
TRAMA DEL SOGNO
“Il sogno, almeno per quello che mi ricordo, iniziava in un laboratorio medico. Io e il mio ragazzo eravamo lì come a sostituire qualcuno e dovevamo svolgere del lavoro.
C’è stato un litigio con una persona che mi ha aggredito e il mio ragazzo per difendermi l’ha uccisa, non ricordo come. Il sogno, per lo più, era la scena dopo, quando dovevamo nascondere il corpo. Lo facevamo a pezzi e c’era sangue dappertutto.
Il tutto accadeva dietro uno scaffale dove c’era roba fuori posto a terra. Io ero preoccupata perché c’era un sacco di roba da sistemare e da pulire. Il corpo lo volevamo gettare in un fiume. Il mio ragazzo sembrava fin troppo rilassato.
Lui, d’altronde, pensavo, lo aveva già fatto, aveva già ucciso una persona prima, ma io avevo paura che lo beccassero. Io, forse, mi sarei fatta due o tre anni per aver visto e non aver detto nulla, lui sarebbe stato in carcere a vita e già immaginavo come sarebbe stato andarlo a trovare in prigione tutta la vita.
Non avrebbero capito che lo aveva fatto per difendermi. Mi ricordo che era tardi, dovevamo timbrare a un certo orario. Lui mi sa che era andato a sbarazzarsi di alcuni pezzi, io stavo ancor nel laboratorio. Mi ricordo che guardavo tipo il camice della vittima insanguinato e alcuni pezzi, qualche attrezzo insanguinato, tutti dentro un armadio a vetrata, e pensavo “domani dobbiamo ricordarci di finire il lavoro”.
Poi mi sono messa a impastare la frolla, mischiando quella vecchia un po’ ossidata alla nuova, (questo elemento di cibo vecchio e cibo nuovo è presente in ogni sogno da quando sono qui), l’ho mescolata troppo ed è diventata inutilizzabile.
Era piena di bolle e molto strana, così l’ho usata per scriverci sopra “ricordati di pulire il sangue”. Era un appunto per il mio ragazzo e per l’indomani. Poi ho timbrato, sono andata via anch’io pensando che era un rischio lasciare il tutto così e che quando avrebbero controllato chi stava in ruota il giorno della sparizione di quella persona, ci avrebbero scoperti.
Non avevamo fatto un lavoro pulito, troppo sangue dappertutto.
Poi ho sognato che guidavo una moto. Il mio ragazzo mi insegnava come fare, mi seguiva con una auto, ma la moto era senza freni e, quando acceleravo, dovevo frenare con i piedi. Finivo al centro di un incrocio, mi piaceva andare veloce, ma poi non riuscivo a frenare e seminavo il mio ragazzo, non lo vedevo più e dovevo aspettarlo.”
Marionne
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Il sogno, almeno per quello che mi ricordo, iniziava in un laboratorio medico. Io e il mio ragazzo eravamo lì come a sostituire qualcuno e dovevamo svolgere del lavoro.”
Il sogno di Marionne ha una sua lunghezza perché ha una sua retorica e la retorica è sempre una difesa psichica dall’angoscia e dal risveglio. Per continuare a dormire, Marionne si serve, senza alcuna volontaria scelta e consapevole presenza, di lunghe scene e di tante osservazioni per non cadere nell’incubo, proprio perché il sogno tratta temi affettivi e sessuali abbastanza inquietanti come il potere seduttivo e la deflorazione, con annessa la pulsione a scegliere, più che a tradire.
Marionne si trova “in un laboratorio medico”, nel luogo di lavoro camuffato in maniera sanitaria proprio per il rilievo traumatico assunto dalla circostanza apparentemente fortuita. In effetti, Marionne sceglie liberamente di giostrarsi nel luogo di lavoro insieme a due uomini, uno non visibile e l’altro ben presente. “Dovevamo svolgere del lavoro” offre in immagine proprio l’adescamento seduttivo e l’eccitazione sessuale. Ci sono due uomini per Marionne, il suo “ragazzo” e l’altro, “qualcuno da sostituire”: una tresca bella e buona.
