SALVATORE VALLONE
BENETTON 10 & LODE
Analisi delle dieci immagini pubblicitarie più eccentriche e contestate
EDIZIONI PSICOSOMA
Salvatore Vallone è psicologo psicoterapeuta e opera in Pieve di Soligo (TV) presso lo studio di psicologia clinica e psicoanalisi “Psicosoma”.
Ha pubblicato i seguenti testi e articoli:
Lezioni di psicoanalisi – Herbita Editrice – Palermo – 1996,
Quando il ciliegio fioriva – Edizioni Sapere – Padova – 1998,
TEMA – Rivista di psicoanalisi clinica e forense – n° 1 – Il fantasma – Edizioni Sapere – Padova – 1998,
TEMA – Rivista di psicoanalisi clinica e forense – n° 1 – Totem e tabù – Edizioni Sapere – Padova – 2000,
La stanza rosa – in collaborazione con Antonia Soares – Edizioni Psicosoma –
Pieve di Soligo – 2002.
La pubblicazione delle immagini è stata gentilmente
concessa da Benetton Group S.p.A.
Il prezzo del libro è di dieci euro.
Tutti i diritti sono riservati a
Edizioni Psicosoma
Via Aldo Moro n° 38
31053 Pieve di Soligo (TV)
Telefono 0438-981201
e-mail: psicosoma_vallone@libero.it
Codice ISBN 88-88608-01-X
Lo studio della pubblicità sfocia inevitabilmente in
quello della configurazione ideologica del sociale nel
suo insieme: infatti il linguaggio pubblicitario funziona
in genere come sistema parassitario rispetto a insiemi
simbolici preesistenti di cui si appropria e la sua
specificità sta tutta nel modo di organizzare i materiali
segnici preesistenti.
Linee di semiotica di Luisa Bonesio – Introduzione alle scienze umane –
Zanichelli editore – Bologna – 1979 – pag. 397.
La semiologia ci mostra nell’universo dei segni,
sistemato in codici e lessici, l’universo delle ideologie,
che si riflettono nei modi precostituiti del linguaggio.
Ogni reale sconvolgimento delle attese ideologiche è
effettivo nella misura in cui si realizza in messaggi che
sconvolgono anche i sistemi di attese retoriche.
Ogni profondo sconvolgimento delle attese retoriche è
anche un ridimensionamento delle attese ideologiche.
L’indagine semiologica ci mostra non soltanto le
modalità di rinnovamento che i messaggi informativi
esercitano nei confronti dei codici e delle ideologie.
Ci mostra nello stesso tempo il movimento continuo per
cui l’informazione ridimensiona codici e ideologie e si
ritraduce in nuovo codice e nuova ideologia.
Umberto Eco – La struttura assente – Bompiani Milano – 1968 – pagine 93 e 99.
INTRODUZIONE
§ 1
Grande interesse e ambivalenti reazioni hanno destato e destano nella “pubblica coscienza” e nella “pubblica opinione”, in Italia e nel mondo, le originali e atipiche immagini pubblicitarie del Gruppo Benetton ideate e realizzate in gran parte da Oliviero Toscani.
Una variegata gamma di atteggiamenti emotivi e di valutazioni razionali si è sviluppata in maniera proporzionale all’evoluzione ideologica e tecnica del messaggio pubblicitario; la “pubblica opinione” e la “pubblica coscienza” sono state coinvolte nell’interpretazione di immagini eccentriche e nella decodificazione di vissuti psichici individuali e collettivi.
La metodologia pubblicitaria Benetton è partita dagli schemi tradizionali dei registri visivo e verbale, la fotografia e la dicitura, per approdare progressivamente a una nuova elaborazione del contenuto ideologico ossia a immettere nel contesto delle immagini valori duri e forti a tutto vantaggio, nel bene e nel male, della diffusione del marchio.
Nel passato pubblicitario i valori culturali più consistenti e delicati non erano stati coinvolti così direttamente in un sistema propagandistico chiaramente interessato alla divulgazione del marchio e alla vendita del prodotto, per cui la ricerca innovativa di Oliviero Toscani ha prodotto una serie di immagini provocatorie, che ha interagito con i sistemi culturali e ha provocato assenso o dissenso, condivisione o rifiuto.
Semiologi, filosofi, teologi, artisti, specialisti del settore, giuristi, giornalisti, fotografi, psicologi, “tuttologi”, gente comune, tutti hanno discusso in dibattiti, tavole rotonde, giornali, riviste, nelle scuole e nelle famiglie la nuova immagine pubblicitaria Benetton al suo primo campeggiare sulla carta stampata e nelle piazze.
Anche i tribunali, a volte, sono stati chiamati a sentenziare sull’atipico oggetto.
Le fotografie pubblicitarie di Oliviero Toscani si sono, di volta in volta, trasformate in un reattivo psico-sociologico e hanno strutturato uno stato psichico individuale e collettivo che ha assunto l’importante funzione di costruire “pubblicità sulla pubblicità” e di imporre il marchio Benetton alla “pubblica memoria” anche di paesi culturalmente ed economicamente diversi, ma ugualmente coinvolti nei temi trattati.
La crescita e l’affermazione del Gruppo trevigiano nel mercato mondiale sono state dettate a livello pubblicitario da intelligenza operativa e da desiderio trasgressivo.
Oliviero Toscani ha il merito di aver sfruttato con una strategia di progressiva forzatura la proprietà dell’immagine di incidere la Psiche individuale e collettiva sotto il limite della coscienza vigilante ossia a livello subliminale.
In tal modo, sin dagli anni ottanta, a intelligenti campagne propagandistiche si sono associati gusti innovativi e attenzione culturale verso i problemi dell’uomo all’interno del tradizionale strumento dell’immagine pubblicitaria singola.
Il marchio Benetton ha posato e posa ancora oggi, come si diceva, in originali e contestate immagini nelle piazze delle più importanti città del mondo.
Lo sforzo pubblicitario è stato qualitativamente consistente e soprattutto innovativa è stata la scelta metodologica della ricerca di nuovi contenuti socio-culturali in associazione, più o meno consapevole, a un proficuo uso dei meccanismi psichici profondi innescati nella divulgazione.
I temi delle immagini, infatti, sono particolarmente atti a evocare vissuti psichici e a imprimersi nelle pieghe della dimensione psicologica profonda.
Questa metodologia pubblicitaria si è progressivamente realizzata in immagini ad alta densità emotiva e a ricco contenuto ideologico; la carica pulsionale e il messaggio culturale hanno spesso permesso all’immagine Benetton di arrivare senza ostacolo nell’Immaginario individuale e collettivo e di trovarvi un posto privilegiato.
L’apprezzamento viscerale e il rifiuto intollerante, i vissuti positivi e negativi evocati dalle varie immagini, si sono così rivelati per gli indifesi osservatori delle comode prigioni del messaggio stesso, per cui l’aspetto innovativo o scandalistico ha rivestito la preziosa funzione di essere ulteriore pubblicità e oltretutto gratuita.
Oliviero Toscani ha creato numerose fotografie e ha promosso, sempre per la Benetton, l’acquisto di altre immagini, ad esempio “la morte di David” per immunodeficienza acquisita o “il guerrigliero”, ad alto contenuto ideologico ed emotivo, inducendo nella “pubblica intelligenza” la ricerca di una relazione di senso tra l’abbigliamento colorato e le immagini esibite.
La “pubblica opinione” e la “pubblica coscienza” hanno reagito, di volta in volta, in base ai vissuti psichici e ai valori culturali coinvolti in ogni operazione pubblicitaria.
§ 2
Il “concept” principe della Benetton, Oliviero Toscani, durante il lungo periodo di proficua collaborazione con il Gruppo trevigiano, un sodalizio che da qualche anno purtroppo si è interrotto, ha prodotto fotografie apprezzabili per l’abilità tecnica e soprattutto per la contorsione ideativa immessa nel renderle immagini pubblicitarie.
I lavori, nitidi nei toni cromatici e precisi nei segni, lasciano ben individuare gli oggetti rappresentati, per cui degni di interesse sono il significato implicito, l’intento latente e il messaggio culturale che hanno animato la scelta pubblicitaria.
Queste immagini non sono univoche nel loro condensato simbolico e ideologico; esse si pongono all’osservatore come stimoli provocatori di una ricerca di senso.
Toscani deroga dalle norme e dalle convenzioni ufficiali della metodologia pubblicitaria italiana e mondiale, si attesta inizialmente nella “sinistra” di un ipotetico Parlamento della divulgazione, per poi collocarsi in un personale “al di là” della norma e della convenzione, riuscendo a essere sempre originale e incisivo nel settore.
Le sue immagini, nella loro apparente semplicità o a volte banalità, lasciano trasparire significati profondi e alternativi, complessi e occulti, temi che comportano necessariamente un’innovazione dei codici in atto nell’ideazione pubblicitaria.
Il nuovo sistema di Toscani si basa sull’offerta all’osservatore di ampi spazi di senso e di significato da occupare liberamente nella fruizione dell’immagine; quest’ultima viene concepita e costruita come lo spazio visivo che consente la naturale “proiezione” dei vissuti psichici dell’osservatore tramite il condizionamento vago
esercitato dall’oggetto rappresentato: l’immagine, prima di essere una comunicazione pubblicitaria o una contestazione socio-culturale o tanto meno una trasgressione, è una provocazione psichica individuale e collettiva.
Del resto l’innovazione del “Sapere” pubblicitario è stata resa possibile dal fatto che quest’ultimo è una nuova forma della comunicazione elaborata da una giovane scienza ricca di slanci e di entusiasmi, fattori che si riflettono prevalentemente sui contenuti da divulgare più che sugli strumenti divulgativi.
Questa caratteristica ritarda la comprensione teorica dei significati profondi immessi nelle immagini pubblicitarie, in quanto il processo di realizzazione dei contenuti è più rapido rispetto alla codificazione di una teoria completa e consapevole degli effetti che vuole provocare.
Le teorie sulla comunicazione pubblicitaria seguono con fatica l’applicazione pratica, per cui spesso in questo settore prima si applica e poi si studia il complesso dei dati immesso nella “pubblica coscienza” e nella “pubblica opinione” in base all’effetto economico sortito.
I pionieri della nuova pubblicità sono sostenuti dalla non sempre corretta convinzione che il processo divulgativo è psicologicamente innocuo e non traumatico per il consumatore delle immagini.
L’ampio spazio della creatività divulgativa e le pressioni del mercato costringono lo studio teorico a rincorrere le diverse applicazioni esternate nel teatro pubblicitario; la conoscenza esauriente dei diversi meccanismi del processo avviene, quindi,
“a posteriori” anche per la facilità espressiva e l’elasticità libertaria intrinseche nell’immagine in generale e nell’immagine pubblicitaria in particolare.
Ma la soglia di tolleranza delle novità pubblicitarie non sempre collima o procede in sintonia con la soglia di tolleranza della società e con i criteri della tutela psicologica della collettività.
E’ più facile essere alternativi e concretamente innovativi nel settore dei messaggi pubblicitari e delle comunicazioni di massa, piuttosto che in altri campi della poliedrica attività umana.
Non è determinante e prioritario nella civiltà delle immagini ponderare adeguatamente i vari livelli di un dato innovativo o di un senso alternativo immessi nei messaggi pubblicitari: i tempi della comprensione, della riflessione e della prognosi sono sempre in ritardo rispetto al fatto compiuto.
La civiltà delle immagini ha un culto della “diretta”, della presa immediata e non concepisce la mediazione, la “differita” e la riflessione ponderata.
A volte, pur tuttavia, la fretta e l’improvvisazione sono cattive compagne di strada per qualsiasi operatore pubblicitario, così com’è innegabile che l’eccessiva mediazione dei dati è una forma di censura della creatività.
Sembra che l’immagine e la sua civiltà, una volta diventate “affare”, smarriscano l’interesse per la salute psicologica dell’uomo e per la tutela della società a favore della conquista del mercato e dell’aumento del fatturato.
E allora può essere valido, oltre che degno di interesse, comunicare con le immagini pubblicitarie l’intento di non avere un intento, il significato di non avere un significato, il messaggio di non avere un messaggio; a queste operazioni conseguono l’ironia, il paradosso, l’irrazionalità, la beffa, la demenza, il delirio come forme possibili di una comunicazione alternativa.
Nel settore pubblicitario si esibisce, a volte con noncuranza, coraggio innovativo in deroga al buon senso comune e alle pubbliche coscienza e opinione, si eccede facilmente rispetto alla soglia della tolleranza individuale e sociale con il rischio di provocare il rifiuto dell’immagine e conseguentemente del prodotto.
E’ pur vero che la divulgazione negativa è sempre pubblicità effettiva, per cui il dato vincente è la pressione psichica e la penetrazione subliminale della “pubblica coscienza”, al di là della liceità morale, etica e giuridica dei messaggi pubblicitari, i quali esigono essenzialmente un’utilità diffusiva e un effetto economico.
A questo punto la norma culturale affermata può dichiarare socialmente pericolosa e psicologicamente negativa la deroga che in pubblicità si stima degna di interesse.
Un territorio di confine è quello dell’immagine pubblicitaria, uno spazio tutto da esplorare, perché può contenere anche ciò che ancora non si “visto” e non si è “vissuto”.
Un’immagine paradossale e delirante, un messaggio originale ed estremo, una satira accesa e caustica, una denuncia sentita e radicale, un “non senso” assurdo e provocatorio, tutto questo è materiale elettivo e d’avanguardia nel settore pubblicitario: un “mare magnum” dell’espressione umana dove oggi navighiamo ancora con zattere rudimentali, un’espressione libertaria senza vincoli e senza confini, che incide dimensioni psichiche e può incorrere in drastiche censure che si trasformano in ulteriore divulgazione.
Comprendere i fondamenti socio-culturali e i meccanismi psichici profondi diventa necessario anche alla luce della proprietà dell’immagine di apertura verso l’indefinito espressivo.
L’improvvisazione nel settore rischia di tralignare nell’azzardo, dal momento che nell’immagine è inscritta anche l’etica del gruppo umano in cui si produce e a cui è rivolta.
La tensione dell’osservatore alla comprensione del senso, del significato, della verità di un’immagine pubblicitaria è da tenere in grande considerazione, in quanto quest’ultima contiene e spesso occulta gli assunti di base dell’etica dominate nel gruppo umano.
Le immagini pubblicitarie di Oliviero Toscani hanno evidenziato in termini progressivamente provocatori il cambio di codice e la necessità di un’adeguata riflessione, oltre che comprensione.
§ 3
Prima di passare alla puntuale analisi e alla esaustiva decodificazione delle immagini Benetton più significative di Oliviero Toscani, è opportuno fissare le linee evolutive del suo percorso metodologico e ideologico, un “iter” che si è articolato nello spazio dell’ultimo ventennio (1980 – 2000).
Gli assunti di base sono culturali a stampo universale e i veicoli pubblicitari presentano una sorprendente varietà; lo sviluppo degli uni e degli altri si attesta per comodità esplicativa in tre fasi.
Toscani esordisce nello scenario pubblicitario con l’esigenza di dare il giusto rilievo al “colore” dell’abbigliamento Benetton; “United Colors of Benetton” recita, infatti, il registro verbale del marchio.
Egli trova il valore culturale universale nell’uguaglianza delle razze umane, un tema costante nella panoramica ideologica del “concept”.
E’ il tempo delle tante immagini che ritraggono bambini di razze diverse in atteggiamenti particolari e in abbigliamento coloratissimo, immagini interessanti a vari livelli e destinate a uomini che praticano ancora la dura guerra razziale e a un mondo dove la xenofobia si nasconde tra le pieghe della Psiche collettiva, quando non è realmente professata in deliranti messaggi e in criminali azioni.
Oliviero Toscani usa il valore culturale e la norma giuridica universale dell’uguaglianza delle razze per proporre in maniera congrua l’amore universale tra gli uomini; egli associa metaforicamente il colore della pelle alla gamma cromatica della Benetton.
In questa cornice fortemente ideologica si presentano, di immagine in immagine, altri valori altrettanto forti; lo strumento pubblicitario di incisione della “pubblica coscienza” e della “pubblica opinione” è l’infanzia, una tappa della vita umana globalmente ricca di nostalgica tenerezza e di tolleranza nei vissuti degli osservatori.
La seconda fase della metodologia di Oliviero Toscani si basa sempre sui valori culturali e spazia nella ricerca dei temi civili da immettere nel discorso pubblicitario; pur mantenendo un collegamento al valore di base dell’uguaglianza tra le razze, Toscani veicola il messaggio attraverso lo schema psico-socio-culturale della “trasgressione” e nelle sue espressioni più forti attraverso lo schema della “dissacrazione”.
Quest’operazione comporta notevole abilità e consistenti rischi nella costruzione dell’immagine, dal momento che l’impatto con la “pubblica opinione” e la “pubblica coscienza” è più forte e diventa arduo giustificare valori culturali buoni con la valenza economica dell’intento pubblicitario.
La terza fase dell’evoluzione ideologica e metodologica di Oliviero Toscani ha assunto il valore culturale universale della “vita” e ha, paradossalmente in apparenza, usato il “fantasma di morte” come veicolo psichico per imprimere il marchio nelle coscienze degli ignari osservatori.
In questa operazione crescono il rischio e l’azzardo, per cui si richiedono al “concept” e al tecnico pubblicitario un adeguato aumento dell’abilità espressiva e una opportuna cautela nel servire il fantasma psichico.
Oliviero Toscani, come si diceva, ha instruito processi innovativi nei diversi settori della comunicazione, ha immesso nell’Immaginario individuale e collettivo contenuti conflittuali e ha ridestato nell’osservatore materiale psichico rimosso, per cui la sua rivoluzione pubblicitaria è decisamente apprezzabile, al di là di qualche immancabile imprudenza.
Una delucidazione può essere la seguente: quando campeggiavano nelle piazze degli U.S.A. i volti dei condannati a morte con la data di esecuzione della sentenza capitale, parecchi negozi Benetton hanno sofferto le conseguenze di un’operazione giusta ma improvvida e i giudici americani sono stati allertati per la sentenza di rito.
A livello profondo l’osservatore si è impattato con il suo “fantasma di morte” e si è difeso in maniera elementare proprio nelle forme consentite dalla legge; a livello commerciale ha punito la Benetton e si è astenuto dall’acquisto dei suoi prodotti.
Questa storia si è ripetuta alcune volte e a pubblicità è conseguita pubblicità insieme al danno economico.
§ 4
Una parte della produzione pubblicitaria di Oliviero Toscani si lascia anche inquadrare in una griglia interpretativa freudiana e in particolare secondo lo schema psicoanalitico dello sviluppo psichico dell’istinto sessuale e dell’energia collegata, la “libido” per l’appunto.
La Psicoanalisi non si può escludere dalla comprensione dei significati profondi di buona parte delle immagini Benetton e si può a buon diritto coinvolgere direttamente una sua specifica teoria.
Interpretazione e metodologia sono di competenza psicoanalitica, come anche la Semiologia richiede i suoi diritti di cittadinanza nelle produzioni pubblicitarie di Oliviero Toscani.
Egli nella sua variegata elaborazione concettuale ha inserito le sue immagini nei termini di uno studio delle fasi evolutive dello sviluppo psico-sessuale dell’istinto, associandolo, di volta in volta, a temi socialmente forti e dotati di carica trasgressiva per incidere efficacemente la sfera psichica subliminale dell’osservatore.
Le fasi evolutive chiamate in questione sono la “orale”, la “anale”, la
“fallico-narcisistica” e la “genitale”.
Il progetto psico-socio-pubblicitario di Oliviero Toscani si può condensare nelle seguenti linee: scatenare a livello individuale e collettivo, con il supporto della contrastata scientificità della Psicoanalisi, emozioni profonde, vissuti pregressi, fantasmi inconsci, archetipi significativi, tutto materiale incamerato nel corso della formazione psicologica da ogni uomo, per imprimere con maggior successo il marchio Benetton.
Toscani si è, quindi, diretto con relazione di causa ed effetto verso i contenuti psichici subconsci e inconsci dell’osservatore, per fissare il marchio con una psicodinamica proficua in termini di condizionamento all’acquisto.
Ridestare e richiamare con dolcezza il materiale psichico e le energie collegate ai tempestosi vissuti dell’infanzia, senza sconvolgere emotivamente l’osservatore e destando in lui un versatile interesse e una fascinosa attrazione, è stata una operazione pubblicitaria ben fondata metodologicamente anche se non sempre ben condotta.
Possibilmente il fotografo Oliviero Toscani ha operato in certi casi in maniera intuitiva e non analitica, ma è indubbio che ha riversato nelle sue immagini i contenuti psico-sessuali classicamente elaborati dalla Psicoanalisi.
Oliviero Toscani ha sfruttato temi e tappe universali dello sviluppo psichico dell’uomo, un materiale valido sempre e ovunque, al di là dei confini etnici, culturali, nazionali, politici, sociali e religiosi.
Con la carica reattiva delle sue immagini egli ha fatto perno sul processo psichico di difesa della “regressione”, favorendola a volte in maniera indolore con un sentimento di dolcezza ed evocando vissuti morbidi per il fine pubblicitario di arrivare alla sfera psichica subliminale di ogni persona e far perno sull’Immaginario collettivo.
Le immagini sono diventate, in tal modo, veicoli psichici regressivi e persuasivi.
Esse hanno consentito una naturale registrazione dei dati, sfruttando il meccanismo psichico della “fissazione” e favorendo la “regressione” nella ricerca di un breve piacere da rivivere per via traslata ossia attraverso l’immagine pubblicitaria.
Ma i vissuti scatenati dalle immagini di natura psicoanalitica possono anche destare le “resistenze” dell’osservatore, produrre sensazioni dolorose e il conseguente rifiuto in base al grado di “rimozione” a suo tempo operato in difesa dell’equilibrio psichico.
In tanti casi le resistenze sono state anche spostate e camuffate nelle contestazioni morali, nei pregiudizi e nei rifiuti.
In quest’ultimo caso la difesa da psichica individuale si è traslata in difesa culturale e sociale; l’intolleranza è la versione più diffusa del meccanismo in questione.
I vissuti piacevoli dell’osservatore emergono a condizione che egli sia in confidenza con il materiale profondo evocato dall’immagine e che non abbia operato per difesa a suo tempo una forte “rimozione”.
Tutte queste possibili reazioni sono prova della bontà del “reattivo” psichico costituito dalle immagini di Oliviero Toscani, produzioni coinvolgenti sempre e nonostante tutto.
Anche se questa non era sempre la sua intenzione cosciente e programmatica, una parte del suo lavoro pubblicitario si lascia senza forzature inquadrare e interpretare secondo le griglie psicoanalitiche.
Dopo queste linee teoriche è opportuno inoltrarsi con migliore cognizione di causa e di effetto in ulteriori e semplici considerazioni metodologiche, per poi passare allo studio e all’analisi di alcune immagini della fase “orale”, della fase “anale”, della fase “fallico-narcisistica” e “genitale”.
In conclusione saranno trattate le immagini emotivamente più forti e culturalmente più sostenute, quelle impregnate di morte.
CONSIDERAZIONI METODOLOGICHE PRELIMINARI
A questo punto, come si diceva in precedenza, è opportuno per una migliore comprensione delle successive analisi e decodificazioni esporre in maniera chiara e con le dovute esemplificazioni alcune linee teoriche della metodologia scientifica del sistema pubblicitario per immagine.
L’immagine si distingue in tre livelli di codificazione: il livello ”iconico”, il livello “iconografico” e il livello “tropologico”.
Appartengono al codice “iconico” le immagini a prevalente valenza sensoriale o cenestetica; esse hanno la funzione di provocare piacevolmente i sensi, di indurre desideri e di stimolare bisogni nell’osservatore.
All’eccitazione sensoriale consegue la formulazione del desiderio e l’investimento della sua energia nella soddisfazione del bisogno; si ripristina, in tal modo, nell’osservatore l’equilibrio psicofisico turbato dall’immagine.
La sete, la fame, il gusto si possono suscitare in maniera diretta e immediata con l’immagine di una fresca bibita o di una succulenta pietanza.
Una piacevole ansietà si può provocare nell’osservatore con le immagini, “spot”, di un uomo che effettua nel cielo un’acrobazia in caduta libera prima di aprire il paracadute.
Una pulsione erotica si può destare con la visione di una bella donna che adatta sensualmente con le mani le calze alle sue affusolate gambe.
Una sensazione erotica si può vivere con le immagini di una donna affascinante che intinge il dito nel bicchiere contenente l’amaro preferito, dito che poi maliziosamente lecca.
Le sensazioni si evolvono naturalmente nel desiderio e nel bisogno, inducendo il consumo del prodotto, il cui marchio si è impresso nella psiche attraverso queste provocazioni sensoriali più o meno forti e incisive.
L’immagine di una giovane donna, in atto di baciare con passione un uomo, suscita una sensualità che induce il piacere e il desiderio del bacio e questa psicodinamica sensoriale si può traslare per compensazione e per associazione a una gustosa gomma da masticare o al bisogno di un alito gradevolmente profumato da portare nelle relazioni di quel tipo.
Una prosperosa donna che corre sul bagnasciuga di un’assolata spiaggia tropicale, abbigliata in maniera succinta e con la libera espressione dei seni, sensibilizza e sublima il desiderio sessuale e la carica erotica nel desiderio di un bicchiere ripieno di fredda birra.
