
Sabina,
vorrei che tu, Andrea e io
fossimo presi per incantamento
e su di un peschereccio snello e leggero
andare dove piace
e dove porta il vento.
Porto Empedocle è lontano ormai.
La guerra dei fascisti è finita
e la bicicletta Montante è arrugginita.
Tutti sono tornati a casa
e tu sei partito per Roma
senza la valigia di cartone
e con tanti copioni in testa,
con il linguaggio curioso ro picciriddru babbu
e con la lingua del soldatino italiano.
E così sei diventato grande,
o Andrea!
E adesso che niente ti manca
e sei cieco come Tiresia
tu,
tu sogni una piazza,
la tua fottuta gente,
tanta gente a cui racconti i cunti,
i tuoi racconti,
li cunti ri li cunti pi li picciriddri.
Di poi,
passata l’estasi delle parole,
girerai tra i presenti con la coppola in mano
a ritirare l’obolo degli onesti,
la mercé dei giusti,
la ricompensa del poeta,
pane, amore e fantasia.
Oggi, caro mio, i tempi sono biechi,
da vomito e da voltastomaco,
e gli occhi non sono aperti all’altezza del cuore,
ma sono affossati nel cervello del buco del culo.
Vai pure,
se vuoi e quando vuoi,
ma nel congedo cantaci con la rauca voce,
annerita da milioni di marlboro rosse,
e sorseggiando un whisky,
la canzone dell’asinello,
quella che cantava il piccolo Vito Corleone in quarantena,
quella che nonna Pina ti sussurrava per addormentarti
e per acquietare la tua fervida fantasia tra le pieghe del sonno,
nel sogno,
dentro quel paesaggio assolato di Vicata,
tra contadini bruciati nelle stoppie
e immorali vigili urbani all’ombra della frasca.
“Avia nu sciccareddru,
ma tantu sapuritu,
a ‘mia mi l’ammazzaru,
poviru sceccu miu.
Chi beddra vuci avia,
paria nu gran tinuri,
sceccu beddru ri lu mi cori
comu iu t’aia scurdà.
E quannu cantava facia:
iaa, iaa, iaa!
Sceccu beddru ri lu me cori
comu iu t’aià scurdà”
L’asinello muriu,
l’asinello non c’è più,
il bell’asinello del mio cuore,
quello che cantava in Italiano il Siciliano,
il gran sacerdote della Parola vetusta e moderna,
iaa, iaa, iaa,
si è taliato attorno,
ha capito tutto,
ha dato un bacio ai bambini,
ha ringraziato la moglie e le figlie,
ha annusato l’aroma del tabacco preferito
e ha scritto la parola fine al suo ultimo romanzo,
quel capolavoro della sua vita
che immancabilmente la signora di Palermo domani pubblicherà.
Cerca di star bene, Tiresia!
salvatore
Così, tutto procede come sempre.
Uno che va, uno che viene.
Vecchie parole che restano,
nuove affidate ad altri,
qualche orfano che ora si sente solo
e attende fiducioso l’arrivo della santa indifferenza.
E’ finita,
è tempo di navigare soli per miglia e miglia,
nella burla infinita messa in scena dalla notte dei tempi,
in cerca di un senso,
o di se stessi,
o di qualcuno che si spera di ritrovare.
Tutto intorno mare, cielo, sole, vento, un temporale,
i tuoi gelsi e i miei larici
piegati in segno di rispetto al passaggio del cantore.
Ho visto api listate a lutto che ingravidavano fiori.
sabina