
TRAMA DEL SOGNO
“Andavo a fare una camminata. Il tempo era nuvoloso, le strade erano bagnate perché aveva appena piovuto.
In un punto un fosso era straripato.
Ho proseguito preoccupata, ma ad un certo punto l’acqua saliva dappertutto inondando la strada.
Ho cominciato a correre verso casa impaurita.
Sentivo, però, che qualcuno mi stava inseguendo. Quando mi sono voltata indietro, un uomo alto mi ha afferrato stringendomi.
Terrorizzata ho provato a urlare, ma dalla bocca non usciva nessun suono.
Mi sono svegliata urlando.”
Miriam
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
Domanda: chi di voi non ha mai sognato, anzi, non ha mai vissuto l’incubo di essere inseguito, di essere afferrato, di essere terrorizzato e di urlare senza emettere alcun suono?
La risposta è la seguente: tutti abbiamo fatto questo sogno.
Altro giro e altra domanda: chi di voi non si è mai svegliato gridando?
La risposta è la seguente: tutti ci siamo svegliati gridando.
Il sogno di Miriam, incubo incluso, è universale semplicemente perché è il prodotto psichico classico della “posizione psichica edipica”, della conflittualità con i genitori, della competizione con la madre e della seduzione del padre per quanto riguarda la figlia, della competizione con il padre e della conquista della madre per quanto riguarda il figlio. Universalmente siamo figli di padre e madre. I Latini dicevano che “mater semper certa est, pater nunquam” in grazie alla gravidanza e al parto e ammiccando sulla correttezza seduttiva e operativa della madre. Anche in assenza di padre e madre avviene il miracolo “edipico”, una “posizione” psichica evolutiva e altamente formativa. Essa viene vissuta ed elaborata dai quattro anni in poi e si trascina per quasi tutta la vita con alterne vicende tra l’onore, l’amore, il riconoscimento da portare ai genitori. Il bambino andrà dagli Appennini alle Ande per ritrovare l’amato Bene di una Madre, così come la bambina non sarà e farà da meno senza ricorrere a tanti trasferimenti orografici e allo spreco di tante utili energie.
Andiamo avanti con l’interpretazione del sogno di Miriam, meglio, con l’interpretazione del sogno di tutti quelli nati da madre e padre sotto la volta celeste.
“Andavo a fare una camminata. Il tempo era nuvoloso, le strade erano bagnate perché aveva appena piovuto.”
Miriam cammina e fa camminate, vive e osserva la vita. Questa donna è una fine indagatrice di se stessa e del mondo che la circonda, dei suoi umori e delle sue risoluzioni. Miriam non sta vivendo una buona contingenza esistenziale e la sua capacità introspettiva non l’aiuta, anzi le rema contro, così come la sua abilità a leggere gli altri e i segnali della gente non la sostiene nel verso auspicato. Le nuvole coprono il sole e offuscano il cielo: la lucidità mentale è in crisi. Non sempre si può e si deve ragionare e, allora, ben venga la pioggia che bagna “le strade” e le connota al femminile. Chi cammina cerca e anche con il cattivo tempo si possono fare eccezionali scoperte. Quando il sole è coperto, Miriam procede verso gli eventi che prepara e costruisce. Pensiero e azione si coniugano in lei in maniera proficua, come nell’azione sovversiva di un affiliato alla Giovine Italia. Aggiungo per amore della pace che la creatività non manca nel crepuscolo dei figli degli dei, gli uomini.
“In un punto un fosso era straripato.”
Tanta madre tracima dal Profondo psichico, emerge dagli argini del canale fino a straripare: tanta madre e tanta femmina, tanta madre e tanta femminilità. Il sogno di Miriam si orienta verso l’esaltazione univoca dell’universo femminile ed eccede nell’allagamento del terreno circostante imbevendo le zolle di un’energia “genitale”. Dentro Miriam si profila la figura materna ed emerge con tutta la sua naturale energia inondando la personalità, i modi della donna e le modalità femminili. Da qualche parte e all’improvviso le scappa la mamma, a suo tempo introiettata per bisogni di identificazione psichica, e si profila la consistenza di un’operazione difensiva, sempre a suo tempo, salvifica: “io sono come la mia mamma e posso andare nel mondo con i miei connotati precisi e gentili”. Di tanta madre si vive, di troppa madre si muore: energia e identità si scontrano con la necessità dell’autonomia psicofisica.
Quante madri hanno ingabbiato le figlie?
