IL RISVEGLIO

Svegliarsi ogni mattina

con in testa una signorina,

svegliarsi finalmente con te,

con la mia Giannina.

Svegliarmi una mattina

insieme alla mia signorina,

svegliarmi ogni giorno insieme a te

che sei la mia piccina.

Svegliarmi sempre e sempre ormai con te

che sei la mia cagnolina.

In quel tempo fu Bobby a svegliarmi,

oggi sei tu a risvegliarmi.

Moi je t’aime,

chiunque tu sia,

o dulcedo dell’anima mia.

Salvatore Vallone

il Giardino degli aranci, 28, 05, 2023

IL 7 DI MAGGIO

Il 7 di maggio che dirti io ben so

in questa piazza barocca per aristocratica nomea

e baroccata dai mercanti in fiera,

in tonaca e in divisa,

c’è la santa vestita d’argento,

c’è la vergine senza carne e ossa,

c’è la memoria di una giovane donna,

c’è la banda cittadina

che incolta sbareghea in funesta allegria.

Le campane suonano a festa,

din don dan,

sussurrano prega,

dan don din,

sussurrano affidati,

c’è un cieco tra i turisti osceni

che soffocato grida:

sarausana iè”.

C’è sempre un qualcuno

che recita salmi senza i sarausani

e non è il sindaco tricolore.

Lucia, Lucia,

dolcezza immane dell’anima mia,

vergine e non madre,

sollevami da tanta inumana miscredenza,

liberami dal peccato di non averti amato.”

Salvatore Vallone

Piazza Duomo, 07, 05, 2023, ore 12,02

INVOCAZIONE SEMISERIA DI CRISANTEMO

In questo universo andante,

andante lento verso il Nulla cosmico,

girovago,

andante frettoloso verso il sempiterno buco dei buchi,

neri e non,

zingaro,

andante al passo dei bersaglieri verso l’armonia esotica,

gitano,

in questo universo andante, girovago, zingaro, gitano,

mihi necesse est una badante,

russa o cinese,

svedese come un fiammifero o signorina Rottenmeier di Heidi,

meglio una Porfiria Rubirosa con braccia pendule e affilate,

una diplomatica con pensieri arguti e attillati,

una donna esperta e pronta alla bisogna sociale e politica,

una femmina politica nascosta tra le pieghe di un viso irsuto,

una capa ricandidata da un uomo capoccia del mondo infame.

In questo universo bastardo

e mischiato in un cocktail assassino

ci vorrebbe un badante all’ashish,

un Ciccio Busacca che ti canta le gesta di Orlando e Rinaldo,

un Porfirio Rubirosa dalle braccia conserte

e intrecciate sul volante di una Ferrari testa rossa

che ti racconta la storia di Pacchiotta Malandrino,

l’uomo, caduto nel suo cesso,

che annegò nella sua merda colorata e impura,

ci vorrebbe un politico bisex e monosex,

un uomo donna che competa con Liu Shoh Sukuni,

la mia adorata e dorata commessa del sol levante

che accorre in aiuto di un uomo cadente

in quel grande magazzino ripieno di essenzialità eccentriche

e di stelle ad alto costo e a basso rischio.

O, forse, ci vorrebbe una coreana dagli occhi veri e vivaci

con l’anoressia in corpo e una quinta di tette senza culo,

sempre parlando con rispetto e pro feminis

in questo tempo promiscuo e maldicente,

crudelissimo quanto basta e oltre,

che conosce indubbiamente il sale della Terra,

la sessuofilia, la sessuofobia, la sessuocrazia,

l’omofobia, l’omofilia, l’omocrazia.

Che tempi, tose e tosat!

Che tempi, tosatiol e tosatan!

Che tempi, regà!

Che tempi!

Bona tempora currunt cum coeli procellis.

