LA CABINA TELEFERICA

TRAMA DEL SOGNO

“Ho sognato di trovarmi all’interno di una villa con un gruppo di persone di cui ricordo chiaramente soltanto il mio vicino di casa.

Qualcuno voleva ucciderci tutti.

A un certo punto entriamo in una cabina mobile sospesa in aria che dal palazzo porta al giardino e, mentre siamo tutti all’interno, la teleferica si spezza e cadiamo nell’erba senza alcuna conseguenza.

Il mio vicino di casa non vuole mollare la presa della cabina, ma, dopo avergli assicurato che non si sarebbe fatto male, si lascia andare senza conseguenze.

Mi trovo all’interno della cabina e dopo all’esterno e sono al suolo e non ho una visuale dall’alto.

Sono minacciato dal tizio che voleva ucciderci, ma me la cavo con degli stratagemmi e con le parole.

Ricordo di essermi trovato anche dentro un ascensore.”

Così e questo ha sognato Mario.

INTERPRETAZIONE

Ho sognato di trovarmi all’interno di una villa con un gruppo di persone di cui ricordo chiaramente soltanto il mio vicino di casa.”

Mario all’inizio del suo sogno socializza bene e si trova bene nella massa anonima. Soltanto per il suo “vicino di casa” mostra una certa memoria, per il resto tende a rimuovere, a non pensare, a non concentrarsi, come se la precisione mentale e la vigilanza psichica fossero operazioni minacciose per la sua integrità mente-corpo. Questa tendenza alla smemoratezza e alla superficialità è indizio di tanto travaglio psichico incorporato e sempre in procinto di emergere e di esprimersi. Aggiungo che il “vicino di casa” è l’alter ego o l’alleato psichico o lo schermo su Mario cui può “proiettare” i suoi vissuti traumatici e le sue angosce profonde, i suoi film dell’orrore e le sue fantasie truffaldine. Meglio avere sempre un portacenere a portato di mano, piuttosto che buttare la cenere e la cicca in mezzo alla strada e tanto meno d’estate sulla spiaggia.

Qualcuno voleva ucciderci tutti.”

Quanta aggressività mortifera sin dall’esordio!

Mario esplode con la sua carica aggressiva nei confronti di quella gente massificata e anonima che lo circonda, come se avesse un conto in sospeso con gli altri, come se temesse la presenza delle persone anonime per quello che possono pensare, dire e fare. Mario vuole liberarsi di tutti quelli che vive come una seria minaccia alla sua sopravvivenza, alla sua persona e alla sua dignità. “Tutti volevano uccidere qualcuno”, questo è il corretto e giusto capovolgimento della frase di Mario. E questo “qualcuno” era proprio Mario. Pur di difendersi, cosa non si fa di legittimo e di illegittimo. Datemi una pistola e mi difenderò da solo e grazie alla legge, come gli americani e i soliti idioti.

Ma perché Mario ce l’ha tanto e a morte con la gente che lo circonda?

Perché questa paturnia paranoica?

A un certo punto entriamo in una cabina mobile sospesa in aria che dal palazzo porta al giardino e mentre siamo tutti all’interno, la teleferica si spezza e cadiamo nell’erba senza alcuna conseguenza.”

Mario in apparenza salta di palo in frasca, ma in effetti resta fermo a elaborare la sua carica aggressiva e la investe in ogni dove e in ogni quando, anche nell’aria dove ci si può librare come una libellula. E’ interessante la caduta dall’alto verso il basso, in quanto descrive il processo psichico difensivo di “materializzazione”, di ricorso alla realtà e ai suoi principi, di destituzione della tendenza, altrettanto difensiva, alla “sublimazione della libido”, di mettersi al servizio degli altri per essere accettato perché sono io il primo a non accettarmi, di ricevere una carta d’identità sociale da chi frequento e da chi mi frequenta e anche da coloro che non mi conoscono e però mi vedono. La catastrofe incombe nell’economia psichica di Mario e non si può stare con i piedi per terra e camminare regolarmente e magari correre su un verde prato o sulla realtà che promette benessere e prosperità. No, si deve sempre cadere e rompersi le ossa del collo, farsi male perché dagli altri m’aspetto soltanto male e perché non posso che meritare soltanto disprezzo. La “cabina mobile sospesa nell’aria” rappresenta una protezione, un involucro che tutela Mario come una placenta o un grembo che accoglie un feto. Per fortuna tutto bene è quel che finisce bene. Mario atterra insieme agli altri semplicemente perché ha ridotto la sua carica aggressiva e può sognare che tutti si salvano dopo la fantasiosa marachella della teleferica che si spezza. Mario può ripartire dal prato, dall’erba dove è caduto, può riprendere dalla vita di tutti i giorni. L’attacco di paranoia acuta è passato, ma non è del tutto superato. Prima o poi ritorna come le fasi della capricciosa luna.

Il mio vicino di casa non vuole mollare la presa della cabina, ma, dopo avergli assicurato che non si sarebbe fatto male, si lascia andare senza conseguenze.”

