
TRAMA DEL SOGNO
“Ho sognato di essere in riva al mare insieme a dei conoscenti che, ad un certo punto, decidono di tuffarsi in acqua senza alcun timore, per raggiungere la sponda opposta di quello che mi sembra la foce di un fiume.
Il mare è molto mosso e il vento è forte.
Io non mi fido a tuffarmi anche perché ci sono molte balene che saltano nell’acqua impetuosa e che mi fanno paura temendo di essere mangiata.
Ritengo possibile raggiungere l’altra sponda camminando lungo la spiaggia, ma arrivata ad una curva rocciosa, il vento mi spinge indietro con alti spruzzi d’acqua.
Desisto e dopo non molto, il tempo migliora, il cielo è blu, il sole splende e il mare calmissimo. A quel punto non sento più l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda.”
Moby Dick
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Ho sognato di essere in riva al mare insieme a dei conoscenti che, ad un certo punto, decidono di tuffarsi in acqua senza alcun timore, per raggiungere la sponda opposta di quello che mi sembra la foce di un fiume.”
Siamo in famiglia e ci troviamo di fronte all’avvenire: “in riva al mare”. I “conoscenti” sono i familiari, per l’appunto. Si vive e si va avanti nella vita con la ricerca coraggiosa di mete agognate, con la forza della giovinezza e il sostegno della famiglia.
“Tuffarsi in acqua” si traduce in un coinvolgimento esistenziale fatto di consapevolezza e non di pulsioni inconsce: esserci ed essere sul pezzo anche se questo “tuffarsi in acqua” evoca la figura materna.
“La foce di un fiume” significa la parte finale di un percorso e di un cammino operativo, il traguardo di tanti sforzi, ma include anche l’ultima fase del parto e la nascita, l’emancipazione della figlia Moby dalla augusta genitrice.
TRADUZIONE ESTETICA
Mi tufferò in acqua senza alcun timore
insieme a voi,
fratelli e sorelle,
insieme a tutti i nati da madre.
Non avrò paura di annegare,
non sarò fagocitata da colei che mi ha liberata
e da cui mi sono staccata,
non sarò divorata dal nulla inconsapevole ed eterno,
questo mare che tutto bolle e ribolle
o che sta fermo sulla linea dell’orizzonte.
Torno indietro e rivivo mia madre.
Sono cresciuta e sono grande.
Conosco bene mia madre
e saprò anche liberarmi del suo abbraccio fatale,
dalle sue ansie e dalle sue angosce.
Mia madre è importante,
come tutte le madri per tutti i figli.
“Il mare è molto mosso e il vento è forte.”
La vita e il vivere si traducono in forti emozioni e impetuosi sentimenti che rasentano lo stordimento e richiedono tanta forza per essere affrontati.
TRADUZIONE ESTETICA
Sul mare non luccica l’astro d’argento,
né placida è l’onda,
né prospero è il vento.
La donna sente dentro,
la donna sente fuori,
la donna si perde nel turbinio dei sensi
insieme alla vita che le scorre vitale
e non è mai appagata in questa ricerca
di una se stessa che è mare,
di una se stessa che è vento.
Portami via con te, o mare, o vento!
Datemi l’ebbrezza di una giornata felice
a bordo dei miei sensi e dei miei sentimenti.
“Io non mi fido a tuffarmi anche perché ci sono molte balene che saltano nell’acqua impetuosa e che mi fanno paura temendo di essere mangiata.”
Moby non si lascia andare alle sue emozioni e non si affida alle sue tempeste emotive, perché Moby non si affida alle madri che nuotano nel mare della vita e delle gravidanze. Moby ha paura di essere fagocitata dalla madre, ha bisogno di essere protetta dalla madre, desidera essere nel grembo materno. Moby svela il possessivismo materno che l’ha connotata nella sua esistenza e il suo travaglio a liberarsi dalla madre e dal suo mondo incantato fatto di favole e di regressioni. Moby ha paura della madre e di essere madre. Troppo tormento, troppa tempesta, troppe competizioni e Moby ha timore, è timida, è gentile, è umile, è piccola, è all’erta con le novità repentine.
