TRAMA DEL SOGNO
“Ho sognato una mia cara zia. Era sorridente. Si trovava nella casa dove prima abitavo con la mia famiglia. Era di sera e nella casa c’era la luce accesa.
La casa era pulita e in ordine. Si vedeva che la zia stava bene, come quando veniva a trovarci e sorrideva contenta.
Passavo da lì con i miei figli piccoli e, come se la casa fosse a pianterreno, guardavo attraverso i vetri della finestra.
Allora raccontavo ai miei figli che io in quella casa ci abitavo da piccola.
La zia mi vedeva e apriva e io facevo notare ai miei figli come allora vivevamo in una casa così piccola.
Poi su un tavolo vedevo in una cesta tanti sacchetti da sposa con dei nastrini e fiorellini, alcuni erano un po’ aperti e altri chiusi, e pensavo che fossero quelli del matrimonio di mia figlia.
Il pavimento della stanzetta era lucido e pulito, non vedevo il letto e c’erano delle piante ben curate e messe vicino a questo tavolo.”
Sofia
P.S.
Ricordo che qualche giorno prima io e i miei cugini abbiamo pagato al Comune la tassa per evitare al feretro della zia lo sfratto dal loculo in cui riposa da più di venticinque anni.
CONSIDERAZIONE
L’ultima notizia di Sofia necessita di una severa riflessione.
La “Pietas” è morta.
Il sentimento di appartenenza alla famiglia umana è stato ucciso dalla trista e fredda amministrazione comunale. Il culto dei morti è vivo nei cuori dei sopravvissuti, ma non è contemplato negli aridi verbali delle istituzioni. Per fare cassa il sindaco e il consiglio comunale hanno imposto una sostanziosa tassa per prolungare la permanenza dei resti del defunto agli occhi e alla memoria dei posteri, pena lo smaltimento delle ossa e delle ceneri in un anonimo ossario. E così, i nipoti hanno versato il freddo denaro per consentire alla zia di essere ancora ricordata tramite il luogo e lo spazio occupato in cimitero e regolarmente pagato. Questo generoso e nobile riscatto dei familiari è ispirato a quella “Pietas” di cui dicevo in precedenza, quel sentimento che nella mitologia greca spingeva il giovane Enea a caricarsi sulle spalle il vecchio padre Anchise e a salvarlo dalle ceneri di Troia e dall’ira veemente dei Greci. Enea non salvava soltanto il corpo di Anchise dalla sicura morte, Enea riconosceva e onorava le sue radici ancora vive e visibili e le portava in salvo per onorarle a favore della sua identità psicofisica, culturale e civile. Il sentimento della “Pietas” e il culto della memoria tramite i defunti si attestano nel rafforzamento della nostra identità e della nostra storia: noi siamo i nipoti della zia e apparteniamo a quella famiglia da cui traiamo i connotati organici, psichici e culturali.
Questo discorso non fa una grinza, ma non si conclude con la tristezza e la rabbia di un Comune inumanamente balordo che per sanare il bilancio impone le tasse sulle tombe, semplicemente si allarga nell’interiorità di ogni nipote che ha avuto modo tramite questo stimolo di riesumare i propri contenuti psichici in riguardo alla famiglia e nello specifico alle figure genitoriali. Il fatto storico e concreto di sanare un freddo debito con il potere politico e amministrativo scatena la tematica dell’identità psichica di ogni nipote e i meccanismi dell’identificazione messi in atto per la propria formazione evolutiva e per la propria “organizzazione psichica reattiva” o struttura. Sofia ha sognato di sé e della sua formazione in netto riferimento alla figura materna e alla maternità. Il sogno è interessato fortunatamente non alle beghe politiche, ma alle psicodinamiche umane anche belle e piacevoli e non sempre travagliate.
INTERPRETAZIONE
“Ho sognato una mia cara zia. Era sorridente. Si trovava nella casa dove prima abitavo con la mia famiglia. Era di sera e nella casa c’era la luce accesa.”
Sofia ha “spostato” o “traslato” nella “cara zia” la figura materna con tutto il carico di vissuti che ha contraddistinto la sua formazione e la sua evoluzione durante l’infanzia e l’adolescenza. L’essere “sorridente” conferma la bontà del vissuto e la bellezza della relazione “madre-figlia”, nonché l’assenza di sensi di colpa. La “casa” è il simbolo della nostra “casa psichica”, della nostra “organizzazione psichica”, della nostra struttura formativa ed evolutiva. Sofia sognando precisa che il materiale prodotto la riguarda in prima persona, la sua “famiglia”. In quella casa e con quella famiglia sono cresciuta e mi sono formata. “Abitavo” dà proprio il senso della consistenza psicofisica e della pienezza della vita vissuta in quel contesto spaziale e temporale. “Era di sera” suggerisce uno stato crepuscolare della coscienza, ma questo obnubilamento viene ridimensionato dalla “luce accesa” ossia dalla presenza dell’Io e delle sue funzioni razionali. Sofia “sa di sé” e della sua storia, ha ben razionalizzato la sua infanzia e adolescenza e le psicodinamiche familiari.