Il codice “iconico” produce, quindi, sensazioni precise e dirette, ma la loro evoluzione non si riduce sempre e soltanto alla soddisfazione immediata e univoca del bisogno indotto, dal momento che possono intercorrere meccanismi psichici più complessi rispetto al libertario e immediato appagamento della pulsione vissuta.
Passiamo a delucidare il codice “iconografico”.
Appartengono al livello “iconografico” le immagini o la serie di immagini, “spot”, che rimandano a significati convenzionali di natura squisitamente culturale.
Esiste in ogni cultura una codificazione simbolica, che guida l’interpretazione della realtà sociale e condiziona l’azione dei suoi membri; tale codificazione si compiace di realizzarsi in immagine, dal momento che a questa simbologia convenzionale l’immagine offre la sua poderosa capacità di sintesi e il comodo veicolo di una rapida comprensione.
Le varie culture possiedono un’ampia gamma di iconogranmmi o di immagini convenzionali: la croce, l’aureola, la madre, il nonno, la morte, il maschio, la femmina e altro.
Queste immagini simboliche e descrittive possono essere semplici o complesse, tradizionali o innovative; esse circolano liberamente all’interno di una cultura e sono usate dai membri della società senza particolare imbarazzo o difficoltà.
La serie delle immagini iconografiche in atto si arricchisce continuamente di nuove rappresentazioni legate ai tempi, ai bisogni, ai modelli, ai miti e alle mutate condizioni economiche e sociali.
Si strutturano, infatti, in questa fascia di iconogrammi i simboli creati artificialmente dal sistema economico per la società dei consumi e le pressioni abilmente pilotate dalle immagini del sistema pubblicitario.
Il messaggio iconografico facilita la rapidità della trasmissione di nuovi bisogni e di nuovi modelli, facendo perno specialmente sulla carica innovativa e sulla necessità psichica di identificazione delle nuove generazioni.
La moda, in particolare, si compiace di esprimersi con immagini adatte alla necessaria ricerca di nuovi compiacenti acquirenti.
Il look e il modello sono convenzioni iconografiche.
L’appartenenza al gruppo, come si diceva in precedenza, assolve le necessità psichiche di identificazione e di identità di ogni persona e in particolare delle nuove generazioni ed è determinata dal modo di apparire prima che dal modo di sentire del gruppo stesso, dall’immagine prima che dall’ideologia.
Esemplificazione di iconografia tradotta e trasmessa in immagine può essere babbo natale che porta i doni ai bambini buoni o la famiglia corazzata in abbigliamento “punk” che si ritrova a tavola per gustare i sofficini ripieni a sorpresa.
C’è sempre l’immagine di un generoso babbo natale o di un tenero nonno da associare a un buon panettone o a un dolce pandoro.
I simboli delle immagini convenzionali sono di facile lettura e di immediata decodificazione e questa iconografia è determinante per la trasmissione efficace di messaggi pubblicitari.
Per completare il quadro, prendiamo in esame il terzo livello di codificazione delle immagini, quello “tropologico”.
Esso si attesta nella traduzione in immagine delle figure retoriche del linguaggio ossia della dimensione espressiva della parola e della plasticità del discorso; il fine specifico e sottile è sempre quello persuasivo.
Si tratta di un’operazione sofisticata e diffusa nella tecnica pubblicitaria per immagine, un artificio di grande interesse creativo che si risolve nel dare forma suggestiva e poetica all’immagine e al suo messaggio.
Il sistema pubblicitario si serve della plasticità dell’immagine per costruire messaggi ad alto contenuto emotivo e a rara incisività psichica.
E’ una maniera di uscire dalla piatta convenzionalità riproduttiva dell’immagine e della comunicazione visiva , è una forma di nobilitazione dell’immagine, la quale, priva dell’ovvietà dei suoi contenuti costitutivi e informativi, ricerca e trova una originalità espressiva e una polivalenza funzionale finalizzate sempre allo scopo primario di colpire la Psiche individuale e collettiva e di inscriversi nell’Immaginario culturale dei futuri consumatori.
E’ un efficace modo di ricaricare di emotività l’immagine e si giustifica con la progressiva perdita della carica pulsionale inscritta nell’immagine stessa, riduzione prodotta dal suo indiscriminato uso nella società contemporanea.
I tropi, i modi classici del linguaggio tradotti prevalentemente in immagine, sono la “metafora”, la “metonimia”, la “sineddoche”, l’ “antonomasia”, l’ “iperbole” e
l’ “enfasi”.
La “metafora”, dal greco “methapherein” che significa “trasferire”, è una figura retorica che consiste nel sostituire un termine proprio con un altro termine, il cui significato ha con il primo un rapporto di “somiglianza”: le luci per indicare gli occhi.
Passiamo a esemplificazioni desunte dalla pratica pubblicitaria più diffusa.
“Metti un tigre nel motore” recitava in passato il registro verbale o lo “slogan” di una nota immagine pubblicitaria di una marca di carburante.
Notiamo l’operazione linguistica e grammaticale: un tigre ossia l’intenzionale conversione al genere maschile della parola tigre, una manovra giustificata dall’esaltazione simbolica della potenza e della velocità, classiche virtù di un giovane maschio e classiche proprietà di un’ottima benzina.
L’operazione pubblicitaria di porre un tigre al posto del carburante con un’originale somiglianza è una “metafora” in immagine.
Sulla stessa scia metodologica è stato messo anche un giovane maschio al posto del motore dell’auto di una bella, quanto severa, donna.
In queste immagini l’uomo è costretto a rombare per pubblicizzare le pasticche balsamiche alla menta piperita tanto salutari per la sua gola sottoposta all’inumano sforzo.
La metafora “maschio-motore” ha una valenza culturale e soprattutto politica, in quanto mette in risalto anche il tema dell’emancipazione femminile.
L’uomo, infatti, è al servizio della donna e dà energia al motore della sua auto.
Tralasciando i significati simbolici più profondi di ordine sessuale impliciti nell’immagine, si rileva il fatto che vengono mantenute le solite prerogative maschili della forza e della potenza con una inversione politica dello schema culturale, in quanto l’uomo è nettamente dominato dalla donna, oltre che mal ridotto.
Altri esempi di metafora in immagine sono: un biondo grappolo d’uva al posto del vino di marca a denominazione d’origine controllata, il cielo azzurro e terso sotto la crosta terrestre per rappresentare le capacità ecologiche del metano, una rapida cascata d’acqua pura che, oltre a inscriversi nella pelle con una sensazione di freschezza, sostituisce il deodorante maschile più indicato per certe operazioni di conquista del gentil sesso, magari senza “chiedere mai”.
Se la metafora procede per somiglianza, la “metonimia” si basa su una relazione concettuale e semantica ossia su una relazione di significato.
Il termine deriva dal greco “metonymia” e significa “scambio di nome”.
La figura retorica si attesta, come si diceva, nella sostituzione di un termine proprio con un termine che ha con il primo un rapporto di contiguità logica o materiale, di causa ed effetto: ferro per spada, rossore per vergogna e altro.
Ricorriamo alle opportune esemplificazioni tramite immagini pubblicitarie diffuse.
Si realizza una “metonimia” nel pubblicizzare la marca di una carme in scatola con l’immagine di una mucca in ottima salute, una povera bestia che purtroppo è destinata al macello per fornire al consumatore le sue buone carni ristrette in una gustosa gelatina e in una scatola metallica.
Operazione di “metonimia in immagine” è sostituire la scatola contenente la carne dello sfortunato animale con l’immagine della mucca viva e vegeta.
Altra operazione retorica di “metonimia” è pubblicizzare una marca di cioccolato con l’immagine di una mucca, svizzera per non compromettere la qualità del prodotto, colorata di viola ed etichettata con la confezione del prodotto.
La mucca è in relazione concettuale con la barra di cioccolato tramite il latte contenuto nelle sue poderose mammelle e nel prodotto.
Se, come si diceva, la buona qualità del cioccolato è di nazionalità svizzera negli schemi dell’Immaginario culturale collettivo, si può capire il rischio pubblicitario del mettere in discussione questo assunto, indicando in un prodotto italiano una migliore alternativa: “ma chi ha detto che il cioccolato è solo svizzero ?”
Questa propaganda si è rivelata vincente nel tempo per l’innovazione di uno schema culturale radicato nell’Immaginario collettivo.
A questo punto definiamo l’operazione retorica in immagine della “sineddoche”.
Il termine greco “synekdochè” significa “accogliere in sé” e la figura retorica si attesta nell’indicare la parte per il tutto o viceversa: il tetto per la casa.
La “sineddoche” ricorre all’uso di un dato particolare, che viene estrapolato da un contesto di per se stesso completo e viene investito di un senso più largo o più ristretto.
Un esempio può essere il seguente: una giovane e affascinante donna saluta alla stazione un uomo, che non appare in immagine, a cui sfugge la sciarpa di seta dal finestrino del treno proprio nel momento della partenza.
La sciarpa, supposta profumata, viene afferrata al volo dalla donna, che la stringe a sé e la odora, mentre il treno si allontana e porta via l’invisibile amato bene.
La “sineddoche” è individuabile nell’oggetto particolare “sciarpa”, una parte accessoria dell’uomo, un capo d’abbigliamento usato al suo posto e in sua vece.
Sullo stesso piano “tropico” si colloca la similare immagine pubblicitaria di un profumo maschile, che mostra una giovane seducente donna mentre stringe sensualmente a sé un maglione con smania erotica e olfattiva.
La figura retorica della “sineddoche” si coglie nel mettere il maglione al posto dell’uomo a cui appartiene.
Altri “tropi” ricorrenti nelle immagini pubblicitarie sono l’ “antonomasia”,
l’ “iperbole” e l’ “enfasi”.
Il primo si attesta nell’elogio del prodotto, nel bisogno di identificazione e nel desiderio di appartenenza dell’osservatore.
“Antonomasia” è l’esaltazione di un profumo o di un dopobarba destinati unicamente a un tipo di persona o a un modello di uomo: usa quel prodotto l’uomo che non deve “chiedere mai” e tutta la sua categoria.
L’antonomasia nell’immagine seleziona una classe di persone per l’uso di un prodotto pubblicizzato, ma non ne restringe il consumo, dal momento che democraticamente tutti possono aderire a questa casta privilegiata e appagare il desiderio di appartenenza semplicemente con l’acquisto di quel prodotto.
L’ “iperbole” in immagine consiste in una esagerazione dell’espressività.
Il termine deriva dal greco “hyperbolè” e significa “lancio oltre il limite”: l’esagerazione di un concetto o di un’immagine per l’appunto.
Essa deve necessariamente colpire nel modo giusto, altrimenti fallisce il suo obiettivo, si traduce con la sua carica logica ed espressiva in una comunicazione stucchevole, perde efficacia psichica e induce il rifiuto del marchio.
Esaltare l’unicità, l’assolutezza, l’indispensabilità di un determinato prodotto è un’operazione retorica iperbolica, una manovra difficile da realizzare nella sua apparente semplicità, dal momento che bisogna trovare il modo suadente di esagerare per non incorrere in un altrettanto iperbolico rigetto, psichico e reale, del marchio e del prodotto.
L’immagine, che riesce a conciliare l’esaltazione e la moderazione o l’imposizione e la persuasione nel suo registro visivo e verbale, ottiene un esito pubblicitario fruttuoso e dimostra di avere ben usato la figura retorica dell’ “iperbole”.
Imporre iperbolicamente un detersivo o un olio extravergine d’oliva significa esagerare nella maniera giusta e compatibile con la soglia di tolleranza della “pubblica coscienza”.
L’ “enfasi” è una figura retorica prossima all’iperbole e si può definire una forma di esagerazione persuasiva, un familiare invito dentro un’accattivante immagine.
Il termine deriva dal greco “emfasis” e significa “forza espressiva”.
Nel settore pubblicitario lasciare intendere proprietà magiche o effetti speciali nel prodotto divulgato equivale a un uso enfatico dell’immagine pubblicitaria.
Giuridicamente nelle sue esasperazioni l’ “enfasi” può essere considerata una truffa, ma tralasciamo questo aspetto legale e riportiamo un esempio adeguato per una migliore comprensione del meccanismo retorico.
In un’immagine pubblicitaria di un mediocre, qualitativamente parlando, profumo per uomo compare in secondo piano la figura della solita seducente donna in atteggiamento estasiato verso la figura maschile situata in primo piano.
L’operazione enfatica consiste nell’esaltare il profumo e nel promettere indirettamente la possibile conquista di quel tipo di donna, una categoria sensibile a quel profumo e a quel tipo di uomo.
E’ il prodotto che conquista, al di là delle mirabili arti seduttive maschili.
Si accresce enfaticamente l’importanza del profumo, immettendo nell’immagine un senso ulteriore con la funzione di amplificare le proprietà del prodotto.
E’ facile individuare in questo esempio anche l’uso dell’ “antonomasia” proprio in quel tipo di uomo e in quel tipo di donna.
Come si diceva in precedenza, incidono nella comunicazione pubblicitaria i processi psicologici di identificazione innescati e favoriti dal buon uso delle immagini.
Si costituiscono nelle società gruppi fondati sulla condivisione di determinati messaggi condensati e fissati in immagini pubblicitarie; queste ultime forniscono gli elementi di base per possibili aggregazioni.
Inoltre, essendo l’immagine libertaria e liberatoria, in quanto favorisce l’espressione dei vissuti, dei sentimenti, dei bisogni e dei desideri dell’osservatore, sono state escogitate dal sistema pubblicitario nuove forme di comunicazione dietro la spinta e la concorrenza del mercato.
La pubblicità Benetton, ad esempio, è stata innovativa e ha suscitato nell’opinione pubblica, oltre che negli addetti ai lavori, reazioni opposte di interesse e diffidenza, d’amore e odio, di apprezzamento e disprezzo, proprio per la sua originalità nell’offrire immagini pubblicitarie che esulavano dalle tradizionali convenzioni culturali e dalle obsolete combinazioni dei registri visivi e verbali.
Operazione di grande abilità è, infatti, saper creare le condizioni di ulteriore diffusione del marchio e gestire il dissenso o la contestazione, più che il consenso e il favore, sempre al fine di incrementare la conoscenza e la suggestione del marchio, oltre che naturalmente le vendite del prodotto.
A questo punto si può procedere con l’analisi specifica delle immagini Benetton.
INSERIRE L’IMMAGINE DEL ROTOLO DI CARTA IGIENICA
IL ROTOLO DI CARTA IGIENICA
L’immagine pubblicitaria in esame presenta un rotolo di carta igienica bianca, in uno sfondo altrettanto bianco, con la striscia terminale svolazzante e con un iniziale strappo del primo segmento a forma di “V”.
In alto sul margine destro compare il rettangolo verde Benetton con quel “registro verbale”, “United Colors of Benetton”, che tanti problemi ha sempre posto all’interpretazione dell’immagine a causa del suo inserimento interattivo con il “registro visivo”, una dialettica che ha determinato nell’osservatore una ricerca di senso spesso difficile e severa.
Semplice all’apparenza, l’immagine del “rotolo di carta igienica” è in realtà estremamente complessa nella sostanza e lo dimostra la sua articolata decodificazione.
Essa rientra ideologicamente nel ciclo Toscani-Benetton delle immagini culturalmente e socialmente trasgressive, quelle dalla carica provocatoria accentuata.
L’immagine non offre a livello estetico particolare attrazione, per cui si escludono pregi legati all’arte fotografica o alla bellezza del colore.
Essa è, all’incontrario, scialba e si gusta per il senso e il significato che sottintende; a tale ricerca indirizza l’attenzione logica e la tensione psichica dell’osservatore.
Il “rotolo di carta igienica” è decisamente un mezzo aggressivo nel versante sociale ed è usato in funzione trasgressiva; esso è un agente ideologico culturalmente e socialmente provocatorio.
Nella sua apparente semplicità ideativa e fotografica l’immagine tende immediatamente a colpire, più che l’Immaginario collettivo o la Psiche, il buon senso e il comune senso del buon gusto o del pudore.
Il “rotolo di carta igienica” è un’infrazione al codice dell’intimità personale, una violazione del privato e un ambiguo disoccultamento di pratiche rituali riservate.
E’ motivo di cattivo gusto l’esibizione strumentale di quello che si ritiene un oggetto riservato all’intimità e ai bisogni naturali dell’uomo.
Si rileva, in primo luogo, che non è considerato motivo di scandalo e di offesa al pudore la pubblicità specifica della carta igienica; diventa, invece, contestabile l’uso pubblicitario e improprio della stessa, il fatto che si ricorra all’esibizione di questo oggetto in maniera traslata e incomprensibile per pubblicizzare capi colorati di abbigliamento.
Il richiamo a ritrovare il nesso si evolve nell’osservatore in un bisogno urgente di capire e la sua impossibilità induce alla contestazione immediata dell’immagine; questa forma di rifiuto avviene in maniera consequenziale e proporzionale alla rabbia e all’impotenza di reperire un senso plausibile e un significato adeguato.
La mancata comprensione desta il sospetto della forzatura e dell’illogicità dell’operazione pubblicitaria, che oltretutto è indiretta, impropria e inutilmente provocatoria.
La prima impressione, quindi, parla nei termini di un’esplicita deroga al comune buon senso logico ed etico.
La carta igienica in immagine si può dare in bocca a un cagnolino, che la porta in giro per tutta la casa, destando un vissuto di tenerezza nell’osservatore.
La carta igienica in immagine la si può simpaticamente tollerare nel suo sforzo alpinistico, quando scala un edificio di dieci piani legata a palloncini colorati e ripieni di elio, ma non la si può associare certamente ai colorati maglioni Benetton.
Ben venga la fantasia a distogliere dal suo vero significato e dal suo vero uso, ma la carta igienica non può essere usata per pubblicizzare qualcosa di altro, perché disturba a livello psicologico, induce perplessità a livello logico e irrita a livello morale.
Per il “rotolo di carta igienica” l’osservatore non si appaga nel pensare alla demenza ossia al nesso di non avere un nesso, perché la logica alternativa rientra nella follia e allora diventa opportuna una difensiva fuga dall’immagine e dai suoi contenuti manifesti, latenti e reconditi.
In effetti, a una attenta riflessione si può anche ritenere che niente di trascendentale e di sconcertante si celi nell’immagine del “rotolo di carta igienica”, perché essa può essere considerata una morbida provocazione e una perdonabile trasgressione di tipo goliardico.
Del resto ci saranno immagini più sconcertanti nella produzione del sodalizio Benetton-Toscani e saranno più sconvolgenti le immagini pubblicitarie dei “profilattici colorati” che come siluri viaggiano nello spazio fotografico da sinistra verso destra, del “bacio sensuale della bella suora e del giovane prete” che infrangono un voto e un sacramento, della “bambina appena nata” che si presenta nell’aspetto crudo del “post partum”, delle “boccace dei bambini di razza diversa” che esibiscono narcisisticamente sberleffi a sfondo sessuale.
L’uso improprio e senza nesso manifesto del “rotolo di carta igienica” può anche essere stimato nell’ordine della volgarità, può scatenare un vissuto di prepotenza e di arroganza, ma lascia sempre nell’osservatore una pesante frustrazione, in quanto si tratta di un’immagine incomprensibile soprattutto nella sua interazione con il rettangolo verde dei “Colori uniti Benetton”.
Non è esagerato parlare in questo caso di un’espropriazione di senso e di significato, di una forma di alienazione indotta nella mente e nella coscienza dell’osservatore, di una violenza perpetrata ai danni delle facoltà logico-cognitive di chi si imbatte nell’immagine ed è costretto a capire e a reagire.
Proprio nel momento in cui questo vissuto diventa insopportabile, si fissa opportunamente il marchio e con la discussione conseguente esso si sistema a tutto tondo nella Psiche individuale e collettiva.
Le giuste domande degli osservatori esigono risposte logiche o anche chiarimenti banali, per cui a questo punto è necessario chiedersi: quale rapporto di senso e di significato si occulterà nel mettere insieme morbida carta igienica e maglioni
colorati ?
E ancora: quale figura retorica si può reperire in questa strana e inquietante
immagine ?
Consideriamo quest’ultima domanda.
Il tropo visivo della “metafora” non assolve il bisogno di trovare un rapporto di “somiglianza”, perché la carta igienica non somiglia al contenuto del rettangolo dei colori uniti Benetton; in effetti non c’è attinenza di senso e pertinenza di significato.
Si può provare un altro tropo visivo, la “metonimia”, un’operazione retorica che consiste nel trovare una relazione concettuale tra la carta igienica e il famoso messaggio del rettangolo verde, magari mettendo un oggetto al posto di un altro con cui condivide un senso o possiede un nesso.
Ricercare un’associazione significativa diventa vana impresa e la fantasia soccorre in parte, dal momento che anche questa funzione umana possiede le sue regole ed è solo in apparenza anarchica.
Un’associazione possibile, allora, potrebbe essere la seguente: i capi di abbigliamento Benetton sono intimi e morbidi come la carta igienica.
Altro collegamento non si può trovare, perché di un maglione non si fa lo stesso uso della carta igienica.
Inoltre bisogna precisare che questa “metonimia” è indiretta, in quanto riguarda la qualità dei tessuti e non dei colori Benetton.
A questo punto si è verificata la difficoltà di reperire una relazione tra la carta igienica e l’abbigliamento Benetton per somiglianza metaforica e per logica metonimica.
Proviamo a calzare a questa immagine il tropo visivo della “sineddoche”: è possibile reperire una relazione di senso più vasta o più ristretta, che consente di associare la carta igienica ai colori originali di un capo d’abbigliamento ?
Anche una fertile fantasia si troverebbe in difficoltà.
Senza disperare si possono applicare all’immagine i seguenti tropi visivi: l’antomomasia, l’iperbole e l’enfasi.
La carta igienica non rappresenta nessuna categoria di persone o tipologia di abbigliamento colorato: non può esserci “antonomasia”.
La carta igienica non è un’esagerazione espressiva e il rettangolo verde non contribuisce a esaltare il prodotto o a rafforzare il messaggio: non si tratta di “iperbole”.
Non esistono calore espressivo e sottintese promesse nell’immagine del “rotolo di carta igienica”: non c’è “enfasi”.
L’unico tropo iconico applicabile con poco spessore è la “metonimia” nella sua accezione “morbidezza”, ma tale decodicazione non sembra dotata di grande perspicacia, perché è riduttiva e semplicistica sia pur nella sua correttezza.
Non resta altro che approfondire la decodificazione.
L’immagine del “rotolo di carta igienica” contiene elementi innovativi più consistenti, non possiede contenuti di una certa profondità psichica diretta e immediata, per cui essa può essere considerata un mediato funtore di significati più o meno profondi, un mezzo attraverso il quale si raggiunge progressivamente una simbologia psichica, un “fantasma”.
A una prima indagine l’immagine pubblicitaria si presta chiaramente a una lettura sociologica, fa perno sull’Immaginario collettivo e desta alcune resistenze: un’immagine sostanzialmente trasgressiva, beffarda, provocatoria, quasi volgare.
Essa produce reazioni nell’ambito sociale e si fissa nella memoria, al di là del suo vero significato, a causa dell’attenzione investita dall’osservatore.
Quest’ultimo associa la responsabilità divulgativa dell’immagine alla Benetton o in maniera positiva e con simpatia goliardica o in maniera negativa e con opposizione moralistica.
Se non si fissa il significato profondo dell’immagine, per il fatto che l’osservatore non riesce a reperire il significato logico, si imprime pur tuttavia il significato sociologico della trasgressione e lo si associa al coraggioso marchio verde che usa l’immagine controcorrente: la Benetton è responsabile dell’uso pubblicitario improprio della carta igienica e della carica socialmente tragressiva dell’intimità infranta.
La carta igienica è un oggetto riservato all’intimità personale ed è cattivo gusto divulgare provocatoriamente, senza senso e senza nesso e per pubblicità indiretta, un oggetto che possiede altri requisiti, richiama fantasmi legati a preziosi bisogni primari di tipo organico, a funzioni ritenute meno nobili e nobilitanti di altre e su cui si cala volentieri il velo del pudore e dell’intima riservatezza.
Questa esibizione dell’intimità e questa violazione del privato non sono gradevoli e possono incontrare resistenze nella “pubblica opinione” perché vanno al di là della soglia del perbenismo morale.
Palati raffinati e schifiltosi, rinchiusi nella formalità di affettati atti sociali, non digeriscono la trasgressione di richiamare per via associativa il lato meno nobile della vita organica e un rituale che evoca uno sforzo psicofisico finalizzato, ancor meno nobilmente, alla liberazione delle feci.
La reazione della “pubblica coscienza” è proporzionale all’offesa e all’inganno, ma serve a fissare il marchio.
Approfondiamo l’interpretazione con la griglia psicoanalitica: l’immagine del “rotolo di carta igienica” appartiene al ciclo della “fase anale” e sfrutta subdolamente il vissuto arcaico dell’osservatore in riferimento specifico all’atto della defecazione.
A livello psichico profondo esiste una costellazione di simboli e di vissuti legata al corpo e all’espletamento dei bisogni organici espulsivi, una fase molto importante nella formazione psichica del bambino e nella vita psichica dell’adulto.