“C’è stato un litigio con una persona che mi ha aggredito e il mio ragazzo per difendermi l’ha uccisa, non ricordo come. Il sogno, per lo più, era la scena dopo…quando dovevamo nascondere il corpo. Lo facevamo a pezzi e c’era sangue dappertutto.”
Ecco il fattaccio!
Marionne stava con una persona violenta, “c’è stato un litigio con una persona che mi ha aggredito”, e si è lasciata salvare e conquistare da un’altra persona, “il mio ragazzo”, intervenuto per risolvere la questione e mettere fine a una relazione insana che produceva e scatenava soltanto aggressività. Degna di nota è l’operazione psichica di “spostamento” della forte carica aggressiva, quasi mortifera, che Marionne attribuisce al suo ragazzo: “per difendermi l’ha uccisa”. In compenso dopo lo fanno “a pezzi” in due, distribuzione equa dell’aggressività meravigliosamente rappresentata anche dal macabro “sangue dappertutto”: meccanismo psichico della “figurabilità”. La simbologia risente della retorica del caso e dell’amplificazione suggestiva dell’uccisione dell’altro. A Napoli il triangolo si chiude e si scrive in questi termini dialettali: “issa, issu e o malamente”.
“Il tutto accadeva dietro uno scaffale dove c’era roba fuori posto a terra. Io ero preoccupata perché c’era un sacco di roba da sistemare e da pulire. Il corpo lo volevamo gettare in un fiume. Il mio ragazzo sembrava fin troppo rilassato.”
Marionne, di certo, aveva le idee confuse in quel periodo della sua vita e, in specie, per quanto riguarda le relazioni affettive e sessuali. Tra il desiderio e l’originalità Marionne ha “un sacco di roba da sistemare” e da assolvere, pardon “da pulire”. La fanciulla è cresciuta e si è evoluta in donna, ma l’educazione ai diritti del corpo è stata carente, per cui Marionne si è fatta da sola e ha fatto da sé. Su questi temi il suo “ragazzo” è notevolmente disinibito, “fin troppo rilassato”. Succede che nel gioco delle conoscenze e dei confronti, il viaggio psicofisico, che va dall’adolescenza alla prima giovinezza, si fa travagliato e gli scaffali non bastano, per cui la “roba” va “fuori posto” e a terra. I “sensi di colpa” da assolvere sono i migliori compagni dell’evoluzione.
“Lui, d’altronde, pensavo, lo aveva già fatto, aveva già ucciso una persona prima, ma io avevo paura che lo beccassero. Io, forse, mi sarei fatta due o tre anni per aver visto e non aver detto nulla, lui sarebbe stato in carcere a vita e già immaginavo come sarebbe stato andarlo a trovare in prigione tutta la vita.”
Diversità d’educazione e di ruolo: “lui, lo aveva già fatto, aveva ucciso una persona prima”. Il reato è il sesso e il tradimento, il “triangolo post edipico”. Ricordo che il “primo triangolo” è quello con il padre e la madre, quello formativo a tanti livelli e, in specie, per l’autonomia psicofisica e la rete delle relazioni. Insomma, Marionne è alle prime armi e si confronta sul tema dell’aggressività sessuale con il suo “ragazzo” più navigato ed esperto. Capita sempre nel periodo dell’addestramento, soprattutto quando è mancata una giusta educazione al corpo e ai bisogni psicofisici di evoluzione da parte dell’ambiente. Capita che la cosiddetta riservatezza o timidezza si fondono e si confondono in una misura adeguata al timore di fare e di brigare al momento giusto e a trazione dell’istinto sessuale e della pulsione erotica. Marionne “proietta” per difesa sul suo ragazzo la diversità educativa e l’entità del senso di colpa e si difende attribuendo a se stessa una colpa minore e una punizione inferiore, mentre il “carcere a vita” attesta della enorme stazza del senso di colpa, sempre di Marionne, nell’essersi coinvolta in tanta impresa di crescita psicofisica. La colpa è “di aver visto e di non aver detto nulla”. Il richiamo educativo va alla “scena primaria”, alla relazione erotica e sessuale, immaginata o vista, tra il padre e la madre.
