
LA FOBIA
La “fobia” è una reazione psicosomatica improvvisa e scatenata da persone, oggetti e situazioni: esempio il timor panico.
La “fobia” si distingue dalla “paura” perché non si risolve con la verifica della realtà e con la “razionalizzazione” della situazione in cui la persona si trova.
La “fobia” si distingue dal “delirio” perché la persona fobica è perfettamente consapevole dell’irrazionalità dei suoi timori e del fatto che non riesce a risolverli.
La “fobia” è una difesa consapevole che dà un senso alla “ansia” degenerata e la giustifica.
La “fobia” non è una “ossessione”, un’idea che domina e riempie lo spazio psichico.
La “fobia” si basa sul “fantasma” che evoca come sua causa e sul conflitto psichico che innesca e che non viene portato alla luce della coscienza.
La “fobia” è carica di “significato simbolico” e riguarda persone, oggetti e situazioni che richiamano vissuti primari e pulsioni represse, bisogni di punizioni e di limitazioni.
La “fobia” è una “dipendenza” che denota la mancata autonomia psicofisica proprio per la paura di agire e il bisogno di immobilismo: insicurezza, sensi di colpa ed espiazione punitiva.
La Psicoanalisi stima la “fobia” il prodotto dei “meccanismi di difesa” dell’Io, nello specifico la “rimozione” e lo “spostamento”. Il funzionamento parziale della “rimozione” produce il “ritorno del materiale psichico rimosso”. Quest’ultimo viene, tramite il meccanismo dello “spostamento”, trasferito dalla propria interiorità su un oggetto esterno che si può evitare. In questo modo il conflitto psichico profondo, su cui si basa la “fobia”, non emerge, per cui il disagio psicofisico non si risolve e i sintomi ritornano.
La “fobia” si rapporta alla “isteria” e alla “conversione” della carica nervosa nella forma d’angoscia generica e sempre senza la conoscenza della causa psichica.
La “fobia” interdisce le situazioni atte a procurare angoscia e difende la persona tramite forme di evitamento possibili. Ad esempio, la persona non va in piazza, non va al supermercato e non va in ascensore.
La “fobia” erige una barriera psichica fatta di inibizioni, di cautele, di divieti, di protezioni, di dipendenze e di qualsiasi modo o oggetto valido alla difesa. La vita è limitata e la qualità scade perché non si è liberi e si è oltremodo sensibili allo scombussolamento psicofisico che può intercorrere inaspettatamente.
L’esempio classico della Psicoanalisi sul tema “fobia” è descritto da Freud nel “Caso clinico del piccolo Hans”, la “fobia dei cavalli” in quel di Vienna all’inizio del Novecento, là dove le carrozze trainati dai nobili animali erano gli unici veicoli per il trasporto delle persone e delle merci. Hans aveva “spostato” nel cavallo la paura nei riguardi del padre che aveva “rimossa” per difesa e che conteneva proprio evitando di imbattersi nei cavalli.
A questo punto osserviamo il nostro quadro psicofisico in riguardo alla “FOBIA” e analizziamo le nostre “fobie” in atto.
Al tempo del “coronavirus” dobbiamo considerare la “tanatofobia” che è la madre di tutte le guerre psichiche ossia la fobia della morte, la “agorafobia” che è legata allo spazio aperto, la “claustrofobia” che è legata allo spazio chiuso, la “rupofobia” che è legata allo sporco, la “ipocondria” o la “patofobia” che è legata alle malattie. Queste sono quelle che interessano la situazione psicofisica in atto: la restrizione, l’infezione, il contagio, la malattia.
Consideriamo anche quale altra “personale fobia” possiamo avere elaborato semplicemente perché essa coinvolge la nostra creatività e si riempie dei nostri simboli. Possiamo avere concepito e maturato qualche fobia che va al di là di quelle compatibili con la situazione critica che stiamo vivendo.
Consideriamo le nostre “fobie” anteriori al tempo del “coronavirus” e richiamiamole alla memoria per inquadrarle e capirle meglio. Analizziamo se queste “fobie” pregresse sono l’evoluzione di quelle che stiamo vivendo o se sono del tutto nuove e originali.
Consideriamo il nucleo delle nostre “fobie”, quanto ci limitano e quale sfera psichica riguardano, nonché l’inizio di qualche vissuto fobico o di qualche limite che prima non avevamo elaborato e imposto al nostro Io.
A questo punto usiamo la testa, “razionalizzazione” e “presa di coscienza”, e cerchiamo di capire il significato di queste “fobie”, a quale conflitto psichico si riferiscono, a quale trauma rimandano.
Partiamo dal significato psichico collettivo delle fobie in questione.