Esiste il fantasma delle feci e la psicodinamica, felice o drammatica, della loro espulsione o ritenzione.
La funzione umana della defecazione richiama un vissuto ambivalente; essa può significare liberazione da un’impellenza organica dolorosa e successivo ristoro dopo la tensione con un vissuto di serenità nel distacco di una parte interna del proprio corpo; essa può significare e comportare un bisogno impellente, contrario e innaturale, di tipo ritentivo, una forte pulsione a trattenere le feci e a vivere la dolorosa stimolazione dello sfintere anale con piacere sadomasochistico.
In quest’ultimo caso si struttura un vissuto di potere legato alla capacità di gestire lo stimolo e le feci, un vissuto di angoscia legato all’aspetto simbolico della perdita e della separazione di una parte interna del proprio corpo, le feci per l’appunto.
La complessa psicodinamica si gioca nel rapporto madre-figlio e nel secondo anno di vita, quando la carica dell’istinto sessuale, la “libido”, si concentra nella mucosa anale.
Le feci nella psiche infantile hanno una valenza aggressiva che viene conservata nel corredo psichico dell’uomo adulto.
Anche il linguaggio comune si serve di termini volgari e legati alle feci per trasmettere sensi e significati aggressivi.
Il “fantasma” delle feci, evocato dall’immagine del “rotolo di carta igienica”, è composito e a livello affettivo coniuga sensazioni e sentimenti diversi: vergogna, pudore, aggressività, piacere, dolore, liberazione, potere, erotismo, distacco, separazione, perdita, amore, odio, trasgressione, generosità, dono, investimento e altro ancora.
E’ opportuno sottolineare la valenza aggressiva delle feci in associazione al richiamo, altrettanto aggressivo, dell’immagine pubblicitaria nel suo significato profondo: una conferma delle diverse reazioni da parte dell’osservatore.
Si può reagire “analmente” di fronte all’immagine della carta igienica, perché essa costringe l’osservatore ad associare l’atto della defecazione con i vari vissuti e in particolare con la propria aggressività.
Chi ha vissuto negativamente la “fase anale” è portato a rifiutare il significato simbolico dell’immagine, mentre chi ha maturato un buon vissuto è portato alla tolleranza e al gusto sapido della stessa.
La trasgressione sociale, la violazione dell’intimità personale, la volgarità gratuita, l’infrazione al puritanesimo morale, questi fattori socio-culturali dell’Immaginario collettivo rimandano ai vissuti psichici, “fantasmi”, del nostro corpo e della funzione anale, si collegano alla cultura che ha condizionato attraverso le figure genitoriali anche la gestione dei bisogni del corpo.
Proprio la cultura occidentale ha tradizionalmente disprezzato il corpo e i suoi diritti, determinata in questa infausta operazione da fattori religiosi e metafisici; essa ha espresso e incamerato un valore e un vissuto negativi in riguardo ai bisogni del corpo, specialmente per quelli ritenuti prossimi all’istinto animale e lontani dalla razionalità e dalla spiritualità umane.
L’immagine Benetton di Oliviero Toscani è una violazione aggressiva del “tabù” culturale e sociale della defecazione; a questo atto naturale o ignobile rimanda in maniera impropria e con una rocambolesca traslazione.
Si tollerino il condizionamento pubblicitario e le forzature psicologiche, ma che si eserciti la satira trasgressiva, che si evochino i fantasmi individuali e collettivi, che si violi il “tabù” culturale della defecazione, tutto questo è intollerabile o troppo simpatico.
L’atteggiamento dipenderà in ogni caso dal vissuto psichico e dal valore culturale dell’osservatore, ma il “fantasma” delle feci condiziona in maniera consistente la carica emotiva di quest’ultimo nei confronti dell’immagine Benetton.
La carta igienica diventa la cattiva coscienza psichica e sociale sulla funzione fisiologica della defecazione.
Al di là degli approfondimenti psicoanalitici è incontrovertibile la carica aggressiva e provocatoria dell’immagine.
Essa agisce sul versante sociale per fissarsi adeguatamente a livello di Immaginario collettivo, dove si ferma con un buon risultato divulgativo.
L’obiettivo pubblicitario viene raggiunto nella contestazione e nel rifiuto dell’immagine o nella condivisione bonaria e simpatica della provocazione.
L’originalità è massima nella scelta del contenuto e del veicolo pubblicitario
psico-culturale di stampo trasgressivo.
INSERIRE L’IMMAGINE DEL BACIO DEL PRETE E DELLA
SUORA
IL BACIO DEL PRETE E DELLA SUORA
L’immagine Benetton presa in considerazione, “il bacio del prete e della suora”, ha la paternità fotografica e concettuale di Oliviero Toscani.
Essa offre all’osservatore, spostata in primo piano sulla parte sinistra, una figura maschile, ripresa di spalle e vestita di nero, che esibisce il classico cappello ecclesiastico ormai in disuso e con la falda anteriore rialzata.
Si tratta di un giovane prete, colto nell’atto di baciare con placido trasporto una gradevole e altrettanto giovane figura femminile, vestita da suora con l’abito bianco e con il classico cappello inamidato a svolazzo.
In questo complesso dominato dal bianco risalta il colore roseo della carnagione della donna e il suo graziosissimo viso, segnato da dolci lineamenti e dagli occhi naturalmente chiusi nel gusto del bacio.
Il cappello avvolge il viso delicato della suora e riparte con un movimento a volo di gabbiano, che imprime all’impianto una suadente tensione verso l’alto.
Il giovane prete, nel particolare dell’immagine, stringe delicatamente tra le sue labbra il labbro superiore della bocca semichiusa della suora nella fase chiaramente preliminare del bacio.
Nella parte alta del quadro e sul margine destro si presenta in maniera discreta il rettangolo verde con la consueta dicitura “United Colors of Benetton”.
I cappelli del prete e della suora delineano un arco a difesa dell’intimità in atto; essi acquistano la forma di un nuovo e composito cappello con la funzione di proteggere l’intimità del bacio da occhi indiscreti e da caustici giudizi.
Il giovane prete mostra l’attributo maschile di una barba non rasata di fresco come chiaro indizio di virilità.
La giovane suora, per converso, mostra un viso che può essere definito un condensato di femminilità in chiara sbavatura e distonia con le immagini tradizionali delle suore, almeno con quelle abitualmente offerte al nostro sguardo.
Questa suora è, quindi, molto bella e femminile rispetto al modello incamerato nell’Immaginario collettivo.
La descrizione dell’immagine si esaurisce in questi particolari; nel complesso dei dati e nell’interazione degli elementi essa trasmette all’osservatore un’immediata sensazione di delicatezza.
Sfugge al primo impatto visivo la constatazione della trasgressione, il bacio di due giovani ecclesiastici, e questa distrazione favorisce nell’osservatore il vissuto di un vago e diffuso erotismo.
La lampante e sacrilega infrazione, al sacramento dell’Ordine da parte del prete e al voto di castità da parte della suora e del prete, consegue alla prima impressione di delicatezza suscitata dall’impianto visivo.
Soltanto in un secondo tempo si associa la qualità trasgressiva dell’immagine nei suoi contenuti ideologici, culturali e teologici.
La delicatezza è, quindi, la qualità portante dell’immagine; qualsiasi riflessione ulteriore non lede la gradevole qualità dell’impianto sia nella “forma” fotografica a colori e sia nel “contenuto” dinamico in atto.
La delicatezza accompagna i colori esibiti con il largo prevalere del bianco, simbolo di candore verginale, e del nero appena interrotto dal colletto bianco del prete, simbolo del lutto e della perdita.
La delicatezza è associata a una prima sensazione di piacevole intimità orale e di poi subentra il senso della trasgressione.
L’infrazione è complessa e variegata, oltretutto impossibile da assolvere da un punto di vista morale e teologico.
Discutiamo i piani e i livelli della trasgressione.
Culturalmente essa consiste nel fatto che viene riprodotto su figure ecclesiastiche in maniera artificiale e con intenzioni pubblicitarie un dato erotico condannato dall’etica cristiana.
Infatti “il bacio del prete e della suora” è un atto sensuale ancor più esecrabile perché viola il codice etico e carismatico di appartenenza delle due persone in questione.
Baciarsi in quel modo non è certamente un atto cristianamente fraterno, ma un’infrazione alla morale cristiana, perché quel bacio ha una carica erotica sottile e prorompente sia pur nella sua dolcezza.
Sicuramente l’artificio fotografico di Oliviero Toscani è tecnicamente ben riuscito, soprattutto se consideriamo la naturalezza espressiva del bacio.
Ideologicamente l’immagine è “sovversiva”, perché contesta il voto di castità degli ecclesiastici e privilegia i valori umani legati al corpo e all’espressione dei suoi diritti.
Si stabilisce un contrasto tra i due ordini di valori: l’umano e lo spirituale.
L’immagine non irride ai valori religiosi, ma li mette in discussione, svelando un “tabù” ecclesiastico con una contestazione basata sulla delicatezza di una pulsione umana e offrendola all’osservatore con la bellezza dei protagonisti e con l’erotismo dell’atto.
Teologicamente “il bacio del prete e della suora” va contro la disciplina canonica e il sacramento dell’Ordine.
Il peccato del prete è mortalmente più grave rispetto a quello della suora, perché quest’ultima viola soltanto il voto della castità senza arrecare sacrilega offesa al carisma del sacramento dell’Ordine.
Questa sensibilità ai valori del corpo e dell’erotismo orale sono pur tuttavia riscattati dalla prevalente delicatezza, che toglie all’immagine in un primo impatto la carica provocatoria e sacrilega.
Toscani non irride l’abito ecclesiastico, se si considera che i due giovani antepongono un abito giovanile a quello talare ed è questo dato che domina nell’immagine rispetto ai valori morali e dogmatici di natura religiosa.
La loro giovinezza e la loro bellezza riscattano l’infrazione al codice morale e teologico.
Come si diceva in precedenza, l’atto del bacio è permeato di delicato erotismo negli occhi chiusi della suora e nella posizione della bocca del prete, le cui labbra stringono dolcemente il labbro superiore della suora con pressione voluttuosa e priva di volgarità.
L’atto del bacio è, inoltre, dolcemente pulito e riscattato dalla giovane età dei due protagonisti; in verità la cultura delle immagini pubblicitarie ha esibito ed esibisce ancora oggi di peggio.
Una domanda sorge spontanea: perché rappresentare il prete e la suora nell’atto del bacio al posto di un giovane uomo e di una graziosa donna ?
Sarebbe stato normale e accettabile il secondo caso, ma non avrebbe avuto l’effetto particolarmente incisivo che consegue dagli abiti e dal ruolo dei protagonisti, dalla violazione del voto e dal sacrilegio commesso.
E’, quindi, l’atto della trasgressione che contribuisce con la sua provocatoria esibizione ad accrescere nell’osservatore la sensazione piacevole e a fissare il messaggio pubblicitario nella subliminalità della coscienza; la trasgressione scatena e amplifica le sensazioni piacevoli e queste ultime imprimono il marchio.
Procediamo con l’applicazione della griglia psicoanalitica: l’immagine viene accettata e tollerata da tutte le persone che hanno maturato nella loro formazione psichica un buon vissuto con il proprio erotismo orale.
L’immagine si può definire in maniera esauriente “l’esaltazione trasgressiva dell’oralità erotica” nella cornice estetica di un sentimento e di un gusto.
La trasgressione è una deroga ai valori costituiti ed è fonte di eccitazione sensoriale, oltre che di contestazione culturale.
Del resto, lo schema trasgressivo è il fondamento della trasformazione culturale dei valori ufficiali e consolidati di un gruppo sociale; queste operazioni innovative sono sempre in corso e idealmente iniziano nel momento in cui i valori costituiti sono affidati alle nuove generazioni, le quali di per se stesse sono naturalmente disposte alla loro riformulazione e possibilmente alla loro modificazione.
Se poi la trasgressione avviene all’interno di una cultura reazionaria e conservatrice, dotata di una rigidità degli schemi come quella religiosa in genere, essa può acquistare maggiore spessore emotivo e migliore efficacia diffusiva.
Giustamente Oliviero Toscani nell’immagine del “bacio del prete e della suora” investe la struttura conservatrice della chiesa cristiana: mettere in discussione la gerarchia e la morale ecclesiastiche è un atto ancor più trasgressivo.
La questione e l’immagine, viste in questi termini settoriali, rasentano l’offesa blasfema.
Il rigore teologico e la fissità istituzionale della Chiesa cristiana negano alle donne e alle suore l’accesso al sacramento dell’Ordine e agli ecclesiastici la possibilità di vivere la propria sessualità e di contrarre matrimonio, a conferma della tradizionale misoginia tutta protesa verso la tutela del privilegio maschile nella svalutazione delle esigenze spirituali dell’universo femminile e dei diritti erotici del corpo sia maschile che femminile.
Pur tuttavia la trasgressione teologica dell’immagine non è in eccesso rispetto alla piacevole sensazione inscritta, perché l’impianto elaborato da Oliviero Toscani è segnato dalla prevalenza dell’oralità erotica.
L’erotismo trasgressivo del bacio è direttamente proporzionale alla bellezza e alla giovinezza dei personaggi; il fatto che si tratta di un’immagine pubblicitaria accresce il senso della trasgressione e favorisce la fissazione del marchio.
L’immagine del “bacio del prete e della suora” si lascia spiegare con la tesi psicoanalitica del “trionfo dell’erotismo orale”, una fase fondamentale del primo anno di vita e della formazione psichica dell’uomo, il momento in cui la “libido” si incentra nella bocca e privilegia le funzioni nutritive e aggressive del bambino.
La bocca è per quest’ultimo l’organo di contatto con il mondo sia per sopravvivere e sia per esternare le sue pulsioni; in particolare essa è l’organo di contatto con la madre, una figura determinante con la quale il bambino stabilisce un rapporto primario e privilegiato di natura erotica.
I vissuti sensoriali di tipo orale, come si diceva, formano la psiche in questa delicata fase della vita; le frustrazioni e le gratificazioni della funzione orale fondano la psiche infantile e l’uomo adulto vivrà la sua oralità in base ai vissuti esperiti da bambino.
L’immagine del prete e della suora provoca, quindi, la “libido” orale dell’osservatore e ne evidenzia il vissuto maturato nel tempo; essa contiene i “fantasmi” dell’oralità legati al corpo e allo scambio erotico, nuclei psichici accresciuti da un senso trasgressivo che si lascia vivere come piacevole sensazione.
L’immagine conferma il rilievo psicoanalitico che Oliviero Toscani ha voluto inserire nelle sue immagini pubblicitarie, uno studio delle fasi freudiane dello sviluppo psicosessuale dell’istinto in associazione a una carica trasgressiva per incidere efficacemente la subliminalità psichica dell’osservatore.
A questo punto si profila la solita e difficile questione dell’interazione tra il contenuto ideologico culturale con il rettangolo verde Benetton.
Quale rapporto si può stabilire tra “il bacio del prete e della suora” e il marchio Benetton ?
La delicatezza estetica ed erotica, veicolata dal senso trasgressivo, è la colonna portante dell’immagine, per cui si possono associare per “metafora” i colori del bianco e del nero uniti in un bacio, religioso nella sua purezza, con i colori uniti nei capi di abbigliamento Benetton.
Esiste una possibile “metafora” tra il colore bianco della suora e il colore nero del prete, uniti insieme come i colori Benetton.
Tale “metafora” è rafforzata dalla simbiosi coinvolgente del bacio e si esprime in questa fusione ben riuscita di sensazioni e di colori.
E’ presente in maniera inequivocabile la figura retorica della “metafora”: i colori sono uniti nella fusione del bacio, così come sono armonicamente fusi nei capi d’abbigliamento Benetton.
Globalmente l’immagine di Oliviero Toscani è molto bella e ricca di contenuti emotivi piacevolmente trasgressivi e tollerabili anche da parte di un cristiano proprio per la bellezza suggestiva dell’impianto.
Pur essendo presente un riferimento esplicito al problema teologico del celibato ecclesiastico e della giusta collocazione delle suore e delle donne all’interno della Chiesa cristiana, questa contestazione non è determinante ai fini dell’interpretazione dell’immagine da parte dell’osservatore.
Essa non sortisce un effetto negativo proprio per la delicatezza dell’impianto; con altrettanta delicatezza il messaggio arriva alla coscienza dell’osservatore e scende nella sua subliminalità, procurando sensazioni piacevoli legate all’oralità e amplificate dalla carica trasgressiva.
L’immagine arriva nell’Immaginario collettivo e fa dolce pressione sui buoni fantasmi della bellezza e della sensualità erotica, commuovendo la psiche senza falsi e improvvidi turbamenti.
Particolarmente delicata è la figura della donna per la carica emotiva che possiede ed esprime; grazie all’avvolgimento dei capelli nell’ampio e bianco cappello si dà spazio all’immaginazione individuale e all’effetto psicopercettivo del disoccultamento dei capelli e della globalità del viso: l’osservatore completa e gusta il quadro nella sua bellezza.
L’immagine è costruita in maniera tale da muovere l’immaginazione, la fantasia e la sensualità.
Proprio perché particolarmente ricca di fascino e messa in primo piano con le delicate fattezze del suo viso, la figura femminile diventa moralmente responsabile della trasgressione.
L’Immaginario collettivo e l’opinione pubblica attribuiscono alla bella suora, piuttosto che al furbo prete, la colpa della trasgressione, nonostante il fatto che quest’ultimo ha violato il sacramento; la cultura lo tutela, perché è fissata dall’universo maschile, il quale attribuisce tradizionalmente lo schema della trasgressione al codice femminile.
In riguardo all’erotismo e per ancestrale fobica misoginia non è azzardato dire che la donna, ancora oggi e in molti casi, è considerata strumento diabolico di perversione.
L’immagine, pur tuttavia, non sortisce questo effetto arcaico e non ridesta questo vissuto di condanna.
La dolce sensazione che accompagna la discesa nell’Immaginario collettivo del quadro nella sua globalità non disturba la coscienza religiosa, a condizione che essa non sia trincerata dietro una montagna di bigotti pregiudizi, classiche eredità di frustrazioni psicofisiche piuttosto che di norme carismatiche.
L’immagine del “bacio del prete e della suora” turba dolcemente i vissuti pregressi legati all’evoluzione dell’istinto psicosessuale e al rapporto instaurato con la propria oralità nel caso specifico e con il proprio corpo nel caso generale.
Essa incontrerà resistenze moralistiche nelle donne e negli uomini che non hanno potuto dare il giusto appagamento al loro istinto psicosessuale e che hanno maturato un cattivo rapporto con la propria oralità e il proprio corpo.
Il trincerarsi dietro l’offesa sacrilega, accusa rivolta alla Benetton proprio per questa immagine, denota nell’osservatore un’incapacità di vivere sensazioni gradevoli.
Le anestesie, il raffreddamento psichico degli istinti sono caratteristiche della morte, piuttosto che della vita; quando un uomo è chiuso in una rustica corazza psichica e nel carcere del proprio corpo, non avverte i valori della bellezza, della delicatezza, dell’erotismo soffuso e non si lascia prendere dal benefico effetto di un’ansia trasgressiva.
Quella del “bacio del prete e della suora” è e si è rivelata una buona immagine pubblicitaria a tutti i livelli e in ogni senso.
INSERIRE L’IMMAGINE DELLA DONNA CHE ALLATTA
LA DONNA CHE ALLATTA
Per condensare visivamente ed evocare i fantasmi della “fase orale”, oltre l’immagine del “bacio del prete e della suora”, Oliviero Toscani ha concepito quella che si può definire sinteticamente “la donna che allatta” e analiticamente “la donna di razza negra che allatta un bambino di razza bianca”.
Si rileva immediatamente il riferimento preciso e il richiamo inequivocabile all’oralità infantile in relazione privilegiata alla figura materna.
Quest’immagine pubblicitaria si può anche decodificare nel modo seguente: “l’affermazione dei diritti universali della Madre e dei vissuti psichici dell’oralità infantile”.
Si potrebbe ancora definire come “l’esaltazione libidica della Madre e della Vita”, veicolata attraverso il tema provocatorio della razza e in esaltazione dei sentimenti universali di amore e di uguaglianza, valori che travalicano i connotati fisici razziali e le differenze del colore della pelle.
Si nota il ritorno della cornice cromatica del bianco e del nero; in questa immagine i colori non sono rappresentati dagli abiti, come nel caso delle figure ecclesiastiche del prete e della suora, ma dalla pelle, il segno naturale della razza.
Iniziamo l’analisi con la descrizione dei contenuti: nella fotografia di Oliviero Toscani è rappresentato il mezzo busto superiore di una donna negra, con l’esclusione del viso, nell’atto di allattare un neonato di razza bianca.
La donna esibisce in primo piano un prosperoso seno nudo, quello sinistro, ed esposto nella sua turgida rotondità al vissuto dell’osservatore, mentre quello destro è coperto dalla testa del bambino intento a succhiare.
La donna indossa un maglione rosso, aperto sul davanti in maniera naturale, che scivola dalle spalle lateralmente lungo i fianchi, lambendo sensualmente i seni, degni attributi fisici di una giovane madre.
Nella parte sinistra dell’immagine tondeggia il seno esposto con un’ampia aureola di colore più scuro che circoscrive un turgido capezzolo; nella parte destra avviene il rito naturale dell’allattamento e il bambino di razza bianca succhia serenamente il seno che occulta con la sua testa.
Il bambino occupa tutta l’immagine nella fascia mediana e orizzontale; si desume la sua recente nascita dal fatto che la testa è in proporzione più grossa rispetto al resto del corpo e che la pelle presenta delle macchie rossastre, chiaro segno che l’epidermide risente ancora dell’umido soggiorno intrauterino.
Il bambino succhia il seno con la classica postura neonatale; la manina sinistra chiusa a pugno, la bocca naturalmente attaccata al capezzolo e l’altra mano posata sul fianco della donna, che lo sorregge amorevolmente nel suo sforzo, “libido”, in onore al Genio della Specie.
Le braccia nere della donna teneramente avvolgono il bimbo, infrangendo il colore bianco rosaceo del suo corpo con il colore nero delle sue mani affilate, dove colpisce il colore rosa delle unghie.
Nella parte alta e sul margine destro compare il rettangolo verde della Benetton con la chiara e solita dicitura “United Colors of Benetton” che interagisce con l’immagine descritta.
Il rettangolo verde non appare indiscreto nel contesto sia per lo spazio che occupa e sia per la conformazione grafica che possiede.
L’immagine del “trionfo dell’oralità infantile e della Madre” incorpora e recupera anche i temi ideologici della razza e del razzismo, elementi culturali ampiamente esibiti in altre immagini Benetton da Oliviero Toscani per caricare di denuncia sociale il suo intento pubblicitario.
L’immagine è un duro pugno nello stomaco dell’osservatore e colpisce per la sua polivalenza; essa è ricca di intrecci e di contenuti arcaici e attuali, archetipici e individuali, sociali e culturali, ontogenetici e filogenetici.
L’immagine non si esaurisce in un’ampia interpretazione, perché i riferimenti coinvolgono diversi temi e diverse discipline.
Il quadro è dominato in prima istanza dall’archetipo della “Madre”, un simbolo universale; l’immagine è l’esaltazione simbolica del Principio femminile, ampiamente rappresentato sin dalla preistoria in statuette di terracotta e marmo, in bassorilievi che evidenziavano le proprietà essenziali della dea Madre, le numerose mammelle.
Esiste un’ampia rassegna artistica inneggiante al tema della dea Madre con le stesse caratteristiche che Toscani ha dato dal vivo alla sua immagine pubblicitaria: il seno, l’allattamento, la vita e la continuazione della vita.
E’ questo il significato ontogenetico e filogenetico accuratamente estratto da un contesto filosofico e antropologico.
L’immagine nella sua composizione appartiene a un rituale religioso e iconografico che è il culto primario della dea Madre, un culto e un rito mai estinti o adeguatamente rimossi nella storia dell’uomo.
Il Cristianesimo, tra l’altro, ha ripreso il tema nella diffusissima immagine sacra della Madonna e del bambino Gesù.
L’immagine Benetton della “donna che allatta” è, quindi, archetipica, perché incarna la simbologia del Principio femminile, della vita e della conservazione della vita.
Il secondo elemento fondamentale è la carica libidica.
L’immagine celebra il rito filogenetico, amore dell’origine e di conseguenza della Specie, dell’alimentazione del bambino e dell’immensa carica affettiva materna.
Il bambino appaga la sua carica libidica nell’atto dell’allattamento e desta nell’osservatore un sentimento di sacra tenerezza.
Un altro vissuto libidico viene consumato dalla madre, un vissuto che non si può cogliere perché non è stato rappresentato; le sembianze e le posture del viso della donna, infatti, non compaiono nel quadro.
Si può soltanto immaginare il suo appagamento erotico nel sentirsi succhiata dal bambino in un organo erogeno come il capezzolo o il seno in generale.
“Bios” ed “Eros”, vita e amore sono opportunamente connessi nella psicodinamica dell’allattamento.
Ambivalente è il vissuto della madre che allatta, in quanto oscilla tra il dono di sé e il piacere collegato all’atto del lasciarsi succhiare, così come egoistica è la pulsione del bambino di nutrirsi appagando la sua fame.