Di certo, mi servirebbe il mio amico Gabriel Garcìa

o il mio sosia Heinrich Karl

per scrivere le cose giuste e primaverili

in questo letto di morte di questo bordello

pieno di puttani tristi e allegri

che te la cantano e te la suonano,

mentre i dindi e i controdindi risuonano nella cassettina

e la mia anima trista e negletta vola a Dio.

Tetzel,

o Johann,

mio adorato predicatore,

spiegami il busillis delle questioni

che riguardano il culo liscio di un monaco profano,

le tette poderose della monaca laica di Como.

Oh dio del cielo,

se mi vuoi amare,

scendi dalle stelle

e vienimi a cercare.

Questo verso era di Fabrizio.

Oh dio del cielo,

dammi le chiavi di questo ostello della gioventù

dove è arrivata la mia Michelle insieme alla mia Romy,

la donna di Ugo,

il boss cornuto di via Arsenale,

la fedifraga che amava suonare la viola in andamento jazz,

la donna più buona e bella del nostro quartiere di Marseille,

vicino al porto,

lontano dalle pasticcerie buone ed educate del centro Pompidou,

il punto più vicino al tuo perdono e alla tua estasi,

il tuo punto G come Gigino o Gigetto,

dove volentieri vola Gigino e Gigetto.

Questo verso è di Salvatore.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 16, 08, 2022

LE TUE PAROLE

Amo le tue parole,

le parole che mi dici quando mi parli,

le parole che volevo per me

quando mi sono innamorato delle parole,

quel giorno in cui mi echeggiava dentro il petto

la parola brutta e la parola bella,

la parola a vanvera e la parola a tinchitè,

la parola stretta e la parola larga,

la parola semplice e la parola elegante,

la parola del principio e la parola della fine.

Tu dici le parole che vorrei dire io

e che non riesco a dire

perché il parroco con la papalina mi ha rimproverato

quel giorno in cui ho detto una parolaccia che non esiste

perché le parole sono tutte uguali e tutte anarchiche,

come le sedie del centro sociale prima dell’assemblea,

prima di essere soffocate dai culi riottosi dei compagni.

Salvatore Vallone

Hàrah Làgin, Carancino, il sentiero degli aranci, Belvedere, 14, 05, 2023

PRODIGIO

Anarchico è il flusso delle parole

che sfilano sul filo di un rasoio,

verba che tagliano molto più delle lame di Toledo,

verba che si sfilano e s’infilano.

Sei avanguardia pura,

visione superiore.

E io mi trovo qui

e in te mi perdo.

Finché scrivi, esisto.

Il resto lo sai.

Siamo figli delle stelle.

Sava

Karancino, 28, 03, 2023

DICE FERNANDO

Il poeta è un fingitore,

un vasaio di Creta da argilla giallastra,

un Demiurgo di Atene e di prima qualità,

come le macellerie di una volta nello scoglio di Ortigia,

quelle dei fratelli Giudice,

gli ucceri,

gli uccisori di vacche magre anche in tempi grassi,

comprate a Cremona dai fratelli Balzarini

insieme al cioccolato alle nocciole con il burro.

Il poeta è un plasmatore di verità iperuraniche,

tutta quella roba che sta al di là del culo di Ouranos,

tutta sganga da vulcanizzare per il gran premio di Monza

come le gomme della Michelin,

della Brigestone,

della Pirelli.

Il poeta è uno sfruttatore di quelle verità sincere

che stanno al di là del Cielo stellato,

tra Gea e Urano

tra la Madre e il Padre,

tra la Madre e il figlio.

Il poeta è un crumiro di quelle verità

che corrono nel Cosmo così vasto

e buono soltanto da immaginare,

negli spazi interstellari così cari a Franco il battezzato,

la dove l’universo ubbidisce all’Amore,

a Francuzzu u cantanti buddista

che con la musica leggera ci faceva u broru per la pasta.

Il poeta è un cantastorie,

un trovatore,

un vate,

un emerito coglione senza le palle di vetro

che a Natale si appendono sulle porte delle nonne in calore.