TRADUZIONE ESTETICA
Madre della terra,
o madre mia carnale,
che vai nuda e sicura con le altre madri
incontro alle tempeste della vita di donna,
vergine di umiltà,
ricca di possesso e potere,
o mamma mia di sempre,
prenditi cura di me
che non so ancora nuotare,
che non so ancora salire le cime tempestose
che portano nel fondo del mare,
di quel mare,
di questo mare,
gli oceani interiori che ribollono dentro fragili e forti membra,
fragili di affanni,
forti di tenacia.
Di sale brilli nell’altare,
di sale il tuo pane sapeva
quando eri stanca di essere madre.
Tienimi con te,
mettimi dentro di te,
nel tuo ventre ampio e calorosamente caldo
che un giorno mi ha visto con te.
Proteggimi dal bene infido
e dammi la forza
di non cedere alle lusinghe del destino infame.
Fa’ che io sia padrona
del mio incedere elegante
in questa sfilata della vita che scorre
anche sui marciapiedi della graziosa cittadina
che mi vide timorosa
e oggi mi scopre civetta.
“Ritengo possibile raggiungere l’altra sponda camminando lungo la spiaggia, ma arrivata ad una curva rocciosa, il vento mi spinge indietro con alti spruzzi d’acqua.”
La dialettica psichica della diade “madre-figlia” è aspra e la libertà è lontana vista dalla spiaggia, non è lineare, il conflitto è acceso e il vento spinge a regredire con forti prepotenze materne. La figlia è entrata in conflitto con la madre: “posizione psichica edipica”. Tutto è normale e come da copione, ma la “curva rocciosa” attesta di forti ostacoli intercorsi e interposti nella liquidazione della conflittualità con la madre. Moby ha tanto sofferto per le irruenze emotive e sentimentali vissute durante la sua psicodinamica con la madre e di riferimento con il padre, per cui “l‘altra sponda” non è stata di facile approdo, in special modo per via agevole: “camminando lungo la spiaggia”.
TRADUZIONE ESTETICA
Vento,
ancora il vento mi porta l’odore acre della competizione,
ancora una spiaggia si allontana dai miei occhi ingenui
e ancora il mare mugugna e muggisce
in tanta tempesta dei sensi e degli umori.
Quanta necessità sofferta per far crescere la libertà dentro!
Mamma,
mormora la bambina,
mentre pieni di pianto gli occhi,
per la tua piccolina non compri mai balocchi,
mamma tu compri soltanto le ciprie per te.
Colonie aromatiche della compagnia delle Indie
per una donna d’alta classe,
una boccetta di chopard casmir
per la signorina che verrà,
una bambolina di pezza ruvida con diadema di perle marine
per il regno fantasioso
di una principessa minore e del suo re maggiore.
“Desisto e dopo non molto, il tempo migliora, il cielo è blu, il sole splende e il mare calmissimo. A quel punto non sento più l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda.”
“L’altra sponda” è la libertà dopo la guerra, dopo il conflitto, dopo la sofferenza acuta di rinunciare a un pezzo di radice. La vera e veritiera “altra sponda” è l’autonomia psicofisica, il fare legge a se stessa nel corpo e nella mente, la soluzione delle pendenze edipiche, lo scioglimento dei nodi marinari che tenevano attraccata la barca al molo. Moby mostra a se stessa con il suo sogno la psico-dialettica che ha vissuto e le psicodinamiche che ha istruito per la risoluzione del suo “complesso di Edipo”, tappa che l’ha particolarmente attratta per la figura femminile della madre, fascinosa e misterica nel suo essere l’origine della sua esistenza.