L’immagine è permeata di ambivalenza anche nei vissuti dell’osservatore, chiamato a riconoscere nell’atto dell’allattamento da un lato un nobile fattore di amore materno privo di erotismo e dall’altro lato una pulsione libidica evocata dalla turgida rotondità del seno, sia pur pudicamente esposto.
L’immagine della “donna che allatta” comporta per l’osservatore una “sublimazione” della “libido”.
Essa ripropone la situazione di imbarazzo vissuta quando per caso si assiste al rituale dell’allattamento di un bambino; l’osservatore è costretto a sublimare la carica erotica innescata dalla visione del seno in omaggio all’atto d’amore che si sta consumando.
L’immagine evoca nell’osservatore i fantasmi della “fase orale”, questa tappa formativa nell’evoluzione dell’istinto sessuale, che, se è stata ben vissuta, permette all’uomo adulto un buon esercizio del suo erotismo orale.
E’ degna d’interesse, a questo punto, l’analisi di un particolare: l’immagine della donna senza testa facilita nell’osservatore l’emergere di vissuti pregressi legati al complesso edipico, una tappa universale e determinante nella formazione psichica di ogni uomo.
Nei sogni, infatti, l’immagine edipica del genitore dell’altro sesso, è sempre allucinata senza il capo e senza il viso, in quanto scatterebbe il risveglio immediato qualora si individuasse chiaramente che l’oggetto del desiderio è la figura genitoriale.
L’immagine della “donna che allatta” è ben studiata in ogni particolare ed evoca significati e fantasmi profondi; essa riesuma anche la parte inconscia del complesso edipico a conferma della sua ricchezza simbolica.
Il terzo elemento importante dell’immagine, anche questo di natura ambivalente, è il tema sociale, il valore della razza mediato dal tema universale, archetipo, dell’amore materno.
Una donna di razza negra allatta un bambino di razza bianca, un figlio che può anche essere suo, ma che si lascia immediatamente individuare come da lei soltanto nutrito.
La donna negra sarà una madre adottiva, in deroga allo schema culturale che vuole bimbi negri per famiglie di bianchi e non viceversa; la donna negra sarà una nutrice delle sostanziose mammelle che amorevolmente supplisce alle deficienze biologiche o alle preoccupazioni estetiche della madre naturale di razza bianca.
In ogni caso nell’immagine è implicito un messaggio d’amore universale proveniente dalla razza negra, la quale è stata storicamente oggetto di violenza, sfruttamento e sradicamento etnico culturale da parte della razza bianca.
Una donna negra dà una lezione d’amore ai bianchi con l’atto di nutrire un loro neonato.
Il tema della denuncia sociale è presente nelle immagini pubblicitarie di Oliviero Toscani, ma in questa fotografia non si svolge la solita trama del negro, inteso come il buon selvaggio di razza inferiore che si lascia manipolare dall’uomo bianco, perché è la donna negra che insegna l’amore e l’uguaglianza tra le razze.
E’ originale l’accostamento “donna-madre-negra” e “allattamento-bimbo-bianco”; paradossalmente esso può essere inteso come un ulteriore sfruttamento e nel caso specifico lo sfruttamento del latte di una donna negra da parte dei bianchi.
Questo dato è ideologicamente compensato dal fatto che il latte è sempre bianco e non ha il colore della pelle, un’interpretazione che non arriva a essere determinante nell’immagine, perché l’elemento portante è il simbolismo della Madre e dell’erotismo orale, di poi associato provocatoriamente ai temi socio-culturali dell’uguaglianza razziale e dell’amore universale.
Il trionfo simbolico della “Madre” e del “Principio femminile” supera le distinzioni razziali, in quanto tutti gli uomini sono uguali e fratelli, prima che nel loro Dio, nella “Madre”, serbatoio ed esaltazione della vita e dell’amore.
Riepilogando: l’immagine Benetton della “donna negra che allatta” possiede un significato archetipico, in quanto rivisita la forma universale della “Madre” e produce nell’osservatore una sublimazione della “libido” orale in un nobile sentimento di tenerezza.
A livello culturale nell’immagine della “donna negra che allatta” prevale il tema ideologico e sociale della razza; il quadro evoca un senso di amore universale con il rappresentare la donna negra come nutrice e il bimbo bianco come beneficiario: un figlio adottato nel segno universale del latte.
L’immagine evoca a livello psicologico sentimenti di tenerezza verso il bambino e stempera l’egoismo razziale, dal momento che la madre di latte è una donna negra.
Si consideri, a questo punto, l’interazione nel contesto del rettangolo verde Benetton e in particolare del registro verbale con i vari elementi dell’immagine.
Considerando la qualità pubblicitaria, l’analisi risulta particolarmente complessa proprio per l’intrecciarsi di temi antropologici, socio-culturali, psicologici profondi anche di tipo archetipico con la dominante funzione divulgativa.
L’immagine della “donna negra che allatta un bambino bianco” possiede una ricchezza di contenuti primari, arcaici e ancestrali che non giustifica la presenza del rettangolo verde Benetton, se non a prezzo di un’inesorabile caduta di qualità e di una deleteria perdita di senso e di significato: la nobiltà dei temi intrinseci e connessi si sgretola ridicolmente in una banale operazione commerciale.
Necessita la mediazione di un elemento che rende tollerabile l’immagine e impossibile il pregiudizio.
Il registro verbale del rettangolo verde Benetton interagisce immediatamente con il maglione rosso della donna, inducendo una naturale associazione e un consequenziale nesso logico.
La presenza del maglione di lana, che avvolge le braccia e i fianchi della donna, sembra almeno questa volta facilitare la soluzione del problema, perché si tratta di un capo di abbigliamento ben visibile.
Non bisogna, allora, fare acrobazie interpretative per giustificare la presenza del rettangolo verde Benetton in questa immagine; l’informazione scivola in maniera lineare, ma il significato profondo induce la tentazione di scoprire altri sensi e altri nessi.
Se abbiamo un appiglio concreto nell’immagine per tirare in ballo i maglioni Benetton, la questione si complica quando si tira in ballo l’interazione del rettangolo verde con il significato archetipico e psico-socio-culturale dell’immagine.
Essendo riduttiva la suddetta interpretazione, è necessario allargare l’orizzonte verso la figura retorica dell’immagine.
Emerge una chiara “metafora” provvidamente servita attraverso i colori delle razze, il bianco e il nero uniti in una fusione materna, una simbiosi madre-figlio, un cordone ombelicale seno-bocca e capezzolo-labbra.
La coesione fusionale dei colori razziali, dei colori della pelle, imprimono un’egida universale simbolica, chiara e diretta, di amore universale all’ombra protettiva della conservazione della Specie tramite la “Madre-figlio”.
La diade “Madre-figlio” è una sola entità affettiva, ontogenetica e filogenetica; essa è una simbiosi cromatica, così come i “colori associati della Benetton” sono un progresso nell’originalità estetica dell’abbigliamento.
L’auspicio e il messaggio di amore tra le razze possono essere assembrati alla coesione cromatica Benetton, ma una domanda sorge necessariamente: la coesione dei colori Benetton funge da strumento di sensibilizzazione dell’umanità verso tale traguardo civile oppure funge per altro meno nobile e interessato scopo ?
Il sospetto e l’insinuazione possono destare attriti ideologici legati al movimento internazionale dell’emancipazione femminile, in quanto l’immagine può essere interpretata, proprio per la sua qualità pubblicitaria, come una strumentalizzazione e un uso improprio di una donna di colore e di una tematica sociale ad alto contenuto ideale, a forte densità ideologica e a chiara carica politica.
La funzione manipolatrice del tema umano attraverso l’immagine non rende credibile l’intento civile e culturale della stessa, per il fatto che non esiste proporzione tra il fine così alto del messaggio dell’amore universale e il fine così basso del messaggio promozionale.
I due contenuti sono fortemente sperequati.
Oltretutto l’esibizione del seno evoca il solito sospetto, che di poi diventa accusa, di un’operazione esclusivamente pubblicitaria, fatta da mercanti maschi per motivi economici, piuttosto che per motivi di ordine etico: un camuffamento truffaldino di un elemento squisitamente economico con un ideale antico e attuale, la crescita degli affari al posto dell’evoluzione civile del consorzio umano nella sua convivenza.
Questa possibile contestazione, però, non raggiunge il suo effetto, perché gli altri fattori sono dominanti.
Se arriva a formularsi, questa contestazione è poco efficace negli effetti, perché valgono i fattori simbolici trainanti dell’immagine, che si dimostrano ancora una volta robusti veicoli di discesa nella subliminalità della coscienza dell’osservatore e di diffusione del marchio.
A livello pubblicitario la complessità dell’immagine sortisce un esito positivo ed efficace, ma non risolve la sua artificiosità, le sue contraddizioni ideologiche, le sue disarmonie emotive.
Un tema maledettamente serio è trattato in un contesto semiserio e ai bordi del ridicolo, proprio per il fatto che i nobili elementi dell’immagine rischiano di perdere qualità una volta immessi nel registro pubblicitario.
Ma questa psicodinamica non si realizza, perché l’approccio superficiale dell’osservatore smantella e supera le contraddizioni dell’immagine e la lascia inquadrare come la solita eccentrica pubblicità Benetton firmata Oliviero Toscani.
La riduzione e la perdita di significato fanno di questa immagine, così difficile da comprendere, un veicolo di propaganda esotico ed efficace nell’adescamento fumoso delle masse.
INSERIRE L’IMMAGINE DELLE BOCCACCE DEGLI
ADOLESCENTI DI RAZZA DIVERSA
LE BOCCACCE DEGLI ADOLESCENTI DI RAZZA DIVERSA
La fotografia e la concezione dell’immagine pubblicitaria in questione appartengono a Oliviero Toscani.
Gli elementi del quadro appaiono in disarmante semplicità.
Il primo piano occupa i visi aggraziati di tre ragazzi, adolescenti di razza diversa, nell’atto di esibire la lingua come provocatorio sberleffo nei confronti dell’osservatore.
Le razze rappresentate sono la negra, la bianca e la gialla.
In posizione centrale è fotografato il ragazzo bianco, probabilmente scandinavo, con capelli biondissimi, quasi bianchi, pettinati a caschetto e con limpidi occhi azzurri.
Nella parte destra dell’immagine compare il viso dell’adolescente di razza gialla, giapponese o coreano, dai capelli lisci e dritti, sempre pettinati a caschetto, di colore nero intenso e caratteristico; si nota anche un leggero strabismo negli occhi lucidi e neri con riflessi ebano.
Nella parte sinistra si mostra un ragazzo di razza negra con capelli artificiosamente elettrizzati e con occhi neri.
I tre adolescenti esibiscono le loro lingue in atto trasgressivo, simbolicamente scurrile, di boccaccia; le tre lingue, rispetto al variare del colore della pelle, hanno lo stesso cromatismo rosa intenso e tendente al rosso.
Le spalle del ragazzo bianco fungono da balconcino per i visi degli altri due adolescenti; l’immagine, pur trattando il tema ideologico e culturale della parità delle razze umane, non è paritaria nelle posizioni logistiche dei personaggi, in quanto il ragazzo di razza bianca gode, rispetto agli altri due adolescenti, del privilegio di un’esposizione in primo piano.
Questa caratteristica può essere stimata un “lapsus” culturale di Oliviero Toscani, l’emergere inopportuno di un assunto culturale di base, depositato oltretutto nell’Immaginario collettivo, che il “concept” della Benetton non controlla nel momento in cui abbassa la soglia di vigilanza cosciente e razionale.
Questo particolare psichico, sfuggito al controllo dell’Io, manifesta il suo contenuto teorico latente: l’introiezione storica e culturale da parte dell’uomo di razza bianca dello schema riguardante la propria superiorità razziale e il proprio primato civile.
Nel margine destro e alto dell’immagine compare il rettangolo verde Benetton con il solito registro verbale “United Colors of Benetton”; la sua presenza non sconvolge il quadro, nonostante il fatto che i tre ragazzi non indossano alcun capo d’abbigliamento e non consentono, quindi, l’associazione immediata con il prodotto propagandato.
All’incontrario è immediata l’associazione metaforica dei tre adolescenti di razza diversa con la coesione dei colori Benetton: ragazzi dal colore diverso della pelle convivono in atteggiamento aggressivo di sberleffo e con lo stesso colore della lingua alla stesa stregua dei colori uniti della Benetton nei capi d’abbigliamento destinati all’adolescenza.
Un fattore comune è rappresentato dal colore della lingua, in attestazione che le razze sono diverse a livello organico soltanto nel colore della pelle, esternamente e non internamente.
La provocazione ideologica antirazzista è evidente e altrettanto chiaro è il messaggio metaforico della coesione amorosa dei colori Benetton e delle razze.
In questa unione funge da rafforzamento psicologico l’emozione destata dalla rappresentazione di adolescenti rispetto alla rappresentazione di uomini adulti.
Dopo il messaggio di amore universale, l’analisi si sposta sull’atto esibito e sul suo significato trasgressivo: lo sberleffo è simpatico, provocatorio e tollerabile, dal momento che sono dei ragazzi a inscenarlo e rientra nel modo ludico della loro età, un atto consentito dagli schemi della cultura ufficiale.
Lo sberleffo rappresenta una ricerca di contatto con il mondo degli adulti e non è motivo di offesa alla “pubblica coscienza”; la trasgressione può essere assolta.
L’immagine implica la bonaria tolleranza degli adulti e in maniera prevalente colpisce a livello ideologico con l’esaltazione della convivenza pacifica e dell’amore tra le razze.
In special modo gli adolescenti sono utili a ridestare il valore della tolleranza con i sentimenti di bellezza e simpatia che essi inducono negli osservatori adulti.
La decodificazione della “metafora” in immagine è facile e immediata, in quanto favorisce l’associazione con il rettangolo verde Benetton: lo sberleffo dei ragazzi è tollerabile, perché rientra negli atti trasgressivi della loro età.
La provocazione di Oliviero Toscani viene recepita con benevolenza, in quanto ampiamente riscattata dal messaggio sociale dell’amore tra le razze, un sentimento presente nelle nuove generazioni e difficile da realizzare, purtroppo, nel mondo degli adulti.
Il messaggio arriva e scivola in maniera suadente nell’Immaginario collettivo ed evoca un vissuto ben distribuito di pace e fratellanza, un tema costante nei messaggi pubblicitari Benetton.
L’immagine non desta virulente emozioni e si fissa nel livello subliminale dell’osservatore in maniera ridotta, perché il contenuto ideologico è classico e scontato; la ripetitività del tema non produce la diffusione sperata.
Dal giudizio espresso si evince che l’immagine pubblicitaria Benetton delle “boccacce degli adolescenti di razza diversa” è da considerare un messaggio pubblicitario di accettabile spessore ideologico e di ridotta carica subliminale.
Per essere più efficace l’immagine manca di un elemento che funga da mediatore tra l’interpretazione ideologica culturale e l’interpretazione psicologica profonda.
Un ulteriore approfondimento conferma che quest’ultima supera la prima.
L’immagine, infatti, possiede nella sua essenza un ricco contenuto simbolico e una buona carica emotiva, ma il privilegio accordato al significato immediato da parte dell’osservatore non permette al messaggio di incidere in maniera più consistente la sua subliminalità psichica.
E’ opportuno, allora, riconsiderare il particolare delle lingue e il loro colore rosaceo; la lingua, come si diceva, è un elemento di uguaglianza tra le razze come organo e come colore.
A livello simbolico essa contiene ed evoca un fantasma sessuale di tipo “fallico” con la compiacenza “narcisistica” dell’esibizione; esporre la lingua equivale simbolicamente all’esibizione provocatoria e trasgressiva del pene.
La “libido” si scarica nell’ostentazione gratificante del pene, nell’esibizione della virilità e del possesso di un organo culturalmente forte; del resto, quasi tutte le culture umane sono determinate dalla “rimozione” del “principio femminile” e dal domino del “principio maschile”, di cui esse sono l’esaltazione nei fatti storici.
La sessualità fallica è vissuta a livello psichico profondo come un condensato simbolico di potere e un fantasma di forza.
La lingua, quindi, è simbolo del pene e degli attributi culturali maschili, collegati a livello archetipico sempre all’universo maschile.
L’interpretazione simbolica della lingua, organo dominante dell’immagine anche a livello emotivo, si allarga nel contesto alla chiara esposizione delle labbra.
La decodificazione profonda si complica ulteriormente; quella che appariva a una prima indagine un’immagine semplice diventa un condensato di temi e di elementi legati a discipline diverse.
Le simbologie si complicano e i significati si completano; l’analisi trova un fantasma globale della sessualità, l‘ “Androginia”, il Maschile e il Femminile, il completamento all’esibizione unilaterale della lingua-pene da parte degli adolescenti con la sua metà o alterità, la parte femminile, inscritta simbolicamente nelle labbra.
Queste ultime rappresentano metaforicamente l’organo sessuale femminile, la vagina, con l’evidente richiamo all’apparato sessuale esterno femminile, le grandi labbra per l’appunto.
Il simbolo “vagina-pene, desunto dalle “labbra-lingua”, è un archetipo, una sintesi universale del “Principio sessuale maschile” e del “Principio sessuale femminile”:
l’ “Androginia”.
Non a caso sono rappresentati gli adolescenti: l’adolescenza è il momento evolutivo determinante nell’acquisizione dell’identità sessuale, l’emergere da un infantile “indistinto” psichico di ordine sessuale verso la coscienza dell’attributo fisiologico in possesso.
Tale travaglio passa attraverso i tormentati vissuti del “complesso edipico” e consegue all’elaborazione delle teorie più fantasiose sui temi sessuali da parte del bambino in questa fase delicata della sua evoluzione psicofisica.
Ritornando all’immagine, si era rilevato che per facilitare l’interpretazione dei simboli bastava introdurre un elemento di differenziazione finalizzato a rompere l’omogeneità statica del quadro; bastava, per esempio, inserire nell’immagine una adolescente.
Questo semplice accorgimento tecnico, questa operazione semiotica, immettendo un nuovo segno con la funzione di tramite, avrebbe favorito la comprensione simbolica globale e la discesa emotiva del messaggio nella subliminalità della coscienza dell’osservatore in maniera più consistente.
L’immagine delle “boccacce degli adolescenti di razza diversa” resta, in ogni caso, a prevalente qualità “fallico-narcisistica”, in quanto sono adolescenti maschi che offrono la lingua-pene, al di là del globale simbolo ermafrodito inscritto nelle
labbra-lingua.
Ritornando all’interpretazione dell’immagine, è opportuno rilevare che la trasgressione socio-culturale acquista una forza specifica, se viene riferita agli schemi repressivi della cultura ufficiale.
La sessuofobia culturale, morale e religiosa, si traduce nelle norme etiche e giuridiche che non consentono l’esibizione pubblica degli organi sessuali.
Si può, allora, ricorrere a una maniera traslata per ottenere subdolamente lo stesso effetto: la logica simbolica e la figura retorica visiva della “metafora”.
Oltretutto, culturalmente è considerato un atto più trasgressivo esibire la nudità maschile rispetto a quella femminile; l’esibizione narcisistica della nudità non appartiene agli attributi della virilità, ma al corredo psichico femminile e, pur essendo moralmente condannata, essa viene tollerata.
Motivi di ordine culturale permettono alla donna l’esibizione anche mercenaria della nudità del suo corpo, mentre la contestano, almeno in un passato più recente, al maschio.
Motivi di psicologia profonda inducono a non esibire il pene, in quanto simbolo di penetrazione, di forza e di violenza.
Motivi culturali di ordine estetico non consentono al corpo maschile di competere con il corpo femminile; la sinuosità del corpo della donna, con i suoi organi sessuali rientrati, ubbidisce a uno schema affermato di armonia delle forme che concilia bellezza ed erotismo, dolcezza e desiderio.
I motivi religiosi si eludono per la congenita sessuofobia e misoginia, per il divieto “tabuico” esteso a tutto ciò che riguarda il corpo; la morale religiosa opera, come si è detto in precedenza, un’atavica “rimozione” del corpo, dei suoi bisogni e dei suoi diritti.
Riepilogando: gli adolescenti mostrano la lingua, traslazione simbolica del pene, e le labbra, traslazione simbolica della vagina; l’insieme labbra-lingua condensa simbolicamente l’ ”Androginia” mitica e archetipica.
L’esibizione trasgressiva del pene è l’elemento latente dell’immagine, ma questa interpretazione non colpisce, perché nel quadro domina il tema culturale manifesto dell’amore universale tra le razze.
Oliviero Toscani elabora l’immagine secondo la psicodinamica libidica della fase
“fallico-narcisistica”: esibizione compiaciuta e trasgressiva del possesso di un organo culturalmente forte.
Viene, in tal modo, violato in maniera traslata il “tabù” della nudità maschile senza incorrere nella censura.
La “pubblica coscienza”, sia pur provocata, non reagisce con risentimento di fronte alle “boccacce” e agli sberleffi degli adolescenti; la “pubblica opinione” assolve la provocazione.
Si ripresenta il tema caro a Oliviero Toscani: la ricerca della base possibile dell’uguaglianza tra gli uomini, individuata spesso nel possesso degli organi genitali: tutti gli uomini e tutte le donne sono uguali sotto il segno sessuale, nel possesso del pene o della vagina e nella condivisione della sessualità.
Incidere il mondo psico-culturale degli adulti, strutturato e ricco di “tabù”, è possibile con il viso e il colore della pelle, traslando i segni naturali della sessualità come base dell’uguaglianza tra gli uomini.
Oliviero Toscani è in tappa di avvicinamento al suo progetto “antitabuico” e trasgressivo con l’esibizione della “nudità del capo”, Luciano Benetton, che oltretutto in quel periodo era anche senatore della Repubblica Italiana.
Come tappa intermedia nella rivista Benetton, “Colors” e alla “biennale” di Venezia del 1993 Olivero Toscani ha esibito uno studio fotografico, semplice e accurato, sulla nudità maschile e femminile: immagini di uomini e donne di razza ed età diverse, a ulteriore testimonianza che l’uguaglianza sessuale è la base naturale di qualsiasi altra, ragionevole e successiva, uguaglianza.
Si tratta di una freudiana, “reichiana” meglio, rivoluzione dell’uguaglianza umana e di un riscatto attraverso la condivisione sessuale dalla schiavitù e dalle servitù culturali.
Toscani riprende ed esaspera i temi ideologici degli anni sessanta in riguardo al corpo e ai suoi diritti bio-socio-politici; la coscienza del corpo e delle sue funzioni significa essenza e presenza politiche.
Le tesi di Toscani si pongono come continuazione delle “rivoluzione sessuale” e come la ripresa di una contestazione politica e sociale alla “Marcuse” e secondo gli schemi e le buone intenzioni della Scuola sociologica di Francoforte.
La tappa finale e blasfema sarà la denudazione del “dio”, il capo carismatico della Benetton, il senatore Luciano.
Tutto programmato e come da copione !
L’immagine Benetton delle “boccacce degli adolescenti di razza diversa” arriva all’osservatore con la ricchezza dei suoi contenuti a vari livelli e lo appaga senza confonderlo o irritarlo.
Il significato archetipico dell’immagine non si coglie, perché manca un collegamento, l’immagine di una adolescente, che avrebbe favorito la lettura del testo e del contesto.
Questo rilievo conferma che Oliviero Toscani forse non aveva piena coscienza del suo progetto e ha ubbidito a pulsioni inconsce, mettendole al servizio del sistema pubblicitario; dalla sua subliminalità spesso sono emerse immagini, quasi sotto forma di “lapsus” o di sogni a occhi aperti, che aspiravano a condensarsi concretamente in un progetto sovversivo, programma che si è poi tradotto immancabilmente in altre immagini pubblicitarie.
L’epifania della subliminalità di Toscani si propaga e di subliminale in subliminale ottiene i suoi trofei e celebra le sue vittorie.
INSERIRE L’IMMAGINE DEI PRESERVATIVI COLORATI
I PRESERVATIVI COLORATI
L’immagine pubblicitaria Benetton dei “preservativi colorati” è stata oggetto di animate discussioni, clamorose inchieste e condanne giudiziarie.
Essa ha suscitato nella “pubblica coscienza” e nella “pubblica opinione” scalpore e sdegno ed è stata apprezzata o disprezzata per le sue tante peculiarità.
La gigantografia dei “preservativi colorati” ha campeggiato nelle piazze delle principali città del mondo e ha innescato reazioni ideologicamente diverse e in prevalenza unanimi nella censura: alla condanna morale è subentrata quella religiosa, a quella estetica è seguita quella culturale, a quella psicologica ha fatto eco quella economica.
Soltanto l’interpretazione sociologica ha assolto l’immagine e i suoi contenuti, dal momento che ha privilegiato oggettivamente la funzione del messaggio pubblicitario e sanitario, quest’ultimo legato all’uso del profilattico per evitare il contagio e la diffusione dell’A.I.D.S. .
L’immagine è stata inquisita soprattutto nei paesi anglosassoni a forte tradizione religioso-puritana e a poco spessore storico-culturale.
A essa sono stati addebitati i fallimenti economici che hanno portato alla chiusura di molti negozi Benetton negli Stati uniti, la mitica terra di elezione del marchio.
In effetti si è tanto parlato di questa immagine e si è fatta tanta pubblicità, la solita gratuita “pubblicità sulla pubblicità”.
