
Ciao Fernando,
oggi mi sento triste e completamente assente.
Mi sento estranea a me stessa
e sto cercando con questa lettera
un punto d’incontro tra la me stessa esterna e la me stessa interna.
La cosa è difficile,
tremendamente difficile.
Significherebbe la risoluzione della schizofrenia,
la guarigione da un male oscuro,
uno dei tanti mali oscuri,
ammesso e non concesso che la scissione sia una malattia.
Mi hanno detto
che star bene significa impegnarsi e fare le cose.
Allora dovrei star bene
perché partecipo alle attività del Centro diurno dei matti
e a casa mi do da fare anche se in maniera fantasiosa,
il solito mio modo creativo,
quello che alla lunga mi ha fottuto.
E invece non sto bene,
non sto per niente bene, porca paletta.
Ma se non mi ritrovo,
dove sono andata allora?
Dove sono andata a finire?
Perché ci deve essere sempre questa distinzione tra interno ed esterno
per essere normali e soprattutto per stare bene?
E allora perché quando sono completamente esterna,
come in questo periodo,
mi sento triste
e sento che mi manca qualcosa,
sento che mi manca una me stessa,
una partecipazione emotiva,
un coinvolgimento?
E perché quando sono completamente interna,
come in altri periodi,
sto male
e non riesco più a partecipare alla vita di tutti i giorni?
Dove sta la modulazione?
Dove sta la via di mezzo?
Dove sta l’equilibrio?
Dove sta l’incastro?
Dove si può trovare?
Si compra?
Si impara?
Si capisce?
Si sente?
Si sente dove?
Sono forse i farmaci che te lo danno?
Io, di certo, no!
Io non riesco a trovarlo e tanto meno a darmelo.
Non so,
non so proprio.
Mi sento triste
perché tutto è come un battito d’ali di farfalla
e niente si ferma,
niente si fa sentire
come vera partecipazione di una me stessa,
una me stessa qualsiasi,
in tutte le cose che faccio.
Forse m’incasino la vita per niente.
In fondo, se non fosse per questi momenti di tristezza,
le cose andrebbero abbastanza bene.
Se non fosse per questi momenti di tristezza,
non potrei dire che mi sento triste.
Meno male,
perché almeno un pochino mi sento,
almeno un pochino sono viva.
Eppure a volte le distanze si fanno enormi
e quasi mi spaventano.
Mi spaventa l’assenza,
la mia assenza
o meglio l’assenza di una parte di me.
Può spaventare l’assenza di chi va in ferie e ti lascia sola?
Forse questa non spaventa affatto,
ma rende soltanto tristi e malinconici.
Forse è normale sentirsi così.
Magari non va bene
essere troppo in contatto con se stessi
perché si perdono delle occasioni,
le occasioni di stare con gli altri,
di viverla questa vita
per quanto a volte possa sembrare piatta e superficiale.
Tutto questo non mi piace,
Fernando,
non mi piace affatto.
Mi è molto difficile scegliere,
visto che in certi momenti ho la fortuna e la disgrazia di scegliere.
Mi è difficile scegliere
quella che chiamano la salute mentale.
In certi momenti preferisco rifugiarmi nella malattia
e questi momenti arrivano proprio quando sto meglio.
A volte preferisco rifugiarmi nei miei pensieri
per quanto a un certo punto il livello d’angoscia sale
e allora non penso più
e questo vuoto mentale mi spaventa.
Non so se la sensazione che ho alla testa
sia causata dal dormire male o dai farmaci,
ma di certo adesso penso troppo poco
e mi sento rallentata nel pensiero.
La fluidità che c’è,
invece,
quando non sto molto bene,
per quanto confusa o isterica,
questa fluidità mi riempie
e allora mi sento
come quando ero incinta per la prima volta,
come quando aspettavo mia figlia.
Non mi sento sola
e le ore passano
perché i pensieri le fanno passare.
Invece adesso sono praticamente annegata nella banalità della vita
e, tutto sommato, ci si sta bene, sai.
Eppure mi sento triste,
non so esattamente perché a dire il vero,
ma mi sento triste,
profondamente triste.
La tristezza è l’unico contatto
che ho con la me stessa interna,
quella che abita dentro.
E quella che abita fuori,
la me stessa esterna,
che fine ha fatto?
Ma in quanti sono io?
Due, più di due, forse uno?
In quanti si deve essere?
In quanti siete voi?
Nei momenti in cui sono una soltanto
mi sento estremamente sola.
Nei momenti in cui sono due
mi sento meno sola.
Nei momenti in cui siamo tante
mi sento così e così.
Vedi,
oggi abbiamo fatto una riunione
con lo psichiatra e i familiari degli abitanti del Centro diurno
e queste due realtà,
unità sanitaria locale e famiglie dei matti,
mi sembravano distanti tra loro,
molto distanti,
quasi senza possibilità di alcun collegamento.
Io so già che sarò,
se tutto va per il meglio,
per metà giornata Unità sanitaria locale
e per l’altra metà Cooperativa di famiglie infelici.
Ci dovrebbe essere una complementarità,
ma non c’è
o meglio io non riesco a trovarla.
E poi le attività non dovrebbero essere negli stesi orari,
perché creano il conflitto di scegliere.
Credi forse che non mi piacerebbe far pallavolo?
Certo che sì,
ma non posso
perché è nell’orario della seduta di gruppo.
Mi sono presa quest’impegno
e non posso prendermi altri impegni.
Io non ho il dono dell’ubiquità
e la capacità di scegliere mi manca da sempre,
altrimenti non sarei in questo stato di ebete.
Mi sembra che in questa guerra
o in questo quello che è
mi devo schierare e,
piuttosto di farlo,
mi faccio in due, in tre e anche in tante.
Forse non è una guerra,
manca soltanto la comunicazione
e questa è una realtà,
la vera realtà.
Certi segnali purtroppo li leggo
e non vorrei.
Alcuni operatori del centro sono un po’ ostili
e io non vorrei perché mi sento in colpa.
Mi chiedo in che cosa ho sbagliato
e mi tormento
e dopo mi massacro.
E allora mi faccio in tanti pezzi,
piccole parti di me che funzionano ovunque io sono.
Ma io,
io nel mio complesso,
dove sono andata?
Dove mi attesto?
Dove consisto?
Chissà!
Forse dovrei starmene zitta
e non parlare mai,
ma, anche se non parlo,
è sempre così che funziona,
chi sta sopra di me fa di tutto
per far funzionare le cose a modo proprio
e così io non valgo un fico secco neanche a Natale.
E io?
Io mi do da fare,
vado avanti
e tutto il resto lo lascio stare.
E io faccio i bigliettini di auguri
e tutto il resto lo lascio stare,
io faccio il regalo di Natale
e tutto il resto lo lascio stare,
io scrivo nel giornalino “Penso positivo”
e allora penso anche positivo
e tutto il resto lo lascio stare.
Però sai una cosa, mio caro Fernando?
Mi sento triste e amareggiata lo stesso,
ma non fa niente,
lascio stare anche questo,
fumiamoci sopra una sigaretta
e tutto il resto lo lascio stare,
anzi lo lasciamo stare
visto che non sono da sola.
Scusami
se ancora una volta ti ho travolto con le mie paranoie,
ma è che mi sentivo triste
e mi sono partite tutte queste cose,
non so da dove,
visto che avevo la sensazione di vuoto alla testa.
Forse sono partite dalla penna,
forse sono partite dalla mano,
forse sono partite da chissà.
E allora?
Allora tutto il resto lo lasciamo stare.
Salvatore Vallone
Pieve di Soligo, (TV), 20, aprile, 1992