Io sono Fernando,

mi chiamo Firnendo,

mi sento Fefè,

vado in giro per le strade di Lisbona antigua

con affettata noncuranza portoghese

alla ricerca del testosterone smarrito nei bordelli

dei romanzi degli scrittori sudamericani,

Marquez & Sepulveda & Borges & Cortazar

e ci metto anche u miricanu Charles Bukowski.

Io non sono un poeta.

Io sono un Maestro con la m minuscola.

Io sono un morto di fame con la m maiuscola,

vivo in un paese ricco di supermercati

stracarichi di imballaggi e di cartoni,

vado in mare inquinato e faccio il bagno fetido,

mi sdraio su un vasto posacenere portacicche

insieme a miei dissimili che detesto,

che aborro,

che ignoro da buon autistico.

E’ bello essere autistico,

è buono chiudere le porte e le finestre,

come le monadi del grande Leibniz,

dopo avere visto in faccia la morte,

nella faccia di un grembo freezer,

nella faccia di un padre ignoto,

è giusto essere autistico

perché a me non piacciono i caramba,

la pula,

la finanza,

i vigili inurbani inesistenti,

tutta gente vestita dai Dolci dei voltagabbana

con divise irripetibili e inimmaginabili.

A me non piace più vivere tra questa brutta gente,

orrenda e orribile come la fame di marzo e di aprile

ai tempi del colera e del corona.

Meglio una birra solitaria nel pub del 69.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 20, 06, 2022

TUTTI O QUASI NESSUNO

Tutti abbiamo bisogno di un dio,

io nodio,

tutti abbiamo bisogno di un santo,

io nosanto,

tutti abbiamo bisogno di un padre,

io nopadre,

tutti abbiamo bisogno di un grande fratello,

io nograndefratello,

tutti abbiamo bisogno di un drago,

io nodrago,

tutti abbiamo bisogno di una reliquia da baciare,

io noreliquia e tanto meno da baciare,

tutti abbiamo bisogno di un vaccino,

io novaccino,

tutti abbiamo bisogno di un green pass,

io nogreenpass,

tutti abbiamo bisogno di un super green pass,

io nosupergreenpass,

tutti siamo questuanti e replicanti,

tutti siamo claudicanti e impertinenti,

tutti siamo insolenti e sbeffeggianti,

tutti siamo sciancati e svarionati.

Anche tu, mona!

Per il momento dimmi, per favore e per forza, chi sei,

altrimenti chiamo i carabinieri,

la polizia,

la finanza,

la forestale,

i vigili urbani e municipali,

chiamo Bepy mona,

chiamo sempre qualcuno,

chiamo il capo dei capi,

colui che si chiama Gino,

non Gino ginettaccio,

il maledetto cagnaccio in bicicletta,

Cerutti Gino,

l’amico di Giorgio,

quello del bar del Giambellino,

il figlio del ciambellano della riforma fascista del vocabolario,

per l’appunto ridetto ciambelculo,

Cerutti Gino,

quello che chiamavan drago,

gli amici,

sempre al bar del Giambellino,

dicevan ch’era un mago,

era un mago,

era un mago,

il napoletano delle tre carte nella fiera di Godega di sant’Urbano,

quello che incanta il bilancio all’incanto,

quello delle tre banche e delle sette sorelle,

quello dei quelli della signora Orietta,

tu sei quello

che s’incontra una volta e mai più,

meno male,

meno male che tutto va bene,

meno male,

meno male,

meno male che niente va male,

meno male,

meno ma.

Basta,

basta una sola volta,

la seconda non riesco,

la seconda non la reggo,

ho la mia età,

ho i miei traumi

e non posso esternarli in tivvù

dalla signora dei traumi antichi e anali,

quella dell’università goliardica e arruffona

che fonde e confonde le tette con le gote,

basta una sola volta,

mi creda,

egregio perito di laboratorio e tecnico dell’assicurazione,

egregia infermiera che sgobbi,

egregio dottore della tele,

egregio professore del santo Camillo e del santo Raffaele,

profeti messi insieme a ciucciar coca cola e ciupaciupa,

i nostri leccalecca dell’infanzia inquinata dal d.d,t.

ai bordi del lettino dell’orfanotrofio Fatebenefratelli,

basta una sola volta,

perché altrimenti son veramente cazzi vostri.