L’immagine dei “preservativi colorati” è stata un ottimo veicolo divulgativo per la sua polivalenza ideologica ed emotiva.
In prima istanza le reazioni si sono indirizzate verso i contenuti, di poi contro la Benetton, responsabile di un uso improprio dell’immagine; quest’ultimo ha favorito investimenti psico-culturali da parte degli osservatori e ha fatto discutere sulla stessa essenza del sistema pubblicitario.
La fotografia dei “preservativi colorati” e l’elaborazione concettuale portano la firma di Oliviero Toscani.
Si tratta di un lavoro realizzato crudamente in studio, un’immagine che esula da qualsiasi abilità tecnica ed estetica, una riproduzione decisamente brutta e di cattivo gusto nella sua diffusa freddezza.
I condensati ideologici e simbolici si snodano su diversi livelli.
Il quadro si inserisce nella griglia psicoanalitica della “fase fallico-narcisistica” e rappresenta in parallelo una serie di preservativi dal vario colore e dalla tinta tenue con la classica trasparenza.
Il corredo fantasmico scatenato dall’immagine nel perplesso osservatore è il seguente: un “fantasma fallico” con i relativi vissuti aggressivi legati alla penetrazione sessuale, un senso morboso di indifferenziato “piacere-dolore” destato dal gioco anarcoide delle cariche libidiche richiamate, una gamma soggettiva di emozioni evocata dalla formazione psichica individuale e dalla cultura collettiva, un vissuto depressivo in associazione a un latente “fantasma di morte”.
La carica emotiva dell’immagine non raggiunge, pur tuttavia, un alto livello di intensità; la serie colorata dei preservativi risulta fredda nella sua costruzione e improvvisata da un estro occasionale.
E’ implicito, come si diceva in precedenza, un sottile “fantasma di morte”, che, pur non evidenziandosi in maniera eclatante come in altre immagini di Oliviero Toscani, fornisce al contesto un freddo alone di distacco emotivo.
Pur coinvolgendo e richiamando esperienze psichiche legate alla fase
“fallico-narcisistica”, l’immagine dei “preservativi colorati” non scatena sensazioni erotiche positive e funzionali, piuttosto riattualizza vissuti rarefatti e sensazioni fredde di traslata invisibile morte.
Essa svolge una funzione depressiva di perdita e di distacco nel suo contravvenire all’istinto di conservazione e questa caratteristica scatena una carica simbolica di ambiguità.
Il messaggio, pur tuttavia, arriva e si inscrive nella subliminalità psichica dell’osservatore.
Merita considerazione un sottile e incisivo accorgimento simbolico nella collocazione dinamica dei contenuti dell’immagine; i preservativi sono disposti spazialmente secondo un movimento che viaggia da sinistra verso destra, attestato dalla collocazione del registro verbale del rettangolo verde Benetton, dicitura che consente all’immagine di essere posizionata in maniera corretta per la lettura.
Il senso profondo e il significato simbolico di tale movimento è di qualità psichica aggressiva.
La postura dinamica da sinistra verso destra spinge la psiche dell’osservatore, come un reattivo, a temi libidici allettanti: questo fattore fornisce all’immagine un valido condensato pulsionale.
E’ opportuno giustificare l’interpretazione simbolica del movimento da sinistra verso destra e per tale chiarimento è necessario decodificare i significati archetipici dei quattro punti cardinali: l’ “alto”, il “basso”, la “sinistra” e la “destra”.
La loro interazione spaziale impone logicamente il movimento; quest’ultimo sarà significativo in quanto è il risultato della dinamica dei contenuti simbolici legati ai quattro punti cardinali e costituirà altre dinamiche simboliche.
Non si può costruire un’immagine in maniera incisiva senza tenere in grande considerazione il significato simbolico del movimento.
Questa è la decodificazione, in breve, dei simboli spaziali.
L’ “alto” rappresenta il simbolo del cielo, del paradiso, del divino, della spiritualità.
Il “basso” è simbolo della materialità, dell’inferno, della colpa, della pena, del dolore, della morte, del male e dell’inconscio.
La “sinistra” rappresenta simbolicamente il femminile, la passività, la madre, l’emozione, la recettività, le attività psicobiologiche neurovegetative, i processi primari.
La “destra” è simbolo del maschile, dell’attività razionale, dell’aggressività, dell’autorità, delle attività psico-fisiologiche dipendenti dal sistema nervoso centrale.
A questo punto è possibile desumere dalle interazioni dei simboli spaziali le dinamiche simboliche fondamentali.
Il processo dinamico spaziale che va “dal basso verso l’alto” si definisce simbolicamente “sublimazione”.
Il processo dinamico spaziale che va “dall’alto verso il basso” si definisce simbolicamente “materializzazione”.
Il processo dinamico spaziale che va “da sinistra verso destra” si definisce simbolicamente “aggressione”.
Il processo dinamico spaziale che va “da destra verso sinistra” si definisce simbolicamente “regressione”.
Il meccanismo psichico del processo dinamico spaziale che riguarda l’immagine dei “preservativi colorati” è, quindi, l’ “aggressione” e comporta simbolicamente una sottile pulsione sadica nel suo incidere la “pubblica coscienza” e nel suo provocare la “pubblica opinione”.
La carica emotiva dell’immagine si estende all’osservatore e lo coinvolge in una gamma di emozioni aggressive in risposta allo stimolo passivamente ricevuto.
Inoltre la simbologia sessuale, evocata dal simbolo fallico del preservativo, accresce la carica pulsionale di natura sadica dell’immagine.
La simbologia recettiva e vaginale del preservativo, in quanto contenitore, non si coglie, perché prevale la componente fallica aggressiva.
L’immagine pubblicitaria dei “preservativi colorati” non è piaciuta a vari livelli e anche gli eventuali nobili messaggi impliciti sono stati contestati.
A livello culturale i contenuti dell’immagine sono ambivalenti, trasgressivi e di cattivo gusto; l’uso dell’oggetto rappresentato è improprio.
A livello ideologico è apprezzabile il messaggio sociale dell’uso del preservativo nei rapporti sessuali a rischio per evitare il contagio da A. I. D. S., ma la pubblicità Benetton non ha una prevalente funzione umanitaria o di progresso.
A livello morale l’immagine suscita un rifiuto legato all’esibizione di oggetti che riguardano l’attività sessuale: la sessuofobia culturale insita nella formazione individuale.
A livello religioso l’immagine è da condannare in ogni senso, in particolare per il suo significato erotico-sessuale e per l’aggravante non indifferente della funzione anticoncezionale del preservativo.
A livello sociologico l’immagine è un eccitante veicolo di relazione, trasmissione e fissazione di un marchio per il suo “effetto sorpresa”.
A livello estetico l’immagine è brutta, pur se surreale, e incide nel giudizio negativo l’ostentato cattivo gusto nella scelta dell’oggetto e del modo di rappresentarlo.
A livello di psicologia del profondo l’immagine evoca un fantasma sessuale
fallico-narcisistico; l’operazione avviene per “metafora”, il preservativo al posto del pene, e per “metonimia”, il preservativo richiama concettualmente il pene e l’attività sessuale.
E’ implicito un “fantasma di morte” nella funzione antiprocreativa del preservativo.
L’immagine arriva nei territori subliminali della psiche individuale e collettiva, evocando i vissuti della “fase fallico-narcisistica” nel versante maschile e nel versante femminile, ma resta sempre forzata e fredda.
Decisamente Oliviero Toscani in altri lavori ha dato migliore prova delle sue capacità e ha reso miglior servizio alla Benetton nella diffusione mondiale del marchio e nel riscontro economico del profitto.
La “fallicità” dell’immagine, interagendo con il rettangolo verde, suscita una sensazione di prepotenza e un sentimento di passività nell’osservatore.
Il crescendo pubblicitario Benetton si avvicina ai limiti del “colpire per colpire”; la ricerca dell’effetto a tutti i costi è fine a se stesso e ottiene come risposta il rifiuto per difesa psichica del prodotto con la conseguente compensazione, sempre da parte dell’osservatore, del mancato acquisto.
L’immagine Benetton dei “preservativi colorati”, pur fissando il marchio, non vende per effetto punitivo di difesa, unica rivincita consentita alla “pubblica coscienza” e alla “pubblica opinione” provocate e risentite.
L’operazione pubblicitaria, infatti, inquieta e produce un sordo disagio.
INSERIRE L’IMMAGINE DELLA BAMBINA APPENA NATA
LA BAMBINA APPENA NATA
L’immagine pubblicitaria Benetton, presa in considerazione, mostra nella sua globalità di segni e di significati una “bambina appena nata”.
Si tratta di una fotografia pensata e scattata da Oliviero Toscani che ritrae in primo piano e in posizione centrale orizzontale una dolcissima creatura appena partorita e legata alla madre dal cordone ombelicale ancora da recidere.
Dagli elementi caratteristici dell’immagine si arguisce che la bambina è venuta alla luce in un’anonima sala parto d’ospedale; si vedono, infatti, le mani di un’ostetrica o di un medico, inguainate in freddi guanti chirurgici, che sostengono la bambina in questo suo venire al mondo “pubblicitariamente” manipolato.
Inoltre, sulla parte destra dell’immagine appaiono le verdi maniche del classico camice chirurgico; i guanti e le maniche presentano macchie di sangue, di liquido amniotico e di sostanze grasse, mentre il cordone ombelicale risale spazialmente l’immagine dalla parte centrale del ventre della bambina verso la parte sinistra.
Nel bordo inferiore sinistro del quadro si trova depositato, sornione nella sua falsa
indifferenza, il tanto discusso rettangolo verde Benetton con la solita dicitura “United Colors of Benetton”, un elemento da sempre pietra dello scandalo per la difficoltà che rende alla lettura dell’interazione tra le parti dell’immagine e il suo chiaro significato pubblicitario.
La bambina è colta dall’obiettivo in atto di intenso pianto, come accade nel passaggio dalla vita intrauterina alla vita extrauterina e dalla respirazione in acqua alla respirazione in aria.
E’ la cruda immagine di un lieto evento e del primo trauma, il trauma psicofisico della nascita.
Il pianto della bambina è intensamente sofferto a conferma del dolore che prova nel suo venire a vivere; il pianto lascia supporre il sollievo della madre e del personale sanitario per il buon segnale implicito.
L’immagine ha un contenuto realistico, traumatico, crudo, dissacrante; essa possiede una forte carica emotiva che oscilla tra i sentimenti di tenerezza e di repulsione.
Il primo si giustifica con il fatto che l’immagine presenta una bambina indifesa e angosciata, bisognosa d’affetto e di protezione; il secondo dipende dalla visione realistica e prosaica del parto appena espletato.
Alla “pubblica coscienza” e alla “pubblica opinione” non viene proposto l’aspetto bello e poetico della nascita e della vita secondo lo schema culturale ufficiale e dominante; esse sono costrette a prendere atto della visione di una bambina appena uscita dall’utero e dalla placenta, un corpicino pieno di grumi e filamenti di sangue, cosparso di tessuti lipidici biancastri e ancora legato alla madre da un bianco cordone ombelicale attraversato da violacee venature.
Non è certamente gratificante per l’osservatore la scena della “bambina appena nata” e in particolare impressionano la bocca rossa in atto di pianto, gli occhi rinserrati e legati dal grasso, i capelli neri appiccicati e sporchi, il cordone ombelicale ancora da recidere e che rimanda a una madre esausta e distesa sul lettino del parto.
Non è certamente gradevole per l’osservatore la visione dei guanti e del camice chirurgici sporchi di liquido amniotico e di sangue.
Tutti questi elementi hanno una carica realistica e dissacrante, provocano
un’immediata sensazione di disorientamento nell’osservatore, per il fatto che si trova immesso, suo malgrado, in una situazione sgradevole ed è costretto a subire un impatto emotivo e un conflitto sentimentale.
Precisiamo che si tratta chiaramente di una bambina, oltretutto ben cresciuta nel grembo materno, in quanto l’organo sessuale è ben visibile.
Questa è la descrizione degli elementi costitutivi del quadro e della prima interazione emotiva dei significati.
L’immagine pubblicitaria Benetton della “bambina appena nata” può essere definita un “inno ambivalente alla vita” o “il trauma della nascita e la nascita del trauma”.
Essa è stata ampiamente contestata per la virulenza e la carica drammatica che possiede ed esprime nel suo eccesso di prosaico realismo.
Con essa inizia idealmente l’ottica di Oliviero Toscani che porta alle immagini dissacranti o al ciclo pubblicitario della “dissacrazione”, uno strumento metodologico successivo a quello della “trasgressione”.
Questa fase ideologica e questo progetto pubblicitario si individuano, oltre che nell’immagine in questione, nelle contestate immagini del senatore e general manager del gruppo Luciano Benetton ripreso in costume adamitico, della regina Elisabetta d’Inghilterra trasfigurata e contraffatta con la pelle nera, del papa Giovanni Paolo II° trasformato e ridisegnato con tratti di razza gialla, cinese per la precisione.
Si diceva che l’immagine della “bambina appena nata” dissacra il valore culturale della “nascita”; negli schemi dell’Immaginario collettivo, infatti, questo valore è positivamente dotato di una forza sentimentale e di una carica di bellezza e non possiede certamente i toni così decisamente realistici, crudi e biologici che l’immagine Benetton esibisce in maniera impietosa e provocatoria.
Uno spirito di godimento beffardo, gratuito e fine a se stesso, sembra ispirare Oliviero Toscani nel rovinare un valore culturale, un momento sentimentale, un vissuto emotivo, un fantasma simbolico, tutto materiale psichico e sociale radicato da sempre nella cultura occidentale ufficiale e nella Psiche collettiva.
E’ vero che il valore culturale della nascita, il vissuto sentimentale e il fantasma collegato sono stati elaborati e descritti nel tempo in maniera unilaterale da parte della cultura ufficiale; essi, infatti, sono stati trasmessi con giustificata poetica retorica e con la “rimozione” di una parte della loro verità, la naturale realtà sessuale e biologica.
L’immagine della “bambina appena nata” tende, quindi, a disoccultare quella che si può definire la “parte negativa” del valore culturale della nascita e del fantasma psichico dell’origine.
Toscani ha chiaramente rappresentato la “parte negativa della nascita” e ha messo in crisi lo schema culturale, artefatto anche per motivi religiosi, e diventato valore nel tempo.
L’immagine della “bambina appena nata”, proprio per i suoi provocatori connotati biologici, deve essere stimata nell’ordine della dissacrazione e del disvelamento di una verità parzialmente rimossa; non si tratta, infatti, di una verità scientifica da comunicare in un consesso accademico di ostetrici e biologi, perché l’immagine ha un chiaro fine pubblicitario.
Questa funzione fa stimare la visione della “bambina appena nata” come la solita provocazione di Oliviero Toscani finalizzata a sconvolgere, disturbare, scandalizzare, dissacrare valori, sentimenti delicati e nobili della “pubblica opinione” e della “pubblica coscienza”.
La forza realistica dell’immagine colpisce immediatamente come “un pugno inaspettato sullo stomaco”, per ripetere una compiaciuta metafora linguistica ricorrente nei giudizi sulla pubblicità Benetton.
Sviluppiamo, a questo punto, l’evoluzione del vissuto psichico legato all’immagine dopo il primo impatto emotivo.
L’iniziale effetto sconvolgente, la sensazione d’impaccio, il senso della dissacrazione, la delusione conseguente alla passività dell’osservatore si riscattano nell’attivazione del valore culturale “buono” e della “parte positiva” del “fantasma della nascita”.
Il fenomeno naturale della nascita, il valore culturale e il fantasma collegato, nonostante le minacce interessate di Toscani, restano un lieto evento anche se rappresentato nella sua veste biologica e nella sua valenza “negativa”.
Il fenomeno, il valore e il fantasma si ricaricano di bellezza sentimentale e di un sacro senso del mistero delle origini.
Sentimento, carisma e bellezza ritornano a imporsi nel vissuto della “pubblica coscienza”, nonostante la congiura delle parti crude dell’immagine; l’osservatore recupera l’aspetto vitale e gioioso del nascere.
Pur tuttavia è opportuno procedere verso una migliore comprensione della psicodinamica profonda degli elementi visivi e della loro carica drammatica.
Il fenomeno fisiologico naturale e l’esperienza psichica della nascita fantasmicamente comportano il riattraversamento e il superamento di un “fantasma di morte”; si può affermare che il “fantasma dell’origine” è collegato al “fantasma della fine”.
Il travaglio, la paura, il dolore del parto sono per la madre sensazioni e vissuti negativi; l’angoscia di morte è presente durante la gravidanza e soprattutto nel momento del parto.
Questo corredo negativo di vissuti, di fronte al quale l’impatto realistico e crudo dell’immagine sembra attestarsi, si riscatta e si supera con il sentimento di gioia legato al benvenuto da dare alla nuova ospite della famiglia umana.
Sotto il massiccio peso della gioia e dietro la soddisfazione dell’istinto di conservazione la “parte fantasmica negativa” della nascita, con i suoi pesanti e angoscianti richiami di morte, si riscatta e si converte nella “parte psichica positiva”.
Non si elimina, pur tuttavia, la perplessità dell’osservatore sul fatto che si tratta di un’operazione pubblicitaria.
Nell’immagine Benetton della “bambina appena nata” l’interpretazione è mediata ma rapida; nel quadro si impone la vita, la gioia, la tenerezza e non domina la morte, il dolore, l’angoscia e la freddezza.
L’immagine può anche essere considerata un reattivo psichico di vissuti profondi legati alla psicodinamica tutta femminile della maternità.
Essa provoca ed evoca il materiale psichico rimosso da parte di ogni donna a prescindere dalla sua maternità realizzata o frustrata e dalle sue esperienze reali.
E’ un’immagine aggressiva nei confronti dell’universo femminile, una visione che costringe la donna a ricordare e a rimettere in circolazione psichica i vissuti rimossi e i fantasmi collegati alla maternità, al parto, al dolore, ai conflitti esistenziali.
L’immagine possiede anche una valenza teologica, perché riesuma l’atavica condanna vetero-testamentaria della donna da parte di Dio, condanna ancestrale e successiva alla “colpa” originale.
Il tema del parto e della nascita ha una sacralità simbolica e archetipica, risale al primo libro della Bibbia, “Genesi”, dove è formulata la condanna esistenziale della donna tramite la moltiplicazione delle pene durante la gravidanza e dei dolori durante il travaglio e il parto.
Inoltre la donna subirà l’attrazione fatale verso il maschio, suo padrone culturale e strumento di procreazione nello stesso tempo.
L’immagine è polivalente e complessa a vari livelli, possiede un contenuto forte e crudo, produce sensazioni immediate e consente un riscatto emotivo di natura empatica: la durezza realistica svapora e si converte spontaneamente in tenerezza.
Pur tuttavia resta incresciosa la presentazione che Oliviero Toscani offre di un lieto evento anche se introduce un tema molto caro, l’uguaglianza tra gli uomini: tutti siamo venuti fuori dall’utero e dall’acqua, al di la delle distinzioni sessuali, razziali e socio-culturali.
Teologia, antropologia, biologia, filosofia, psicologia del profondo si richiamano in questo poliedrico tema della nascita e dell’origine.
E’ opportuno, a questo punto, analizzare un particolare dell’immagine, un dato molto importante a livello psichico fantasmico: il cordone ombelicale.
Esso è l’organo fisiologico della trasmissione della vita all’interno della diade
“madre-figlio”, è lo strumento biologico attraverso il quale la madre nutre il figlio.
Il cordone ombelicale è simbolo di tramite, di legame, di amore e di dipendenza del figlio nell’interazione psicofisica con la madre.
E’ simbolo del potere della “Madre” nel dispensare la vita e anche il suo opposto, la morte; la “Madre” è padrona della “Vita” e della “Morte”.
Il cordone ombelicale simbolicamente è il “fallo della madre”, il suo potere sul figlio e sulla vita, sulla nascita e sulla continuazione della vita, sul cibo buono e sul cibo avvelenato, sul “seno buono” e sul “seno cattivo”; il potere della madre si esercita nella dipendenza psicofisica del figlio, dipendenza che persiste in maniera più sottile anche dopo la recisione del cordone ombelicale.
Il taglio di quest’ultimo lascia il posto alla dipendenza reale del figlio dopo la separazione fisica; nella vita intrauterina il figlio è dipendente in tutto e per tutto dalla madre, la quale gli trasmette non solo il cibo ma anche le sensazioni, educandolo in maniera coatta a determinati stati psicofisici.
La trasmissione neuro-fisiologica e psico-empatica, sensazioni e sentimenti in circuito interno, sono di totale dominio della madre.
Nell’immagine pubblicitaria della “bambina appena nata” il cordone ombelicale, ancora da recidere e legato all’anonima madre, è un’esaltazione simbolica della “Madre” e del “Principio femminile” nella sacra epifania del parto e della continuazione della Specie.
La “Madre”, da cui si dipende a vari livelli nell’evoluzione temporale e a cui rimandano le nostre origini e il cordone ombelicale dell’immagine, acquista significati metafisici, filosofici, psicoanalitici, antropologici e religiosi, perché la sua problematica verte sui temi fondamentali della “Vita” e della “Morte”.
Nel lasciare la vita, così come nell’entrarvi, le signore mitiche della trasfigurazione sono divinità femminili: le “Moire” per il mondo greco e le “Parche” per il mondo latino.
Come biologicamente la donna è madre e perpetua la vita, così secondo la psicologia del profondo anche l’accadimento biologico del morire esige una buona madre che aiuta a contrarsi e a rinascere, favorendo il trapasso e la trasfigurazione o lenendo l’angoscia legata all’enigma del dopo.
Il “Principio femminile” è fondamentale all’inizio e alla fine della “Vita”; in esso la “Morte” si fonde con la “Vita”, l’inizio con la fine, l’espansione con la contrazione.
“La bambina appena nata” rompe la fusionalità embrionale, si stacca dalla madre e subisce il primo trauma psico-fisico; il nascere comporta il morire della fusione empatica “madre-figlio”.
L’autonomia è, infatti, un morire della fusione e il nascere della separazione.
Se la nascita è, quindi, il primo trauma, su di esso si inscriverà la disposizione a successivi traumi; questo processo rientra, pur tuttavia, nel normale sviluppo psichico dell’uomo: “il trauma della nascita e la nascita del trauma”.
A questo punto affrontiamo la questione dell’efficacia pubblicitaria dell’immagine e dell’uso dei meccanismi psichici.
Si impone la ricerca del senso dell’immagine e lo si ritrova nella visione coatta della “parte negativa della nascita” e della vita.
La risposta consequenziale e congrua è la seguente: colpire l’Immaginario collettivo, allentarne le difese, distrarne le resistenze attraverso il richiamo a riparare il fantasma “negativo” e a convertirlo nel “positivo”; con questo acuto espediente il messaggio pubblicitario si inscrive nella subliminalità psichica dell’osservatore.
Si attenuano in tale operazione le ansie punitive nei confronti dei responsabili della provocazione e questa disposizione bonaria favorisce la diffusione del messaggio pubblicitario nonostante la dissacrazione e il cattivo gusto.
L’immagine della “bambina appena nata” pone il solito problema interpretativo dell’interazione con il marchio.
La dicitura “United Colors of Benetton” del rettangolo verde, associata all’immagine della “bambina appena nata”, evidenzia l’uso della figura retorica “metafora”: i colori biologici della vita si sposano con i colori dei capi di abbigliamento Benetton.
A una bambina colorata di vita, che porta in sé i segni della nascita, si addicono i colori originali ed esclusivi Benetton.
Un’altra interpretazione si profila a traino di quella metaforica basata sul colore:
una bambina colorata di vita e nuda può essere vestita con i capi colorati Benetton.
Si tratta di un uso in immagine della figura retorica “metonimia” ossia di un’esigenza logica che richiama alla mente un oggetto concettualmente giustificato; del resto la Benetton è specialista nel vestire i bambini da zero a dodici anni.
Queste interpretazioni, pur essendo congrue e degne di interesse, risultano lineari e di poco spessore.
Toscani e la Benetton hanno educato con le loro immagini la “pubblica opinione” e la “pubblica coscienza” a risolvere enigmi più complicati; inoltre, per il fine pubblicitario occorre un’iscrizione psichica subliminare legata a un’interpretazione più profonda e contorta.
In conclusione di questa lunga disamina si riconosce la bontà dell’assortimento dei temi culturali e degli echi psichici profondi, dei richiami filosofici e antropologici, inscritta nell’immagine pubblicitaria della “bambina appena nata”; le vendite conseguono necessariamente alla buona fissazione del marchio.
Oliviero Toscani aggiungerà che anche il nascere e quel modo universale di nascere sono fattori fondamentali di uguaglianza tra le razze, ma si può obiettare ancora che questa interpretazione è di poco spessore.
L’immagine vale molto di più nell’essenza anche se rischia di disperdersi in mille rivoli di senso e di significato.
CONSIDERAZIONI METODOLOGICHE SUL “FANTASMA DI MORTE” NELLA CULTURA CONTEMPORANEA E SUL SUO USO PUBBLICITARIO
Prima di analizzare le immagini pubblicitarie Benetton ispirate prevalentemente al “fantasma di morte”, è necessaria una breve introduzione metodologica per chiarire e giustificare in maniera adeguata le successive decodificazioni.