Riepilogando: Sofia sogna la madre e il proficuo periodo dell’infanzia senza traumi e sensi di colpa. In sogno ha operato uno “spostamento” difensivo della figura materna nella “zia” per continuare a dormire e a sognare. La causa scatenante del sogno è stato l’evento storico del pagamento del canone cimiteriale a favore della salma della cara zia, familiare con cui condivideva la permanenza in un tempo diverso nella stessa casa.
“La casa era pulita e in ordine. Si vedeva che la zia stava bene, come quando veniva a trovarci e sorrideva contenta.”
Come dicevo in precedenza, la relazione con la zia era di buona qualità e di buon spessore nella memoria storica di Sofia, ma il capoverso si traduce nel modo seguente: la relazione con mia madre è stata chiara e non presenta sensi di colpa, ”pulita e in ordine”. Inoltre, la vivevo bene e senza traumi e rancori, con pienezza di sensazioni e di sentimenti. Anche la sua morte non ha compromesso e alterato questo vissuto nei riguardi di mia madre. “Contenta” dà il senso della pienezza del vissuto amoroso e “sorrideva” attesta della bontà e della bellezza dell’esperienza di figlia. Sofia esterna un buon vissuto nei riguardi della madre, dimostra di rievocarla senza particolari angosce e di non avere resistenze psichiche nel far emergere i ricordi.
“Passavo da lì con i miei figli piccoli e, come se la casa fosse a pianterreno, guardavo attraverso i vetri della finestra.”
Sofia rievoca in sogno la sua infanzia e si porta dietro l’infanzia dei suoi figli. Questo elemento è significativo perché, annullando la dimensione temporale, Sofia ha la possibilità di viversi in sogno simultaneamente come figlia e come madre. La “casa a pianterreno” conferma la realistica concretezza del vissuto nei riguardi della madre e della loro massiccia solidarietà in vita e in morte. La separazione tra figlia e madre consiste nei “vetri della finestra”, le due dimensioni sono descritte in maniera che la vicinanza non venga turbata, così come la distanza non venga annullata. Si tratta di un convivere figurato della vita e della morte, della relazione e della separazione, della presenza e dell’assenza. Sofia porta i figli dalla nonna e li informa sulla sua infanzia. L’amore materno coinvolge Sofia e i suoi figli, la prima con la madre defunta, i secondi con la madre viva. Il sogno di Sofia oscilla tra questi due piani, il fisico e il metafisico, il reale e il surreale a riprova che la funzione onirica viaggia in maniera autonoma dalla Ragione e dalla Realtà e grazie alla Fantasia riesce a creare quadretti estetici e fortemente suggestivi.
“Allora raccontavo ai miei figli che io in quella casa ci abitavo da piccola.”
“Di madre in figlia”, Sofia figlia si racconta come madre ai figli, mostrando a se stessa il cammino esistenziale che si è snodato sotto i suoi passi e la formazione che si è data tramite quelle esperienze vissute “da piccola”. Sofia forma anche i figli comunicando la sua formazione e precisa loro che nella semplicità abitano i vissuti di una vita di bambina fortunatamente serena. Rivisitando i luoghi della sua infanzia, Sofia incontra la madre e mostra i suoi figli senza perdere l’occasione di essere “magistra” oltre che “mater”, proprio “raccontando” una metodologia psicoterapeutica che porta colei che parla, Sofia, alla presa di coscienza dei suoi vissuti e coloro che ascoltano, i figli, all’identificazione nella madre e nella famiglia. Sofia è una madre che ha dato ai figli anche il suo esempio, oltre che il suo insegnamento. Sofia in sogno gestisce la madre e i figli parlando di sé. Questa opportunità è legata alla figura della zia e alla disposizione fiscale del Comune in materia cimiteriale.
“La zia mi vedeva e apriva e io facevo notare ai miei figli come allora vivevamo in una casa così piccola.”
Ritorna il concetto della semplicità formativa ed educativa, la modalità di vita e l’insegnamento dei genitori che dal poco hanno eretto un monumento più duraturo del bronzo: “io facevo notare ai miei figli”. Sofia mostra la sua empatia con la madre in “la zia mi vedeva e apriva”, evidenzia una relazione a filo doppio nel dare e nell’avere, del reciproco scambio e della reciproca comprensione: empatia e simpatia, ti sento dentro e sentiamo insieme. Sofia sottolinea ancora le virtù della modestia e della semplicità, nonché i valori della solidarietà e della vicinanza affettiva. Il detto popolare vuole che in una botte piccola ci sia sempre e soltanto del buon vino e che le cose piccole sono piene di sentimento; Sofia è una strenua seguace di questa filosofia collettiva. Sottolineo “mi vedeva e apriva” come i simboli portanti di un’esistenza equilibrata e solidale. Questo capoverso è pregno di affettività, senso e sentimento.