Intanto balliamo con le stelle sotto le stelle,

non nelle stalle del potere,

le stanze della lirica e le strofe della poesia

che odorano di palle di merda e di celluloide.

Intanto balliamo con le palle e le sventole.

Domani ci penseremo,

domani penseremo chi vuoi for president.

Noi vogliam dio che è nostro padre,

noi vogliam dio che è nostro re,

noi vogliamo il puffo con i capelli incollati,

noi vogliamo il buffo in costume da bagno sulla spiaggia di Scilla & Cariddi,

noi vogliamo il pacioccone con il maglione di turno,

noi vogliamo la vispa Heidy con le lentiggini sul desco patrio fiorito,

noi vogliamo essere padroni,

ma nessuno è padrone di se stesso,

noi non siamo seguaci di Karl, del baffone e del capellone,

noi seguiamo il vento come tira a Monza

e come non tira nella bonaccia della vecchiezza.

Intanto ho bisogno di una rete o di un prete,

una buona rete di nylon e un buon prete di lana caprina,

dammi una rete e un prete

per pescare gli uomini di buona volontà

e le donne ingenue e giuste

che vanno dalla sgionfa e dalla brisolada

a far menate oscene in pubblico pagante,

voglio una rete tivvù per dire stronzate stratosferiche,

per fare potacci con i tortelli e potaccetti con il ragù,

per sbarcare il lunario cotidie e con la giacca double face,

per fare spettacolo da filosofo sempre incazzato

e da mattaccin del beneamato circolo Picnic,

per vendere il panettone delle quattro sorelle vergini e gravide,

per giocare con il mercante in fiera,

in casa in ospedale,

dappertutto,

un mercante dappertutto.

Tu aiutami,

tu che sai e che non sei,

dammi il salario per il sale,

dimmi che tutti siamo liberi e schiavi,

tosatei imberbi e putee in menarca,

gente mai cresciuta in questo diuturno ballo di san Vito,

mentre il fuoco di sant’Antonio impazza nelle piazze e nei circhi,

tose nobili e timidette,

tosatan dalla vita bassa nei pantaloni e nelle palle,

tutti imbroglioni della migliore risma di carta marcata Fabriano,

tutte imbrogliate dalle multinazionali del petrolio e del crimine,

dagli editori a largo profilo,

dalle influencer di riferimento,

mentre in Siria nasce un bambino dagli occhi cerulei

e in Afganistan nasce un bambino dagli occhi neri.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 24, 12, 2021

CONTAMINAZIONE N° 77

PRIMO TEMPO

Vorrei coprir la tua bocca di baci,

di baci,

di baci,”

(ma non si può

perché sarei irriguardoso,

così invasore,

così invasivo,

mi condanneresti all’oblio,

il tuo oblio

e io ne morirei),

per dirti quanto mi piaci,”

(ahi ahi ahi,

non esageriamo con le parole,

qui si rasenta il peccato originario,

il maschilismo atavico e antico,

la libido acritica e testicolare,

non siamo mica epicurei,

tanto meno edonisti,

di quelli che non tengono le mani e gli attrezzi a posto

e non riconoscono i figli che hanno seminato

in lungo e in largo per boria narcisistica

più che per la pietas di Enea),

e poi tenerti sul cuor,”

(con il ricorso al cuore

e alla cardiologia letteraria di tutti i tempi

posso finalmente riparare

il tentativo di un eventuale maltolto

e dell’offesa al corpo mistico e diplomatico

della serenissima repubblica di Malta,

là dove il buoncostume alberga e indomito regna,

presso la donna di provincia in mezzo al mare

e non di bordello).

