POESIA IN FA MAGGIORE

Adorata e fermentata Antonia,

mia Antonia indorata e fomentata,

pillola agognata e nutrimento ad hoc

per i crudi nel cuore e nelle carni,

è Fernando che ti scrive,

il tuo Fernando,

Fernando il Savio,

nostromo dell’Hispaniola e Re di tutte le Hispanie,

e ti parla come il Grande Giovanni

di quel Tempo che verrà,

l’annunciatore in tv e in press

dell’avvento dell’Apocalisse

e del ritorno del Verbo

per mietere il loglio

e fare finalmente un buon pane di casada

con il nostro grano quotidiano,

un Fernando Giovanni che non sa chi tu sei,

chi ti ingloba

e ti satolla tra le sue spire vitali,

chi gode dei tuoi ardenti baci

e compra le tue cartoline libiche,

di quella Libia che non c’è più

e dove ancora dorme mio fratello Giovanni,

non quello di Ugo,

quello di Salvatore,

un Fernando Giovanni che ben sa sulla sua pelle

quanto di giorno tu turbi i sonni miei

con i deliri quotidiani di tante vere e vane verità,

russe e non russe,

antirusse e filorusse,

condite con le mille vanità di journal et journalistes,

con le pose antiche di Senechi e di Seneche

in attesa della volontà perversa di Nerone

durante l’ultima sciocchezza quotidiana

inferta allo schermo lucido di rate senza interesse,

con le movenze truffaldine di una Mafalda in ghingheri,

di una donna che non so chi sia

quando si sposa con il turpe Narciso

e si accoppia con le sue mille bellissime immagini.

Io non so chi tu sei,

ma Tosca mi sembri dalla tua favella del tempo di mezzo,

in questo Mare di mezzo alle Terre emerse e scomparse,

in questo Atlantide crollato dopo l’ultima barzelletta sui caramba

recitata agli amici dal Puffo Paffo inpiduato,

la rovina d’Italia postcraxista e pulita nelle mani,

pur sempre ricca d’ignoranza e di ignoranti,

di netturbini imboscati e di spazzatura immobiliare,

Tosca tu sei

e vieni dalla regione aulica dove il Sì suona,

dove si posa e si deposita in quella favella disonesta

alla qual, forse, io fui troppo molesto e maldestro,

nonché inetto, indolente, accidioso, incurioso.

Ma se le mie parole esser dien seme

che frutti infamia alla tua persona,

mi vedrai urlare e lagrimare insieme

e insieme alla premiata ditta Pippo & Paolo

in quel paese in cui la nonna Pina,

famosa con i caroselli danteschi

e fumosa con le sue mannaie di terracotta,

ancora impasta le tagliatelle con la farina dell’Ucraina,

dove ancora ti danno del tu e del ti

insieme a un maschio e una femmina a volontè,

come democrazia rousseauiana vuole

e impone con tanto di gentilezza e di buona crianza.

Adorata e crogiolata Antonia,

non curare la mia punteggiatura,

non emendare la mia eccelsa Logica,

non censurare i miei sensi e controsensi,

io sono vittima insana di dissennatori acuti e persistenti,

piacciati di restare in esto loco,

piacciati di liberare le affannate anse

che divulgano quelle verità umide

che si nascondono tra le tue sapienti cosce,

sempre disposte a non far niente con un maschio,

come le donne fasciste di quella volta in cui

io provai a chiedere un contatto del mio tipo.

Ebbene,

mia cara Lucia,

tu mi hai respinto,

mi hai bocciato,

mi hai scartato,

quella volta tu mi hai respinto, bocciato, scartato.

Allora e soltanto allora mi hai detto

che tuo zio abitava da quelle parti

e che, se ti avesse visto con un giovane ragazzo lindo e savio,

ti avrebbe ucciso insieme a lui

per la quotidiana e normale pratica della violenza

in quel mondo di terroristi malvagi,

di uomini poveri in camicia di un tetro colore

e di donne in cammino chirurgico

verso la maternità di un maschio migliore.

So che sei rimasta incinta di un mio bel pargoletto

durante quel san Lorenzo che ti ha portato in cielo

tra le mille e mille fiammelle fatue di un cimitero extraterrestre.

Fanne tesoro

e custodiscilo in saecula saeculorum.

Amen.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 15, 05, 2022

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