IL CUORE FREDDO

Il Sole è andato in montagna

per essere più vicino all’amata Luna,

là dove le cime sono tempestose,

secondo Emily Brontè,

e si sente l’odore della polenta con il ragù,

secondo lo chef Bepy Osel di Tovena,

poenta e tocio per la lingua salmistrata dei nostrani,

Tovena,

il luogo dove si cambia una dovena per una vecia,

pardon,

una vecia per una dovena,

ripardon,

una donna giovane per una donna vecchia,

ancora pardon,

una donna vecchia per una donna giovane,

sempre secondo la lingua degli italici furori veneti legaioli,

dei veci e delle vecie,

dei bocia rubicondi e delle putee emaciate dal marchese.

Sarà che son diventato vecchio,

ma non ho sentito tanto freddo

neanche nell’amato Veneto di Treviso

così come in questa Sicilia di merda

dimenticata dallo sceriffo di latta e risolata al churry.

Sento freddo,

soffro il freddo della tormenta abbattuta sulla città di Maria.

Da Mariupol a Carancino arrivano spifferi tragici

di un vento micidiale e inumano

che abbisogna di energia atomica

per non soffrire,

per non soffrire mai più,

almeno per questa tragica tornata.

Avrei bisogno di un pallet di pellet

per scaldare il mio cuore intirizzito

in questa giornata dedicata al padre

e a chi mi chiama ancora papà.

Anch’io sono padre

come mio padre Concetto,

come mio nonno Giovanni.

Anch’io mi chiamo Salvatore

come mio nonno Salvatore,

ma avrei sempre bisogno di un pallet di pellet

per scaldare le atrofizzate e maldestre pallet di pellet

in questa triste Sicilia marzolina e marzaiola

trascurata anche da Cristo,

quel Cristo che si fermò a Eboli

senza passare dalla povera isola

abbandonata anche dalla Famiglia nostra,

intrisa dalle varie cose nostre

insediate negli uffici e nei meandri a reddito fisso,

bagnata dagli esattori del pizzo e del contro pizzo,

la vecchia IGE e la nuova IVA.

Investi valori aggiunti,

o amico russo della emerita petrolifera Lukoil!

Vieni mio bello vieni,

vieni a sporcarmi l’acqua e il cielo per un pugno di rubli.

Te li darei tutti in culo i tuoi maledetti denari,

anche se ne conti trenta

per il traditore Joseph da Regalbuto.

La Mafia non investe in casa sua,

non lavora in casa nostra,

non ha mai amato la sua terra,

è partita a suo tempo per le Americhe con il vapore

direttamente dal porto di Palermo,

una città senza infamia e senza lode,

una capitale piena di spazzatura e di buchi nel culo d’asfalto,

è esulata con il Titanic e con l’Andrea Doria,

quello di Leonardo delle Capre e quella dei biscotti,

i bucaneve per la precisione.

Anche i giovani son partiti da questa terra

e partono ancora in compagnia di Erasmus,

non quello da Rotterdam,

quello di tante altre Università goderecce

che comprano un vecchio per un giovane,

pardon,

un giovane per un vecchio.

Quanta strada nei miei sandali non di certo multinazionali francescani!

Quanto stress nelle orecchie attillate da capitan Spike!

E tu mi dici

che appartengo alla nuova generazione di rincoglioniti,

quella affetta dal morbo del grillo e del cavaliere.

No, grazie!

Voglio morire

per non soffrire,

ma il cuore si ribella ancor.

Improvviserò un esodo

per il popolo ebreo della Giudecca.

Andremo tutti

a chiedere la questua alla Caritas caritatum.

Dammi cinque euro per le Marlboro rosse,

mia cara sessantottina in odore di sessantanove.

E ben che sia finita!

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 01, 04, 2022

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