La cultura occidentale in questi ultimi decenni ha progressivamente elaborato un nuovo schema “tanatologico”: “discorso sulla morte”.
Questa rappresentazione evoluta della morte si è basata su un crudo realismo e si è rivelata inizialmente traumatica proprio per il ridimensionamento etico del precedente “valore morte”: il nuovo schema culturale ha perso la sua benefica “pietas” per acquistare in fredda e arida divulgazione.
La trasmissione è stata notevolmente favorita dalle immagini, le quali hanno contribuito all’introiezione” del nuovo schema, così come ne hanno supportato la “proiezione”.
La “Psiche collettiva” attraverso le immagini si è “in-formata” alle nuove emergenze culturali.
In forza del massiccio uso dei sistemi di comunicazione è stata divulgata una rappresentazione della morte crudele nella sua forma e irreparabile nella sua drasticità biologica.
La cultura occidentale ha lentamente evoluto la nuova “tanatologia” in una infausta “tanatocrazia” proprio attraverso il rilievo e lo spazio concessi alle immagini di morte.
“Tanatocrazia” significa, per l’appunto, “potere della morte” ed è un variegato e sottile schema culturale che si riduce facilmente in immagine e con altrettanta facilità si inscrive nella “Psiche collettiva”, turbando l’ “Immaginario culturale” e la dimensione inconscia con il suo concretizzarsi in vissuti psichici a forte carica emotiva: i “fantasmi”.
Il “fantasma” in psicologia dei processi culturali è sempre uno schema interpretativo ed esecutivo della realtà, un modo psichico profondo dell’uomo di comprendere, di rappresentare e di vivere la situazione in cui si trova e di determinare l’azione idonea alla circostanza come risposta più adeguata e proficua.
Il “fantasma” è, quindi, un “segno” individuale e collettivo di natura psichica e di acquisizione culturale.
Per sua essenza esso possiede un alto contenuto simbolico e una forte carica emotiva.
Si riversa, quindi, con naturale disposizione e si condensa per congrua affinità nell’immagine: la trasmissione visiva gli è particolarmente congeniale.
Fantasma e immagine condividono una similarità strutturale e qualitativa: il fantasma si traduce in immagine e l’immagine rappresenta ed evoca il fantasma, perché l’immagine è l’immediata espressione, “proiezione”, di un materiale psichico profondo introiettato.
La “Psiche” individuale e collettiva è costituita da fantasmi universali, “archetipi”, che trattano temi umani universali al di là dello spazio, del tempo e della cultura: la vita e la morte, l’origine e le figure genitoriali, la sessualità e la procreazione, temi condivisi e necessariamente convissuti da tutta l’umanità al di là delle differenze culturali e razziali, forme psichiche universali dell’essenza umana.
Inoltre i fantasmi sono culturali e limitati nello spazio, nel tempo e nella dimensione sociale, quando trattano forme psichiche che condizionano il pensiero e l’azione di un gruppo umano ben definito.
Esemplificando, sono fantasmi culturali quelli della razza e del primato di un popolo con tutti i miti a essi collegati, in quanto sono schemi che si affermano attraverso il condizionamento educativo a volte anche esasperato e artificiale.
Un fantasma è, inoltre, individuale quando esprime caratteristiche psichiche della persona che lo elabora e lo formula: un vissuto psichico.
La fantasia dei bambini crea originali fantasmi, spostando e condensando vissuti personali negli oggetti più disparati: un orsacchiotto diventa tutt’altro che un semplice pupazzo di “peluche” e può esorcizzare l’angoscia dell’abbandono e della solitudine con il suo rappresentare la figura materna.
La funzione fantasmica dell’uomo è, quindi, universale e si concretizza in archetipi, in schemi culturali collettivi e in vissuti individuali.
Un fantasma è costituito da una componente razionale e logica in quanto si può tradurre in un concetto, da una componente simbolica e mitica in quanto sposta e condensa significati ed emozioni diverse, da una componente cenestetica e pulsionale in quanto procura nell’uomo una serie di sensazioni di varia qualità e induce ad agire e a reagire.
Esemplifichiamo proprio con l’inquisito “fantasma di morte”.
Esso ha una componente logica e fenomenica, in quanto rappresenta il freddo concetto della morte: la morte è la naturale evoluzione biologica del corpo.
Ha una componente simbolica e mitica, in quanto può significare fine, distacco, separazione, anaffettività, solitudine, perdita, depressione: una fusione di sentimenti e di vissuti.
Ha una componente cenestetica e pulsionale, in quanto produce una serie di sensazioni intense, costringe ad agire e condiziona il comportamento dell’uomo.
Il “Luogo” psichico del fantasma è l’ “Inconscio” e il “Subconscio”; l’ “Immaginario culturale collettivo” si colloca tra queste due dimensioni profonde.
La sede psichica del fantasma è in sostanza la “Subliminalità”, la sfera psichica situata al di sotto della coscienza e della vigilanza.
L’organo privilegiato di risonanza del fantasma è l’immagine con la sua provocazione allucinatoria di varia intensità, un fenomeno psicofisico che avviene anche nel sogno e nel delirio.
Nella cultura occidentale contemporanea un originale fantasma domina la “Psiche collettiva” e si diffonde attraverso le immagini di morte: una “tanatocrazia”, potere della morte, che traligna nella “tanatofobia”, angoscia della morte.
Ma l’uomo non può vivere con questo pesante fardello emotivo, oltretutto continuamente sovraccaricato dalla cultura in cui vive, per cui in sua difesa interviene in maniera naturale il meccanismo psichico della “rimozione”.
Il “fantasma di morte” viene necessariamente escluso dalla “Coscienza” e viene in parte relegato nell’ “Inconscio”, ma permane con la sua mole nel “Subconscio”, per cui la “rimozione” è quasi sempre parziale e l’angoscia stimolata dalle immagini di morte si acquieta senza risolversi del tutto.
La soluzione psichica è di difesa, per cui bastano cause scatenanti contingenti e di un certo spessore per riesumare il “fantasma di morte” e l’angoscia implicita.
L’immagine interna di morte è in sintonia e simpatia con l’immagine esterna di morte continuamente riprodotta dalla cultura tanatocratica.
L’immagine esterna ha la funzione, come si diceva, di causa scatenante, ma anche di esorcisma del fantasma stesso e della sua angoscia: convivendo con il problema, si tiene sotto controllo e si disinnesca progressivamente una parte della sua carica.
Il “fantasma di morte” perde in maniera artificiale il suo potenziale emotivo a furia di essere riprodotto in immagine e di essere servito in tutte le salse.
L’uomo occidentale non ha razionalizzato adeguatamente il “fantasma di morte”, per cui ha trasfigurato culturalmente la morte da una giusta e naturale paura a una innaturale angoscia: la “tanatocrazia” o potere della morte sull’uomo.
L’uomo occidentale, a differenza dell’uomo orientale, ha impedito a se stesso la giusta mediazione di una efficace “tanatologia”, di una “coscienza della morte” tramite il “discorso sulla morte”, l’unica condizione per una naturale soluzione del problema.
La mancata “tanatologia” è tralignata improvvidamente nella “tanatocrazia”, che a sua volta è degenerata per difesa nella “tanatofobia”, per cui lo schema esterno non ha trovato la sua naturale dimensione all’interno della “Psiche collettiva” occidentale.
Lo stato attuale delle cose si traduce in una malattia culturale di fondo, in un assunto di base della cultura occidentale che condiziona la vita individuale e sociale.
Si diceva che la reazione a tale situazione psico-socio-culturale è stata ed è la “rimozione”, la difesa psichica primaria intesa a rendere inconscio il “fantasma di morte” e a disinnescare l’energia connaturata.
In tale infausta e disagiata condizione è conseguita la manifestazione in immagine del “fantasma di morte” nella vita di tutti i giorni in progressione alla “rimozione” dell’angoscia e nel tentativo di rendere indolore la visione della morte.
Un uso generalizzato e indiscriminato del “fantasma di morte” ha indotto improvvidamente una progressiva disinibizione psichica e morale.
In primo luogo il sistema delle comunicazioni di massa, soprattutto quello visivo, si è appropriato dell’uso in immagine del “fantasma di morte”.
I mass-media, dopo iniziali remore, hanno iniziato a trasmettere immagini di morte, di violenza, di distruzione, di odio, repertori di guerra, la morte in diretta, la guerra in diretta, il morto ammazzato di mafia o di terrorismo, le stragi di stato o di cosca, il tutto e ancora altro con una ripetitiva e ostentata compiacenza, oltretutto finalizzata decisamente ed esclusivamente al profitto.
Il “reportage” di guerra con il suo carico di cadaveri oggi si chiama “scoop” giornalistico: il successo dell’ascolto ha una rendita economica non indifferente.
Angoscia, trauma, sbalordimento, impressione, indignazione, abitudine, indifferenza e insensibilità sono state in progressione le posizioni psichiche collettive e i meccanismi naturali di difesa più diffusi da parte della società di fronte all’aggressione delle immagini di morte.
I telegiornali si sono riempiti di immagini atroci di morte per un sadico o santo dovere di informazione.
Si è in tal modo strutturato tra l’ “Inconscio” e il “Subconscio” un “Immaginario culturale collettivo” ben dotato di variopinti e variegati “fantasmi di morte”.
La droga, la guerra, la malattia, l’epidemia, la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita, la morte di stato, la camera a gas, la sedia elettrica, la fame, le ribellioni etniche, gli scontri razziali, gli omicidi, i mostri da prima pagina, gli scontri ideologici, la guerra di religione, i suicidi e gli attentati terroristici, il matricidio, il parricidio, il fratricidio, le violenze sulle donne e sui bambini, la pedofilia, gli incesti, la morte del torero o dello sportivo in diretta, i sequestri di persona, le stragi, gli stupri …e altro.. tanto ben altro, tanto di altro e di traumaticamente subdolo ancora.
A conclusione di questa tiritera trova conferma la tesi in base alla quale noi viviamo in una cultura tanatocratica, un complesso articolato di schemi segnato dalla morte e dalle sue immagini.
La “pubblica coscienza” non si sa difendere dall’irruzione e dall’invasione delle immagini di morte e invoca una nuova etica, una salvifica morale, un rigido codice deontologico, ma l’impresa è ardua, se non impossibile, perché queste immagini sono inscritte nella cultura e sono da essa prodotte senza possibilità di essere extrapolate.
La necessaria difesa psichica e sociale dall’invasione violenta delle immagini di morte diventa possibile soltanto attraverso una razionalizzazione ed una presa di coscienza collettiva.
Anche il sistema pubblicitario per immagine si è rapidamente impadronito, da buon parassita e senza adeguate cognizione di causa e di effetto, del comodo e proficuo veicolo divulgativo del “fantasma di morte”.
Tale operazione ha permesso e permette al messaggio pubblicitario di arrivare nelle profondità psichiche, individuali e collettive, e di inscriversi a livello subliminale.
Fare perno sul “fantasma di morte” significa incidere agevolmente la Psiche a livello profondo e strutturare un condizionamento che consente un duraturo successo pubblicitario ed economico anche quando l’immagine viene contestata.
Ma, in effetti, il sistema pubblicitario non è immorale e censurabile, in quanto usa un collaudato canale psico-culturale di trasmissione dei messaggi.
L’immagine pubblicitaria impregnata di morte è solo un’operazione efficace di divulgazione di un marchio.
Si può soltanto affermare che la “tanatocrazia” dell’immagine pubblicitaria non è originale, in quanto precostituita e preparata sia dallo schema culturale dominante e sia dal sistema dell’informazione in atto.
Ma il fine vero di qualsiasi pubblicità è quello di incidere la subliminalità psichica delle masse; si può martellare la parte cosciente e sortire soltanto un effetto informativo, ma è più proficuo l’effetto psichico della carezza o della frustata subliminale per sortire un condizionamento più duraturo e una coazione più efficace negli ignari osservatori.
E’ stata sicuramente la Benetton, in Italia e forse nel mondo, a usare per prima il “fantasma di morte” come veicolo pubblicitario del suo marchio; di poi, sono seguite tante imitazioni anche di buona fattura.
In alcune immagini pubblicitarie Benetton domina incontrastato il famigerato “fantasma” e il “concept” Oliviero Toscani ha scelto o eseguito le immagini fotografiche senza affidarsi al cieco caso, all’estro o all’improvvisazione.
Forse Toscani non conosceva a fondo gli innesti culturali, le dinamiche psichiche profonde e i significati inconsci evocati dall’immagine di morte, pur tuttavia ha fatto uso del “fantasma di morte” nelle immagini pubblicitarie in maniera ripetitiva e massimamente sintetica come in una singola fotografia.
Il “fantasma di morte” nelle immagini pubblicitarie Benetton è stato servito, inoltre, in visione chiara e diretta o in visione occulta e indiretta, con l’evidenza della morte o attraverso il suo equivalente simbolico.
Quest’ultima operazione è stata ancora più efficace, dal momento che si sono ridotti i rischi di un rifiuto legato all’esibizione immediata della morte e si è allentata nell’osservatore la resistenza psichica a riesumare il proprio fantasma introiettato.
Viene confermata la tesi che le immagini pubblicitarie Benetton, al di là delle contingenti e discutibili esagerazioni dettate da eccesso di fiducia o da effettiva convinzione metodologica, non sono mai state le semplici immagini di una semplice pubblicità.
Oliviero Toscani ha esordito coraggiosamente con le immagini tanatocratiche e in seguito anche altra pubblicità si è appropriata dello stesso veicolo psichico e dello stesso meccanismo divulgativo.
L’efficacia è stata ancora una volta sicura e buona, per cui non si è profeti nel prevedere immagini di morte e messaggi depressivi in linea con questi traumatici ma proficui criteri metodologici.
INSERIRE L’IMMAGINE DEL GUERRIGLIERO
IL GUERRIGLIERO
L’immagine presenta in primo piano un femore umano, impugnato con decisione da un “guerrigliero” di colore e ripreso di spalle.
L’uomo porta a tracolla un fucile mitragliatore e una stola nera bordata di giallo; uno zainetto militare pende dal suo fianco sinistro.
Sul margine destro e in posizione centrale è inserito il rettangolo verde Benetton, che trasforma l’immagine di un militare ben bardato in strumento pubblicitario.
Forte e immediata è la reazione emotiva dell’osservatore al chiaro simbolo di morte. Altrettanto elevata è l’ “enfasi fantasmica”: l’amplificazione e l’esagerazione oggettive dei contenuti ideologici e psichici dell’immagine.
Essa desta il senso dell’artificiosità e della falsità volutamente provocatorie a causa del suo effetto sgradevole e repellente.
Con il solito procedimento deduttivo si considera inizialmente lo schema culturale dominante, per poi passare all’interpretazione dei simboli e all’analisi dei vissuti collegati.
Si rileva con evidenza che il “fantasma di morte” è presente in maniera massiccia e quasi totale.
La sua consistenza è eccessiva e la sua ripetitività è ossessiva: la “tanatocrazia”, potere della morte, induce l’osservatore a difendersi dal martellamento psichico, nonostante l’elementare sensazione di un’esagerata artificiosità nella costruzione dell’immagine.
Il “fantasma di morte” viene servito in diverse versioni e la ricerca evasiva di un elemento simbolico gratificante si impatta e si vanifica nella “tanatocrazia” dell’impianto.
Tale ripetizione aggrava l’angoscia implicita nel fantasma e rende ingestibile la visione.
L’immagine del “guerrigliero” non è soltanto tanatocratica, ma è costruita con una forte “enfasi” di triplice ordine:
– un’enfasi diretta delle varie parti dell’immagine;
– un’enfasi univoca del simbolo attraverso la ripetizione del fantasma;
– un’enfasi indiretta di tipo pubblicitario, un’esaltazione implicita del prodotto attraverso l’esagerazione manifesta dei contenuti e dei simboli dell’immagine.
E’ opportuno, alla luce della prevalenza della figura retorica dell’ “enfasi”, ridefinirne la dinamica nella divulgazione dei messaggi.
Si tratta di un procedimento espressivo polivalente, atto ad amplificare il significato, il simbolo, l’emozione e a indurre vissuti eccedenti la norma.
L’ “enfasi” è un’operazione retorica tendente ad accrescere l’intensità espressiva, simbolica ed emotiva di un’immagine, un’esagerazione del registro visivo.
Il rischio del procedimento si attesta nel suo uso eccessivo, un’operazione che rende stucchevole il messaggio e induce l’osservatore al rifiuto per l’evidenza di una forte derisoria esagerazione.
Consegue che l’operazione enfatica deve essere ben dosata nel contenuto e nella dinamica, specialmente in pubblicità, per non incorrere nel fallimento divulgativo e nel danno economico.
L’immagine del “guerrigliero” offre in maniera diretta quattro versioni disorganiche e maldestramente assommate del “fantasma di morte”.
In primo piano viene presentato un femore umano, un particolare scheletrico repellente e truculento, simbolo di morte e di violenza ferina.
Oltretutto questo femore è impugnato con decisione da un uomo, per cui l’immagine fomenta rifiuto e disgusto nell’osservatore.
Il fantasma non è collegato soltanto alla morte, ma include l’aggravante macabro della decomposizione del corpo per quanto riguarda il femore e della furia omicida di natura cannibalica per quanto riguarda l’uomo.
Un truce guerrigliero impugna e ostenta la morte, rivestendo il ruolo di spietato omicida.
Se l’esercizio della violenza mortale può essere ritenuta “normale” nello stato di guerra, questo guerrigliero va al di là dell’umana comprensione, perché esprime un senso di ferinità.
Il fatto che il femore sia impugnato da un guerrigliero di colore aumenta l’aspetto tribale dell’immagine, perché nell’ “Immaginario collettivo” l’uomo di razza negra è vissuto o come il “buon selvaggio” o come il “crudele cannibale”, in entrambi i casi un uomo estraneo alla civiltà e al progresso.
Si tratta di un’esaltazione spietata della parte bestiale dell’uomo e dei valori della morte violenta, della guerra, della disperazione, della ferocia: il tutto sotto un’egida primitiva.
La Psiche collettiva instruisce di fronte all’immagine i meccanismi difensivi della fuga per ridimensionare l’angoscia dell’orripilante particolare e del suo sinistro simbolismo, ma è costretta ad associarvi una valenza di ferocia e ad aggravare la carica emotiva.
Repulsione e ritrazione caratterizzano il vissuto iniziale dell’osservatore; conseguono il rifiuto dell’ideologia della violenza e progressivamente il distacco emotivo.
E’ un’immagine esagerata e provocatoria ad alto tasso d’angoscia, ma la coscienza dell’enfasi interviene a ridimensionare l’effetto traumatico del primo impatto.
L’analisi del secondo elemento significativo del quadro è il fucile mitragliatore, un’arma micidiale, sempre in primo piano, e uno strumento inequivocabile di morte violenta.
Il simbolo è chiaro e non si presta ad altre interpretazioni o a eventuali surrogati ideologici.
Il terzo “fantasma di morte” è rappresentato nell’immagine dalla stola nera e bordata di giallo, un classico paramento indossato dal sacerdote durante il rito funebre.
Lo stesso colore ha un significato funereo: il nero si associa al simbolismo della morte e del lutto, della perdita e della fine.
La stola non è decisamente un capo d’abbigliamento militare e tra le altre cose il guerrigliero non veste un’uniforme ben precisa che lo possa identificare come appartenente a un esercito o a uno stato, a una causa o a una strategia.
Il capo indagato, quindi, è squisitamente simbolico e appositamente esibito per testimoniare e rafforzare il valore tanatocratico dell’immagine.
Il “guerrigliero” si lascia identificare nella simbologia di morte e non certo nella difesa di un progetto politico o di valori costituiti, per cui il vissuto dell’osservatore resta negativo e senza il possibile appiglio di una condivisione almeno ideologica.
Il “guerrigliero” appare sempre più una figura costruita in laboratorio o in sartoria anche nel suo anonimato politico.
Bisogna rilevare, inoltre, che la stola è un paramento sacro e funerario usato dal guerrigliero in maniera impropria.
Questo spirito sacrilego conferma l’artificiosità enfatica dell’immagine, per cui la drasticità mortifera del guerrigliero comincia progressivamente a perdere tensione e acquista risibilità.
L’uso improprio della stola è blasfemo e offende il sentimento religioso: il segno mortifero e l’irrisione del sacro rafforzano il rifiuto psichico difensivo da parte dell’osservatore.
Il quarto elemento di morte è rappresentato dalla figura, ripresa di spalle, del guerrigliero proteso verso la pratica della violenza.
Esso è il drammatico nucleo umano di condensazione degli altri simboli tanatocratici del quadro.
Il “guerrigliero” è l’attore protagonista dell’immagine e alla sua volontà si riconduce la responsabilità del complesso simbolico rappresentato: la “Morte” violenta in primo piano.
Riepilogando si può affermare che nell’immagine sono presenti quattro consistenti e inequivocabili “fantasmi di morte”:
– il primo di tipo anatomico, il femore;
– il secondo di tipo militare, il mitragliatore;
– il terzo di tipo religioso, la stola funebre;
– il quarto di tipo antropologico, il guerrigliero.
Essi sono inseriti in un contesto tanatocratico disorganico e artificiale.
Non esiste alcuna possibilità di riscatto, di compensazione, di riparazione del complesso fantasmico di morte.
L’interazione dei quattro elementi simbolici, almeno per il momento, è rigidamente determinata come in una somma aritmetica e non consente decodificazioni variegate o interpretazioni giustificative.
Una veloce rassegna degli altri elementi conferma la tesi di una deterministica costruzione artificiale dell’immagine, sia pur con qualche imprevisto.
Lo zainetto militare è una parte del corredo del guerrigliero e conferma lo schema bellico rappresentato, per cui diventa insignificante decodificarlo o immaginarne il contenuto.
Un elemento dell’immagine, pur tuttavia, sembra fuori luogo in questo contesto di morte: il cinturino nero di buona pelle al polso rigirato del guerrigliero.
Si è costretti a supporre un orologio, dal momento che esso non è visibile.
L’orologio è il simbolo del tempo che scorre e della morte che si avvicina.
In tal modo entra nella psicodinamica simbolica un altro fantasma, complementare rispetto agli altri, che interagisce con il complesso ideologico dell’immagine in maniera rafforzativa, sia pur senza aggravio emotivo.
L’orologio è un sofisticato e indiretto simbolo di morte e non trova spazio espressivo,
perché viene accantonato dalla chiarezza e dalla pregnanza degli altri simboli.
A questo punto si profila all’analisi un particolare ben visibile dell’immagine e incompatibile con il coriaceo progetto fantasmico dell’impianto: l’anello dall’intreccio d’oro all’anulare della mano sinistra del guerrigliero.
Il simbolo dell’anello entra in relazione dialettica con il contesto mortifero dell’immagine e in maniera contraddittoria a una prima impressione.
Infatti l’anello non occulta un “fantasma di morte”, ma condensa un nucleo culturale e psichico notevolmente diverso.
L’anello è simbolo culturale di relazione, di unione, di condivisione sentimentale e possiede un forte contenuto emotivo, al di là della funzione culturalmente acquisita di tipo estetico.
L’anello è un segno e un pegno dell’amore, il simbolo dell’amore sessuale.
In particolare esso è un simbolo vaginale e rimanda a una figura femminile: esso è il linguaggio sessuale della donna e l’espressione del suo amore passionale.
Lo schema culturale della relazione d’amore e il simbolo dell’unione sessuale sono compendiati nell’anello senza alcuna distonia: il primo è il completamento sublimato del secondo.
Il “guerrigliero”, questa macchina di morte così adeguata alla cultura contemporanea e non a caso ridotta in mille pellicole cinematografiche, possiede desideri e sentimenti classicamente umani.
Il condensato simbolico dell’anello attesta che il “guerrigliero” è portatore di valori umani, crede nell’amore e ha un legame d’amore: una contraddizione consistente con i significati degli altri elementi dell’immagine e un contrasto tra desiderio sessuale e violenza, sentimento d’amore e sentimento d’odio.
Il simbolo della fusione totale, l’anello, purtroppo si ridimensiona e si annulla, schiacciato dalla forza strutturale dei “fantasmi di morte”.
Questo particolare simbolico riesce soltanto a essere spia di una contraddizione che resta priva di argomenti probanti per modificare la forte tensione tanatocratica dell’impianto.
L’anello non riscatta alcunché, anzi indispone l’osservatore per la sua valenza contraddittoria e per la conferma di una costruzione artificiale e grossolanamente enfatica dell’immagine; quest’ultima viene stimata sempre più vicina all’atelier di un furbo fotografo, piuttosto che alla realtà di una guerra in atto.
Un’ultima conferma dell’architettata tensione tanatocratica dell’immagine è la posizione da tergo del guerrigliero, simbolo di rifiuto a comunicare, di drasticità fanatica e di netta chiusura verso l’interlocutore.
Per lui parlano il femore, il mitra, la stola, la crudeltà e il disprezzo del valore della vita umana.
Si ribadisce la reazione emotiva di chiusura e di rifiuto nei confronti dell’immagine e l’instruzione di barriere psichiche difensive da parte dell’ormai deluso osservatore.
I meccanismi psichici incarcerano la drammatica simbologia di morte
nell’ “Immaginario collettivo” e le impediscono di trapassare nell’ “Inconscio archetipico” proprio a causa dell’artificiosità dell’immagine.