TANATOFOBIA
La “tanatofobia” è la malattia psichica di fondo dell’uomo, occidentale e non, la “malattia mortale” collegata all’angoscia secondo Kierkegaard. Si attesta nella reazione nervosa al pensiero della necessità ineludibile della morte totale, fisica e psichica e metafisica. Il conflitto psichico di base è la “morte in vita”, il blocco delle energie e il “fantasma dell’inanimazione”, l’incapacità a dare vita a pensieri e azioni, a lanciarsi in avanti con scelte e progetti, a realizzarsi e a investire la “libido” in maniera costruttiva.
AGORAFOBIA
La “agorafobia” comporta una scarica nervosa nello spazio aperto, una piazza, e richiama a livello psicologico l’espiazione di un senso di colpa. La persona sente di essere uscita allo scoperto e la sua sensibilità alla colpa si traduce nella punizione della morte, di perdere i sensi e di non essere capace di fuggire da questa situazione psicofisica: una fuga da se stesso, piuttosto che dallo spazio e nonostante il fatto che sia aperto.
CLAUSTROFOBIA
La “claustrofobia” indica la tensione nervosa che si scatena nello spazio chiuso, un locale anche ampio o una cabina dell’ascensore. La persona sente il bisogno impellente di uscire e di prendere aria, cerca la via di fuga in preda alla “conversione isterica” della punizione delle sue colpe. Anche in questo caso la persona si sente braccata all’esterno, ma in effetti è braccata al suo interno e da se stessa, braccata nello spazio dalla possibilità di essere punita per le sue pretese colpe. Si tratta di persone che nella loro evoluzione psichica sono state colpevolizzate da genitori e insegnanti improvvidi, da insegnamenti religiosi finalizzati alla colpa e all’espiazione della stessa, persone che anche da sole hanno maturato la facilità a punirsi per ripristinare l’equilibrio turbato.
RUPOFOBIA
La “rupofobia” o sensibilità abnorme e nevrotica allo sporco e conseguente impellente bisogno di pulire e di disinfettare fino all’esaurimento del flacone di “amuchina” o di “alcool denaturato” e altro marchingegno senza ottenere alcun appagamento. Il rituale della pulizia è la purificazione, “catarsi” della tragedia greca, delle colpe e la temporanea pulizia psichica dei disagi di sentirsi colpevole in qualche modo e in qualche cosa. Vale quanto detto per la “fobia” dello spazio a livello psicodinamico. Il rito simbolico del pulire è legato alla “rimozione” del trauma e al suo ritorno sotto forma di un rituale purificatore.
IPOCONDRIA O PATOFOBIA
La “ipocondria” e la “patofobia” si attestano nelle pulsioni nervose atte a evitare in maniera abnorme il contagio e le malattie. La persona è preoccupata sempre per la sua salute e per la possibilità di contrarre un morbo di qualsiasi tipo e anche il più strano e il più raro. A tal uopo mette in atto una serie di tutele e di operazioni che impediscono di contrarre alcuna malattia, azioni che si traducono in un’inutile dispersione di energie e in una caduta della qualità delle relazioni. La psicodinamica dell’ipocondriaco verte sul solito “fantasma di morte” e sul bisogno di essere curato e accudito. Persiste la sensibilità alla colpa che abbiamo trovato in tutti i disturbi trattati. Una forma di immaturità psichica qualifica l’ipocondriaco a causa di un bisogno inappagato di cura e di premura, vissuto durante l’infanzia a causa di genitori freddi, assenti o inarrivabili.
FOBIE SOGGETTIVE
Si tratta di quelle “fobie” che abbiamo scoperto nel travaglio del quotidiano vivere per scaricare la tensione nervosa in eccesso attraverso un rito che esorcizza un divieto. Esempio: entrare in una stanza per il significato conflittuale che assume o agire in un certo modo anziché in quello corretto. Sono impedimenti e limiti che riempiamo con la simbologia personale e che riguardano le fantasie elaborate nella nostra infanzia. Sono forme della nostra creatività che ci soccorrono nella sofferenza. Sono, pur tuttavia, espressioni della nostra libera genialità espressiva.
RIFLESSIONI
Questo è il quadro sulla “FOBIA” dipinto e confezionato per l’emergenza psicofisica del “coronavirus”. Ripeto che la “fobia” non comporta la perdita di contatto con la realtà, ma una sua distorsione e una caduta della qualità della vita. Valutate la gradazione delle vostre eventuali fobie: leggera, media, grave. Segnate i vostri rilievi nel “libretto” in attesa di evoluzione storica e politica del tempo presente. Operate sempre la salvifica e ormai mitica
“RAZIONALIZZAZIONE”
del vostro stato psichico e riconducete i vostri sintomi alla comprensione dell’Io.
Domani analizzeremo la ANGOSCIA.