionale in quanto produce una serie di sensazioni intense, costringe ad agire e condiziona il comportamento dell’uomo.

Il “Luogo” psichico del fantasma è l’ “Inconscio” e il “Subconscio”; l’ “Immaginario culturale collettivo” si colloca per opportunità metodologica tra queste due dimensioni profonde.

La sede del fantasma è in sostanza la “Subliminalità”, la sfera psichica situata al di sotto della coscienza e della vigilanza razionale.

L’organo privilegiato di risonanza del fantasma è l’immagine con la sua provocazione allucinatoria di varia intensità, un fenomeno psicofisico che avviene anche nel sogno e nel delirio.

Nella cultura occidentale contemporanea un originale fantasma domina la “Psiche collettiva” e si diffonde attraverso le immagini di morte: una “tanatocrazia”, potere della morte, che traligna nella “tanatofobia”, angoscia della morte.

Ma l’uomo e in particolar modo il bambino non possono vivere in maniera benefica questo pesante fardello emotivo, oltretutto continuamente sovraccaricato dalla cultura in cui operano, per cui in loro difesa interviene in maniera naturale il meccanismo psichico della “rimozione”.

Il “fantasma di morte” viene necessariamente escluso dalla “Coscienza” e viene in parte relegato nell’ “Inconscio”, ma permane con la sua inquietante mole nel “Subconscio”, per cui la “rimozione” è quasi sempre parziale e l’angoscia stimolata dalle immagini di morte si acquieta senza risolversi del tutto.

La soluzione psichica è di difesa, per cui bastano cause scatenanti contingenti e di un certo spessore per riesumare il “fantasma di morte” parzialmente rimosso e l’angoscia implicita.

L’immagine interna di morte è in sintonia e simpatia con l’immagine esterna di morte ripetitivamente riprodotta dalla cultura tanatocratica.

L’immagine esterna ha la funzione, come si diceva, di causa scatenante, ma anche di esorcisma del fantasma stesso e della sua angoscia: convivendo con la psicodinamica della morte si tiene sotto controllo la stessa e si disinnesca progressivamente una parte della sua carica emotiva.

Il “fantasma di morte” perde in maniera naturale e in progressione il suo potenziale di tensione a furia di essere riprodotto in immagine e di essere servito in tutte le salse.

L’uomo occidentale non ha, pur tuttavia, razionalizzato adeguatamente il “fantasma di morte”, per cui è possibile la conversione emotiva da una giusta e naturale paura a una improvvida e innaturale angoscia, la “tanatofobia”.

L’uomo occidentale, a differenza dell’uomo orientale, non ha trovato la giusta mediazione di una efficace “tanatologia”, di una “coscienza della morte” tramite un congruo “discorso sulla morte”, l’unica condizione per una naturale soluzione del problema.

La mancata “tanatologia” si è improvvidamente compensata ed esaltata nella “tanatocrazia”, che a sua volta è degenerata per difesa nella “tanatofobia”, per cui lo schema esterno non ha trovato la sua naturale dimensione all’interno della “Psiche collettiva” occidentale.

Lo stato attuale delle cose si traduce in una malattia culturale di fondo, in un assunto di base della cultura occidentale che condiziona la vita individuale e sociale, ma in modo specifico appesantisce l’evoluzione psichica dei bambini, un processo naturale di per se stesso ricco di conflitti.

Si diceva che la reazione a tale situazione psico-socio-culturale è stata ed è la “rimozione”, la difesa psichica primaria intesa a rendere inconscio il “fantasma di morte” e a disinnescare l’energia connaturata.

Tale infausta condizione è stata prodotta e rafforzata, come si diceva in precedenza, dalla manifestazione in immagine del “fantasma di morte” e dalla sua irruzione nella vita di tutti i giorni, per cui la “rimozione” dell’angoscia funge a rendere indolore l’eccessiva visione della morte.

Un uso generalizzato e indiscriminato del “fantasma di morte” ha indotto, in effetti, una progressiva disinibizione psichica e un indolente disimpegno morale.

In primo luogo il sistema visivo delle comunicazioni di massa ha fatto suo l’uso in immagine del “fantasma di morte”.

I mass-media, dopo iniziali remore, hanno iniziato a trasmettere immagini di morte, di violenza, di distruzione, di odio, repertori di guerra, la morte in diretta, la guerra in diretta, il morto ammazzato di mafia o di terrorismo, le stragi di stato o di cosca, il tutto e ancora altro con una ripetitiva e ostentata compiacenza, oltretutto decisamente interessata anche a varie forme di profitto.

Il “reportage” di guerra con il suo carico di cadaveri oggi si chiama “scoop” giornalistico: il successo dell’ascolto ha una rendita economica non indifferente.

Angoscia, trauma, sbalordimento, impressione, indignazione, abitudine, indifferenza e insensibilità sono state in progressione le posizioni psichiche collettive e i meccanismi naturali di difesa più diffusi da parte della società di fronte all’aggressione delle immagini di morte.

I telegiornali si sono riempiti di tragiche sequenze per un sadico o santo dovere d’informazione; la guerra deve essere raccontata e testimoniata in diretta per un discutibile e improprio senso della democrazia.

Si è in tal modo strutturato tra l’ “Inconscio” e il “Subconscio” un “Immaginario culturale collettivo” ben dotato di variopinti e variegati “fantasmi di morte”.

La droga, la guerra, la malattia, l’epidemia, la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita, la morte di stato, la camera a gas, la sedia elettrica, la fame, le ribellioni etniche, gli scontri razziali, gli omicidi, i mostri da prima pagina, gli scontri ideologici, la guerra di religione, i suicidi e gli attentati terroristici, il matricidio, il parricidio, il fratricidio, le violenze sulle donne e sui bambini, la pedofilia, gli incesti, la morte del torero o dello sportivo in diretta, i sequestri di persona, le stragi, gli stupri …e altro.. tanto ben altro, tanto di altro e di traumaticamente subdolo ancora.

