A MILANO

A Milano non crescono i cardi,

i cardi mariani in onore della Madonna nera,

tanto meno i cardi silvestri in odore di rose rosse,

drupacee vespertine e asteracee maioline,

rampicanti e rampanti come i lumbard sui grattacieli di vetro

della benemerita ditta Pamela & Lisa di Conegliano veneto,

i cardoni non abitano in qualche attico sopraffino di vip e controvip

pagato da altri come se niente fudesse al culo,

tutta gente di merda o gente di classe

che ostenta augelli maldestri alle tose in calore

e scassa le balle oneste dei poveri pescatori di frodo nell’Adda,

quelli che nell’esodo festoso di luglio

gustano già gli effetti malefici del controesodo infausto di giugno.

Dammi una crianza, o benemerita pulzella di Orleans!

Dammi e dimmi balle sgarrupate, o statuetta di gesso che piangi!

Dammi quel beneplacito assurdo di pentobarbital,

una fialetta al giorno per essere un Mitridate,

un re bafè, biscotto e minè,

che aveva una figlia bafiglia, biscotta e miniglia,

innamorata di un bavoso, fetoso, biscotto e minoso.

Oppure favoriscimi le tre fialette che ho firmato per Red,

il gatto rosso,

per Pietro primo,

il piccolo selvatico

che non ho capito che stava male

e non l’ho afferrato di forza

per portarlo dalle care e dai cari dottori.

La dottoressa mi disse candidamente:

la prima rilassa,

la seconda ottunde,

la terza ammazza.

Cazzo e stracazzo!

Tutti e tutto in culo, porca paletta!

Red, adesso, abita da me,

in un monumento barocco di pietra bianca di Noto

che ho edificato per la vittima ignota del coronavirus,

la persona felina più bella del mondo,

Red,

Pietro primo il piccolo.

Lugete Veneres Cupidinesque,

come ho pianto io

in quel giorno di tanta malora,

di stravento e di naufragio.

A barca rotta ogni vento è ostile.

A Milano non crescono le lattughine e i fiori di zucca,

non crescono i lampascioni e la valerianella,

crescono soltanto candele di sego e di formentone

per ricordare il Natale degli umili e dei giusti,

la nascita dei vespri siciliani

e dei cardoni amari della betulla,

per onorare il lutto di Natale e di Pasqua,

la piccola vita svanita nel nulla

di un arrivo previsto e mai pervenuto,

i mai nati ma nati,

i vissuti mai adeguatamente.

Onde di luce,

candele accese nei borghi della metropoli

e nelle contrade dello spazzacamino,

il povero lavoratore del fumo che non feconda,

non scopa la fuligine,

non pulisce la ragnatela,

non fuligina e non fulighia,

come Tonino il carpentiere

che non ha più i ferri del mestiere

ed è costretto alla sua cassintegrazione,

a farsi una sega, insomma.

E così le donne felici ristagnano a braccia vuote

con una perdita difficile da elaborare,

neanche con una nuova formidabile gravidanza,

neanche dal più costoso degli psicoanalisti freudiani e non.

Ma queste son tutte cazzate,

sono solo canzonette smunte da minchie e da tette.

A Milano ci sono le ville del popolo,

le case sospese sull’arcobaleno a equo canone,

le case di Giufà e di Barbazucon,

le case dei casini e dei tiramisù,

le dimore che echeggiano di odori osceni,

quelli della povera gente berluscata

che veniva dal Sud con il treno del Sud.

Oh, brutta razza di minchioni!

Oh, emerite teste di cazzumst!

A Milano crescono soltanto i trunzi re brocculi.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 10, 06, 2022

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