
RIASSUNTO DEL SOGNO PRECEDENTE
Saba sogna a matriosca, un sogno dentro l’altro, ma sicuramente un sogno dopo l’altro e ricorda questo suo meccanismo e questa sua modalità di sognare proprio perché l’intensità del sonno REM è media. Saba è mezza sveglia verso la fine del sogno e consapevolmente lo riprende e riparte per una nuova avventura onirica attinente. Saba è una donna che possiede una ricca vitalità onirica a conferma di una altrettanto ricca vita psichica e di una notevole disinibizione nel trattare i suoi prodotti psichici. Nel sogno precedente Saba aveva elaborato il suo bisogno di maternità e la sua difficoltà a diventare madre per un problema legato al compagno e per qualche trauma che la riguardava direttamente. Non erano presenti sensi di colpa, ma era rappresentata chiaramente la dinamica della fecondazione e l’esito infausto per l’insufficienza di seme, oligospermia e necrospermia. Vediamo dove va a parare il sogno della matriosca successiva.
LA TRAMA DEL SECONDO SOGNO DELLA MATRIOSCA
“A questo punto mi affaccio ad un poggiolo e guardo dall’alto la prima scena del mio secondo sogno; vedo la figlia del mio compagno che sta festeggiando il suo compleanno all’aperto, con tantissimi invitati.
Adesso ho ricordi confusi, ma so che c’erano un sacco di letti matrimoniali. Io non scendo, resto a casa con il mio compagno e intanto si fa sera.
Riappare mia sorella e ci mettiamo a parlare del senso della vita.
Entra la figlia del mio compagno e mia sorella la convince ad ascoltare una canzone di Tiziano Ferro (inventata all’uopo dalla mia mente arzigogolata) che nel titolo ha la parola “Iromia”, con la emme al posto della enne.
Mia sorella spiega con fervore che Ferro ha dimostrato una grande sensibilità ad inserire l’uso dell’aggettivo possessivo nel termine ironia.
Ascolto anch’io la canzone, ha delle belle parole, le conosco e canto, anche se al risveglio non le ricordo.”
L’INTERPRETAZIONE DEL SECONDO SOGNO DELLA MATRIOSCA
“A questo punto mi affaccio ad un poggiolo e guardo dall’alto la prima scena del mio secondo sogno; vedo la figlia del mio compagno che sta festeggiando il suo compleanno all’aperto con tantissimi invitati.”
Saba si stacca dal coinvolgimento con la problematica dialettica della maternità contrastata e impedita e si mette in un punto di osservazione sublimato dove può portare avanti, al meglio e senza sofferenza, i temi dominanti in questa notte a sogni multipli. “Guardo” si traduce in “prendo coscienza” e “dall’alto” si traduce “sublimo”. Saba non cade nell’angoscia depressiva legata alla perdita della capacità di procreare e usa la “razionalizzazione” per giustificare a se stessa questo momento critico e questo rospo non facile da ingurgitare. All’uopo mette le sue energie al servizio di se stessa e degli altri e travalica l’aspetto materiale della maternità come esperienza vissuta, magari legandosi affettivamente alla figlia del compagno. Tanta gente sotto il poggiolo e all’aperto festeggia lo scorrere del tempo di una giovane donna su cui Saba investe le sue energie amorose e solidali. Saba si è staccata da gran signora dalla gente e si è posta in un poggiolo, in una sua nicchia in alto da dove osserva una figlia adottiva e la gente che le fa festa. La soluzione è buona e verte tra consapevolezza e sublimazione. Saba contempla.
“Adesso ho ricordi confusi, ma so che c’erano un sacco di letti matrimoniali. Io non scendo, resto a casa con il mio compagno e intanto si fa sera.”
La confusione è giustificata dall’angoscia che il tema onirico suscita. Vuol dire che la “rimozione” della delicata e traumatica psicodinamica funziona a metà e il materiale psichico che emerge e sfugge al carcere della “rimozione” combina la trama del sogno camuffandola in maniera adeguata tramite il meccanismo psichico di difesa della “figurabilità”, dare la giusta immagine simbolica al materiale emerso per non farlo riconoscere. Infatti i tanti “letti matrimoniali” attestano la psicodinamica della coppia nell’intimità sessuale, quando il maschile e il femminile s’incontrano per fondersi nelle prerogative naturali inscritte negli organi. Ma Saba sa tutto questo e non è una novità che la sconvolge, è una situazione da cui si astiene senza fuggire ma con lo scoramento depressivo di chi non può partecipare alla pari al convegno dei maritati in procinto di combinare guai procreativi e trasgressioni erotiche. Saba non scende e resta in alto e in casa insieme al suo compagno di viaggio in questa impresa teatrale che mette in scena una psicodinamica di coppia tra le tante che incorrono nei sentieri della vita e del vivere. Saba vive la sua coppia in maniera appartata e anomala per pudore e per rabbia. Lei non scende nella materia e nella materialità della sessualità e della fecondazione per adire a una gravidanza, simbolo del letto matrimoniale, Saba sublima la sua “libido” e la mette al servizio della sua sensibilità di donna che assorbe quello che impara e lo fa suo. “Intanto si fa sera” rievoca il verso del poeta Salvatore Quasimodo della brevissima poesia “Ed è subito sera”, un poeta immeritatamente riconosciuto come Nobel. Intanto Saba abbassa la vigilanza della coscienza, si obnubila in uno stato “spleen”, la milza greca funziona producendo bile nera che porta inquietudine e malinconia. Stasera non esco e “resto a casa con il mio compagno”: l’associazione fa la forza e la condivisione porta coraggio.
