AVVELENATA

O Cicirinella,

tu con il tuo poco valor

rinnovelli disperato dolor

che mi preme il cor

già pur pensando,

ancor pria ch’io ne favelli.

Ma,

se le mie parole esser dien seme

che frutti infamia a chi si fa soltanto i vezzi suoi,

parlare e lacrimare udrai insieme.

Espongo e mi espongo.

Noto è il giardino di pietra bianca,

Noto è il fiore barocco all’occhiello del mondo,

Noto è una e unica,

Noto è meglio di dio,

Noto è carica di dolore nei suoi scalpellini

morti nei secoli di tisi e silicosi,

Noto è carica di dolore nelle sue suore di Chiara,

figlie alienate della nobiltà e rinchiuse a vita in conventi bianchi,

Noto è carica di carrettieri che fanno i loro bisogni nel vallone

e riempiono di vespe i borghi e le contrade,

Noto è carica di braccianti e mezzadri,

di valvassori e valvassini,

di sindacalisti martiri della nobiltà mafiosa,

Noto è una cosa seria,

Noto si nomina con la bocca umile e pura,

Noto è Noto con la sua storia e la sua gente.

Eppure,

sintiti, sintiti, picciotti e picciutteddri,

un giorno,

un giorno dei nostri giorni,

ahi fero giorno,

a Noto arriva nel casale sciccoso la spocchia dell’infondatezza,

il quasi nulla mischiato con il quasi niente,

un quasi tutto senza,

arriva Cicirinella con il suo cane.

Comandi, signora, ciprie e colonie coty.

I sesterzi abbondano nelle tasche stultorum.

Io pagherò,

io pagherò,

io pagherò,

pagherò perché io posso pagare anche le mille e una notte a notte.

Eh no,

mia cara,

dovevi dirlo,

tu dovevi dire urbi et orbi come la papessa Giovanna

che non volevi pagare il conto,

dovevi dirlo,

o Cicirinella,

tu dovevi dire a tutti i Siciliani

che salti i fossi in un sol boccone,

dovevi dirlo,

tu dovevi dire ai tuoi mistici seguaci webbosi

che balli nelle stalle

e sguazzi nella melma

quando ti pare e piace,

a volontè come la maionese Calvè.

Altro che sotto le stelle a cazzeggiare,

guadagnando fior dei nostri skei par nient!

Sentite, sentite.

A un certo punto ipsa dixit.

Nel fiore di pietra c’è tanta spazzatura,

va documentata e denunciata.

Ma va?

Dici sul serio?

Credimi, non lo sapevamo.

Credimi,

mia cara Cicirinella,

noi che siamo di casa nel giardino di pietra

non c’eravamo accorti di tanta ignominia,

di cotanto degrado,

di altrettanta mafiosità.

Allora,

chiama all’uopo la inutile notizia che striscia,

chiama la bassotta di Le petit,

chiama il don Chisciotte e la panza di Sancho,

ma tu dovevi pagare il conto,

dovevi dire alla gente del mondo

che non hai pagato il conto,

che ti sei occultata anzitempo e senza garbo,

alla chetichella,

alla cretinella.

Vedi,

Cicirinella,

se onoravi il tuo debito,

noi ti credevamo,

ma il conto tu non l’hai pagato

e ti tocca mangiare il biasimo della malafede

con cui concili il pubblico con il privato.

E poi?

Te la prendi con il povero sindaco,

con la polizia e i caramba,

con l’Enel e la nettezza urbana,

con l’agenzia immobiliare e i padroni del borgo.

Tu non sai che noi siciliani caghiamo sempre tosto

e alla spazzatura,

all’inferno,

al malcostume,

all’inciviltà,

ci siamo abituati,

ci sguazziamo,

ci imprittiamo nel cotidie.

Cosa vuoi che sia una strada piena di merda?

C’è di meglio per la vergine cuccia

che aveva vilmente segnato di lieve nota

il piede villano del servo.

Ti abbiamo dato un ragazzo colorato e mattutino per i tuoi rifiuti.

Ma tu dovevi pagare il conto

prima di raccontarci la tua buona novella,

la tua scoperta dell’America.

Ahi, ahi, ahi, ahi,

cara furbacchietta,

dovevi pagare il conto,

non dovevi partire alla rinfusa,

quatta, quatta, cheta, cheta,

per poi insolentire noi siciliani

che di nostro, mi ripeto, caghiamo sempre tosto e ogni giorno

tra il sole,

tra il mare,

tra la spazzatura,

la nostra spazzatura e quella altrui,

noi che abbiamo fatto piazzare dal buon Angelo da Milan,

anni cinquanta,

le bombe delle raffinerie ai piedi delle nostre città,

la spazzatura chimica degli USA da Augusta a Siracusa,

e le abbiamo messe al posto delle spiagge dorate,

al posto dei ricci di mare e dei pesci cavaliere,

al posto delle arance e dei mandarini,

al posto delle aragoste e degli astici.

Ma non basta!

Sappilo o donna Silvana,

femina silvarun,

queste bombe continuiamo a metterle.

Non ci siamo ancora rassegnati anche nella completa autodistruzione.

Errare è umano,

perseverare e riperseverare è siculo e sicano.

Ma Cicirinella tutto questo non lo sa

e pensa ai lazzi suoi.

E noi,

figli delle stalle che non sappiamo ballare,

che viviamo in mezzo alla spazzatura

insieme ai nostri poveri sindaci e amministratori,

noi che siamo buoni e cattivi,

maleodoranti e sempre sudati,

noi inascoltati profeti della povera gente,

noi,

emeriti imbecilli,

aspettiamo te,

aspettiamo la tua estrosa boccaccia allampanata,

pendiamo dalle tue labbra furtive e procaci,

per sentirci dire che la tua vergine cuccia ha sofferto,

che l’ENEL è astenica e psicosomatica,

che ci sono tanti mafiosi in giro nei comuni e nei privé,

che hai dormito in macchina per il caldo d’eccezione.

Ma noi non pendiamo più dalle tue ivvereconde parole,

noi siamo goliardi,

abbiamo studiato Legge e Medicina all’università di Catania,

anche Filosofia,

abbiamo lavato le palle dell’elefante nella omonima piazza dopo la laurea,

noi ti gridiamo in coro dopo l’ennesima tua laureata castroneria:

cagona,

cagona,

cagona del buco del cul,

vaffancul,

vaffancul,

vaffancul!”

Viva il fiore di pietra e i suoi nobili amministratori,

viva la gente per bene che vi abita,

viva la gente per male che vi abita,

viva tutti i cani che vi abitano,

viva tutti i bambini che hanno respirato

e respirano le arie infette della Exo e della Sincat,

poscia Montedison,

della russa, gelida, putiniana Lukoil.

In attesa dell’aria pura,

Noto, ad maiora!

Ma sbrigati,

per favore,

affinché un’altra Cicirinella non arrivi nella nostra barocca Anarchia

a rompere i coglioni per i cazzi suoi.

 

Salvatore Vallone

 

Carancino di Belvedere, 20, 08, 2021

 

 

 

 

 

 

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