“Desisto”, posizione psicologica buddista, non mi coinvolgo, mi lascio andare, cesso di combattere, apatia stoica di chi conosce il vero, latino “de-sisto”, mi colloco da una parte in un’altra parte. Questo verbo così chiaro è altrettanto profondo e ricco di implicazioni mistiche, culturali, religiose, filosofiche, semiologiche e tanto altro. In un semplice “desisto” sono condensati l’approdo e la ricerca ulteriore della verità personale, figlia di quella Verità collettiva e assoluta che non si nasconde più all’occhio smagato e all’intelletto libero di chi ha tanto cercato e finalmente trovato dopo tanto cammino, come Moby.
“Il tempo migliora” si traduce sto crescendo e sto risolvendo le mie dipendenze e pendenze, edipiche nel nostro caso, sto maturando e anche l’umore si assesta in una dimensione psichica matura.
“Il cielo è blu”, tutto è più tranquillo in me e fuori di me, “sublimo” l’angoscia con la migliore consapevolezza, ho collocato i miei valori in un luogo superiore e le mie verità al di là di ogni discussione logora e logorante, insomma mi sono liberata del “fantasma” materno e adesso mi sento compatta.
“Il sole splende”, la luce della ragione illumina il camino della vita e dell’azione, la consapevolezza si è estesa al “senso di sé” ed è diventata autocoscienza, “sapere di sé. “Cogito ergo sum” e sono cartesianamente una persona pensante e fattiva, associo il pensiero all’azione come la Storia di Benedetto Croce, insomma, procedo nell’esistenza con lo strumento della Ragione e del Sapere.
“Il mare calmissimo” contiene una forma di atarassia, di assenza di angoscia, di apatia stoica che, non è caduta della vitalità emotiva e sentimentale, bensì padronanza di sé tramite la “coscienza di sé”, ampliamento del “sensus sui”, maturazione della persona e della personalità, compattezza psichica. Il “mare” è simbolo dell’inconscio vitalistico e neurovegetativo, oltre che dell’esistenza.
E’ giusto e sacrosanto che, a questo punto, Moby non senta il bisogno e “l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda”, la madre o un altro traguardo, il padre o un altro obiettivo.
Sembra rinuncia e rassegnazione e invece è la rappresentazione in sogno della SAGGEZZA, della “sapientia sui”. Moby non è approdata nell’altra sponda, ma è approdata nel suo porto. Adesso l’angoscia della perdita è appagata e automaticamente scomparsa. Nulla chiede in Moby di sopravvivere, tutto chiede di vivere.
TRADUZIONE ESTETICA
Desisto,
mi colloco altrove,
atarassia,
il senza angoscia,
la cura di Franco,
un disco,
un quarantacinque giri di allora,
di quando ero una ragazzina tutta madre e tutta chiesa,
niente casa del popolo,
così come voleva la mamma,
la mia balena,
la saggezza è sapore di sale,
non quello altrui,
è il mio sale,
il mio sale in zucca,
il mio mare salato,
mare immenso e salato,
mare e marosi,
io so di me,
io finalmente so di me,
tu, o mare, non mi agiti
perché non sei agitato,
sei ammarato nella marina,
mentre il tempo soffia sulle vetuste scene
dei teatri antichi e greci,
quando si recita il soggetto di Edipo,
l’uomo dai piedi ritorti,
figlio del mare e della luna,
figlio di Laio e Giocasta,
figlio delle stelle di Tebe,
solo in un quadrivio all’europea
con precedenza a destra e a sinistra,
comme vous voulez,
sotto questo cielo intirizzito dall’incesto,
stupito e stupefatto dalle donne dionisiache
che in corteo sbranano il capretto
secondo la sanguinolenta processione del fine settimana,
sempre sotto il sole
che di lassù dice
e afferma che è di tutti
e appartiene anche a te,
anche a noi,
come la strada che mi porta da te
e mi allontana dalla madre,
dalla balena,
dal mare.
La sponda fa da sponda,
poi non serve.
Grazie madre!
Io non gioco più al biliardo
nella solita sala del monte di Belluno.