
Il marziano veniva da Marte,
aveva occhi di ghiaccio e lineamenti barbari,
procedeva marziale come marionetta di bassa lega,
da opera dei pupi,
puparo e pupazzo
tra i suoi deliri sognanti,
tra i suoi sogni infranti sotto il sole dei soviet
quand’era residuo bellico di un missile oscuro,
infante malnato da grembo metallico,
uno sputnik sputato sulla terra dalla lontana luna,
lunatica anzichenon,
quasi selvaggia nel suo osceno luccichio di latta,
quella dello sgombro sott’olio di un carrarmato al computer.
E il marziano sognava con la m minuscola,
sognava,
sognava.
E sorrideva,
sorrideva,
sorrideva.
Se la rideva senza i baffi,
se la rideva di grasso e di fino
davanti al mondo attonito al nunzio,
un nunzio nunziato a suon di balbettii cirillici,
di sgraziate movenze inumane,
di tracotanti deliri risonanti di forbito acciaio,
un marziano della Improvvidenza,
brutto come la fame di gennaio,
non benedicente come il vento Libeccio,
di marmo quando si mescola alla Tramontana.
L’armi,
qua l’armi,
combatterò sol io,
procomberò davanti a un popolo che esegue,
che non obbedisce al duce,
che non esegue il capriccio del fhurer,
che ammazza quel padre ucraino,
che uccide il fratello russo,
che sconquassa i soviet di una volta,
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere 24, 02, 2022