
TRAMA DEL SOGNO
“Volo e passo attraverso le nuvole.
A fianco c’è un mio amico che dice che dobbiamo atterrare e indica una piazza all’interno di una costruzione araba.
A un certo punto sento di perdere quota e qualcuno mi dice : “Occhio a non farti male”.
Capisco che devo atterrare. Un senso di angoscia e di vuoto mi colpisce e mi riporta alla luce le paure e le sensazioni di schiantarmi al suolo.
Cado a terra e rimbalzo varie volte e vengo riportato verso l’alto per poi schiantarmi ancora a terra rimbalzando nuovamente senza conseguenze fisiche, ma con una grande angoscia.
Mi sto preparando ad entrare in contatto con il suolo e ad essere rimbalzato. Sta subentrando la sensazione d’angoscia, ma con grande sorpresa riesco a fare un atterraggio perfetto in piedi senza cadere e provando una grande gioia.
Ricordo probabilmente che durante l’atterraggio ero appeso ad un grande lenzuolo bianco che mi par di avere rilasciato durante l’atterraggio.”
Questo sogno è ascritto a un certo Darietto.
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Volo e passo attraverso le nuvole.”
Darietto esordisce con la magica fantasia di librarsi nel cielo e di volteggiare di nuvola in nuvola. La scena è tra le più semplici e poetiche, appartiene al corredo dei desideri di libertà e di leggerezza di ogni persona, possiede una notevole carica di disimpegno e di autonomia psicofisica, è istruita a tutte le età e si distribuisce nell’Immaginario collettivo come utopia fisica e sociale, fisica perché è impossibile, sociale perché viviamo in una mondo turbolento e a trazione anteriore. Darietto sogna la sua difesa principale, il processo psichico della “sublimazione della libido”, la sua tendenza a non coinvolgersi concretamente con i suoi investimenti e di mettersi a disposizione degli altri con la sua bontà e bonarietà. Darietto vive la sua carica erotica, la sua ormonella per intenderci, trasferendola nelle azioni e nelle disposizioni a vantaggio del prossimo sia per una paura della propria “libido” e sia al fine di essere accettato e apprezzato dal gruppo. Questo vantaggio secondario della “sublimazione” denota un complesso di inferiorità e di inadeguatezza, una precisa sensazione di essere soggetto di minor diritto e il figlio di un dio minore. Questa è la traduzione dei simboli del “volare” e del “passare attraverso le nuvole”. Darietto è un uomo poco concentrato sul pezzo e poco concreto.
“A fianco c’è un mio amico che dice che dobbiamo atterrare e indica una piazza all’interno di una costruzione araba.”
“L’amico” è il solito alleato psichico che Darietto si porta in sogno per proiettare i suoi conflitti e i suoi “fantasmi”, per non impattarsi direttamente con quelle parti problematiche di sé che ancora non ha adeguatamente risolto. Inoltre l’amico caro serve per continuare a dormire e a sognare. Si stempera l’angoscia e si rende il materiale onirico gestibile per il sistema dinamico ed economico della psiche. E’ un “amico” che ha le idee chiare e che detta i tempi e le azioni, uno che comanda e non ci pensa due volte a essere anche preciso: bisogna essere concreti, smetterla di sublimare, bisogna incarnare la “libido” come natura comanda, bisogna prendere coscienza della propria sensibilità e diversità, nonché delle proprie difese dal coinvolgimento e dalla partecipazione. L’amico di Darietto conosce bene la lezione e la recita in maniera massimamente chiara a conferma che la pratica e la grammatica possono essere in sintonia e viaggiare insieme senza particolari idiosincrasie e pregiudizi. Il simbolo dell’atterraggio si risolve nel processo psichico di difesa dall’angoscia della “materializzazione”, il processo opposto della “sublimazione”. Il primo indica il godimento della “libido” nella sua valenza naturale e avulsa da coinvolgimenti sentimentali, il secondo è permeato dall’amore verso il prossimo come vero servizio e indirizzo. Darietto a un certo punto della sua esistenza decide di vivere il suo corpo e il piacere collegato in prima persona e non per riflesso della gioia altrui.
“A un certo punto sento di perdere quota e qualcuno mi dice : “Occhio a non farti male”.