Al tutto si aggiunge la sensazione dell’osservatore di essere deriso da una provocatoria operazione pubblicitaria da laboratorio fotografico.
Anche se la realtà storica offre verità peggiori di quelle rappresentate dal guerrigliero, quest’ultimo assume una valenza ridicola nel vissuto finale di un osservatore in cerca di riscatto.
L’esagerazione enfatica e l’abuso del “fantasma di morte”, pur lavorando una “Psiche collettiva” educata alle immagini tanatocratiche, sortiscono l’effetto del rifiuto perché innaturali.
A livello pubblicitario l’immagine non ottiene, quindi, la finalità sperata, anzi con essa vengono rifiutati in blocco il marchio e il prodotto.
L’immagine del “guerrigliero” si è ridotta a un’offesa gratuita al buon senso dell’osservatore, un peccato di arroganza che si paga in termini economici.
Essa è il classico esempio del cattivo uso del meccanismo dell’ “enfasi” nel settore pubblicitario alla luce della sua relativa incisività subliminale.
Passiamo all’interazione del rettangolo verde Benetton, inserito nel margine destro, con gli elementi del quadro.
Non è possibile reperire alcun valido riferimento logico e alcun nesso dinamico con i fantasmi espressi nell’immagine.
Si può concludere che il registro verbale del rettangolo verde, “United Colors of Benetton” è artificialmente giustapposto e che il solo nesso evidente è l’assenza di un nesso.
L’immagine, infatti, è priva di amalgama e di coesione, in quanto si riduce a una coatta sommatoria di simboli tanatocratici e le sue caratteristiche non le consentono
neanche un effetto educativo e civile di denuncia della guerra e della violenza.
Essa non esibisce coesione di colori etnici o psichici come l’immagine del “morto ammazzato” o della “morte di David” e il nesso logico ricercato potrebbe individuarsi soltanto nella disorganicità in opposizione alla coesione dei colori Benetton.
Ma questa interpretazione è un’astratta forzatura intellettualistica.
INSERIRE L’IMMAGINE DEL CIMITERO DI GUERRA
IL CIMITERO DI GUERRA
L’immagine pubblicitaria in questione è di Oliviero Toscani: un cimitero inglese di guerra.
La descrizione è abbastanza semplice: un reticolato geometrico di croci in pietra grigia, un vasto prato verde e il solito rettangolo, altrettanto verde, Benetton sul margine destro in basso.
Due stelle, simboli ebraici e situate al culmine del pilastrino conficcato nel terreno, interrompono il sistema armonico di croci.
Gli elementi simbolici dell’immagine sono la croce, il prato verde, la disposizione geometrica e il rettangolo pubblicitario.
Il “cimitero di guerra” è un impianto semplice nell’uniformità dei segni e complesso nell’interazione dei simboli.
Il fantasma psichico inscritto è sempre tanatocratico.
L’immagine è in gran parte dominata dalle croci, allineate in un mosaico che sullo sfondo dà l’impressione di un incastro di tessere.
Decodifichiamo il simbolo della croce.
E’ un segno cristiano di morte e di trasfigurazione della morte, legato alla passione, al sacrificio, alla resurrezione e alla redenzione dell’umanità dal peccato originale da parte di Gesù Cristo.
La croce è il simbolo religioso e culturale della “parte positiva e buona della Morte”,
interpretata e vissuta come momento di transizione verso la vita eterna dopo il tormentato soggiorno dell’anima nel corpo, nel tempo e nello spazio.
La morte è un trapasso senza trauma, oggetto del desiderio della fede in quanto ricongiunge al Padre e apre le porte del Regno dei cieli.
La croce cristiana, quindi, è il simbolo della vittoria della vera “Vita” sulla “Morte” attraverso la trasfigurazione spirituale e la perdita della componente materiale corporea.
Le croci dell’immagine richiamano il sacrificio di giovani vite, perdute nell’affermazione dei valori culturali della patria e della pace attraverso l’incivile esercizio della guerra.
La “Morte buona” si associa alla giovinezza perduta al servizio di valori culturali quali l’amor di patria e la pace.
La morte è uguale per tutti e rispetta anche il tipo di fede; le stelle ebraiche, infatti, sono esempio di tolleranza religiosa.
La prima sensazione che l’immagine produce nell’osservatore è di profondo silenzio e di diffusa tranquillità, nonostante i temi emotivi di fondo siano tanatocratici.
I soldati, tante giovani vite infrante, il lutto, il dolore, i valori civili e culturali, il giusto premio, la memoria, la gratitudine, l’esempio da imitare sono i principali significati culturali e simbolici che interagiscono con una forte carica di trasfigurazione sotto il segno della croce.
L’immagine si può definire un complesso organizzato, armonico e ben compensato, che si inserisce in maniera blanda nella psiche dell’osservatore; la sua visione, infatti, non mutua angoscia, perché i significati si fondono in un sentimento di pacata malinconia.
La croce dell’immagine del cimitero di guerra contiene tre attributi del “fantasma di morte”: la “morte buona”, la “morte bella” e la “morte giusta”.
La morte è fantasmicamente “buona” perché non procura angoscia, in quanto lo spirito ritorna alla casa del Padre nella dimensione dell’eternità; la morte è “bella” perché avviene all’interno di un desiderio e di un progetto che la rendono attraente; la morte è “giusta” perché generosamente consumata per amore della patria e per garantire la sopravvivenza del gruppo nazionale.
Anche la guerra, richiamata dalla morte, paradossalmente ha una sua giustificazione.
Mentre nell’immagine del “guerrigliero” la morte era ferinità inumana, in questa
immagine la morte è una necessità culturale che sublima l’angoscia.
Passiamo all’interpretazione del prato verde.
Esso rappresenta simbolicamente lo spazio dove si dispone la realtà psichica in atto, il teatro interiore dove si svolgono le trame della storia psicologica di ogni uomo.
Scendendo di livello, il prato è simbolo di “Madre”, della “parte buona e vitale della Madre”, perché richiama l’archetipo del “Principio femminile”, la “Terra”.
Il colore verde è simbolo della vita, della giovinezza, del principio della realtà e della carica vitale con cui si devono investire le esperienze dell’esistenza.
Si inscrivono simbolicamente nel colore verde la parte estetica, edonistica e gratificante della vita: il piacere, la bellezza, l’amor proprio.
Il verde rinvigorisce l’unità psiche-corpo, favorisce i processi di autocoscienza e dispone all’azione concreta; il verde è, inoltre, il colore della realtà, impressiona realisticamente la Psiche e la dispone alla decisione.
Il verde è un ottimo strumento per l’operazione pubblicitaria, in quanto attrae dolcemente e induce naturalmente l’osservatore all’azione senza alcun senso di costrizione.
Non a caso il verde è il colore della natura e delle sue armonie; esso rappresenta il giusto equilibrio dell’Io nel suo versante interno ed esterno, nelle sue istanze consce e inconsce.
Una riflessione sull’immagine e sulla simbologia del colore verde consente di rilevare che proprio il colore della vita e della vitalità avvolge e ricopre con il suo manto verde la morte violenta di giovani soldati.
Si manifesta una contraddizione fra la “Vita” e la “Morte”, tra “Eros” e “Thanatos”, tra la simbologia del “Sopra” e del “Sotto”, un conflitto tra archetipi che ha sempre suscitato emozioni profonde in ogni uomo.
Il contrasto viene mediato e risolto nella trasfigurazione e nella vittoria della croce sulla morte, della vita spirituale sulla vita materiale, della vitalità verde psichica sulla vitalità nera del nulla, della “Madre buona” che copre e protegge sulla “Madre cattiva” che abbandona e opprime.
La contraddizione trova un’ampia gamma di compensazioni, che rende la dialettica dei simboli simmetrica ed equipollente nella sua distribuzione interpretativa.
Nell’ “Immaginario collettivo” sono verdi i prati dell’ “Al di là”, l’Inconscio dell’anima.
La “Vita” e la “Morte”, la croce e il prato, lo spirito e la materia convivono nell’immagine del “cimitero di guerra” e si integrano degnamente in un equilibrio di significati.
Passiamo a decodificare il linguaggio simbolico dell’impianto geometrico del cimitero con la disposizione reticolare delle croci.
La struttura rappresenta la simbologia della razionalità ed evoca un fantasma collegato all’ordine logico dell’uomo.
Gli schemi della proporzione, dell’armonia, della simmetria appartengono alla funzione razionale, il cui fantasma si attesta nella freddezza logica.
La “Ragione” è ordinata ma fredda e occulta il fantasma dell’aridità affettiva ed emotiva.
Nell’analisi dell’immagine del “cimitero di guerra” essa è espressa simbolicamente dall’impianto geometrico delle croci, una gelida ragnatela associata all’emozione profonda della morte.
Come conciliare i fantasmi di “Ragione” e “Morte”, di freddezza logica e di angoscia della fine ?
Essi si fondono in un simbolo di nuovo conio: la giustificazione della “Vita” nel suo inequivocabile andare verso la “Morte”.
La carica emotiva si stempera proprio sublimandosi nell’accettazione della “Morte”.
Anche in questo caso la dialettica dei simboli si risolve nella tranquillità dell’animo.
Riassumendo, si riconosce che la croce, il prato e la razionalità interagiscono con buona armonia e che il discorso simbolico delle immagini si allarga in un sapere filosofico e tocca i delicati temi dell’esistenza umana.
I tre fantasmi si integrano reciprocamente, viaggiando dal registro emotivo al registro
razionale, dal registro simbolico al registro logico senza contraddizione o scompenso, e inducono nell’osservatore un senso di serena accettazione e una pacata disposizione all’ordine naturale della realtà.
Il vissuto globale, che l’immagine del “cimitero di guerra” produce, è positivo, nonostante la “tanatocrazia” manifesta, perché la buona organizzazione dei significati e delle emozioni riduce notevolmente l’aspetto drammatico e lo sublima in “buono”, “bello” e “giusto”.
Consideriamo l’interazione dell’immagine, registro visivo, con il rettangolo verde Benetton, registro verbale; quest’ultimo si inserisce nel quadro in maniera estetica e come comunicazione di un messaggio compatibile.
La coesione dei simboli e delle emozioni rende giustificazione dell’ “United”.
I “Colors” simbolici sono quelli della “parte positiva” della “Vita”, della “Morte” e della “Ragione”.
Il rimando al calibro cromatico dell’abbigliamento Benetton è plausibile senza azzardate o spudorate contaminazioni.
L’adeguata combinazione simbolica e il vasto ventaglio delle problematiche connesse rendono, quindi, il messaggio pubblicitario del “cimitero di guerra” efficace e suadente.
Il complesso fantasmico arriva tranquillamente nell’ “Immaginario collettivo”.
E’ opportuno un ultimo rilievo sulla prevalenza del colore grigio: esso è in linea con il vissuto di malinconia riflessiva dei temi profondi rappresentati e condensati nell’immagine.
Il significato simbolico del colore grigio è la neutralità emotiva e ideale, la libertà da stimoli e tendenze, un’imperturbabilità soffusa a conferma dei temi di fondo dell’immagine.
Trasportato da un’atmosfera grigia l’osservatore può passare alla scelta del prodotto. Non si poteva trovare una conclusione più degna dentro un’immagine di apparente semplicità e di naturale vastità.
INSERIRE L’IMMAGINE DEI PINOCCHI
I PINOCCHI
L’immagine pubblicitaria in questione presenta su uno sfondo bianco una serie di “Pinocchi”, cinque marionette identiche nella fattura e diverse nel colore; quest’ultimo oscilla dalla tinta naturale del legno alle sfumature noce ed ebano.
L’immagine è completata dal rettangolo verde Benetton, collocato sul margine destro in basso.
Classiche sono le caratteristiche della marionetta inventata da Collodi e trasmessa
all’ “Immaginario collettivo”: la situazione è ortodossa.
I “Pinocchi” sono fotografati secondo una dinamica di fuga dal quadro e scorrono per suggestione visiva verso il lato sinistro.
Con questo espediente è stato impresso all’immagine un movimento, che in parte la riscatta dalla staticità e dalla stereotipia delle sagome.
A Oliviero Toscani si riconduce la paternità dell’idea pubblicitaria e dell’artificio fotografico.
La simmetria grafica dell’impianto è rispettata a tal punto che l’immagine rischia di diventare monotona e stucchevole.
L’interpretazione appare semplice, in quanto verte sul simbolo di Pinocchio e sulla solita interazione con il rettangolo verde Benetton.
I “Pinocchi” inducono, pur tuttavia, a precisare il significato simbolico della favola di Collodi, un condensato della fantasia umana che contiene fantasmi psichici di un certo spessore.
Pinocchio nasce dalla frustrazione della paternità di Geppetto, un vecchio falegname che costruisce un burattino di legno per compensare il suo desiderio insoddisfatto di avere un figlio.
Il lungo naso della marionetta ha un significato simbolico di tipo fallico.
L’intervento della fatina, simbolo della “parte positiva della Madre”, concede vita e intelligenza a Pinocchio, dopo che il padre Geppetto lo ha artificialmente forgiato.
Il pupazzo inanimato è diventato un bambino vivente, ma la sua simbologia profonda è legata alle sue radici e rappresenta la “parte inanimata dell’Io” e della psiche: il suo essere di legno è reso vitale dalla “Madre buona”, la fata per l’appunto.
Pinocchio rimanda a un fantasma psichico profondo e collettivo di inanimazione e di “Morte”, un vissuto sofisticato non legato alla morte fisica ma a quella psichica, una perdita depressiva riferita alla figura materna.
Infatti la parte interiore e inanimata di Pinocchio è quella relativa al suo essere orfano di madre.
Quest’assenza richiama il simbolo di una “Madre mortifera”, una madre che non ama e non dà la “Vita”.
In Pinocchio è condensato il fantasma della “parte negativa della Madre”, mentre la “parte positiva” ha trovato nella fata il surrogato simbolico compensativo.
Si realizza con un’allucinazione il desiderio di Pinocchio di avere una madre.
Egli rappresenta il dramma di tutti i bambini costretti, sia pure in situazioni di assoluta normalità, a elaborare e incamerare il “fantasma della Madre” e a scinderlo in una “parte cattiva” e anaffettiva, strega e morte, e in una “parte buona” e affettuosa, fata e vita.
Pinocchio è un bambino cattivo, perché reagisce a questo vissuto interiore di solitudine e a questa angoscia di abbandono, uno struggimento che egli avverte e non sa razionalizzare.
Pinocchio rappresenta, quindi, un sofisticato “fantasma di morte”, la morte di una parte del proprio Io, in riguardo al corpo, il burattino, e in riguardo agli affetti di base, la psiche.
Ancora una simbologia di morte si presenta nell’immagine pubblicitaria Benetton, un fantasma insidioso e indiretto.
Forse lo stesso ideatore, Oliviero Toscani, non pensava che i suoi “pinocchi” fossero gravidi di tanta carica simbolica.
Nella realtà l’immagine non crea particolare emozione e non richiama la traumatica fantasmizzazione della nostra prima infanzia, per cui è e resta un’immagine fredda e ripetitiva.
Essa tende a distaccare l’osservatore, piuttosto che ad attrarlo e coinvolgerlo in dinamiche psichiche profonde.
uesto vissuto di freddezza è salutare, perché ferma Pinocchio nell’ “ImmQQQQQ
Questo vissuto di freddezza è positivo e salutare, perché ferma Pinocchio
nell’ “Immaginario collettivo”; lo stimolo è debole e non risveglia il Pinocchio interiorizzato dall’osservatore, non evoca il fantasma della “parte negativa della Madre”.
Nel caso contrario l’immagine sarebbe stata traumatica e la sofferenza dell’osservatore sarebbe stata sorda e diluita nel tempo.
Le improvvisazioni, a volte, possono essere pericolose per l’equilibrio psichico dei fruitori e per l’effetto economico.
A questo punto consideriamo l’interazione del rettangolo verde con la simbologia dell’impianto.
Una “metonimia” spiega che i “pinocchi” sono colorati come i capi di abbigliamento Benetton o che la Benetton produce originali maglioni sfumati in tutte le tinte per bambini discoli come Pinocchio.
I significati si accostano anche nel decodificare che, se la fiaba di Pinocchio appartiene ai bambini, anche l’abbigliamento Benetton è rivolto all’infanzia.
L’interpretazione profonda viaggia per opposto: Pinocchio rappresenta la “parte inanimata”, scissa e isolata dell’Io, contrariamente alla sbandierata coesione dei colori Benetton.
Questa complessa decodificazione, pur tuttavia, non entra in gioco nell’effetto pubblicitario; quest’ultimo è di relativa efficacia e colpisce nei termini di una fredda e generica curiosità.
Una riflessione finale è opportuna: la Psiche collettiva è bersagliata dal “fantasma di morte” a tal punto che i genitori scelgono ancora oggi di raccontare la fiaba di Pinocchio ai propri bambini o si usa in pubblicità l’immagine di Pinocchio senza l’adeguata cognizione profonda.
La cultura condiziona e la pubblicità consegue.
INSERIRE L’IMMAGINE DELLE FOGLIE MORTE SOSPESE
SUL PETROLIO
LE FOGLIE MORTE SOSPESE SUL PETROLIO
E’ un’immagine fotografica, idealmente articolata e tecnicamente elaborata, che raffigura un gruppo di foglie colorate d’autunno, staccate da un ramo e galleggianti su una macchia nera di petrolio.
Sul margine destro e in posizione mediana è inserito il rettangolo verde Benetton.
L’immagine è di grande effetto estetico e richiama i caratteristici colori autunnali delle colline trevigiane.
I bordi delle variopinte foglie sono evidenziati dalla densità del petrolio greggio; quest’ultimo produce un riflesso cromatico e un ispessimento dei contorni.
Le foglie affondano in parte o totalmente nel liquido denso e ne assorbono la viscosità; alcune mantengono intatto il loro colore, altre lo lasciano trasparire o sono tinte in maniera omogenea di nero.
La macchia di petrolio cromaticamente sfuma dal metallico argentato al nero denso e pastoso.
L’impianto è sottoposto a un trattamento di luci particolarmente efficace, per cui l’immagine induce nell’osservatore un forte effetto estetico e psicologico.
Nel suo condensare colori caratteristici, effetti speciali e combinazioni originali essa attrae a diversi livelli; la bellezza formale e la ricercatezza tecnica ispirano sin dal primo impatto sensoriale la ricerca dei sofisticati significati simbolici e il rifiuto a fermarsi alla degustazione estetica.
Si stabilisce una diretta proporzione tra la costruzione formale del quadro e l’esigenza di decodificare da parte dell’osservatore.
L’immagine delle “foglie morte sospese sul petrolio” esordisce e si delinea sempre più come una decisa provocazione psichica e la sua bellezza induce a reperire i significati profondi.
Bisogna riconoscere che l’effetto psichico del “fattore colore” è sorprendente; esso non si esaurisce nel favorire proiezioni e investimenti soggettivi, ma stimola l’osservatore a ritrovare un senso e un significato oggettivi.
L’impianto acquista una rudimentale funzione di “test” psicologico e ricorda le macchie del reattivo di Rorschach.
La decodificazione seguirà il seguente ordine, per non smarrire la ricchezza dei contenuti:
– interpretazione simbolica delle foglie morte;
– interpretazione simbolica del petrolio;
– interpretazione simbolica dell’insieme “foglie morte” e “petrolio”;
– analisi dell’interazione del complesso simbolico con il rettangolo verde Benetton.
Le colorate foglie morte dell’autunno nella loro densità fantasmica richiamano ancora una volta l’interazione archetipica tra la “Vita” e la “Morte”.
Esse, infatti, non si riducono a un simbolo unico e univoco, ma possiedono un’originalità derivata dalla fusione di parti simboliche opposte: la “Vita” è condensata nel colore delle foglie e la “Morte” nell’essere staccate dal ramo.
Il fantasma di nuovo conio esige che le foglie morte rappresentino la vecchiaia, la senilità colorata dalla residua vitalità e dalla saggezza della vita vissuta.
La terza età è l’anticamera della morte, la progressiva libertà dai legami con la realtà, la preparazione al distacco e la disposizione a ben chiudere la vita.
Quante esperienze possono raccontare le colorate foglie dell’autunno anche ai viandanti distratti !
La foglia morta è fondamentalmente il simbolo dell’autunno della vita umana, della vecchiaia, della saggezza, della tristezza riflessiva e della malinconia.
L’angoscia di morte è compensata dalla consolazione della saggezza.
Ma queste foglie affondano e si sporcano nel denso petrolio, restano invischiate nell’unto e sono impedite nella loro residua vitalità.
Può essere esteticamente valida l’associazione tra le foglie morte colorate e il petrolio, ma sono drammatici il significato simbolico chiaramente tanatocratico e la sensazione di impedimento della vitalità che il liquido nero suscita nell’osservatore.
L’effetto luminoso dell’ispessimento argentato dei bordi delle foglie si trasforma in un’estetica camicia di forza e in un ulteriore senso di blocco.
L’interazione “foglia–petrolio” impedisce simbolicamente l’espressione della residua carica vitale legata al colore e dispone progressivamente la psiche dell’osservatore all’angoscia della fine, per cui il quadro acquista drammaticità e mutua una sottile tensione.
La foglia staccata dal ramo affonda nel petrolio, in un nero ineluttabile richiamo verso il “Basso”, per cui l’immagine resta esteticamente originale, ma la simbologia perde gran parte del suo iniziale ottimismo e della sua carica di sublimazione: la vecchiaia smarrisce il suo colore e si sviluppa nelle nere trame della morte.
Il petrolio è simbolicamente carico di morte, sia per il colore nero e sia per il luogo di residenza, il “Sotto” o le viscere della terra, simboli della “parte negativa della Morte”, la punizione e la pena infernale.
Il petrolio condensa psicologicamente, come si diceva in precedenza, il blocco delle energie vitali e la prossimità della morte nella precaria vecchiaia.
Il solito fantasma tanatocratico si è profilato dopo aver fatto capolino nella simbologia della foglia morta e nel successivo traino della simbologia del petrolio; il nuovo conio fantasmico esprime l’agonia dell’uomo nel cammino verso la “parte negativa della Morte”, il peccato e il tormento eterno.
La vecchiaia, colorata di saggezza, si è ridotta all’anticamera della morte senza alcuna possibilità di riscatto.
La foglia morta ha una radice simbolica antica, mentre il petrolio, al di là della sua proprietà energetica, desume il significato dalla simbologia del “Sotto” e dalla sua natura di materia organica decomposta nell’immenso sepolcro della Terra.
Nella formazione del simbolo prevalgono il luogo, la qualità e il colore; essi ne fissano il significato in un ambito decisamente mortifero.
Consideriamo, a questo punto, l’interpretazione ideologica e culturale.
L’immagine denuncia e condanna l’inquinamento indiscriminato e la sistematica distruzione della Natura da parte dell’uomo.
L’ecosistema affonda nei mali del progresso tecnologico sotto la pessima regia di un uomo che giustifica gli incommensurabili danni prodotti con la necessità dell’evoluzione scientifica ed economica.
I sofferti problemi dell’inquinamento e dello sfruttamento irrazionale delle risorse naturali sono condivisi dalla “pubblica opinione” e supportate, quindi, dal sistema culturale in atto insieme alle istanze antiecologiche del capitalismo industriale.
Questa reale contraddizione matura una conflittualità e una ulteriore tensione di impotenza nell’osservatore.
E’ opportuno, a questo punto, analizzare l’interazione del complesso simbolico con il registro verbale del rettangolo verde, “United Colors of Benetton”.
Appare immediata e chiara la sintonia tra i colori della natura, foglie morte dell’autunno e il petrolio delle viscere, e la richiamata originalità delle combinazioni cromatiche dell’abbigliamento Benetton.
Anche la fredda pastosità dell’effetto luce rimanda a un colore originale sicuramente presente nella gamma Benetton.
Questa associazione si sposa in rima baciata con la figura retorica della “metafora”.
Il meccanismo psichico e culturale, che veicola il messaggio verso le sfere subliminali dell’osservatore senza forti resistenze, è il fantasma della “vecchiaia in cammino verso la morte”, un vissuto originale nella fusione simbolica di foglie morte e petrolio.
E’ giusto rilevare l’incipiente e crudele uso della terza età e delle problematiche psichiche a essa connesse nella divulgazione di messaggi pubblicitari, un increscioso fenomeno ripreso da altri marchi e ancora spudoratamente in atto.
L’immagine pubblicitaria delle “foglie morte sospese sul petrolio” imbrocca il filone buono per essere incisiva e arrivare nel profondo psichico.
L’originale stimolazione cromatica e l’interazione dei simboli permettono al messaggio di depositarsi nell’ “Immaginario collettivo” con dolce attrazione; il “fantasma di morte”, quindi, funge soltanto da perno pubblicitario in linea con la cultura tanatocratica.
E’ proprio il particolare “effetto colore” che frastorna piacevolmente l’osservatore e impedisce l’angoscia attraverso la soluzione ideologica e il meccanismo di difesa della “proiezione”.
Si tratta di un’immagine poliedrica a forte carica reattiva: il messaggio fascinoso passa attraverso il colorato quadro e lascia emergere i vissuti individuali di natura culturale e personale.
