LA DOLCE RIMEMBRANZA

Oggi ti vivo,

domani chi lo sa,

domani sarai rimembranza,

oggi sei viva,

domani sarai ombra,

pulvis et umbra sumus,

siamo in un’altalena,

domani sarai reverie,

sogno trasognato nello scirocco di un bagno pubblico di Nantes,

vieni,

o mia bella,

vieni,

ti porterò a Pergine,

sul lago dorato dei cigni argentati,

tra i monti estremi e caustici

dove gli ultimi orsi han posto li loro riguardi

e osano più delle aquile

a che più oltre il bracconiere non si metta,

ti porterò a Caldonazzo,

un po’ più in là,

sul lago incantato delle anguille sguscianti,

dove gli ultimi folletti hanno segnato il confine

tra la sacra Necessità e il laico Destino,

tra il Cosmo finito e la Materia oscura,

ti porterò là dove Franco cercava il Silenzio del Buddha

durante le cure prescritte dal Poeta,

dopo aver cantato in lungo e in largo canzonette,

il vate di Milo,

in provincia dell’Etna,

l’amico di Polifemo,

il mandriano libero professionista,

il primo casaro con la partita IVA

che mescolava il latte di pecora con il miele dei favi iblei,

che faceva il pecorino senza il pepe nero,

senza il pepe rosso,

senza il pepe di Pippo e di Pippa,

gli amanti drogati,

senza il famigerato verdastro pistacchio di Bronte,

senza il nobile pistacchio della mista California,

vieni mia bella,

vieni,

ti porterò nel talkscioc

quando si esalta nel talkschock

con i numeri del morto di fame e del nulladicente,

con l’obsoleto Ippia senza Socrate,

senza il tracotante Ipparco senza Zenone,

con lo sdentato vegliardo grassoccio

e il pisciarolo colorato double face

e in fase calante

come quella luna puttana

che non conosce giochi senza frontiere,

godendo dei nuovi riccioli di carne lessa

tra le antiche rughe sul corpo malandrino

di madre Teresa di Onè di Fonte,

in quel di Treviso,

la laboriosa e la buona leghista.

Ma tu,

o infame,

non vuoi venire,

non vuoi venire con me in nessun luogo,

in quel dappertutto dove ti avrei portato con le mie parole,

con il mio parlare,

con il mio dire,

con il mio verbo modesto e modico di contadino scadente,

con le mie cianfrusaglie loquaci

che adornano il tuo comodino di noce antico

e tarlato a più non posso

dai troppi discorsi sulla democrazia e sulla anarchia,

su Rousseau e Bakunin,

su Vittorio u babbu e sua sorella Carmelina,

tu,

donna rispolverata dalla polvere delle stelle annose,

tu che ancor cerchi una fede

ti lasci amare e dondolare il seno

e sei felice d’essere campana.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 04, 06, 2022

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