MA L’AMORE NO – ATTO QUINTO E ULTIMO

Ma l’amore no, l’amore mio non può

dissolversi con l’oro dei capelli.

Finché io vivo, sarà vivo in me

solo per te.”

De senectute,

come ridicolizzare i vecchi babbei e petulanti

nel piccolo schermo per fini non etici e non religiosi

da parte di donne gonfiate al silicio e all’improvvisata,

come internare i vegliardi riottosi in lager

a pagamento fisso e mobile,

a fior di quattrini come premio per saltimbanchi e saltafossi

da parte di figli senza valori,

da parte di uomini senza pietas.

O Enea,

o Anchise,

o Cicero,

o Cato maior,

o Attico,

mala tempora currunt nudi e crudi

per le strade maligne dell’Italia bella,

la nostra bella Italia

che ancora annovera mafia e pizza

nel vocabolario degli stenterelli d’oltralpe e d’oltre oceano,

che ancora inquina e ancora è inquinata

dai fumi del bieco assassino e della buona mariagiovanna,

dalle macerie burocratiche ed ecologiche di una legge

che vuole l’amore unico e univoco,

senza sbocchi e senza intoppi,

senza strappi e sparatrappi.

L’amore è un sentimento universale

e anche il vecchio Emmanuel lo decantava

durante la passeggiata delle cinque,

diciassette per l’appunto e per la precisione,

nella sua Critica del Giudizio

e per le stradine di Konisberg,

ancora per la precisione e per l’appunto.

L’amore è solo per te,

il mio amore è solo per te,

io non amerò nessuno o nessuna che non sei tu.

Come ti amo non posso spiegarti

perché io non lo so e non lo voglio sapere,

ma so che ti desidero

ogni volta che mi fai le mele cotte

al dolce sapore di prugna e di limone

con quel pizzico di cannella che non guasta mai

quando non è troppo.

L’oro dei capelli si dissolve nel bianco

e sfuma come il Prosecco di Pieve di Soligo dello zio Tony

sopra le povere membra condite del coniglio in pentola.

Quanta cattiveria negli uomini golosi,

quanta ingiustizia per le donne sorpassate in cucina

da poveri narcisi in fiore

nei canali della laguna ripieni di pullulanti stronzi.

Viva la mamma,

viva la mia mamma

quando cucinava la trippa nella pentola di coccio

e quando friggeva le patate con l’olio d’oliva,

fettina dopo fettina.

Io ti amerò,

ti amerò per quello che posso e che voglio.

Tanta è la voglia di amarti

che dimentico il fradiciume dei giornali e dei politici,

delle tivvù dissennatrici e degli spettacoli osceni

di masse di vecchi coglioni e di vecchie assennate

in cerca di un sollievo psicofisico e finanziario

con la dentiera in bilico tra il ponte di Messina

e quello di Nuova Jork.

O sole che sorgi libero e giocondo

e rompi le balle con le tue tempeste ormonali

e i tuoi giri di sangue infetto,

con il corona in testa alle teste coronate in estinzione

e ai santi di gesso

che abitano nelle chiese dei preti non iconoclasti,

gli adoratori di idoli sedicenti sacri

che non hanno mai meditato l’Ecclesiaste,

il libro più vero del Vero.

«Vanità delle vanità»,

«vanità delle vanità,

tutto è vanità».

Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica

che sostiene sotto il sole?

Una generazione se ne va, un’altra viene,

e la terra sussiste per sempre.

Anche il sole sorge,

poi tramonta,

e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.

Il vento soffia verso il mezzogiorno,

poi gira verso settentrione;

va girando,

girando continuamente,

per ricominciare gli stessi giri.

Tutti i fiumi corrono al mare,

eppure il mare non si riempie;

al luogo dove i fiumi si dirigono,

continuano a dirigersi sempre.

Ogni cosa è in travaglio,

più di quanto l’uomo possa dire;

l’occhio non si sazia mai di vedere

e l’orecchio non è mai stanco di udire.

Ciò che è stato è quel che sarà;

ciò che si è fatto è quel che si farà.

Non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

C’è forse qualcosa di cui si possa dire:

«Guarda, questo è nuovo?»

Quella cosa esisteva già

nei secoli che ci hanno preceduto.

Non rimane memoria delle cose d’altri tempi;

così, di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria

fra quelli che verranno più tardi.”

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 24, 09, 2022

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