
L’albicocco è fiorito a chiazze in questo giardino d’inverno
tra gelidi scrosci di acqua radioattiva
e morbidi acquitrini stagnanti da tempo indefinito e indefinibile
per diventare finalmente una palude famosa e fumosa
sotto i flash della Press internazionale
che sfruculia a destra e a manca in cerca dell’ignoto,
del sapere occulto,
della testimonianza segreta,
del cavolo a merenda,
dell’io so quello che tu non sai
e che non potrai sapere mai.
Anche i fiori dorati del tiglio si fanno la guerra
in questa primavera omicida e grigiagnola allo zolfo puzzolente
e tentano la scalata al magico potere di un frutto
che da acerbo diventerà maturo
e pronto per la solita scatola di latta
della Arrigoni di Odessa,
della Valfrutta di Kiev,
della Santarosa di Leopoli.
“Cartago delenda est!”
“Cartago delenda est!”
“Cartago delenda est”
va gridando Cato maior
temendo di degenerare in minor.
Ahi Catone,
vituperio delle genti,
xenofobo incallito,
nazionalista infame
che adeschi le pulzelle di Orleans
per farne sante sugli altari della sacra Patria
insieme all’amico Cirillo!
Censura,
censura, o illiberale, le lettere di Jacopo o di Hanna,
le missive di don Michelino dal fronte russo a quello ceceno,
dalla cazzuta Ucraina alla mite Bielorussia,
condanna al cilicio i padri che disconoscono i figli
per poi adorarli pro domo loro narcisistica,
le madri che ammorbano il latte con atomi di U e Pu
durante le lunghe notti consumate
in un ricovero per gatte in calore
sotto le bombe di puro acciaio
e sotto le lenzuola di liscio raso,
in bottega e in chiesa,
in parlamento e in fabbrica,
nei ricoveri antiaerei e nei manicomi antiangoscia.
Intanto il freddo impazza
e diventa gelo sopra la neve sporca di nafta.
I lupi girano alla ricerca del rancio
e rivendicano il pezzo forte della loro cultura:
“chi perde la guerra non perde la vita”.
I lupi insegnano all’università del monte Sasso
e promettono pergamene al latte di capra con pagamento rapido,
ma nessuno li capisce,
devono crepare nella loro stessa bocca
secondo la versione inumana di uomini senza frontiere.
Così non va bene,
non va per niente bene un “in bocca al lupo”
sputato al primo venuto
in questo ennesimo giorno di guerra
tra vecchie signore dai pizzi inverecondi e dai vecchi merletti,
tra anatre starnazzanti e compagni caduti.
Chi perde vince, dice Laing.
I lupi gregari hanno tanto da scopare
dopo la fine delle ostilità maschiloidi.
Cristo segnala il Golgota fittizio di un olocausto alla crucca,
ma Big Gim insiste nel massacro del suo popolo
che unito ammazzerà il tiranno
dopo il tristo connubio con la Morte.
Socrate si insinua furtivo in tanto bordello
e chiede dei buffoni e dei saltimbanchi al potere.
Come mai i matti e i derelitti governano
in tanto progresso delle Scienze fuse e infuse
e delle masturbazioni atomiche e microcellulari.
Povero sofista!
Mal gliene incolse nell’agorà di Serenella
per un salario contrabbandato nella via Salaria
insieme a donne imprudenti e uomini in cerca di guai,
sessuali e non.
Gli italiani sanno di buffoni al potere,
conoscono il buffo e il puffo in pieno vigore,
ridono dell’uomo tutto d’un pezzo e senza qualità,
insegnano la Logica trascendentale di Immanuel
tramite giornaliste e filosofi negli sciok parlati,
negli hitchcock televisivi di periferie pasoliniane inurbane.
La Press internazionale non socialista gode di tanto lutto.
Spettacolo, spettacolo, spettacolo!
Quanto vale un bel culo,
una faccia da culo per non morire,
uno strudel al plutonio per illuminarsi d’immenso.
Ieri mi ha scritto Niccolò,
il macchiavello macchiaiuolo,
quello della Mandragola,
quella della corruzione italiana,
mi ha chiesto
come si fa a farsi massacrare per eroismo.
Si sente inutile come non mai
in quel casino di Treviso
tra un tiramisu e una preghiera.
Anche Francesco il Guicciardo si rivolta sul prato verde
e si ribalta dalle risate insane
per il particulare e l’improvvisa Fortuna,
tutta roba sua senza trucco e senza inganno,
che è servita alle cuoche delle case di morte.
Anche Jean Bodybody è molto agitato
per la sua ragion di stato e ragion di chiesa.
Sigmund se la ride con il sigaro olandese
e grida ad Albert capellone “te l’avevo detto”,
“me l’avevi detto”,
“l’avevamo detto” nel nostro semplice carteggio
tu con i dollari e io con l’istinto,
mentre Catone il censore,
maior e minor,
nonché double face,
grida dal freddo deserto della Siberia
ai sordi della domenica infame:
“Cartago delenda est!”
E ancora:
“Cartago delenda est!”
E insiste:
“Cartago delenda est!”
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere 20, 04, 2022