
“Santu deu,
santu deu,
a sto mundu
ghe sum eu
e ni so cuntentu eu.”
Ci sono anch’io in questo mondo,
io e la mia follia,
io ed Erasmo che mi elogia.
Siamo in due,
siamo sempre in due,
il me savio e il me matacin,
mi che son dentro e mi che son fora,
mi che me manca un bojo e una poenta brustolada,
mi che son just e mi che son sbalià.
Il me perbenino fu rapito sul monte con il cappello in mano
dal paron che dispensa ananassi e satanassi,
il me sacranone e sacrarmenta viaggiò nei pascoli eterni
con la schiena dritta senza piegarsi davanti a nisuni,
neanche con l’ammollo o con il pizzo.
“Santu deu,
santu deu,
a sto mundu
ghe sum eu
e ni so cuntentu eu.”
Ci sono anch’io in questo mondo,
io e la mia follia,
io e me mare Concetta Giudice,
detta Tita o Titina,
mia madre che m’annaca,
che mi dondola cantando la ninna nanna,
insomma.
Siamo ancora in due,
il me bambinello e il me mentecatto,
il me picciriddru con la sucalora in mano
che si tocca il pisello,
il me in astinenza da rete quattro
con il cervello freddo di Libeccio,
il me amoroso e niuru infame,
fortemente abbronzato da madre natura
sotto i colpi micidiali dello Scirocco,
il me affetto da lasette nei bronchi umidi di catarro
e odorosi alla menta del benemerito vicks vaporub.
“Santu deu,
santu deu,
a sto mundu
ghe sum eu
e ni so cuntentu eu.”
Ci sono anch’io in questo mondo,
io e la mia radice,
io e me pare Concetto,
detto ‘Nnittulu,
ridetto ‘Nzuliddru.
Siamo ancora in due,
il me derelitto e il me gran sior,
io e il resto in saldo degli spermatozoi del dopoguerra
di un padre provato dalla caduta dell’amato Fascismo,
io e il derivato di un relitto militare,
formato cacciatorpediniere,
io e l’escremento infetto di una nave spitalera
ferocemente bombardata dagli Inglesi ubriachi,
io e le quattro travi portanti di un bastimento
ricolmo di migranti che coltivavano un sogno,
una chimera,
un’illusione,
un miraggio,
un pane condito con il sangue degli avi,
trasportati a suo tempo dalla mia Africa nel mondo civile
per l’Etica protestante e lo spirito del Capitalismo,
per la Camorra e la Mafia dell’uomo bianco miricano.
Sia sempre lodato e ringraziato Salvuccio Kunta Kinte,
quel tzeno innalzato al cielo africano dalla pietas del padre.
Sia maledetto il machete dello yankee bastardo
che non riuscì a tagliare le dita dei suoi piedi.
“Santu deu,
santu deu,
a sto mundu
ghe sum eu
e ni so cuntentu eu.”
Ci sono anch’io in questo mondo,
io e la mia follia,
io e Alex Haley che m’incanta.
Siamo ancora e sempre in due,
io e Kunta Kinte dei Mandinka,
il me siculo e il me veneto,
il me libero e il me schiavo,
il me dotor e il me contadin.
Siamo ancora e sempre in due,
io e le varianti del mio virus,
così personali,
così vitali per l’aldiqua e l’aldilà,
io incoronato il 19 di gennaio dell’anno gentium 1947
dalla levatrice signorina Calvo Carmela
al civico 23 di via Emanuele Giaracà,
io poeta terrone e patriot italiano,
nonché capo del carrarmato M113,
dono natalizio degli Usa all’italica plebe in quel 1945,
me contastorie e contaballe,
io e le mie fave tarde a spuntare
in quest’inverno da favola noir,
io e i miei ciciri migna restii alla luce
sotto questo cielo che oggi sposa Saturno e Giove,
sotto la solita buona stella ‘mbriaca,
la stella cometa stordita e sperduta dentro un cielo limpido
come la luce di Lucifero,
Venere,
stella del mattino,
stella maris,
l’astro d’argento che brilla lassù
e indica ai saggi la strada della vera vita
sotto l’augusta volta celeste tibetana.
“Santu deu,
santu deu,
a sto mundu
ghe sum eu
e ni so cuntentu eu.”
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere, 31, 12, 2020