“Non avrebbero capito che lo aveva fatto per difendermi. Mi ricordo che era tardi, dovevamo timbrare a un certo orario. Lui mi sa che era andato a sbarazzarsi di alcuni pezzi, io stavo ancor nel laboratorio. Mi ricordo che guardavo tipo il camice della vittima insanguinato e alcuni pezzi, qualche attrezzo insanguinato, tutti dentro un armadio a vetrata, e pensavo “domani dobbiamo ricordarci di finire il lavoro”.
Marionne è “mater et magistra” nei riguardi del suo ragazzo e sente il bisogno ambiguo di difenderlo, di tutelarlo e, di conseguenza, gestirlo anche nella “timbratura del cartellino, pur essendo alle prime armi e “a un certo orario”. Pur tuttavia, Marionne riconosce che lui agisce in piena autonomia nello scaricare la sua parte d’aggressività: “sbarazzarsi di alcuni pezzi”. Insomma Marionne desidera un ragazzo sveglio e autonomo in apparenza, un uomo che sa fare sessualmente la sua parte e con l’aggressività dovuta al caso e all’uopo. Le schermaglie erotiche e affettive non finiscono mai e trovano nella vittima, il terzo uomo, il trofeo conquistato dopo un apprezzabile lavoro di seduzione e da ripetere nel tempo: “dobbiamo ricordarci di finire il lavoro”. Non è facile, ma è eccitante per una donna alle prime armi gestire due uomini navigati. La cornice macabra e sanguinaria si riduce a un semplice e obsoleto tradimento sessuale sul luogo di lavoro.
“Poi mi sono messa a impastare la frolla, mischiando quella vecchia un po’ ossidata alla nuova, (questo elemento di cibo vecchio e cibo nuovo è presente in ogni sogno da quando sono qui), l’ho mescolata troppo ed è diventata inutilizzabile.”
Cambia apparentemente la scena. Da una tresca cruenta tra l’orrido e l’erotico, tra Dario Argento e Tinto Brass, la scena si sposta candidamente sull’attività lavorativa dentro l’ambiguo laboratorio di pasticceria, il luogo del crimine efferato e dell’intesa massimamente cordiale tra un uomo e una donna che oltretutto sa ben “impastare la pasta frolla” e conosce i segreti chimici degli alimenti sopravvissuti al triste destino del divoramento cruento. Allora, ragioniamo in maniera suadente e convincente. Marionne scivola dalla dimensione psicofisica sessuale nella sfera affettiva, “mi sono messa a impastare la frolla”, e tenta di conciliare in piena autonomia di donna gli affetti del passato con i nuovi amori, i nuovi “investimenti di libido”. Ricordo che il cibo è squisitamente il simbolo degli affetti familiari e appartiene ai primissimi vissuti della “posizione psichica orale” nel primo anno di vita. Marionne fatica a mettere insieme in linea evolutiva l’amore vissuto ed esperito in famiglia con il suo attuale mondo affettivo e la sua nuova palestra di vita. Non trova la qualità diversa, sempre di pasta “frolla” si tratta, ma sicuramente non riesce a conciliare l’amore verso i suoi genitori con l’amore verso gli uomini che gestisce in apparente stato di subalternità. Il sentimento vissuto in famiglia è stato ed è sicuramente pacato nella sua intensità, non aspira alla passione sfrenata e al coinvolgimento sessuale dei corpi, non chiede un’intesa speciale in tanto misfatto di ambiguità e di gestione di due figure maschili, una aggressiva e l’altra complice. Marionne squaderna nel sogno la sua gamma di uomo nell’accezione psicofisica e sotto l’egida dell’attrazione sessuale, rievocando i “fantasmi” della sua “posizione psichica orale, anale, narcisistica, edipica e genitale”, della sua formazione psichica insomma. Marionne ha tanto pensato e non riesce a comporre in buona sintesi e armonia i vissuti al riguardo. Questo è il motivo per cui la pasta frolla vecchia non è compatibile con la nuova: “cibo vecchio e cibo nuovo”, “l’ho mescolata troppo ed è diventata inutilizzabile”. E questo è un bel conflitto da risolvere in maniera equa dando a Cesare quel che è di Cesare, il padre, e a Giulia quel che è di Giulia, la madre. In sostanza, Marionne non ha lavorato adeguatamente sulla sua “posizione edipica”, per cui resta conflittuale con se stessa e con gli uomini a cui si lega e si accompagna. Sembra facile lavorare la frolla, ma non è così.
