
Eugenio Castellotti al terzo giro sfrecciava sul traguardo in attesa di morire.
Tazio Nuvolari lo seguiva attento come un segugio.
Manuel Fangio sornione attendeva l’errore disumano.
Alberto Ascari rincorreva con la sua Ferrari prima di morire.
Nino Farina si beava del suo titolo mondiale, il primo della storia.
Luigi Musso era il solito leone in pista e nella tragica attesa di Reims.
Il circuito di Siracusa allora era famoso e unico sotto il suo sole infame,
non serviva alcun padrone,
era bello di suo in questa primavera estiva e gaudente di luce,
a un tiro di schioppo dal teatro dei Corinzi e dalle sue tragedie.
Mio padre era alto un metro e mezzo,
pesava cinquanta chili di ossa e di muscoli.
Mio padre sudava,
si sentiva escluso dal solito posto in tribuna.
Mio padre ha saltato la recinzione,
agile come un topo di città,
furbo come un uomo delle colonie,
noncurante del figlio alle sue spalle.
“Salta Salvatore, salta anche tu!”
E Salvatore imparò a saltare,
saltò anche lui per il solito posto in tribuna,
meglio di un topo di campagna,
con l’agilità di un gatto soriano,
magro come un fuscello,
flessibile come un giunco,
nero come un negro e senza offesa alla razza.
In quella gloriosa domenica del 52 vinse Ascari con le sue quattro ossa,
ma io ho imparato tante cose in quel giorno benedetto dal Signore.
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere 27, 10, 2021