IL MIO VERO MATRIMONIO

TRAMA DEL SOGNO

“Era il mio matrimonio. Lo sposo non so chi fosse. Mi aspettavo una bella festa, ma constatavo che la gente era sconosciuta ed era lì come se fosse per qualcosa d’altro.

Mi sentivo in un angolo. Dicevo, che matrimonio è senza gli sposi, i parenti dello sposo (parenti del mio ex che chiamerò R) da una parte e i miei dall’altra. I parenti dello sposo erano in gruppo con l’attuale compagna del mio ex R. Loro ridevano e stavano bene.

Camminavo in piazza verso fine “festa” con un abito a fiori (nemmeno l’abito bianco) le persone si congedavano e notavo che non facevano nemmeno i saluti a me che ero la sposa.

Ero arrabbiata e delusa. Era come se non fosse né un matrimonio, né il mio. Nel sogno dicevo a mia madre che non c’era nemmeno la torta nuziale. Per di più ero già stata sposata (matrimonio vero con abito con un altro mio ex che non amavo e non sapevo nemmeno io perché mi fossi sposata, ma era come se ormai avessi avuto la mia chance).

Ero sul pullman vicino al mio ex R in piedi, mi parlava ma con aria distratta e canzonatoria. Rideva e non mi prendeva sul serio e come se non esistessi più. La sua attuale ragazza si intrometteva e rispondeva alle sue battute e ridevano. Mi sentivo a disagio sola, vuota, esclusa, trasparente.”

Sabi

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Era il mio matrimonio. Lo sposo non so chi fosse. Mi aspettavo una bella festa, ma constatavo che la gente era sconosciuta ed era lì come se fosse per qualcosa d’altro.”

Sabi si vuole sposare.

Finalmente Sabi si vuole sposare con quella “parte psichica di sé” che non ha trovato e che ancora non trova, ma che sente, sente che esiste e che si può trovare. Sabi non sa quale sia questa sua “parte”: “lo sposo non so chi fosse”. Sabi è una donna insoddisfatta e inappagata, una donna che è in cerca, ma non certo di un uomo, una donna che sta cercando la sua “parte psichica maschile”, la sua parte affermativa e decisionale, il suo realismo e la sua ragione, la sua autonomia e la sua libertà. Ogni matrimonio in sogno esprime questa simbologia di riformulazione, di novità, di riscatto dal passato, di autenticità. E’ molto importante che Sabi abbia deciso di mettersi sulle tracce di questa “parte” della sua psiche e del suo “Io” globale. Giustamente, essendo la sua una ricerca, non può trovare alcunché nella gente che la circonda. Il lavoro e il lavorio sono estremamente personali e niente viene da fuori e niente viene regalato dagli altri, neanche dalle persone prossime e deputate a volerci bene. La gente è “sconosciuta” ed è sempre “lì, come se fosse “lì” per qualcos’altro”. La gente è anonima, è massa ed è massificante. E’ anche vero che Sabi è un animale sociale, un vivente tra i viventi, ma per il momento è giusto che cerchi se stessa in se stessa per trovare la chiave che apre le sue porte e non quelle del prossimo, una massa di sconosciuti da cui Sabi non può più accettare caramelle e bonbon. Il riconoscimento della sua identità psichica verrà da sé e non dagli altri, così come il bisogno di rafforzamento della sua persona è esclusivamente suo.

Mi sentivo in un angolo. Dicevo, che matrimonio è senza gli sposi, i parenti dello sposo (parenti del mio ex che chiamerò R) da una parte e i miei dall’altra. I parenti dello sposo erano in gruppo con l’attuale compagna del mio ex R. Loro ridevano e stavano bene.”