Tantissime.
Trascuro il tragico risultato in riguardo ai figli, perché meriterebbe un trattato di ottocento pagine.
“Ho proseguito preoccupata, ma ad un certo punto l’acqua saliva dappertutto inondando la strada.”
La vita va e avanza con l’energia e la finalità che ogni figlia ha succhiato dal seno materno e ha maturato nel corso delle esperienze e dei travagli occorsi. La preoccupazione è a metà affanno e desiderio in una cornice d’attesa. Miriam sente la madre “dentro” venire “fuori” con quella forza che necessita al fine di essere utile. La figlia acquista la progressiva consapevolezza di quanto a suo tempo si è “imprittata” della figura materna, di quanta madre ha ingoiato e di quanta madre ha vomitato man mano che il prosieguo del cammino della vita si intervallava con le camminate della riflessione. Miriam “sa di sé” proprio in riferimento alla figura materna in un momento significativo e particolare della sua vita e della vita di lei. La sua vita è invasa dalla madre proprio quando quest’ultima offre il destro per l’impugnazione della causa di fronte al tribunale dei diritti delle figlie bambine. E Miriam risponde da perfetto avvocato che sa difendere le sue cause. Certo che l’inondazione della “strada” attesta di una emergenza materna veramente architettonica. Miriam è avvolta dalla madre, una donna che emerge imperiosa come Afrodite dalle acque del mare Ionio dopo essere stata formata dal seme di Urano e dalla schiuma dell’acqua salata.
Le bambine sanno come in certe circostanze dell’evoluzione psicofisica “sa di sale lo pane altrui”, specialmente se è quello materno, semplicemente perché non viene offerto al momento giusto per superficialità difensiva dell’augusta genitrice.
“Ho cominciato a correre verso casa impaurita.”
Miriam ha paura dell’invadenza psicofisica materna per cui è rientrata in se stessa, si è chiusa in una difesa introspettiva alla ricerca di dare senso e significato al volto materno che si stava profilando dentro di lei, al come e al quando qualcosa era sfuggita dalle sue maglie per andare chissà dove in quel chissà quando. La paura riguarda sempre un qualcosa di reale e di visibile, altrimenti si chiama angoscia e viene dopo il panico. Miriam ha paura di non aver bene riconosciuto e sistemato dentro la madre, quella figura importante che l’ha sostentata e dalla quale ha attinto le energie buone per evolversi nel corpo e nella mente. Questo ripiego verso “casa”, questa fuga dentro se stessa è una difesa psichica intesa a reperire la ragione di tanto conflitto con la madre e di tanta paura di lei. Del resto, l’invadenza materna è stata consentita dalla figlia, per cui Miriam sa che non può mancare alla prova della presa di coscienza di tanto trambusto del corpo e della mente. La domanda utile in questa contingenza del sogno è la seguente: cosa è successo fuori di Miriam per avere tanta eco dentro?
“Sentivo, però, che qualcuno mi stava inseguendo. Quando mi sono voltata indietro, un uomo alto mi ha afferrato stringendomi.”
Il padre, il padre “edipico” in prima fila!
Nel teatro psichico di Miriam dopo tanta Madre esordisce il Padre nella veste anonima di “qualcuno”. Miriam non può guardare in faccia il padre, altrimenti si sveglia perché il “contenuto manifesto” del sogno coincide con il “contenuto latente” e scatta l’incubo come difesa psicofisica. E se poi questo “qualcuno mi stava seguendo”, meglio. Se poi Miriam si fa inseguire da questo qualcuno senza volto, completamente anonimo come in un film di Hitchcock, la figura paterna da anonima diventa enigmatica. E se poi questo “qualcuno” che “mi sta seguendo” è “un uomo alto” che mi afferra “stringendomi”, come in un film di Dario Argento, ebbene, allora si tratta di un padre anche violento, meglio immaginato e vissuto tale dalla figlia Miriam. Quest’ultima, del resto, si è “voltata indietro”, simbolicamente si è rivolta al suo passato e ha ripescato la sue relazione “edipica” con il padre, i suoi vissuti per lungo tempo sperimentati nell’infanzia in riguardo alla figura dell’augusto genitore, “un uomo alto” come tutti i padri agli occhi e secondo il linguaggio simbolico dei figli piccoli. Anche secondo i desideri e i bisogni dei figli il padre è “alto” perché aristocratico e carismatico, un padre sublimato che assolve le mansioni semplici di garantire la sopravvivenza