
TRAMA DEL SOGNO
“Sono per strada e vengo rapito da due ragazzi con un’alfa 159.
Mi mettono nel bagagliaio con altre due persone. Io sono terrorizzato dall’idea di soffocare per lo spazio angusto. In realtà il cofano è molto spazioso e riesco perfino a togliermi il giubbotto.
Riesco a tirare fuori il busto come se fossi nei sedili posteriori ed inizio a parlare con i rapinatori. Non ricordo di cosa parlavamo precisamente, ma ricordo di aver fatto in modo di far loro capire che avevo bisogno di respirare meglio.
A questo punto si avvicina alla macchina un pedone che chiede informazioni. L’autista prende una pistola e gli spara due colpi al petto. Quindi scappiamo.
Dopodiché spara ancora ad un altro pedone e continua a scappare. Mi fa vedere la pistola ed insieme al suo complice mi consiglia di stare in silenzio altrimenti fa fuori anche me.”
Questo sogno appartiene a Oneiro.
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Sono per strada e vengo rapito da due ragazzi con un’alfa 159.”
La “strada” non è il cammin di nostra vita dove ci si ritrova soli e morti di fame a trentacinque anni perché la dritta “via” è smarrita.
La “strada” non è la “via” ben definita e artefatta da percorrere con l’eleganza barocca della civiltà e l’orgoglio noncurante dell’uomo in frac.
La “strada” è il simbolo della vita disinibita e triste della gioventù bruciata degli anni cinquanta: vedi James Dean.
La “strada” è il simbolo della vita spericolata di Vasco che cerca l’esagerazione e la finzione dei film recitati secondo il copione del “chi se ne frega” del tutto e della parte dietro la spinta opportuna e maliarda delle pasticche al mentolo.
Pasolini Pier Paolo era particolarmente affascinato dalle psicodinamiche che si giocavano nelle “strade” delle periferie urbane, Roma nello specifico, tra la peggio gioventù e il resto del mondo: vedi “Ragazzi di vita”.
La “strada” non ha riferimenti nel suo essere omogenea e generica, ma possiede tutta la precisione delle vite vissute senza regole o con la regola di non avere regole, una vita senza le ingiunzioni restrittive del “Super-Io” individuale e collettivo, un’esistenza acrobatica e da circo, esibita sul trapezio e senza rete.
La “strada” è la vita da vivere senza protezione e senza recinti, per quello che viene e succede, la vita senza la volontà di fare e di brigare e soltanto con l’estro masochistico di godere subendo e possibilmente di sopravvivere alla meglio o alla meno peggio.
La “strada” è il simbolo dell’esistenza coatta e dell’uomo coatto delle borgate brutte e senza senso, è il luogo filosofico e letterario di Heidegger, di Sartre, di Camus, è il luogo sensuale della splendida e fascinosa Juliette Greco.
La “strada” è il luogo patetico di Federico, nelle argute e variopinte vesti di Zampanò e di Gelsomina Di Costanzo, dove si consuma la violenza e l’ingenuità con la stessa drammatica indifferenza del conte Ugolino.
La “strada” è il “topos” della buona democrazia quando si sposa con la capricciosa anarchia: Rousseau e Bakunin in congresso e senza Grilli in testa.
La “strada” è un succulento teatro dove far giostrare i migliori simboli della nostra esistenza e della cultura che ci ha impregnati, nostro bengrado e nostro malgrado.
E così, cari marinai, Oneiro si trova “per strada”, nel coacervo delle simbologie suddette e in un momento specifico della sua vita e del suo vivere, si ritrova dentro la sua esistenza psicofisica alla ricerca delle ragioni introvabili durante le crisi di senso e di significato.
E in questa “strada” sacra e laica Oneiro si lascia “rapire” da due ragazzi sessualmente brillanti e dotati di “un’Alfa 159”. La competizione e l’invidia vertono sulla sessualità e nello specifico sugli organi sessuali, sulla virilità e sull’estetica maschile, sulla potenza del motore, sulle cariche della “libido”, una “libido edipica” competitiva e intenzionata all’altro, una “libido narcisistica” intenzionata a se stesso.
Oneiro “viene rapito” da due ragazzi con una macchina di gran lusso e di gran classe, “un’Alfa 159” e non una Fiat 500. Traduco: Oneiro si perde nei suoi desideri di essere bello e possente, si perde nei suoi sentimenti di rivalità, ridestando e riesumando la sua vanità e la competizione con il padre, la prima figura maschile con la quale è entrato in contatto durante la sua infanzia e con la quale ha ingaggiato una dialettica naturalmente aspra per la sua contrastata evoluzione psicofisica.
Oneiro condensa nei due ragazzi dotati di “Alfa 159” la sua figura e la figura paterna, quel padre che nell’infanzia e nell’adolescenza ha vissuto ed elaborato durante la “posizione psichica edipica”, al fine di identificarsi al maschile e di vivere la sua autonomia evolvendosi nella “posizione psichica genitale”, quella in cui si riconosce l’altro e ci si dona anche sessualmente per andare al massimo e a gonfie vele.