FINE PRIMO TEMPO

SECONDO TEMPO

Ma non si può,

in ogni caso e con ogni eventualità,

non si può semplicemente perché

io non so parlar d’amore”,

(parole, parole, parole,

parole, soltanto parole,

parole d’amore di quel Verbo che in principio fu,

di quel for, faris, fatus sum, fari,

notoriamente inteso come Fato dagli stenterelli,

da coloro che si svendono in tivvù per un ricco lesso,

il Fato,

notoriamente da intendere come ciò che è stato detto,

checché ne dicano il puffo,

il buffo,

il pacioccone

e la vispa Teresa),

l’emozione non ha voce”

(semplicemente perché l’emozione grida,

ciò che si muove dentro sbraita,

sbareghea,

ietta vuci,

crie,

scassa le balle

e sconquassa il cardiocircolatorio apparato,

ha tutto un corpo a sua disposizione per la grancassa,

per fare bene le sue cose e a puntino il suo dovere),

e mi manca anche il respiro”,

(no covid,

no vicks vaporub,

no paracetamolo,

si tratta di una semplice somatizzazione d’angoscia

da sindrome abbandonica,

quanta solitudine sin da piccolo,

tanta solitudine,

tanta solitudine da sempre,

quasi cent’anni di solitudine,

italica e non sudamericana,

sicula per la precisione,

orfano di padre,

vedovo di madre,

certo che potevo parlare con me stesso,

ma il maestro non me l’aveva insegnato

e io speravo di cavarmela,

mi circuiva come un chierico

e io non sapevo che fare),

se ci sei, c’è troppa luce”,

( lux fiat et lux facta est

nella tua splendida persona,

una maschera oscena da opera dei pupi,

o Ganu di Maganza

tiriti la distanza,

l’ammazzasti a Guerrin

detto il meschino,

a metà tra un dio tra i tanti sul mercato

e una marionetta dipinta in acrilico,

abbagliami,

straziami,

non baciarmi al buio,

potrei morirne,

di cotanto oltraggio potrei morire

folgorato sulla strada di Floridia

mentre sono in cerca dell’Eldorado,

mentre creo il cielo e la terra

con il sudore della fronte,

come il Primo disse in quel tempo

quando creò il Tempo)

la mia anima si spande come musica nel vento”

( la musica nel vento seduce,

porta via le cambiali scadute e mai pagate,

attizza lo spread senza l’invasione del puffo

che paga la mia anima in via dell’Olgettina

e direttamente in Egitto,

presso le donne furbette del cortile

che mostrano il deretano al pellegrino

che ansante cerca ancora la strada

che porta alla Mecca,

a quella pietra nera che è caduta dal cielo

perché stanca di ballare con le stelle),

e la voglia sai mi prende”

( quella non manca mai nelle stalle popolari

e nei bassifondi della pianura padana

tra moscerini attizzati e mosche pudiche,

tra zanzare longobarde e zecche nostrane,

mamma Piero mi tocca,

toccami Piero

che la mamma non c’è,

come faccio a corteggiarti

se mi respingi in una con i baci di Perugia,

con i mon chery de Turin al dolce sapore di ciliegia,

con quel cesto di ricci di mare

che raccolsi spinandomi sulle coste di Brucoli ),

e si accende con i baci tuoi”

( la ragazza del mio cuore sei,

tu lo sai,

ma baciare non ti posso mai,

sempre con la mamma te ne stai

e sola non vuoi uscire mai con me,

allora che amore è il nostro,

un brodino di pescetti e di calamari,

un fritto di paranza che nuoce alla panza,

no,

io non ci sto

e non mi accendo come un accendino

a tuo piacimento e a tuo complemento,

io voglio l’armonia e la simmetria,

io ambisco a un’armonia simmetrica,

sarà troppo,

sarà impossibile,

ma io ti voglio baciare

dopo averti sposata,

così parlò Zaratustra

e più non dimandare

perché altrimenti rompi,

rompi quell’armonia costruita intorno a te

da qualche banca in vena di sollazzi.)