L’effetto pubblicitario è efficace per il modo estetico di proporre nello stesso tempo il “fantasma di morte” e il problema ecologico.
La fissazione del marchio è assicurata.
ITINERARIO BIBLIOGRAFICO RAGIONATO
Il presente lavoro ha una natura pluridisciplinare.
Alla sua stesura concorrono, infatti, elementi di Filosofia, Psicologia, Psicoanalisi, Sociologia e Semiologia.
La seguente bibliografia ragionata consente al lettore ulteriori approfondimenti.
Horkheimer-Adorno – Lezioni di Sociologia – Edizioni Einaudi – Torino – 1966.
E’ un testo fondamentale per l’evoluzione della scienza sociologica, frutto del lavoro degli studiosi più rappresentativi dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte.
Il testo ha il carattere di una libera discussione su temi chiave – la definizione di individuo e di gruppo, di società e di massa, l’interpretazione dell’arte e della
musica – e i concetti si saldano in una visione unitaria senza esaurirsi in definizioni statiche.
Il discorso si sviluppa con analisi critiche e suggerimenti costruttivi, per cui anche le contestazioni risultano feconde per lo sviluppo della Sociologia.
Durkheim – Il pensiero filosofico e la fondazione della Sociologia – a cura di Montaleone – Casa editrice Le Monnier – Firenze – 1981.
E’ un’antologia dei testi più significativi del nume tutelare della Sociologia francese, una sintesi completa dei temi principali del pensiero sociologico di Durkheim, che fornisce le conoscenze di base del sapere sociologico e i collegamenti filosofici con la tradizione e l’attualità.
Weber e la critica della società nel pensiero contemporaneo – a cura di Bordoni e De Paz – Casa editrice D’Anna – Messina – 1977.
E’ un’ampia antologia del pensiero sociologico e si incentra su brani essenziali della produzione scientifica di Max Weber.
Il testo parte dalla critica della dialettica di Marx e approda alla Sociologia italiana contemporanea dopo aver riattraversato lo Storicismo tedesco, la Sociologia critica nordamericana e il pensiero dialettico contemporaneo.
Si apprezza la complessità e l’attualità del pensiero weberiano, ricco di valide riflessioni e di interessanti incursioni in altre discipline come l’Economia, la Politica e la Religione.
Il panorama delle interpretazioni sociologiche degli altri autori offre un’apprezzabile sintesi del sapere sociologico.
Introduzione alle Scienze Umane – Fulvio Papi e collaboratori – Zanichelli editore – Bologna – 1983.
E’ un testo prezioso per addentrarsi nello studio dell’Antropologia, della Sociologia, dell’Economia, della Psicoanalisi linguistica, della Semiologia: un lavoro curato da specialisti con abbondanza di materiale e chiarezza di sintesi.
Reale – Storia della Filosofia antica – volume II° – Aristotele – La Retorica – pagine 569 – 583 – Edizioni Vita e Pensiero – Milano – 1968.
“Lo scopo della retorica è quello di persuadere o più esattamente quello di scoprire quali siano i modi e i mezzi per persuadere in generale su qualsiasi argomento.”
L’arte della Retorica è una metodologia del persuadere che analizza e definisce i procedimenti con cui l’uomo cerca di convincere gli altri uomini e ne individua le strutture fondamentali.
La conoscenza di questa parte della Filosofia del grande Aristotele è determinate anche per lo studio e la comprensione del sistema pubblicitario.
Hobbes – Il pensiero politico – a cura di Tisato – Edizioni Canova – Treviso – 1980.
Si tratta di un’antologia del pensiero di Hobbes (1588 – 1679) che contiene brani significativi e in particolare le teorie della conoscenza e del linguaggio.
“La Ragione è un puro procedimento formale di connessione tra nomi, è il calcolo delle conseguenze dei nomi generali su cui c’è accordo per contrassegnare e significare i nostri pensieri.”
“Il linguaggio consiste nell’insieme dei nomi o appellativi, arbitrariamente elaborati e delle loro connessioni, con cui gli uomini possono fissare le cose pensate, richiamarle alla memoria e comunicarsele reciprocamente per la propria conservazione e utilità.”
Le radici della Semiologia sono in queste teorie.
Peirce – Pensiero-Segno-Uomo – in Semiotica – Casa editrice Einaudi – Torino – 1980.
Nell’opera postuma in otto volumi “Raccolta degli scritti di Peirce” il filosofo del Pragmaticismo americano (1839 – 1914) oppone alla Logica di Aristotele, di Kant e di Hegel la Semiotica o “dottrina dei segni” e la Faneroscopia” o dottrina delle categorie.
Esaminiamo il notevole contributo di Peirce nella fondazione della Semiologia.
Egli sostiene, in primo luogo, che tutte le nozioni e le parole umane sono “segni” e che il loro riferimento all’oggetto può essere immediato o mediato da un altro segno, che si definisce “denotativo”, se l’oggetto è indicato fisicamente, “simbolico”, se l’oggetto è soltanto rappresentato.
In quest’ultimo caso il “segno” va interpretato mediante un altro “segno” denominato “interpretante”.
Esso può essere “emotivo”, se legato all’espressione di un sentimento, ”energetico”, se riassunto in una reazione fisica, “logico”, se esprime il significato formato non per via concettuale pura, ma per abitudine mentale.
A Peirce si ascrive, inoltre, il merito della tripartizione dei segni in “indici”, “icone” e “simboli”.
Esemplifichiamo: in base alla nozione di “interpretante” un “segno visivo” può rimandare a un “segno verbale”, quest’ultimo a un “segno simbolico” e quest’ultimo a un “segno psichico”, un vissuto fantasmico; in ogni caso un “segno”, nel chiarire se stesso, è chiave di interpretazione di un altro “segno”.
La seconda teoria di Peirce riguarda la “semantica semiotica”, lo studio della relazione che può essere posta tra il “segno” e il “referente”, l’oggetto a cui rimanda; nel caso specifico gli “indici” rimandano a un “referente” in un rapporto di contiguità, le “icone” rimandano al “referente” in un rapporto di similarità, i “simboli” rimandano al “referente” in un rapporto di convenzionalità.
Nel settore semiotico della pubblicità questi concetti e in particolare “l’iconico” e il “simbolico”, il registro del similare e il registro del convenzionale, sono importanti per comprendere i meccanismi che interagiscono nel sistema.
Morris – Lineamenti di una teoria dei segni – Editrice Paravia – Torino – 1954.
Morris (1901 – 1979), filosofo statunitense, ha fondato e supportato metodologicamente la Semiotica, sganciandola dalla Gnoseologia e fornendole i requisiti di disciplina autonoma.
Essa si evolve, quindi, in una scienza ermeneutica che studia e interpreta diversi settori dell’attività conoscitiva e pratica dell’uomo, oltre che le relazioni tra i diversi elementi; in questo lavoro essa chiarisce e giustifica se stessa.
Secondo le teorie di Morris l’uomo è tra i viventi l’essere che si serve in maniera ricchissima di “segni”, dal momento che il comportamento segnico non è esclusivo della specie umana, ma appartiene anche ad altri animali.
L’uomo ha elaborato un universo complesso di “segni”, tra cui il linguaggio parlato e scritto, per cui la civiltà umana è costituita e si basa su “segni” e su “sistemi di segni”.
La Filosofia e la Psicologia di Morris identificano la Ragione e la Mente umane ad attività segniche.
I “simboli” sono “segni” speciali basati su una relazione analogica con il “referente”.
Nell’articolo “Fondamenti della teoria dei segni” Morris chiamò Semiosi il processo in cui qualcosa ha funzione di “segno”.
Essa comporta quattro fattori: il “veicolo segnico” o funzione di segno, il “designatum” o oggetto a cui si riferisce, “l’interprete” ossia il soggetto per cui il segno funge, “l’interpretante” o l’effetto del segno sulla persona.
La Semiosi, inoltre, ha tre dimensioni: la “semantica”, che studia la relazione tra i segni e gli oggetti, la “pragmatica”, che studia le relazioni dei segni con gli interpreti e la “sintattica”, che s studia la relazione dei segni tra loro.
Morris definì “sistemi segnici” i diversi linguaggi e operò una classificazione dei segni, dei linguaggi e dei discorsi.
Nell’opera del 1946 “Segni, linguaggio e comportamento” egli ha fuso in maniera originale la Psicologia del comportamento e la Semiotica; il suo contributo alla ricerca nel settore pubblicitario è stato notevole.
Nella seconda fase della sua vita approfondì la Semiotica, conciliandola con una teoria dei valori.
De Saussure – Corso di Linguistica generale – Casa editrice La terza – Bari – 1976.
Ferdinand De Saussure (1857 – 1913), linguista svizzero, battezzò la Semiologia come la scienza che studia il “segno” come elemento di un sistema o “codice”, senza di cui risulterebbe incomprensibile; egli, inoltre, analizza i segni e le loro relazioni all’interno del quadro della vita sociale.
La Linguistica viene inglobata nella Semiologia come sua parte fondamentale.
La Semiologia di De Saussure è divisa in due correnti: la “Semiologia della comunicazione”, che analizza i sistemi di segni fortemente codificati nelle lingue, nei segnali e negli alfabeti, e la “Semiologia della significazione”, che analizza da un punto di vista funzionale di stampo sociologico tutti i fenomeni basati su “segni” e portatori di “segni” come la comunicazione di massa, la pubblicità e la moda.
Barthes – Elementi di Semiologia – Casa editrice Einaudi – Torino – 1966.
Barthes (1915 – 1980) prende in esame tutti i fenomeni significativi da un punto di vista sociologico, declinando la Semiologia in una sorta di “Teoria generale della cultura”.
L’uomo è un “animale sociale”, che produce e usa “segni” nella realizzazione di se stesso e della sua esistenza, per cui viene in questo modo a trovarsi inserito in una complessa rete di “sistemi segnici” che gli rendono possibile il pensiero, la parola e l’azione o lo costringono a pensare, parlare e agire.
La società esalta e complica la comunicazione e la trasmissione segnica tra i suoi membri con ideologie, che sono complessi interattivi e relazionati di “segni” coniati da gruppi ristretti in base alla lettura dei fenomeni del tempo e che ricevono sostanza e incentivazione dalla partecipazione attiva e fattiva delle masse.
Strutturalista rigido, Barthes negli anni sessanta rielaborò le sue teorie, ponendo particolare attenzione al soggetto come autore e lettore dei segni e del contesto segnico.
Eco – Trattato di Semiotica generale – Casa editrice Bompiani – Milano – 1975.
Eco – La struttura assente – Edizioni Bompiani – Milano – 1968.
Il più noto e valido semiotico italiano opera una revisione delle rigide norme dello Strutturalismo culturale e linguistico in funzione di una maggiore elasticità metodologica e dell’abbandono di un coatto determinismo.
Eco definisce la Semiologia la “scienza dei segni” che interpreta l’ineliminabile essenza storica di ogni uomo.
Freud – Totem e tabù – Opera omnia – Casa editrice Boringhieri – Torino – 1978.
Scritto da Freud (1856 – 1939) nel 1913, il testo tratta un argomento
socio-psicologico: i costumi, le credenze e le forme di organizzazione sociale delle popolazioni primitive alla luce della scoperta dell’Inconscio e delle sue leggi.
Freud instruisce con assoluta naturalezza provocatori parallelismi tra la Psiche collettiva e i processi inconsci dell’uomo.
Freud – Il disagio della civiltà – Opera omnia – Editrice Boringhieri – Torino – 1978.
Scritto nel 1929, il testo consente a Freud di esprimere e confermare il suo concetto pessimistico sulla natura sociale e civile dell’uomo.
L’aggressività, espressione di una pulsione di morte, e la carica distruttiva, finalizzata alla sopravvivenza, evidenziano il forte contrasto tra l’amore di sé e l’amore verso il prossimo; quest’ultimo è la condizione fondamentale della civiltà, “kultur”.
Freud ritiene che la civilizzazione comporti per ogni uomo un insostenibile sacrificio della propria carica libidica e la necessaria messa in atto del delicato processo psichico di difesa della “sublimazione”.
Levi-Strauss – Antropologia strutturale – Edizioni Il Saggiatore – Milano – 1966.
In quest’opera fondamentale del 1908 Levi-Strauss espone la sua metodologia nell’indagine antropologica e il suo fine: la “struttura” è un insieme di relazioni latenti nell’oggetto, per cui si pone la necessità di elaborare modelli idonei a svelare le regole inconsce che condizionano il comportamento umano.
Tylor e altri – Il concetto di Cultura – a cura di Rossi – Einaudi – Torino – 1970.
E’ un testo prezioso per la comprensione dei fondamenti teorici della scienza antropologica e per lo studio dei processi culturali.
Sono esposte le teorie degli autori più acuti nel settore e si coglie il passaggio dallo schema storico-evolutivo dell’antropologia positivistica alla rivendicazione dell’individualità storica di ogni Cultura.
Tylor(1832 – 1917) individua nell’organizzazione sociale primitiva la fase originaria dello sviluppo dell’umanità, una fase che si presenta con caratteri uniformi e analoghi presso tutti i popoli.
Tale uniformità del processo culturale non coincide con lo sviluppo delle scienze e delle arti.
Tylor allarga il concetto di Cultura dal suo significato parziale a quello totale.
Boas (1858 – 1942) insiste sulla differenza tra eredità biologica ed eredità sociale; la Cultura non si trasmette mediante i meccanismi riproduttivi della specie umana, ma si acquisisce mediante il processo dell’apprendimento.
Si respinge ogni spiegazione deterministica e si afferma che la Cultura è irriducibile a condizioni esterne ed estranee all’uomo.
Boas nega la possibilità di riportare tutte le Culture a uno schema universalmente valido e identico, come aveva sostenuto Tylor, e afferma invece la necessità di studiare le Culture nel loro particolare contesto storico con una analisi individualizzata e evitando parallelismi fittizi e fuorvianti.
Kroeber (1876 – 1960) elabora una teoria della Cultura capace di giustificare la sua irriducibilità alle condizioni extra-culturali e distingue tra evoluzione inorganica, organica e super-organica, individuando in quest’ultima la sede della Cultura, che a sua volta non può essere ridotta, quindi, a una base biologica o psicologica.
Malinowski (1884 – 1942) identifica la Cultura con l’eredità sociale.
Tra Cultura e Società c’è una corrispondenza perfetta e l’organizzazione sociale rientra nella Cultura così come la Cultura costituisce il patrimonio del gruppo.
Egli indica nelle istituzioni le unità elementari della Cultura, ma tende a riportarla a una base biologica e ne sottolinea il legame con l’ambiente naturale.
Ogni istituzione è in rapporto con qualche bisogno bio-psicologico fondamentale e rappresenta un tentativo di risposta a esso, per cui nel suo complesso la Cultura è uno sforzo di soddisfacimento dei bisogni inerenti alla natura umana.
Essa si costituisce come un ambiente secondario, creato dall’uomo per estendere il suo potere d’azione e di controllo sull’ambiente naturale.
Malinowski si distacca notevolmente dall’impostazione evoluzionistica: ogni Cultura costituisce un sistema chiuso, un complesso di elementi legati fra loro da relazioni funzionali e tutte le Culture sono irriducibili a uno schema unitario di sviluppo, per cui devono essere indagate in ciò che costituisce la loro individualità e peculiarità.
Murdock (1897 – 1985) accoglie le tesi elaborate dalla scuola boasiana e da Kroeber a proposito del concetto di Cultura e in particolare la sua irriducibilità a qualsiasi spiegazione di tipo biologico o psicologico ed esalta, quindi, il suo carattere superorganico e al tempo stesso superindividuale.
Egli afferma l’identità tra Sociologia e Antropologia, per cui la Cultura è costituita non da schemi individuali ma da schemi di gruppo, di cui è necessario precisare il processo di formazione.
Freud – Interpretazione dei sogni – Opera omnia – Boringhieri – Torino – 1978.
E’ il classico testo del padre della psicoanalisi (1856 – 1939), pubblicato nel 1900, in cui viene esposta la teoria psicoanalitica sull’origine, sulla formazione, sulla funzione e sull’interpretazione del sogno.
Di particolare interesse risultano i processi di formazione del prodotto onirico: la condensazione, lo spostamento, la simbolizzazione, la drammatizzazione e la rappresentazione per l’opposto.
Cassirer – Filosofia delle forme simboliche – La Nuova Italia – Firenze – 1966.
Cassirer (1874 – 1945) si può considerare il fondatore della filosofia critica della Cultura.
Concepì l’uomo come “animal symbolicum”, in quanto è capace di elevarsi dai dati immediati dei sensi a forme espressive superiori.
Tutte le realizzazioni culturali si fondano sull’attività simbolica e l’evidenziazione dei nessi strutturali permette di riconoscerne i tratti irripetibili.
Jung e altri – L’uomo e i suoi simboli – Edizioni Longanesi – 1980.
Si tratta di un libro divulgativo ed è il chiaro risultato a più voci dell’esame di alcuni aspetti della Psicoanalisi junghiana in riferimento privilegiato ai simboli, intesi come espressione del linguaggio dell’Inconscio.
Quest’ultimo non è un deposito di materiale oscuro, ma un mondo ricco e vitale che costituisce la base dell’identità individuale e collettiva.
I simboli universali si definiscono “archetipi” e alla dimensione inconscia individuale Jung (1875 – 1961) associa un “Inconscio collettivo”.
Klein – Il nostro mondo adulto e altri saggi – Martinelli editore Firenze – 1972.
Il testo presenta la teoria dei “fantasmi” interiorizzati dal bambino in fase precoce e l’attività psichica della primissima età con le sue fasi schizo-paranoide e depressiva.
L’autrice (1882 – 1960) ha elaborato una teoria specifica e ha fondato una scuola di Psicoanalisi dell’infanzia.
Lacan – Scritti – due volumi a cura di Contri – Casa editrice Einaudi – Torino – 1974.
L’autore (1901 – 1981) in alcuni saggi approfondisce la ricchezza della vita fantasmica e immaginativa dell’uomo per evolvere la sua ricerca nello Strutturalismo psicoanalitico linguistico.
L’Inconscio è un linguaggio basato sull’ordine simbolico in un contesto e in una catena strutturante di significati.
Le lezioni di Freud , De Saussure, Jacobson e Levi-Strauss sono state ben assimilate dalla mente poliedrica dello psicoanalista francese.
Fornari – Simbolo e codice – Casa editrice Feltrinelli – Milano – 1976.
Il testo si presenta come un lavoro di rinnovamento della Psicoanalisi.
L’autore applica la Semiotica alla Psicoanalisi e definisce l’Inconscio come una facoltà significatrice.
Valuta in maniera originale l’attività simbolica e i suoi prodotti psico-culturali di natura universale sulla scia di Freud e della Klein.
Si tratta di un testo importante ed è il massimo contributo italiano allo sviluppo teorico e clinico della Psicoanalisi.
Fretigny – Virel – L’imagerie mentale – Edizioni Du mont Blanc – Ginevra – 1968.
Uno studio moderno e approfondito sulle immagini e sul linguaggio delle immagini; quest’ultimo è privilegiato rispetto al verbale e al corporeo.
La vita psichica è immagine: l’immagine è temporalmente anteriore alla parola e strutturalmente inferiore, in quanto prossima alla dimensione inconscia e ai suoi processi.
Vallone – TEMA – Rivista di Psicoanalisi clinica e forense – Il fantasma – n °1 – Edizioni Sapere – Padova – 1998.
L’autore approfondisce la nozione di “fantasma” e il suo determinare influsso nella formazione psichica e culturale di ogni uomo.
Vallone – TEMA – Rivista di Psicoanalisi clinica e forense – Totem e tabù – n°1 –
Edizioni Sapere – Padova – 2000.
E’ una riflessione approfondita sul testo di Freud e in particolare sulle implicazioni simboliche e culturali che la libera speculazione del padre della Psicoanalisi ha significato e comportato nella società contemporanea.
Alberoni – Consumi e società – Edizioni Il Mulino – Bologna – 1964.
Il testo si lascia apprezzare per l’acuta visione sociologica con cui l’autore inquadra la problematica del “consumismo” e le dinamiche relazionali negli anni sessanta e in pieno boom economico.
Frontori – Il mercato dei segni – Editore Cortina – Milano – 1988.
L’autore compie un’acuta indagine di stampo semiologico sulla funzione e sui meccanismi della pubblicità.
Autori vari – Pubblicità e televisione – ERI – Roma – 1968.
Nel pieno trionfo del “Carosello” diversi esperti e addetti ai lavori discutono le problematiche elementari del sistema pubblicitario televisivo nel suo esordio.
Baudrillard – Il sistema degli oggetti – Edizioni Bompiani – Milano – 1972.
Baudrillard – Il sogno della merce – Editore Lupetti – Milano – 1987.
La lettura dei testi presenta qualche difficoltà, ma offre una visione spregiudicata e convincente della capacità di penetrazione psicologica del sistema pubblicitario.
Berman – Pubblicità e cambiamento sociale – Editore Angeli – Milano – 1990.
Il testo studia gli effetti del sistema pubblicitario nell’evoluzione della società contemporanea.
Packard – I persuasori occulti – Edizioni Einaudi – Torino – 1989.
L’autore presenta una abile analisi dei meccanismi psichici coinvolti nella pratica pubblicitaria.
Fabris – La comunicazione pubblicitaria – Edizioni Lerici – Milano – 1971.
Il testo approfondisce i meccanismi e i modi di produzione della pubblicità.
INDICE
Introduzione pag. 4
Considerazioni metodologiche preliminari pag. 12
1) Il rotolo di carta igienica pag. 19
2) Il bacio del prete e della suora pag. 26
3) La donna che allatta pag. 33
4) Le boccacce degli adolescenti di razza diversa pag. 40
5) I preservativi colorati pag. 46
6) La bambina appena nata pag. 51
Considerazioni metodologiche sul “fantasma di morte” nella cultura
contemporanea e sul suo uso pubblicitario pag. 57
7) Il guerrigliero pag. 63
8) Il cimitero di guerra pag. 69
9) I Pinocchi pag. 74
10) Le foglie morte sospese sul petrolio pag. 78
Itinerario bibliografico ragionato pag. 81
Finito di stampare in Italia
nel mese di novembre 2002
presso le Grafiche V. Bernardi s.r.l.
Pieve di Soligo (TV)
Grande interesse e ambivalenti reazioni hanno destato e destano nella “pubblica coscienza” e nella “pubblica opinione”, in Italia e nel mondo, le originali e atipiche immagini pubblicitarie del Gruppo Benetton, ideate e realizzate in gran parte da Oliviero Toscani. Una variegata gamma di atteggiamenti emotivi e di valutazioni razionali si è sviluppata in maniera proporzionale all’evoluzione ideologica e tecnica del messaggio pubblicitario in questione; la “pubblica coscienza” e la “pubblica opinione” sono state coinvolte nell’interpretazione di immagini eccentriche e nella decodificazione di vissuti psichici individuali e collettivi. La metodologia pubblicitaria Benetton è partita dagli schemi tradizionali dei registri visivo e verbale, la fotografia e la dicitura, per approdare progressivamente a una nuova elaborazione del contenuto ideologico con l’immissione nel contesto delle immagini di valori duri e forti a tutto vantaggio, nel bene e nel male, della diffusione del marchio. La ricerca innovativa di Oliviero Toscani ha prodotto una serie di immagini provocatorie, che ha interagito con i sistemi culturali e ha provocato assenso o dissenso, condivisione o rifiuto. Le fotografie pubblicitarie si sono, di volta in volta, trasformate in un reattivo psico-sociologico e hanno strutturato uno stato psichico che ha assunto l’importante funzione di costruire “pubblicità sulla pubblicità”, oltre che di inscrivere il marchio Benetton anche nella “pubblica memoria” di uomini appartenenti a paesi culturalmente ed economicamente diversi, ma ugualmente coinvolti nei temi trattati. Oliviero Toscani ha il merito di aver sfruttato con una strategia di progressiva forzatura la proprietà dell’immagine di incidere la Psiche individuale e collettiva sotto la soglia della coscienza vigilante. Egli esordisce nello scenario pubblicitario con l’esigenza di dare il giusto rilievo al colore dell’abbigliamento Benetton e trova nel valore culturale universale dell’uguaglianza razziale un tema costante. In una seconda fase della sua metodologia ha veicolato il messaggio pubblicitario con lo schema psico-socio-culturale della “trasgressione” e nelle sue espressioni più forti con lo schema della “dissacrazione”. Nella terza fase ha immesso nelle immagini pubblicitarie il valore culturale della vita, usando paradossalmente il “fantasma di morte” come strumento per imprimere il marchio nella coscienza degli ignari osservatori. Una parte della produzione pubblicitaria di Oliviero Toscani si lascia anche inquadrare nella griglia psicoanalitica dello sviluppo psichico dell’istinto sessuale e dell’energia a esso collegata, la “libido”. Le fasi richiamate sono l’orale, l’anale, la fallico-narcisistica e la genitale. Sfruttando i temi e le tappe universali dello sviluppo psichico dell’uomo, un materiale sempre e ovunque valido, il concept della Benetton ha superato i confini etnici, culturali, nazionali, politici, sociali e religiosi. Un dieci & lode, al di là di qualche insuccesso, risulta ben meritato.
CODICE A BARRE 10 EURO
CODICE ISBN 88-88608-01-X