DIALOGO DI UN CONTASTORIE E DI UN PASSEGGERE

Eterno ritorno,

mio caro Friedrich?

Cosa blatteri,

cosa cincischi,

cosa confinferi,

emerito crucco con testa di greco,

musico nibelungo e musicista mistico dell’evomedio,

Dioniso ed Apollo gai gai tra corpo e mente?

Tutto irrimediabilmente si ripete

in questa giostra colorata di cavallini bianchi

e in questo teatro naturale di mandorli e ulivi

con qualche arancio a far da condimento

tra l’origano e il timo in olio extrafottuto di oliva.

L’insalata mista è servita anche con tanto di basilico.

Tutto eternamente ritorna nel tempo

in questa maculata e sconnessa cavea

di calcare giallastro con risonanza magnetica,

in questa negletta grotta di tisici cordari,

in questo preciso siluro della cremazione

che ti ingoia e t’incula nel lastrico del congedo.

Oh, don Fabrizio,

principe di Salina,

duca di Querceta,

marchese di Donnafugata,

è proprio vero:

tutto finisce in un cumulo di polvere livida.

Qui ritornerà,

sicuro,

qui ritornerà,

cantava mia madre allegra e seducente

quando ritornavo dalle mie puttane allegre,

pardon tristi.

Marquez e Carlotta si sposano bene.

Anche tu, mio caro Friedrich, ritornerai a Torino

ad abbracciare il cavallo frustato dal vile cocchiere,

ti lascerai di nuovo avvincere

dalle avvenenze fottute di Lulù Salomè,

mentre lei è anzitempo perduta completamente

per un tipo ermetico resistente come Sigmund,

l’ebreo ateo e tabagista con cancro alla mascella,

in un transfert che non avrà mai fine,

ma soltanto il fine

di ricreare all’infinito la dipendenza edipica

da un padre, da una madre, da un figlio.

Oh Giocasta,

oh Laio,

oh Edipo,

piezze e mmerda,

iatavenne!

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 12, 08, 2022

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