
Io ti dirò,
ti dirò qualcosa,
ti dirò qualcosa d’importante,
d’interessante,
non ti dirò che mi piaci,
né che questa notte diventa poesia perché ci sei tu,
non ti chiederò i baci che ti ho dato
e che ancora non mi hai restituito,
non mi lascerò andare alla melissa nostalgia
in questo tragico frangente del mondo intero,
non ti lascerò un fiore sul cuscino o una lacrima sul viso,
come da copione nei romanzi di Liala,
come da rituale nelle canzoni di Nilla e Bobby,
non ti chiederò perché da me sei andata via
dopo che ti ho aiutata a vincere la balbuzie e la pollachiuria,
non ti dirò dei grandi sacerdoti crudeli
che ancora uccidono in nome del deus ex machina
e stuprano in nome della disonesta castità ideologica,
non parlerò della colorata madonna di gesso
che ci onora a tavola con i cibi prelibati della tradizione,
io ti dirò,
io ti dirò soltanto che il sogno è poesia,
la tua poesia bella, buona e brava
come la Gianna dagli occhi blu,
quella di cui sono follemente innamorato,
come la pubblicità dei biscotti alla nutella,
come la disposizione a delinquere dei colletti bianchi,
come le tangenti e i pizzini dei mafiosi introvabili,
io ti griderò buongiorno,
poi canterò buongiorno a questo giorno
che ti vede senza di me,
buongiorno al latte e al caffè,
buongiorno a chi dorme sorniona e libertina
con le braccia conserte fuori dalle coperte
in questa giornata di sole antico e futurista
come il vino e il pane degli emirati e dei reami,
come il pane e il vino di Marcellino e di fra Pappina,
io ti griderò di stare attenta,
attenta alla botte di piombo che ti libera
quando agiti le mani tendenziose
per salutarmi alla stazione di Conegliano,
mentre slacci le culotte in pizzo e cotone nell’albergo a ore,
mentre io indosso appena uno slippino in microfibra
che fa tanto danno ai testicoli,
specialmente in età senile o dintorno ai vent’anni,
perché se andiamo avanti di questo passo
non ci saranno più bambini furbi o scugnizzi arditi
a fare il girotondo intorno al mondo di Sergio,
semplicemente perché le donne non ci vogliono più bene
se portiamo la camicia nera o a pois con cinque stelle.
Ardimento delle mie brame,
o Ardimento,
regalami una faccetta nera dell’Abissinia
in maniera che io posso farla romana
senza che aspetti e speri un posto
in un parlamento a strozzo e a spruzzo
da tempo occupato come un cesso pubblico
dai soliti compari di madama Dorè
che se la intende per interesse con madama Santè.
O Ardimento,
liberami dal male di tanta malora a spezzatino,
cucinata allo spiedo arcobaleno
negli scantinati scandalosi del colle Vaticano,
mentre la signora Maria cura i migranti
in procinto di occupare Ortigia con le loro mercanzie,
liberami dai preti inutilmente spretati
e dalle suore ferocemente insuorate alla camomilla,
antesignane dei tiranni cocainomani
e di quella immarcescibile vergine cuccia
che becca ancora il piede villan del servo
e che ancora nudo andò,
spogliato dell’assisa clericale
e delle accise politiche sulla benzina,
onde era un giorno venerabile al vulgo,
liberami dai padroncini incandescenti della val padana
e dagli schiavi inconsistenti della pianura asiatica,
insegnami a dormire sonni eterni
e a sognare sogni contingenti
dove libertà e necessità coincidono
in un grande bordello filosofico di tesi, antitesi e sintesi,
spiegami il delirio detto da Hegel
e ridetto dal professore fumatore della scuola,
quella dialettica tra razionale e reale e tra razionale e reale
che mi ha spaccato i maroni a Combai
e i marroni nei banchi di scuola,
in quel Liceo che di Aristotele nulla aveva,
che di tanta gentaglia ignorante tutto possedeva.
Ricordati che il meglio deve ancora venire,
che si trova tra le anse del numero settantasette,
che si ritrova tra le coperte di un rifugio antiaereo
dove si concepivano i bambini a ufo e a sbafo
per esorcizzare l’angoscia di morte.
Sia lodata la guerra.
Oggi e sempre sia lodata.
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere, 10, 01, 2023