“Era piena di bolle e molto strana, così l’ho usata per scriverci sopra “ricordati di pulire il sangue”. Era un appunto per il mio ragazzo e per l’indomani. Poi ho timbrato, sono andata via anch’io pensando che era un rischio lasciare il tutto così e che quando avrebbero controllato chi stava in ruota il giorno della sparizione di quella persona, ci avrebbero scoperti. Non avevamo fatto un lavoro pulito, troppo sangue dappertutto.”
La complicità nella coppia è un elemento, pardon alimento, necessario per l’evoluzione di Marionne e del suo ragazzo, specialmente in un contesto di adulterio e di trasgressione, di tradimento e di colpa. “Ricordati di pulire il sangue” è la sanzione biblica del padreterno e della sua atavica Legge. C’è qualcosa di metafisico in questa frase di Marionne che evoca filosofie e tragedie, culture e tradizioni, peccati originali e turbamenti dell’equilibrio voluto dagli dei dell’Olimpo, trasgressioni alla Legge del Padre e ossequi alla Legge della Madre. Insomma è un concetto atavico e codificato in una semplice espressione linguistica fatta di un imperativo, di un infinito e di un sostantivo: “memento culpam solvere”. L’esperienza e i vissuti collegati sono stati formativi per Marionne e sono avvolti dal senso di colpa da espiare e possibilmente in maniera costruttiva e prospera per l’avvenire.
“Poi ho sognato che guidavo una moto. Il mio ragazzo mi insegnava come fare, mi seguiva con una auto, ma la moto era senza freni e, quando acceleravo, dovevo frenare con i piedi. Finivo al centro di un incrocio, mi piaceva andare veloce, ma poi non riuscivo a frenare e seminavo il mio ragazzo, non lo vedevo più e dovevo aspettarlo.”
Come volevasi dimostrare. Dicevo, per l’appunto, del versante formativo e Marionne evoca la sua sessualità, la vita e la vitalità della “libido”: “guidavo una moto”. Quale simbologia e quale allegoria possono essere più intriganti del mettersi a cavallo di una moto per gestire gli eventi psicofisici del sistema neurovegetativo? Marionne dice di avere un maestro e trova nel suo “ragazzo” la persona giusta per far brillare le polveri aggiungendo un’altra simbologia neurovegetativa, “un’auto”, generosamente regalata al suo ragazzo al fine di raggiungere una buona intesa e tutto quello che ci va dietro. La disinibizione erotica e sessuale si evidenzia nella “moto senza freni”, così come il potere della donna è fortemente appagato dall’uso dei “piedi” per frenare. Marionne gestisce la sua sessualità con la consapevolezza del potere che incarna, proprio nel senso di possesso nella carne. Ricordo che il “piede” è classicamente un simbolo fallico per il suo privilegio di essere calzato, di immettersi in un ambito recettivo. Chiariamo: nel trasporto dei sensi Marionne ha il potere su di sé e sull’altro, “finivo al centro di un incrocio”, ha l’orgasmo facile, “mi piaceva andare veloce”, ha una sensibilità erotica accentuata e prolungata come natura femminile comanda e rispetto al maschio e nel caso “al suo ragazzo”: eiaculazione ritardata di quest’ultimo. In questo caso la donna è favorita se il ritardo resta in una arco temporale gestibile e all’interno di uno stato di eccitazione. Questo capoverso del sogno di Marionne sintetizza con l’allegoria la sua vita e la sua vitalità sessuale ed erotica, nonché la relazione di potere che si squaderna in una posizione altolocata rispetto al maschio e non soltanto a livello sessuale. Marionne ha una sua forza e una volitività equamente distribuita tra l’Io e la dimensione pulsionale, l’Es. Non disdegna di comparire nel sogno neanche il “Super-Io”, la censura e l’espiazione della colpa, come nel capoverso dominato da “ricordati di pulire il sangue”.
Il sogno di Marionne è lungo e articolato, ma ha mantenuto una linea guida di senso e di significato, denotando sempre una buona dose di narcisismo anche nei momenti in cui la donna si è furbescamente sottomessa all’uomo.
Questo è quanto in maniera allargata potevo dire dell’Odissea onirica di Marionne.
Buona navigazione nel mare della vita!