“Rapito” si traduce simbolicamente “sono preso dai miei ricordi e desideri”, sono preso da me stesso e dai miei vissuti, mi perdo nelle esperienze vissute, ma soprattutto significa sono in balia delle mie emozioni e dei miei sensi.
I “due ragazzi” si traducono simbolicamente in un rafforzamento della figura paterna e della virilità, gli oggetti del desiderio invidioso.
“L’Alfa 159” rappresenta simbolicamente l’apparato sessuale, proprio per il riferimento agli automatismi neurovegetativi che lo contraddistinguono e governano. Ricordo ancora che l’autovettura richiamata è di gran lusso e di grande potenza per essere una berlina, oltretutto è una Alfa Romeo, una macchina elegante e potente che tanto si presta al simbolismo del “narcisismo” sessuale.
Ritraduco in sintesi: Oneiro è tutto preso emotivamente dalla bellezza e dalla potenza della funzione sessuale.
“Mi mettono nel bagagliaio con altre due persone. Io sono terrorizzato dall’idea di soffocare per lo spazio angusto. In realtà il cofano è molto spazioso e riesco perfino a togliermi il giubbotto.”
Il vissuto suddetto sulla bellezza e potenza della funzione sessuale è contrastato e non si snoda in maniera lineare. Il “narcisismo e l’edipico” sono rissosi coinquilini e non si sono ben spiegati e, di conseguenza, ben capiti in questo condominio aristocratico del quartiere Mazzarona in Siracusa. Si rileva che il numero “due” è presente nello spazio esterno, “due ragazzi con un’Alfa 159”, e nello spazio interno, “nel bagagliaio con altre due persone”. Il numero “due” condensa simbolicamente e di base la relazione e la coppia. Oneiro, infatti, è in relazione con se stesso, “posizione narcisistica”, e con le figure genitoriali, “posizione edipica”. Di grande interesse è l’emergere del simbolismo materno, dopo quello paterno, “nel bagagliaio”, dove Oneiro si mette e si lascia mettere da una figura materna possessiva e seduttiva. Oneiro, oltre al padre virile e prestante, oggetto degno di desiderio e d’invidia, manifesta una madre soffocante che poco concede alla libertà del figlio, una donna che non insegna e favorisce la sua autonomia psicofisica: “io sono terrorizzato dall’idea di soffocare per lo spazio angusto”. Oneiro si trova tra il padre e la madre, come da piccolo nel rifugio del loro lettone, e sta cercando le strategie efficaci e indolori per subire il minor danno psicofisico possibile da queste figure che lo supportano anche secondo i loro bisogni, meglio secondo i bisogni che il figlio individua e proietta nei suoi genitori. La parabola significa che Oneiro descrive i genitori secondo il suo evangelo in un momento evolutivo preciso, il passaggio dalla “posizione narcisistica” alla “posizione edipica”. In questo trambusto Oneiro spezza una lancia nei confronti della madre e la compone “in un cofano molto spazioso” dove riesce “perfino a togliersi il giubbotto”, a fare a meno di una quota d’affettività in sovrappiù e di una serie di difese inutili. Oneiro gestisce bene la funzione psichica materna e si conosce al punto di dispensarla nelle giuste dosi e senza maturare danni.
“Riesco a tirare fuori il busto come se fossi nei sedili posteriori ed inizio a parlare con i rapinatori. Non ricordo di cosa parlavamo precisamente, ma ricordo di aver fatto in modo di far loro capire che avevo bisogno di respirare meglio.”
Decodifico subito per una migliore chiarezza: “riesco a liberarmi in parte dalle dipendenze psicofisiche materne e ad assumere il mio ruolo di figlio per passare all’elaborazione della figura paterna e al mio “complesso di castrazione”, un “fantasma” maturato nel vissuto conflittuale del padre per l’appunto. Oneiro ha sistemato alla bene meglio la madre e può passare “a parlare con i rapinatori”, a elaborare quella “parte psichica di sé” che lo lega in maniera ambivalente al padre, a risolvere la sua “posizione edipica” in riguardo al versante maschile, il “topos” verso il quale dovrà orientare la sua identità psichica tramite un’operazione contrastata d’identificazione. Oneiro è consapevole del bisogno di autonomia psicofisica, “bisogno di respirare meglio”, non nega o rifiuta il padre, ma gli chiede una collocazione discreta e non invasiva. Insomma, Oneiro è in piena risoluzione della sua “posizione edipica” e, nello specifico, si trova nella “strada” che porta al riconoscimento del padre dopo averlo ucciso e onorato, dopo aver reagito con aggressività per maturare il senso di “castrazione”, dopo aver reagito con remissività per maturare il bisogno affettivo di dipendenza. E così Oneiro è cresciuto e si è guadagnato i galloni di un figlio che riconosce il padre e la madre e può degnamente guardare narcisisticamente all’evoluzione del suo “Io”, quell’amor proprio che non guasta mai e che non si deve smarrire anche percorrendo le “strade” più impervie dell’esistenza.
