
Quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
dopo aver attraversato il Mongibello,
il grembo infuocato di cui tutti siamo figli,
quello che da sempre fa cenere e lapilli,
quello che scaglia pietre nere agli uomini codardi
e faraglioni ai miti forestieri nel blu del mare Ionio,
quello da cui vergine immacolata nacque Afrodite
con il suo primo fecondo sorriso,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
dopo questa Kaaba siciliana,
insozzata dai perfidi sacrilegi delle dee Madri,
dai sordidi segreti dei Beati Paoli,
dai codardi riti dei Padrini,
da don Pirrone e don Batassano,
da padron Toni e Bastianazzo,
dalla Longa e la Lupa,
da donna Lola e cumpari Turiddru,
da Maria Lavava e Santuzza Minnipriu,
da Ciccino Cirinciò, quello del mulino,
dopo,
dopo il cimelio mitico e oscuro dell’Aìtne
che brucia i suoi eterni anni e i malcelati martiri,
dopo questo instancabile e bonario Vulcano,
ombelico osceno di nostra Madre Terra corporale
e dei suoi sotterranei cordoni incandescenti
che dai gradoni dei monti Climiti dell’ameno Carancino
arrivano al regno di Partenope,
passando per lo Stromboli
e riposando dolcemente nei Campi Flegrei,
dopo questo grembo sanguinante di intricati effluvi
che lentamente vanno verso il mare
come una greggia che ripete la favola bella
della metamorfosi del magma primordiale in pezzi di vita,
dopo l’orgoglio del Caos compiaciuto nella nera lava,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
dopo aver bussato con buonagrazia alla spelonca di Polifemo,
il Ciclope che ancora vaga per gli eterni pascoli con i suoi montoni
e che con un solo occhio domina l’orizzonte dei migranti
scorazzando con lo sguardo indomito
da Scilla a Cariddi e da Cariddi a Scilla
in attesa di un altro assurdo Ulisse
da impalare come un trappista convertito ai Catari,
dopo quell’Ulisse,
dopo quell’uomo che ancora cerca qualcuno con la lanterna,
dopo Diogene il greco,
dopo Archimede che assaggia la Natura
e grida il suo eureka in ognidove d’Ortigia
dopo aver saputo di un punto d’appoggio
a favore degli inetti di buona volontà,
quella leva che solleverà il mondo
fin dove Ercole pose li suoi riguardi
a che l’uom più oltre non si metta,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
dopo la terra dei misteriosi Sicani
e del mare che sta in mezzo,
là sulle irte scogliere dove le Sirene depongono il canto,
come le gabbianelle di primo uovo,
per lo sciocco marinaio infoiato di natural lussuria,
prima e dopo il folle volo
e infin che il mar fu sovra lui richiuso,
dopo,
dopo gli esuli Corinzi
delle doriche colonne e dell’umana polis,
dopo le stravaganze giuridiche dei violenti Romani,
spocchiosi e arguti per quello che alla Patria basta,
dopo i mosaici decadenti di Bisanzio
e i limoni portati in dono dagli Arabi
ai miseri braccianti di Avola e Pachino,
dopo i leziosi Francesi,
gli infingardi Spagnoli,
i monolitici Tedeschi,
i lassisti Borboni,
gli indolenti Savoia,
dopo gli ineffabili Italiani
e prima dell’amore di Federico lo svevo,
l’uomo mandato dal dio della Bellezza
a mostrare il morire della Morte,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
ancora dopo l’alcova mistica e carnale di Ades e Persefone,
gli dei innamorati degli oscuri anfratti e dei verdi prati,
sempre in vena di consumare sei semi di melograno in sei mesi
per dare vita alle messi di Demetra,
per dare un senso al logoro morire di un uomo
che sta tra il cielo e la terra e nel nulla più,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
dopo che Eros e Thanatos si sono baciati con Pathos,
dopo tutto questo e altro ancora che dirti non so,
la Pietra bianca ci verrà incontro nella luce
solcata dalle acque tormentate di Anapo,
colui che si occulta alla vista,
il demone che non ha più occhi
per vedere l’amato bene,
la ninfa Ciane
che nelle notti di Aprile ancora grida vendetta,
la donna aggrappata al cocchio di metallo temprato di Ades
per impedire il ratto della sua Persefone,
per trattenere il dio perfido dall’infamia sulla bella donna,
Ciane,
la femmina percossa dal vanitoso scettro di un uomo
e immantinente disciolta in acqua sorgiva,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
quando sentirai il lamento innamorato di Anapo
scendere da Pantalica come acqua di fiume
per incontrare Ciane,
acqua con acqua in un amplesso di carnali umori,
dopo,
dopo che la pietà di Persefone
ha condensato in chiare perle turchine di sonante acqua,
nel profondo oscuro di ogni uomo
l’eterno replay della vita e della morte,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
dopo che vedrai Aretusa finalmente e per sempre,
congiunta con Alfeo tra i papiri della fonte
dove Artemide ha posto i confini dell’eterno invisibile
per l’amata ninfa discesa nuda nelle acque fresche di Alfeo,
bella tra le belle
e appetita nella sua innocenza dal figlio del dio Oceàno,
e l’ha avvolta in una nuvola
per lasciarla cadere pioggia in quella fonte
dove ancora si bea con Alfeo
dei favori della dea e della forza del padre pietoso
che vede il figlio migrare per amore
tra le sponde dell’illustre mar Ionio,
quando arriveremo a Siracusa nella luce,
dopo,
dopo che sentirai la rabbia di Archimede
scagliarsi contro quel miles gloriosus
che tangeva i circoli
che con grazia e arguzia aveva spianato sull’arenile di Ortigia
nella ricerca di un punto d’appoggio
per i suoi sogni di bambino curioso,
dopo che ascolterai il pianto del console Marcello
per quella mente anzitempo spenta
dalla furia omicida di un bieco romano assassino,
dopo,
quando la Pietra diventerà più bianca,
allora,
soltanto allora saremo arrivati a Siracusa nella luce,
in Pietrabianca,
nel vallone Carancino,
là dove Anapo ancora scompare
nella gola che lo porta al mare nel liquido grembo di Ciane,
là dove Aretusa e Alfeo ancora amoreggiano
nella fonte senza tempo tra i ciuffi dei papiri egizi
che Iside ha regalato ai felici amanti,
soltanto allora e dopo tutto questo
saremo arrivati a Siracusa nella luce,
nel luogo sacro della mega-kalo-gakathia,
dove la Morte grande, bella, giusta e buona abita
nei corpi di gente indolente e accidiosa
che ancora s’inebria con l’oppio della Bellezza altrui,
che ancora recita il mitico
“c’era una volta a Corinto, in Grecia”
e dopo,
dopo che avrai contemplato l’umana trinità
nel tempio greco di Athena,
nella moschea araba di Allah,
nella chiesa cristiana di Lucia,
dopo tanta incurante e sonnolenta Bellezza,
allora saremo veramente arrivati a Siracusa nella luce,
e soltanto allora potremo dire “ben venga il Nulla”,
il Nulla eterno,
il Nulla più,
a che non si possa più dimandare
perché tutto è stato visto nella luce,
perché tutto è stato contemplato senza nascondimento.
Belvedere di Siracusa, 10 luglio 2020 Salvatore Vallone