A conclusione di questa tiritera trova conferma la tesi in base alla quale noi viviamo in una cultura tanatocratica, un complesso articolato di schemi segnato dalla morte e dalle sue immagini.

La “pubblica coscienza” non sa difendersi adeguatamente dalla barbara irruzione e dalla malefica invasione delle immagini di morte e invoca una nuova Etica, una salvifica Morale, un preciso Codice deontologico, ma l’impresa è ardua perché queste immagini sono inscritte nel registro culturale in atto e sono progressivamente elaborate senza la possibilità di essere estrapolate “sic et simpliciter” o “ex abrupto”; se poi si considera la valenza economica, l’operazione di bonifica diventa veramente impossibile.

Pur tuttavia la difesa psichica e sociale dall’invasione violenta delle immagini di morte è necessaria e si snoda attraverso una razionalizzazione e una presa di coscienza collettive.

Anche il sistema pubblicitario per immagine si è rapidamente impadronito, da buon parassita e senza adeguata cognizione di causa e di effetto, del comodo e proficuo veicolo divulgativo del “fantasma di morte”.

Tale operazione ha permesso e permette al messaggio pubblicitario di arrivare nelle profondità psichiche, individuali e collettive, e di inscriversi a livello subliminale.

Fare perno sul “fantasma di morte” significa incidere agevolmente la Psiche a livello profondo e strutturare un condizionamento che consente un duraturo successo pubblicitario ed economico anche quando l’immagine viene contestata.

Ma, in effetti, il sistema pubblicitario non è immorale e censurabile di per se stesso, in quanto usa un collaudato canale psico-culturale di trasmissione dei messaggi.

L’immagine pubblicitaria impregnata di morte è soprattutto un’operazione efficace di divulgazione di un marchio.

Si può soltanto affermare che la “tanatocrazia” dell’immagine pubblicitaria non è originale, in quanto precostituita e preparata sia dallo schema culturale dominante e sia dal sistema dell’informazione in atto.

Ma il fine vero di qualsiasi pubblicità è quello di incidere la subliminalità psichica delle masse; si può martellare la parte cosciente e sortire soltanto un effetto informativo, ma è più proficuo l’effetto psichico della carezza o della frustata subliminale per sortire un condizionamento più duraturo e una coazione più efficace negli ignari osservatori e in special modo nei bambini.

Il “fantasma di morte” nelle immagini pubblicitarie è stato servito, inoltre, in visione chiara e diretta o in visione occulta e indiretta, con l’evidenza della morte o attraverso il suo equivalente simbolico.

Quest’ultima operazione è stata ancora più efficace, dal momento che si sono ridotti i rischi di un rifiuto legato all’esibizione immediata della morte e si è allentata nell’osservatore la resistenza psichica a riesumare il proprio fantasma introiettato.

Negli ultimi vent’anni hanno usato il “fantasma di morte” in pubblicità con immagini singole o con spot, in maniera diretta o traslata, le seguenti marche: Benetton, Lavazza, Segafredo, Campari, Perfetti, Parmigiano reggiano, Coca-cola, Trony, Rifle, Diesel, Reebox, Breil, Regina.

In questo drammatico contesto l’infanzia è stata ed è particolarmente esposta a un danno psichico di congrua entità, in quanto il bambino usa la “rimozione” in maniera prevalente rispetto agli altri meccanismi di difesa ed elabora in maniera personale i fantasmi dell’anaffettività e dell’inanimazione collegati alla sindrome abbandonica, all’angoscia della perdita e della castrazione.

La sua evoluzione psichica è fondata sul “principio del piacere” ed è determinata dai “processi primari”, per cui non contempla in maniera specifica l’uso del “principio della realtà” e dei processi secondari con la loro valenza razionale; il bambino è decisamente impedito dalla sua stessa natura psichica a staccarsi mentalmente ed emotivamente dalla brutalità e dalla crudeltà delle immagini più truci.

La conseguente aggravante psichica si attesta nella risonanza interiore delle psicodinamiche innescate dalla cultura delle immagini e in particolare dal sistema pubblicitario verso il quale il bambino oltretutto è particolarmente attratto.

Ed allora la visione della guerra nei vari teatri del mondo o la pubblicità della bella formichina spiaccicata sul soffitto per comprovare la bontà della carta igienica “Regina” si risolvono per il bambino in traumi che disturbano la sua economia psichica e il suo equilibrio interiore in atto e lo candidano a ulteriori disturbi nell’età adulta.

Bisogna, inoltre, tenere in grande considerazione che l’uso eccessivo da parte del bambino del meccanismo di difesa della “rimozione” appesantisce la sua vita psichica per il sovraccarico emotivo del materiale relegato a livello inconscio.

A questo punto è necessario in tutela psicologica dell’infanzia l’intervento costruttivo dei genitori attraverso un costante colloquio sui temi più scottanti e traumatici per favorire la presa di coscienza delle proprie creature e per ridurre il ricorso alla “rimozione”, una forma di psicoterapia familiare molto efficace che ha anche il fine di migliorare le relazioni di affidamento e la compartecipazione alle dinamiche familiari.

In attesa della giusta Etica o del pigro legislatore la prognosi psicologica del bambino è una questione sempre aperta e si evolve in maniera direttamente proporzionale alla violenza culturale in atto nella società in cui vive.

Salvatore Vallone

psicologo psicoterapeuta

Pieve di Soligo (TV) 10/04/2003