Sabi chiama in causa i suoi complessi di inadeguatezza, le sue paure sociali, i suoi timori reverenziali da figlia di un dio minore e li tira fuori con certosina meticolosità condensandoli nell’ampia simbologia dello “angolo”. Sabi è un pugile bastonato all’angolo, anzi “in un angolo”, uno dei tanti angoli che contraddistinguono il poliedro delle relazioni sociali. Anche l’angolo è mutilato: il “matrimonio è senza gli sposi”, come nella canzone Alice di Francesco De Gregori. Ognuno sta dalla sua parte. Le parti non collimano, non si toccano, non si attraggono, non si desiderano, non si amano. Le parti sono divise, scisse, schizzate. La distinzione è netta tra i parenti della sposa e dello sposo. I primi sono in sofferenza da stress postraumatico, i secondi se la godono insieme a quella donna, “l’attuale compagna”, che in passato era Sabi, quell’immagine femminile a cui si era accostata, quell’identità psicofisica di donna che ha aspirato di realizzare: la sua immagine sociale ideale. Il conflitto psichico non è tra gruppi, i suoi e i miei, è tra “gruppalità” interiori e interiorizzate della stessa Sabi, quei “fantasmi” e quelle “immagini” che la bambina ha consegnato alla ragazzina e che la ragazzina ha consegnato alla donna, “gruppalità” finalizzate alla modalità migliore dell’essere femminile e assorbite dall’ambito familiare, il gruppo dei suoi parenti. Resta assodato che il conflitto è intrapsichico e non relazionale, che verte sul tentativo di acquisire la “parte psichica maschile”, i contro-coglioni, e di coniugarla con la “parte psichica femminile” in atto. Resta assodato che Sabi è chiamata a ricostituire la sua personalità mutilata. Ripeto e mi ripeto consapevolmente: a Sabi manca quella affermatività dell’Io consapevole e quella volitività razionale che sfanculano i complessi d’inferiorità e di inadeguatezza, insieme alle altre difese dal coinvolgimento sociale e dagli investimenti affettivi ed erotici di una donna a metà, una donna tutta donna e niente maschio, una Venere senza Minerva, una Giunone senza Diana. Sabi deve tendere all’incarnazione psicofisica della mitica Afrodite, la dea nata dallo sperma del membro amputato di Urano e dalla schiuma del mare Ionio, dalla coniugazione paritaria di attributi del “principio maschile” e del “principio femminile”. La simbologia mitologica rende l’idea, ma l’operazione di Sabi si attesta nella comunicabilità delle sue “parti psichiche”e non nella comunicabilità degli strani parenti serpenti.

Camminavo in piazza verso fine “festa” con un abito a fiori (nemmeno l’abito bianco) le persone si congedavano e notavo che non facevano nemmeno i saluti a me che ero la sposa.”

La “sindrome dell’indegnità” trionfa in questa versione “Cenerentola” di una Sabi sorniona che attira l’attenzione degli altri “con un abito a fiori”, più che con l’obsoleto abito bianco di tutte le spose del mondo, quell’abito che indica la purezza psichica, più che fisica della donna. L’istituto sociale del matrimonio nasce come regolamentazione della vita sessuale e ha la sua matrice nella volontà del “principio maschile”. Sono i maschi che vogliono l’abito bianco e la verginità, come nei migliori film del neorealismo siciliano. Sono i maschi che non vogliono “l’abito a fiori” delle chantose e delle donne libere di tutte le stagioni, delle ballerine del Moulin rouge e delle venditrici di sigarette nei locali notturni. I maschi e le persone non notano Sabi “in abito a fiori” perché Sabi ancora non ha la consapevolezza dell’abito che porta, che non è un abito da educanda delle suore orsoline, ma un abito di potere femminile, un abito impegnativo da indossare con seduzione e secondo il rito di Afrodite e come la inquisita scarpetta di Cenerentola. La “piazza verso fine festa” vede finalmente una donna libera che cammina senza bisogno di salamelecchi arabeggianti e di ruffianate da cortile. Dentro l’abito bianco Sabi si è sempre difesa dagli altri acconsentendo al loro desiderio, finalmente non è come le altre o come gli altri la vogliono, finalmente non è una delle tante, è se stessa e libera dai condizionamenti psichici e dagli schemi culturali. E poi, diciamo la verità, “l’abito a fiori” le sta da dio.

Ero arrabbiata e delusa. Era come se non fosse né un matrimonio, né il mio. Nel sogno dicevo a mia madre che non c’era nemmeno la torta nuziale. Per di più ero già stata sposata (matrimonio vero con abito con un altro mio ex che non amavo e non sapevo nemmeno io perché mi fossi sposata, ma era come se ormai avessi avuto la mia chance).”