“A questo punto si avvicina alla macchina un pedone che chiede informazioni. L’autista prende una pistola e gli spara due colpi al petto. Quindi scappiamo.”
Purtroppo la “strada” presenta qualche buca di troppo e la “via” regolare non è così spedita come nel finale dei film più belli. Tutta colpa di un volgare “pedone” che “si avvicina” per chiedere “informazioni”. Oneiro non è convinto di sé e della sua persona, soprattutto non è sicuro della sua formazione sessuale. Avverte con animo perturbato e commosso che fuori dalla “macchina” qualcosa non gira bene e che gli affetti non si coniugano a dovere con l’esercizio della “libido”. La “macchina” è in distonia e opposizione con la “deambulazione”, l’esercizio del vivere nella quotidianità. Ed è anche tutta colpa “dell’autista”, del padre e dell’Io di Oneiro, se l’organo sessuale, la “pistola”, allargata alla vitalità erotica, se ne impipa dell’esercizio affettivo, se il sentimento d’amore esula dalla pulsione aggressiva e dall’attrazione sessuale. Oneiro non ha maturato il “narcisismo” nella “genitalità”, è rimasto fermo al conflitto “edipico” e alla competizione funesta con il padre e, per risolvere la sofferta psicodinamica, è regredito alla “posizione psichica narcisistica”, ha rielaborato il culto di sé e della sua potenza virile: io non mi innamoro e non mi lego, tanto meno mi dono. Oneiro è continuamente in fuga da se stesso e dal coinvolgimento affettivo, dal momento che privilegia se stesso e la propria immagine virile. La “posizione edipica” è stata risolta a metà e non è stata portata a buon fine: “l’autista spara due colpi al petto” e poi fugge. Oneiro rifugge e il suo “Io” dispone la strategia del non coinvolgimento per difesa: meccanismo psichico del “disinvestimento”. Oneiro evita in tal modo “l’angoscia di castrazione” e persiste nel nulla risolto e nel tutto rimandato. La pena è la mancata crescita umana, più che sessuale.
“Dopodiché spara ancora ad un altro pedone e continua a scappare. Mi fa vedere la pistola ed insieme al suo complice mi consiglia di stare in silenzio altrimenti fa fuori anche me.”
La sparatoria continua come nei migliori film western degli anni cinquanta a marca americana “L’autista”, ormai, è un conclamato assassino di incauti pedoni che si avvicinano per avere quelle informazioni o, meglio, quelle giuste consapevolezze su quello che sta accadendo nella “strada” e nei suoi dintorni. Oneiro vuole “sapere di sé” e dei suoi trascorsi psichici che si stanno riverberando nella sua attualità esistenziale e manifesta apertamente che la psicodinamica “edipica” non è ancora risolta e che tende a ripresentarsi sul suo elegante teatro psichico. L’Io di Oneiro tende alla fuga, usa meccanismi psichici di difesa dall’angoscia, come “l’evitamento” e “l’isolamento”, che equivalgono a “disinvestire” e a “spostare la libido”, a richiamare la “posizione psichica narcisistica” e “anale” e a scaricare aggressività sul mondo umano in cui vive e che lo circonda. Si conferma la tesi che Oneiro non progredisce verso la “posizione genitale”, ma inverte la rotta e regredisce a espressioni psichiche vissute e sperimentate. Non è, di certo, vietato istruire queste operazioni difensive, ma non è la giusta e proficua evoluzione psichica semplicemente perché Oneiro sposta la conflittualità dalle figure edipiche dei genitori alle figure che popolano il suo mondo sociale e alle relazioni importanti. Oneiro è sempre con la pistola in pugno, pronto a sparare e a fuggire per non incorrere nella punizione della legge e dei carabinieri, del suo “Super-Io”. La complicità con se stesso è la conferma della bontà temporanea della strategia difensiva. La condivisione comporta la persistenza nell’errore e nell’angoscia di perdere i pezzi della sua funzione sessuale: “insieme al suo complice mi consiglia di stare in silenzio altrimenti fa fuori anche me.” Il “silenzio” non è quello degli innocenti, ma quello degli psicoastenici, le persone che vivono la debolezza psicofisica come sindrome di convenienza, che conoscono il segnale del prevalere dello svantaggio sul vantaggio, che sanno che lo svantaggio si “sublima” in un vantaggio finale tramite l’attenuazione dell’angoscia del coinvolgimento e degli investimenti di “libido”. L’immaturità psichica da mancata risoluzione della “posizione edipica” e “regressione” alla “posizione narcisistica” con tinte “anali” e in evitamento della “posizione genitale” è la psicodiagnosi del sogno di Oneiro. Questa strategia psichica non fa vivere male, ma non è il massimo della goduria, è sempre un vivere nell’incompletezza e nella precarietà della solitudine.