
Lei era dal macellaio.
Ieri ho incontrato la Silvana dal macellaio Rosario.
Deh, quant’era bella!
Ella non mi ha riconosciuto,
mi ha sentito.
Deh, quant’era donna!
Domina et magistra senza essere mater.
Era irrequieta e nervosa,
ma non aveva il mestruo,
non doveva purificarsi nei bagni della Giudecca,
sottoterra,
al terzo piano col suo nasino all’ingiù.
Silvana non è ebrea
e da tempo non ha più uova
da smerciare nel mercato di via de Benedictis,
tanto meno nella putiula dello zio Caitano,
Gaetano per l’anagrafe.
La donna delle selve aveva ancora il mento vezzoso,
lo sguardo fascinoso e ammiccante,
le tette basse basse,
il fare springo e l’incedere elegante,
il sedere liscio e cadente,
liscio come il culo di un monaco,
ma Silvana non è una suora,
cadente come le palle di Salvatore,
ma Silvana non è un maschio ernioso.
Ha comprato un chilo di spezzatino misto,
sette etti di salsicce di maiale
e mezzo chilo di fettine scelte di vitellone
per fare gli involtini alla messinese,
quelli con i pinoli delle Madonie e il pan grattato.
Ha pagato 42 euro
senza fare una piega.
Girando i tacchi altissimi,
è inciampata.
Non è caduta
perché io l’ho sorretta al volo
e l’ho baciata sulle gote rosse da alcolista.
Di poi è tornata nelle selve
con la sua Kaptur a trazione posteriore
e con venti valvole in tutto il corpo.
Salvatore Vallone
Karancino, 30, 10, 2023