Ahi ahi ahi, una parte di Mario, il “vicino di casa”, l’alleato, “non vuole mollare la presa della cabina” ed è rimasto attaccato alla teleferica e completamente sospeso nel vuoto. Sarebbe stato troppo bello che Mario si fosse sbarazzato della sua carica persecutoria e si fosse allineato con gli altri e riconciliato con la società. Non è così, perché la tendenza paranoica persiste nel tratto che è stato esaltato dal vivere quotidiano, un tratto che esige una diffidenza degli altri, una minaccia negli altri, un’avversione al giudizio supposto degli altri sulla sua persona. Purtuttavia, Mario riesce a convincere se stesso a lasciarsi andare e a conciliarsi con la realtà anche se difficile e problematica. Ricordo che la “cabina” rappresenta quel grembo materno e protettivo da cui Mario deve staccarsi per acquistare la sua autonomia psicofisica. E questa operazione esegue l’onnipotente Mario e al completo e tutto intero: lui in persona e il suo “vicino di casa” altrettanto in persona.

Viva la libertà e viva la vita!

Mi trovo all’interno della cabina e dopo all’esterno e sono al suolo e non ho una visuale dall’alto.”

Mi sento protetto all’interno della madre, ma posso anche stare fuori dal grembo e vivere la realtà di tutti i giorni anche se non riesco del tutto a essere concreto e a materializzarmi abbandonando il processo di “sublimazione” della mia aggressività quando non mi sento importante e voluto bene dalla gente. Mario dice a se stesso di non essere un uomo concreto e pratico, fattivo e costruttivo per se stesso e di non poter continuare a “sublimare la sua libido” mettendosi al servizio degli altri, invece di realizzare il suo bene e di vivere il suo piacere. Mario è onnipotente e ha il dono dell’ubiquità, si trova dappertutto e in ogni luogo trova un problema, accusa una difficoltà, presenta un trauma da risolvere. Mario oscilla maledettamente tra il bisogno di dipendenza e la necessità dell’autonomia psicofisica. Mario deve liberarsi dalla tutela della figura materna e aspirare alla libera gestione della sua persona e delle sue risorse umanissime. Mario non vuole perdere nulla, vuol continuare a “sublimare”, a “materializzare”, a stare con gli altri e ad aggredire la gente da cui non si sente apprezzato e amato. Fa tutto lui in questo bailamme tutto napoletano, più che francese.

Sono minacciato dal tizio che voleva ucciderci, ma me la cavo con degli stratagemmi e con le parole.”

L’attacco di paranoia è ritornato in pieno e con tutte le sue cariche mortifere, ritorna il “qualcuno” dell’inizio del sogno che aveva minacciato di uccidere tutti e adesso si presenta come il “tizio”, quella parte psichica paranoica di Mario che si sentiva insidiato nella sua sopravvivenza dagli altri e dal loro giudizio. Ritorna quel Mario che tende ad aggredire per non essere aggredito e che immancabilmente si sente aggredito da tutti e da nessuno perché non può fare a meno di vivere in mezzo agli altri anche se ne teme la presenza mentale e visiva, la presenza e il giudizio. Ma le risorse del nostro attore protagonista sono quasi infinite, per cui Mario ricorre alla razionalizzazione del suo stato psicofisico con le parole e i ragionamenti, con le azioni e le arti retoriche, con i sotterfugi contingenti e le illusioni momentanee. E in questo modo può andare avanti con il suo conflitto intrapsichico, la paranoia, e il suo conflitto relazionale, la gente maligna. “Accettare se stesso tramite la razionalizzazione”: questo è il progetto psicoterapeutico principe in questa surreale diatriba di Mario con se stesso.

Ricordo di essermi trovato anche dentro un ascensore.”

Ritorna la protezione della madre e il bisogno di essere tutelato. “L’ascensore” ha il pregio di andare su e giù, di “sublimare la libido” e di “materializzare la libido”, di nobilitarla nel piacere altrui e di concretizzarla nel piacere personale. “L’ascensore” è veramente il simbolo giusto per attestare il simbolismo della condizione psichica altalenante e ballerina di Mario. Bisogna tendere all’autonomia psicofisica, qualunque sia lo psicodramma esistenziale di Mario. Bisogna liberarsi dalle dipendenze e rassicurarsi sulla presenza degli altri, al di là delle loro impressioni e convinzioni. Bisogna che Mario faccia perno su se stesso e non elabori pericolose fantasie persecutorie che gli fanno perdere il contatto logico e vigilante con la realtà, la vera e oggettiva realtà e non la neo-realtà che Mario tende a costruire per difendersi dal coinvolgimento e dal rischio sociale. Bisogna che Mario si comprometta con la gente e si mischi con gli altri rischiando di godere. E allora ben venga il detto antico del “chi non risica non rosica” e la memoria, altrettanto antica, del “cave dementiam”, “occhio alla paranoia”, che è una brutta bestia, aggiungo io.

L’interpretazione analitica del sogno bizzarro di Mario si può concludere con questa prognosi e con i detti popolari e non.

Alla prossima.

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