La “rabbia” consegue a frustrazione, la “delusione” è una presa di coscienza da scioglimento delle ultime difese sociali e resistenze psichiche. In tal modo Sabi si libera dalle formalità del matrimonio e dal bisogno di un protagonismo limitato a poche ore di un giorno ipocrita. La “madre” e la “torta nuziale” completano l’opera infame di una tragicomica giornata “già vista” e “già vissuta”. Sabi ama le ripetizioni per difendersi meglio dal nuovo e per non coinvolgersi con quella “parte maschile” che la vita le impone di afferrare al volo e di inforcare come una bicicletta artigianale da corsa a marchio “Stella veneta”. La vita è anche fatta di “chance”, ma è soprattutto fatta di tenacia e di certosino pedaggio nell’autostrada lastricata di buonissimi propositi. La “parte psichica maschile” di Sabi si sposa con la “parte psichica femminile”, che ha già dato e ha già vissuto, proprio nel momento in cui la consapevolezza del fallimento spinge verso nuove vie e ambiziosi traguardi senza la mamma e senza la dea bendata, quella Fortuna che quando vuole ci vede benissimo; e, dimenticavo, senza la “torta”, senza sdolcinati bisogni affettivi. Gli uomini di Sabi sono due in sogno: il primo si coniuga con il fallimento della “parte psichica femminile”, il secondo si marita con la “parte psichica maschile”, quella che Sabi aveva trascurato ma non alienato. I due uomini sono dei simboli dell’universo psichico “maschile” e servono per indurre donna Sabi a concepire quale tipo di potere vuole assumere su di sé: quello effimero e fasullo, il primo e quello che si sposa secondo copione, o quello affermativo e seduttivo, il secondo e quello che si sposa con l’integrità della persona. Sabi si avvia a non essere una donna che dipende dal maschio, ma una donna che dipende da se stessa: autonoma.

Ero sul pullman vicino al mio ex R in piedi, mi parlava ma con aria distratta e canzonatoria. Rideva e non mi prendeva sul serio e come se non esistessi più. La sua attuale ragazza si intrometteva e rispondeva alle sue battute e ridevano. Mi sentivo a disagio sola, vuota, esclusa, trasparente.”

Sabi si “sposta” nel suo “ex” e nella “sua attuale ragazza”, operando due “proiezioni” dei modi di essere e di esistere che è in procinto di abbandonare: l’essere la “donna a metà” di un uomo e l’essere una donna con la chance di essere sposata da un uomo. Sono due concetti potenti che vale la pena spiegare al meglio consentito dal vocabolario italiano. Sabi era una donna mutilata quando si è sposata, le mancava la “parte psichica maschile”, i “coglioni” di Afrodite. Sabi era una donna bisognosa di essere riconosciuta da un uomo per affermarsi come “donna a metà”. Questa poltiglia non interessa più donna Sabi, la sua nuova dimensione è ben altra. Il “pullman” condensa la perdita benefica di una partenza e di una vita sessuale da irridere: l’aria distratta e canzonatoria. Sabi fa ironia su se stessa, sui vecchi modi di essere e di viversi e di vivere, come un ricredersi in vista di un riformularsi. In effetti, Sabi non apparteneva più a quel mondo perché era a disagio, sola, vuota, esclusa, trasparente.

Analizziamo il quadro degli attributi e convertiamoli nel loro significato psichico a coronamento dell’interpretazione del sogno e a giustificazione del titolo: “il mio vero matrimonio”.

Il “disagio” attesta di un agio andato in fumo, di una novità che si palesa con un certo contrasto, di una crisi che prepara il suo superamento nella creazione di un nuovo agio.

L’attributo “sola” contiene la degenerazione della libertà e il bisogno di dipendenza, condizione psicofisiche che dispongono alla riflessione, al cambiamento e alla scelta. Non è una solitudine da abbandono, ma una solitudine funzionale al convergere in se stessa al fine di assumersi l’onere e l’onore delle deliberazioni e delle decisioni.

Il sentirsi “vuota” condensa la vertigine della libertà legata allo svuotamento delle difese e delle resistenze al cambiamento, la condizione per operare una disposizione al nuovo e un proficuo ordine tra le esperienze vissute.

La sensazione dell’esclusione, “esclusa”, denota un bisogno di porsi al di là del gruppo, ormai vissuto come massa e massificante. Di fatto è un autoescludersi per un bisogno impellente e drastico di originalità e di affermazione della propria individualità. Non è in alcun modo l’abbandono e la perdita depressive di chi non sa che pesci pigliare e a che santo rivolgersi, tutt’altro, è un fare perno su se stessa e cercare la rotta opportuna in questo cambiamento psico-esistenziale.

Sentirsi “trasparente” conferma l’abbandono delle false verità psichiche su cui si basava in precedenza e la perdita di quelle inutili sovrastrutture, un senso di leggerezza e di auto-consapevolezza basato sul minimo possibile e consentito dalla sopravvivenza.

Il tempo sarà utile per ricostruire su nuove basi il matrimonio di Sabi con se stessa. Il resto verrà con speditezza, secondo natura e sempre come Sabi delibera e decide. La Cultura spesso combina grossi guai e nel caso di Sabi la norma sociale di donna bisognosa di un uomo non corrisponde alla sua nuova norma di donna libera, compatta e finalmente intera.

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