FINE

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 24, 02, 2022

NESSUNA RIGA, BUONA RIGA

Nessuna riga,

buona riga,

riga nuova,

senza una riga,

senza una squadra,

una squadra di parole,

undici parole da calcio,

quindici parole da rugby,

sei parole da pallavolo,

due parole da pallacorda.

Finalmente non ci sarà fine,

non ci sarà un fine e una fine.

Nessuna differenza,

solo diversità da difendere con le armi,

perché c’è sempre una guerra,

una guerra che vale più di un’altra guerra,

c’è sempre un relitto sopra cento parole,

un barcone alla deriva nel romanzo di Odisseo.

Ho le tasche vuote e un libro di poesie: Odissea.

Potrà mai spaventarmi una pistola?

Ho le tasche vuote e un libro di poesie: Iliade.

Potrà mai spaventarmi un pistola?

Energia,

caro,

energia palpabile,

cara,

vita e libido,

correnti continue e alternate,

turbìne,

tùrbine,

sposta l’accento

e vedi che mondo,

finalmente un turbinio.

Inventeremo qualcosa,

un’espansione eccentrica per talenti ribelli,

un’evasione fiscale da flattaxincul.

Emergenza ed emarginazione vanno di pari passo,

passo dell’oca,

ideologia di merda abbandonata,

ideologia osannata e dissennata:

il ballo del qua qua.

Finalmente.

Infine.

Insomma.

Sava

Carancino di Belvedere, 20, 02, 2023

LA STRANIZZA

Non essere schiavo dell’abitudine,

cambia sempre strada,

usa marche diverse e scandalose,

rischia colori nuovi nei tuoi abiti frufrù,

non stare muto come un boccalone,

impara,

regala le tue parole e le tue conoscenze,

concediti le passioni,

affidati,

lascia il nero sul bianco,

metti i puntini sulle i,

non essere palloso,

privilegia le emozioni nel cumulo e nel monte dei pegni.

Brillano gli occhi,

sbadigliano,

un sorriso balena,

il cuore sbatte su un errore del sentimento.

Evitiamo la morte a piccole dosi,

la posologia è a rischio,

l’ardente pazienza attende lo zio Michelino dalla triste Libia.

Naviga marinaio

e lasciati le sirene sempre sulla poppa.

Nonostante tu sia la mia rondine,

sei volata nel cielo sbagliato

dove i sogni capovolti inseguono il lavoro,

le travail melheureux,

putain de boulot.

Lentamente il tavolo si distrae

e rien ne va plus.

Maintenent non puoi neanche inseguire un merlo innamorato,

un tram in calore,

una caliera lucente al sidol,

una pignatta lucidata con la pomice di nonna Lucy.

I consigli sono sempre sensati e soppesati.

Ti vorrei, come le note del pentagramma,

sopra il tavolino sgangherato della taberna di Pompei.

Ogni sera mi penserai

anche se non sai alcunché dei sogni,

quelli che io non vendo e svendo,

le fantasie schizzate che porto con me,

nel borsellino dentro la tasca dei nuovi jeans

comprati nella torre d’avorio di questa scacchiera lucida.

Se non sai,

cosa vuoi sapere?

Cosa scriverai al migrante dal colore olivastro

che insegnava a Salgareda,

nel Veneto antico dei servi della gleba,

del conte di Collalto,

del marchese Brandolino d’Adda?

Mi dirai addio o forse no,

mi dirai semplicemente dei tuoi sogni:

finalmente non so di letame

dentro questa stalla della bassa Marca,

finalmente so di italiano e di inglese

e anca una scianta di latino, per gradire.

Per sempre tua, Caterina.

Salvatore Vallone

Karancino di Belvedere, 01, 04, 2023