“Poi su un tavolo vedevo in una cesta tanti sacchetti da sposa con dei nastrini e fiorellini, alcuni erano un po’ aperti e altri chiusi, e pensavo che fossero quelli del matrimonio di mia figlia.”
A questo punto il sogno di Sofia prende il volo e passa all’approfondimento della relazione con la figlia a confermare ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, il titolo del sogno “di madre in figlia”. Dopo aver sviluppato la preziosa e semplice dialettica relazionale con la madre, Sofia svolge il suo vissuto verso la figlia adducendo una simbologia classicamente materna, come se consegnasse il testimone della maternità alla figlia dopo averlo ricevuto dalla madre in questa staffetta ontogenetica e filogenetica: origine di ciò che è e amore della specie o di ciò che è, entrambe le origini attribuite alla dea Madre e all’universo psicofisico femminile. Riepilogo e snodo il discorso simbolico del capoverso preso in considerazione. Sofia introduce due simboli classicamente femminili e materni, la “cesta” e i “sacchetti”, nonché la “sposa” e gli annessi e connessi estetici “dei nastrini e fiorellini”. L’esaltazione del grembo e della fecondazione si riscontra nell’evidenza della cesta che contiene i sacchetti, le uova pronte per essere fecondate e le uova ancora in via di maturazione e simbolo dell’abbondanza e della fertilità, la cornucopia della donna matura e pronta per essere fecondata, un discorso semplice e naturale che esclude fronzoli e ideologie. Il richiamo finale al matrimonio della figlia taglia la testa al povero toro per far pendere la bilancia sul tema archetipale della dea Madre, sulla condizione naturale della donna feconda, sullo schema culturale della verginità e dell’illibatezza, sul valore della fertilità nella coppia. “Di madre in figlia e di madre in figlia” è il titolo corretto e completo del sogno di Sofia. Sottolineo la delicatezza e la semplicità descrittiva dei quadretti che Sofia sognando riesce a elaborare, adducendo figure retoriche di massima divulgazione come le metafore della “cesta e dei sacchetti da sposa”.
“Il pavimento della stanzetta era lucido e pulito, non vedevo il letto e c’erano delle piante ben curate e messe vicino a questo tavolo.”
Sofia ritorna alla “zia” ossia alla “madre” spostata nella “zia”, quella figura materna a cui ha donato con il pagamento del tributo la possibilità di memoria e di convivenza nel cuore e fuori dal cuore, in un cimitero amministrato da personaggi crudeli e senza sentimenti, dal mondo arido della politica e delle amministrazioni comunali. Sofia ripropone il suo vissuto sulla madre molto lindo ed esente da conflitti e sensi di colpa, la sua buona “razionalizzazione” della figura materna e del lutto legato immancabilmente alla perdita: “vedevo”. La dovizie di particolari simbolici come “le piante ben curate” e “il pavimento lucido e pulito della stanzetta” dimostrano quella vena realistica e concreta che ha fatto della semplicità psichica un modo di vivere e di affrontare la vita.
Il sogno di Sofia è un’esaltazione del sentimento universale della “Pietas”. Sofia nella sua individualità riconosce e onora la sua radice materna e a lei porta riconoscenza e devozione all’interno di una cornice didattica dell’amore materno rivolto alla figlia che va in matrimonio, quell’unione a cui la nonna non ha potuto assistere e partecipare. Anche questo non è un dolore di Sofia, ma una pacata riflessione. Degna di nota è la modalità di sognare nel suo essere positiva, lineare, semplice e modesta. Gli orpelli retorici e tronfi non rientrano nella psiche di Sofia e in special modo nella rievocazione della madre, così come, quando la madre era viva, le difese psichiche sono state ampiamente ridotte all’essenziale e hanno permesso a Sofia di essere autonoma e di eliminare il rischio di dipendere dalla figura materna.
Un ultimo ringraziamento va alle autorità comunali che hanno favorito con una tassa “impietosa” un così bel sogno e una altrettanto bella psicodinamica nella forma più naturale possibile.
E’ oltremodo doveroso un promemoria profetico per gli altri nipoti che hanno contribuito al pagamento del tributo. Anche voi avete sognato immancabilmente vostra madre nelle sfumature simboliche che hanno contraddistinto la personale relazione psichica con lei. Se non ve ne siete accorti, vuol dire che funzione simbolica del sogno ha ben coperto la figura materna e magari avete sognato una mucca al posto della mamma.
Bonne chance!