Come dicevo, Darietto nel cammin della sua vita prende coscienza che deve anche pensare a se stesso e a soddisfare i suoi bisogni più genuini e vitali senza ricorrere a surrogati psichici di compensazione attraverso lo “spostamento” negli altri dei benefici delle sue azioni. Il “perdere quota” è una vera psicoterapia e una direzione esistenziale supportata dalla giusta filosofia di vita e dal benefico amor proprio. Il “perdere quota” significa atterrare e materializzare senza scadere in alcun volgare appagamento della propria “libido”. A questo punto del sogno subentra l’istanza psichica del “Super-Io” a limitare e a spegnere gli entusiasmi e le intraprendenze di Darietto, si presenta un “qualcuno” interiorizzato che minaccia e fa presente che il processo di “materializzazione” può essere controproducente e può avere effetti negativi. Si tratta degli insegnamenti morali e religiosi di cui i bambini sin dalla tenera età sono bombardati fino al punto che il loro animo si impregna di paure che possono nel tempo tralignare in vere e proprie fobie. Questo “qualcuno” non è l’amico, ma è il padre interiorizzato come divieto e dovere, limite e censura. Darietto è in compagnia di se stesso, dell’amico- alleato e del qualcuno-padre-Super-Io. In tanta solidarietà il sogno può procedere con le sue turbolenze. In tre è meglio che in uno. Ma quale danno può ricevere Darietto dall’esercizio del suo benessere psicofisico e del suo amor proprio? E’ ovvio che si tratta delle classiche paure di vivere il corpo e di affermarne i diritti, nonché delle angosce di abbandono e di solitudine collegate alla delusione indotta negli altri. Darietto conosce bene il processo di “sublimazione della libido”, “volo e passo attraverso le nuvole”, fa fatica a pensare al suo benessere come condizione dei suoi slanci sociali anche benefici. Il proverbio antico professa che se “sta bene la gallina, sta bene anche la vicina”. Procedere nell’interpretazione del sogno diventa oltremodo interessante e intrigante.
“Capisco che devo atterrare. Un senso di angoscia e di vuoto mi colpisce e mi riporta alla luce le paure e le sensazioni di schiantarmi al suolo.”
Darietto ha preso coscienza della necessità, “devo”, di essere più generoso con se stesso e con il motore vitale, la sua “libido”, la sua energia, e che non può continuare a mettersi al servizio degli altri e del loro benessere, ha ben capito che non deve sentirsi inferiore e inadeguato rispetto agli altri. Darietto da creatura angelica deve commutarsi in un corpo che sente e che vive, il suo corpo, quel corpo che lo individua e lo sostiene con le mille irripetibili caratteristiche che Darietto si trova addosso. Appena l’Io indica la strada giusta, ecco che interviene l’Es e immette nel circuito psicofisico “un senso di angoscia e di vuoto”, un “fantasma” depressivo di perdita e di morte: “schiantarmi al suolo”. Senza il servizio generoso e benevolo agli altri Darietto non riesce a pensarsi e soprattutto non riesce a star bene, senza la “sublimazione della libido” Darietto si sente vuoto e smarrito, con la “materializzazione della libido” Darietto si sente privo di vita e di vitalità, tutto il contrario delle leggi psicofisiche. In sogno rievoca le sue angosce primarie, quelle che ha elaborato nel primo anno di vita, quel “fantasma di morte” destato dalla possibilità che la madre non lo accudisse e non appagasse i suoi istinti e i suoi bisogni vitali: angoscia del vuoto interiore e della morte da abbandono, la perdita di se stesso e della preziosa e provvida figura materna. Darietto “riporta alla luce” della coscienza dell’Io questo materiale psichico profondo e progressivamente rimosso e che ha condizionato la sua formazione psichica. Il sogno di Darietto tocca una punta veramente drammatica. Legittimo è chiedersi, a questo punto, quali pesci il nostro eroe andrà a pigliare per risolvere la tremenda situazione in cui si è messo.
“Cado a terra e rimbalzo varie volte e vengo riportato verso l’alto per poi schiantarmi ancora a terra rimbalzando nuovamente senza conseguenze fisiche, ma con una grande angoscia.”
