
Vivo l’inverno sotto Orione,
con la sua clessidra in testa a ricordarmi del Tempo,
che tutto passa,
che panta rei,
che omnia fiunt,
quasi secondo un memento mori,
senza essere trappista,
io sono un templare armato di vanga
e vomere in puro acciaio tedesco temperato,
con tanto di cipiglio contadino taccagno e di motosega della Stiga
nella buona e nella cattiva suerte,
nella salute piena e nella malattia esistenziale.
Io non soffro di noia.
Io non ho cadute dei progetti,
mi spingo sempre in avanti con il culo,
ma non troppo, per non cadere.
Vivo l’estate sotto il grande Carro,
all’ombra del piccolo Carro,
seduto sui quaranta cavalli del mio Goldoni,
anni cinquanta e tutto rifatto dalla ruggine e dalle rotture,
color arancione tempestato di macule a tinta varia,
un double face con la faccia di stagno
che non capisce la mia nobiltà mentale e morale.
Io sono un povero lestofante,
ho la parole lesta e mariuola,
ho il verbo sempre nella punta della lingua,
umido e umettato come il sogno di una notte di piena estate.
O contadino gaio e pio,
o consulente di Gaia la rossa,
o contastorie del secolo scorso,
quante novelle ti ha raccontato il pubblico pagante.
E tu il limitar di gioventù salivi
tra tonfi spessi e lunghe cantilene,
mentre la Gianna s’impapocchia di te e delle tue fregnacce,
disdegna i tuoi baci
e sboffonchia,
sbuffa e sbologna,
sbareghea e strimpella.
Gianna non ti vuole.
Io sono un pover’uomo innamorato di una cagnetta riottosa
e sorda a tanto amore,
io sono un uomo triste e doloroso,
io sono esistenzialista e alchimista,
porto il maglione nero alla dolcevita,
quella vita che se ne va
dopo averti ben allettato e ben fottuto.
Domani pianterò un fico sul declivio di Carancino,
un ficu niuru pi ffari passuluni,
dopodomani pianterò una vite,
una ciassalà pi ffari fichi sicchi.
Salvatore Vallone
Giardino degli aranci, 15, 09, 2023