
Che non si dica mai un giorno
e in giro per le contrade sgarrupate dell’ameno Carancino
che io non ho parole per te,
mentre gli altri parlano di te
e hanno parole per te,
dicono parole a te,
dicono e parlano di te.
O parola,
o parola,
parola su parola,
parola contro la parola,
parola abusata,
parola vituperata,
parola ingiuriata,
parola di quel Verbo che fu in principio
e poi sparì dalla circolazione
perché diventò Fatto,
perché si fece carne
per abitare con noi in tanto bordello
con una donna di provincia,
la Maria Maddalena
che aveva un gatto
che non eri tu.
E tu che fai?
E tu che dici?
O Ciciociacio,
questuante
petulante,
richiedente,
postulante,
impertinente,
insolente,
esigente,
cigolante,
rinculante,
rimpallante,
richiamante,
rimbalzante.
Ciciociacio vivente
incallito,
tracotante,
replicante,
sacripante,
mestierante,
criticante,
un gatto maldestro della Destra felina,
uno che si fa un baffo della Sinistra
e dei tortelli in brodo di Crapa Pelata,
che sarei io,
io che sono il tuo peggiore amico,
un illusionista,
un narcisista,
un commediante,
un parolaio,
un ladro di polli verbali,
un quaraquaquà delle migliori risme,
il tuo sponsor per l’oggetto della scena del crimine:
l’amore di un gatto per un povero uomo.
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere, 20, 04, 2022