IN LIRICA E IN PROSA

Dimmi,

orsù e di grazia,

perché t’imballi

quando ti sballi

nel casinò di san Vincenzo

tra le dame di carità

vestite di nuovo

come le brocche dei fiordalisi

in questa domenica d’agosto

e dimmi,

ancora e per favore,

come mai le chiappe estetiche

sono soltanto abilitate

a supportare la defecazione

in questa giornata di amena calura

con tanto di sole che fulmina anche a Damasco.

Eppure eran belle le tue forme,

imperfette come un panettone di scarto,

originali in quel nonsochè osceno della provincia

tra i mercatini di broccoli aulenti,

tra i desideri di un cinema di periferia,

in mezzo alle strade che portano a Pieve di Soligo,

in attesa di essere nichelate dal fabbro ferraio.

Non facciamo storie,

dai e per cortesia.

Intanto si liberi,

di poi si desti come la donna di provincia,

non quella di bordello.

Come si ameranno le donne e gli uomini

senza fronzoli e cime di rapa,

senza crauti e cicoriette selvatiche.

Amami,

Alfredo,

e dimmi che non vuoi più vivere così,

con il culo in fronte

e non toccare le corde della tv

quando la tavola è imbandita.

Ti ritrovo tra un agosto di culi agognati

e un dicembre di avanzi festosi,

ermetico come il vaso di cetrioli

che il pianista di Polanski non riusciva ad aprire

nel bel mezzo di un gelido inferno.

Poi lo aiutò un nazista.

Comunque,

qui non si tratta di capire il sottotesto,

l’animo umano è così contorto

che cedere al piacere dell’enigma

a volte è solo un peccato di vanità.

E noi?

Noi com’eravamo?

Allegri e gentili,

credo,

pronti a toglierci gli abiti

e a non calare la maschera.

Una fetta della mia libertà

e una fetta di ottimo panettone artigianale

sono sempre a disposizione per te.

Che sia di scarto e di provincia non mi riguarda,

a me piacciono i sogni

e i sogni mi piacciono belli.

Con affetto, passione e un pizzico di oscenità,

bacio il viso di colui che sa mal cucinare le trippe.

Sava

Carancino di Belvedere, 08, 12, 2021


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