
Il giorno fu pieno di lampi,
il dì fu gravido di luci,
la tempesta attendeva la quiete,
nel borgo di lucide case
ora verranno le stelle,
le stelle già morte lontano,
giù giù,
a portata di mano,
cadranno le tacite stelle,
cadranno da un luogo lontano,
cadranno in un tempo vicino:
il nostro.
La luce delle stelle morte è tra noi,
c’illumina,
ci guida,
ci consola.
Può la luce arrivare dal passato?
Può esserci luce nella polvere delle stelle,
come in tutte le cose più belle,
sugli augelli che fan festa,
sulle galline tornate in su la via in attesa del gallo?
O Luce,
luce dei miei occhi,
rischiarami il biondo cammino
che porta alla siepe del tuo gelsomino.
Nei campi c’è un breve gregré di ranelle.
Gregré,
gregré,
gregré ancora.
Una mano tremante si accosta al mio volto.
E’ mia madre incredula davanti al mio corpo.
Le tremule foglie dei vetusti pioppi si muovono in coro,
trascorrono di una gioia leggiera
quando la mano incontra il mio sangue.
Hanno ammazzato mio padre Turiddru,
il compare di Bernardo e di Gaspare!
Che giorno di lampi!
Che giorno di scoppi!
Erano bombe,
non erano tuoni,
era mio nonno in fuga dalla guerra
con il suo bel sacco di bianca farina sulle spalle irsute
per nutrire i suoi rondinini.
Gli hanno sparato sul far della sera.
Che pace, la sera!
Si aprono le stelle nel cielo tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto nell’umida sera.
Tutto è finito in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d’oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno prolunga la garrula cena.
Poi i canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era,
sentivo mia madre,
poi nulla,
sul far della sera,
sul far di quella sera,
sul far di questa sera.
Salvatore Vallone
Harah Lagin, 20, 07, 2023