Ma cosa condividono i due?
“Riappare mia sorella e ci mettiamo a parlare del senso della vita.”
I due sublimano con le discussioni filosofiche il trauma occorso alle singole persone e alla coppia. Possono scrivere un nuovo trattato sul “De consolatione philosophiae”” come se non bastasse già quello di Severino Boezio. Oppure si mettono in sintonia con le drastiche teorie dell’Esistenzialismo francese, quelle di Sartre e di Camus, dal momento che prediligono la lingua francese per quel sapore erotico che si porta dentro e dietro. La “sorella” “riappare”, riappare l’alleata onirica, quella persona su cui Saba può proiettare le sue angosce e portarle avanti in sogno e che magari stima come una valida interlocutrice di temi astratti e altamente inutili come quelli “del senso della vita”. Saba sta dicendo che arriva sua sorella e si mettono a parlare tanto per parlare, a parlare per niente. Certo bisogna considerare quanto la parola e il parlare aiutano a scaricare e a comunicare, a capire e a sedare.
Potere terapeutico del Verbo e potere taumaturgico del Verbalizzare!
Bisogna riformulare le ragioni del vivere attraverso il parlare per cicatrizzare le ferite e ripartire verso le avventure che incorrono facilmente a chi si muove e va in giro per il mondo anche se crudele. Vediamo, a questo punto, dove va a parare la matriosca onirica 2 di Saba.
“Entra la figlia del mio compagno e mia sorella la convince ad ascoltare una canzone di Tiziano Ferro (inventata all’uopo dalla mia mente arzigogolata) che nel titolo ha la parola “Iromia”, con la emme al posto della enne.”
La situazione sociale si complica per motivi di ordine psichico e Saba introduce la figlia del compagno, quella che all’inizio del sogno festeggiava il compleanno con tantissimi invitati e con tanti letti matrimoniali, quella giovane donna ricca di tante promesse e di tante virtù che Saba vive con un’ambivalenza affettiva di un certo spessore e che guardava dal poggiolo in alto della sua casa. Anche la sorella continua a fungere per Saba, alleata che, oltretutto, arzigogola una canzone inesistente del cantante Tiziano Ferro, un testo che nel titolo contiene la soluzione del quadro psicodinamico: “iromia”. Saba dice a se stessa tramite la sorella e la figlia del compagno di usare il metodo socratico della “ironia” e della “maieutica” per conoscere se stessa, di effettuare una buona “razionalizzazione” della propria condizione psichica attraverso la perdita delle false certezze e l’acquisizione delle nuove verità, quest’ultimo punto attraverso un parto di “parti di sé”, valori culturali e virtù sociali.
Ma perché Tiziano Ferro e non Tony Santagata o Albano e Romina, immarcescibili come il fiore che non marcisce alla porta della chiesa prima del funerale?
Tiziano Ferro è vissuto come il cantante dell’intimità e dell’interiorità attraverso un’espressione linguistica semplice e non banale e che non manca di una vena futuristica. Saba è tutta presa da se stessa e dai suoi “fantasmi” in riguardo alle sue maternalità e maternità, nonché dalla sua tendenza a isolarsi nella ricerca della risoluzione, solipsismo. In ogni caso Saba sa bene quali sono le cose giuste, quelle che deve fare: la tensione alla “coscienza di sé”.
“Mia sorella spiega con fervore che Ferro ha dimostrato una grande sensibilità ad inserire l’uso dell’aggettivo possessivo nel termine ironia.”
Saba si proietta nello schermo gigante della sorella alleata e rende ragione della grande sensibilità necessaria alla pratica socratica del “conosci te stesso”, basata come si diceva prima sulla “ironia” o destrutturazione psichica e sulla “maieutica” o parto delle prime verità sempre sul tema universale del “chi sono io”. L’aggettivo possessivo “mia” associato a “ironia” equivale a “destrutturo me stessa”. L’assonanza o fenomeno fonetico della “crasi” o “sincrasi” consiste nel mettere insieme due parole combinando la fine della prima con l’inizio della seconda. E’ questa l’operazione fonetica che mette in atto Saba per dire a se stessa che conosce la metodologia socratica e la metodologia personale psicoterapeutica della destrutturazione o perdita delle “resistenze” che impediscono l’afflusso del materiale profondo rimosso e del parto delle prime note psichiche della vera identità. Brava Saba che con la sua sensibilità onirica ha tirato in ballo Tiziano Ferro, un cantante sicuramente a lei gradito, per parlare di sé e delle sue pratiche psicologiche. I meccanismi di difesa dello “spostamento” e della “traslazione” sono abbondantemente usati come lo zenzero in cucina.
“Ascolto anch’io la canzone, ha delle belle parole, le conosco e canto, anche se al risveglio non le ricordo.”
Come volevasi dimostrare, Saba ascolta la canzone che ha inventato creativamente sulla falsa riga del suo stato esistenziale di donna sensibile ai valori psico-culturali della coppia e della maternità, elogia l’estetica delle parole e innalza un inno alla bellezza, dimostra di conoscere il testo come da copione e di saperlo cantare nelle giuste modalità di voce e di postura della sua ugola d’oro. Ha composto in sogno la poesia che al risveglio regolarmente non ricorda perché era troppo bella.
Peccato che le cose belle e i sogni debbano sempre finire!
Saba conclude il secondo sogno a matriosca con la piena consapevolezza delle sue psicodinamiche e precisa anche il metodo psicoterapeutico che segue, quello più antico e vicino al Buddismo, la metodologica socratica.
Al sogno di Saba si può apporre una composta italica “fine” o un freddo americano “the end”.