dei figli, di Miriam nel nostro caso. Anche un padre fisicamente basso è altissimo per i suoi figli. Eppure questo padre, che protegge e detta le regole del gioco, è soprattutto l’oggetto oscuro del desiderio e dell’angoscia dei figli, l’oggetto ambivalente della funzione fantasmica, l’oggetto immaginato dai sensi e indagato dalla modalità “primaria” del pensiero infantile. E come ogni buon “fantasma” il padre si scinde nella “parte buona”, quello che protegge, e nella “parte cattiva”, quello che punisce. Fondamentalmente resta una figura buona perché non divora i figli e non distrugge il proprio seme. Non è il gran sacerdote di Thanatos ed è distante dalla brutta Morte. Miriam sogna il padre amato e odiato, l’uomo che ha desiderato e temuto, sedotto e abbandonato. Miriam è partita dalla madre per concludere il suo viaggio “edipico” con il padre. Possibilmente la madre è stata la causa scatenante del sogno e dopo la partenza al femminile la figlia ha naturalmente evocato il padre nella sua nobiltà e nella sua plebea consistenza. E pensare che Miriam bambina desiderava essere stretta dal padre con tenerezza, quella stessa Miriam bambina che si puniva convertendo nell’opposto il suo istinto e il suo desiderio e facendosi punire dal padre giudice e censore. Miriam adulta ha possibilmente razionalizzato la figura paterna e l’ha riconosciuta, nel bene e nel male, come la sua ineffabile origine naturale, la radice psico-bio-socio-culturale.
“Terrorizzata ho provato a urlare, ma dalla bocca non usciva nessun suono.”
E’ il solito, universale, classico thriller: un uomo che ti insegue e l’urlo che non viene fuori dalla bocca.
Che non sia coinvolto anche Munch in questa operazione di scarico delle angosce edipiche e familiari?
L’urlo scarica la tensione nervosa accumulata durante il sogno e legata alla relazione ambigua e ambivalente con le figure genitoriali e, nello specifico, con la figura paterna. Quest’uomo vuol punire Miriam del suo interesse psichico e delle sue pretese di possesso. Meglio: Miriam espia i sensi di colpa legati all’espansionismo incestuoso nei riguardi del padre e alla competizione impari con la madre. Infatti, il sogno di Miriam parte dalla figura materna come causa scatenante per approcciarsi in maniera inequivocabile nel legame erotico e affettivo con la figura paterna.
Ma perché dalla bocca non esce mai “nessun suono” quando ci si trova in similari condizioni?
Tecnicamente perché, se si grida, si scaricano le tensioni e si può continuare a dormire e a sognare. Psicologicamente perché, se si grida, la psicodinamica “edipica” può essere portata avanti fino agli ulteriori e delicati vissuti. Miriam era satura delle tensioni legate alla sua “posizione psichica edipica” e il suo sistema psichico ha detto basta all’inquieto onirismo. Miriam è ancora giovane nel suo complesso di Edipo semplicemente perché si ripresenta senza mai definitivamente comporsi a livello emotivo e a livello razionale. Anche se nella vita da sveglia Miriam ha riconosciuto il padre e la madre, ottemperando al principale comandamento greco mitico e psicoanalitico, nella vita da dormiente conserva questo strascico benefico di una vitalità erotica e affettiva che ancora aspira a un suo appagamento anche traslato e a una sua compensazione anche questa traslata magari in altre figure del quotidiano e corrente vivere.
“Mi sono svegliata urlando.”
Il “contenuto manifesto” era talmente tensivo e prossimo al “contenuto latente”, lo stress onirico era forte e di lunga durata, per cui il risveglio è salutare una volta raggiunti i termini della sopravvivenza e non esplodere dietro le sferzate della tensione nervosa. Non sto esagerando, meglio, sto esagerando per far capire che l’urlo è catartico come il risveglio ed è direttamente proporzionale alla carica nervosa d’angoscia accumulata nel formulare la trama del sogno. Dall’intensità dell’urlo si può misurare l’energia messa in moto e andata in prospera circolazione. Ma non basta. Dall’intensità nervosa dell’urlo si può valutare soprattutto l’intensità libidica della “posizione edipica”, quanto ancora resta in ballo della conflittualità con il padre e la madre in questa avventura delle umane passioni e in questa disavventura delle filiali pretese.
Questo e quanto.
L’interpretazione del sogno di Miriam si può acquietare.