
“Tutta sfolgorante è la vetrina,
piena di balocchi e profumi,
entra un dì la mamma e il suo bambino
tra lo sfolgorio di quei lumi:
“comandi signora,
ciprie e colonie coty”.
Da bambino volevo comprarti un cane,
un pastore tedesco,
per difenderti da tutti i mali del tempo e della storia,
perché si accucciasse sui tuoi piedi sopraffini di donna pensierosa
e li scaldasse nelle giornate di tramontana e di scirocco,
affinché ti fosse fedele nel tempo e nella storia
come un soldatino solerte e ubbidiente del ‘99,
come avrei voluto essere io per te.
Da bambino volevo comprarti una scimmietta,
uno scimpanzé africano,
per farti ridere di tutto e di niente
quando i tuoi pensieri da soavi diventavano severi
e le ciglia si aggrottavano dentro le orbite dei tuoi trasognati occhi neri,
quasi come prima di piangere,
uno scimpanzé dispettoso per farti ridere di tutto e di niente,
come avrei voluto essere io per te.
Da bambino volevo comprarti una saponetta,
una saponetta al gelsomino,
Lux o Palmolive o Camay,
perché odorassi di quella dolce essenza nel bene e nel male,
dopo il risveglio e prima del sonno,
dopo la realtà e prima del sogno,
una saponetta profumata tutta per te.
L’avrei comprata nel mercato di Ortigia,
nel luogo all’aroma d’impostura
dove tu andavi nell’ora dell’addio
quando i mercanti erano disposti a vendere il bene e il male.
L’avrei regalata a te
a mo’ di “non ti scordar di me, la vita mia legata è a te”,
il pegno di un tenero amante,
come avrei voluto essere io per te.
Da bambino volevo comprarti le parole più belle
e le parole più argute,
le parole di un vate o di un fanciullino,
per inanellarti una poesia immortale,
per ricordarti anche dopo il big bang,
magari parole prese in prestito
in una vecchia antologia della quinta elementare,
tipo
“Contessa che è mai la vita?
E’ l’ombra di un sogno che fugge.
La favola bella e breve è finita,
il vero immortale è l’amor.”
Da bambino volevo…come avrei voluto essere io per te.
Quante cose avrei voluto da bambino.
Quante cose avrei voluto dire e fare da bambino con te.
Ma tu,
mia adorabile e adorata madre,
te ne sei andata da sola e in silenzio nel giorno di san Lorenzo,
mentre le stelle cadevano senza esser viste.
Sei partita verso il chissà dove,
verso il chissà quando,
senza disturbo e senza impiccio.
Sei andata in qualche parte dall’altra parte
senza la banda e senza rumore.
Tu,
donna di popolo,
ti sei alzata senza salutare
lasciandomi addosso tutto quello che avrei voluto dare a te,
tutto quello che avrei voluto fare per te:
un pastore tedesco,
uno scimpanzé africano,
una saponetta al gelsomino,
le parole più belle e più argute.
Oggi, nel congedare una disperata speranza,
ti penso e ti ripenso
mentre Luciano Tajoli canta ancora
dallo sgangherato grammofono al civico 15 di via Savoia
per ricordarmi che
“Tutta sfolgorante era la vetrina,
piena di balocchi e profumi,
entrava un dì la mamma e il suo bambino
tra lo sfolgorio di quei lumi:
“comandi signora,
ciprie e colonie coty”.
Salvatore Vallone pose in dolce ricordo di Lei
Siracusa, 20 agosto 2010