L’angoscia, di cui ancora Darietto parla e che definisce “grande” come la prima guerra mondiale, si trasforma in una farsa degna di un formidabile pagliaccio e in un senso di meraviglia degno di un grande illusionista. L’ilarità drammatica è inventata da Darietto come un nuovo genere letterario nel teatro psichico del sogno. L’ironia domina questa scena in cui l’attore protagonista si incarna e si sublima come fosse un Cicciobomba che rimbalza a ogni caduta e ricade a ogni rimbalzo, come un pagliaccio che ride e piange con la stessa indifferenza di un attore asettico. Darietto soffre d’angoscia senza “conseguenze fisiche”. In tanto “tira e molla” resta la versione psichica dell’incolumità onnipotente e non si contempla la logica e consequenziale versione fisica del farsi tanto male. Il corpo è preservato dal danno, la mente non riesce a liberarsi del carico emotivo legato al conflitto tra l’andare verso l’alto e lo scendere in basso, tra la “sublimazione” e la “materializzazione”, tra la strategia esistenziale di vivere il corpo in prima istanza e del mettersi al servizio degli altri come un solerte cameriere. Questo conflitto persiste perché Darietto non accetta del tutto sia il corpo e sia la mente, non vive bene qualche caratteristica fisica e qualche tratto psichico. “Schiantarmi ancora a terra” non è carico di morte, è un’esagerazione retorica. Questo punto del sogno è stracarico di enfasi.
“Mi sto preparando ad entrare in contatto con il suolo e ad essere rimbalzato. Sta subentrando la sensazione d’angoscia, ma con grande sorpresa riesco a fare un atterraggio perfetto in piedi senza cadere e provando una grande gioia.”
Darietto è consapevole del suo deficit materiale e del suo eccesso spirituale, sa di sé in concreto e in astratto, conosce la sua tendenza al grasso e al magro. Conferma questa incapacità a scegliere il suo bene semplicemente perché sta abbastanza bene nelle due versioni. Gli manca quel salto di qualità che può cambiare il suo stile di vita, di viversi e di relazionarsi. Ed eccola l’auspicata conversione! Giustamente Darietto propende per la sua materia vivente e atterra perfettamente in piedi e senza sfracellarsi: “riesco a fare un atterraggio perfetto in piedi senza cadere e provando una grande gioia”. Manca ancora qualche dettaglio per stare bene e manca il chiarimento su tanto pregresso malessere: cosa bloccava Darietto tra il cielo e la terra?
“Ricordo probabilmente che durante l’atterraggio ero appeso ad un grande lenzuolo bianco che mi par di avere rilasciato durante l’atterraggio.”
Meraviglia delle meraviglie!
Il sogno è auto-diagnosi e auto-terapia, come sostengono anche i seguaci della Psicologia della Gestalt. Darietto conosce la causa del suo conflitto e del suo disagio esistenziale e relazionale proprio perché se la porta dietro durante la caduta e se ne libera prima di atterrare: il cordone ombelicale della madre o la dipendenza dalla madre o la madre sotto forma di legame vitale. Il simbolo del “grande lenzuolo bianco” dice chiaramente di questa distorsione psichica relazionale che Darietto si porta dietro in tutto e per tutto, anche quando vola per il cielo azzurro e s’impatta con le nuvole traforandole. Questa dipendenza dalla figura materna non è per niente “edipica”, non è legata al conflitto “padre-madre-figlio”, ma è una dipendenza primaria e preedipica. Darietto ha avuto oltremodo bisogno della madre sin dalla tenerissima età a causa di qualche malattia o disturbo la cui terapia ha rafforzato la presenza benefica e tutrice di cotanta figura. La relazione è diretta e privilegiata a causa del protrarsi della frequenza e della funzione taumaturgica. Il “grande lenzuolo bianco” a cui Darietto è appeso durante la tormentata e struggente caduta è l’oggetto transferale del bambino che condensa magicamente la madre assente, rappresenta la possibilità e la necessità di abbandonare il paracadute del legame materno al fine di risolvere il suo conflitto psichico tra le opposte tendenze a “sublimare” o a “materializzare”. Il meccanismo onirico della “figurabilità” offre a Darietto il destro per rappresentare la madre nella forma intima di un lenzuolo a cui si aggrappa e da cui si stacca, almeno così gli sembra: “mi par di aver rilasciato durante l’atterraggio”. Darietto non mette in scena la figura paterna e alla fine presenta il conto alla madre a suo vantaggio e in risoluzione di una psicodinamica che ha toccato punte anche drammatiche in riguardo al bisogno di essere tutelato e accudito da cotanta figura, la Madre.
L’interpretazione del sogno inquieto di Darietto si può ritenere abbondantemente conclusa con questa chiosa finale di esaltazione della figura materna provvida e provvidente come la cristiana Madonna e come lo Spirito santo.