
PSICODINAMICA DELLA PRIMA PARTE
Il sogno di Sabina svolge la psicodinamica della “posizione edipica” con particolare predilezione nei riguardi della figura paterna, usa il meccanismo della “scissione” per non incorrere nell’incubo e nel risveglio immediato e per gestire le angosce legate ai virulenti “fantasmi” del padre e della madre, mostra una buona risoluzione della relazione psichica con il padre attraverso il recupero della componente affettiva e affermativa, tralascia la relazione con la madre e non ne condivide le modalità in cui gestisce se stessa e il suo ruolo. Sabina si serve del meccanismo psichico della “figurabilità” in un contesto speculare rafforzando la presa di coscienza sulla “posizione edipica” e usa la simbologia dello Spazio e del Tempo facendo coincidere la nostalgia con l’appagamento in atto, la consapevolezza del passato con lo stato di coscienza presente. Sabina vive nel suo presente psicofisico, nel suo “breve eterno” e al di sopra dello Spazio e del Tempo convenzionali. Sabina è nella contingenza del suo “SpazioTempo”, là dove la sua energia si irradia con il “grande scoppio” quotidiano degli investimenti operati vivendo. Sabina esibisce orgogliosamente un buon “sapore” di se stessa perché lei “sa di sé”.
TRAMA DEL SOGNO 2 – CONTENUTO MANIFESTO
“Le gemelline vanno nella piscina all’aperto sotto casa. Io sono la loro baby sitter, ma non ho voglia di scendere a guardarle, sono stanca, sono a letto e ho bisogno di dormire.
L’appartamento è lo stesso di prima ed è la riproduzione della zona notte dei miei genitori della casa in cui vivevo da ragazzina, solo che dove c’era il ripostiglio c’è la stanza in cui sto dormendo e dove c’era la stanza dei miei c’è una cucina con delle donne, che si apre su un salone spazioso e luminoso.
Mi alzo e guardo le gemelline dal balcone a ringhiera a destra. Devono fare due iniezioni a testa, ma io non sono molto brava a farle e chiedo a una signora che è in cucina di scendere ed espletare il compito.
Poi vado alla finestra del salone, che dà sulla sinistra della casa, e le vedo mentre attraversano un parco. È diventato autunno, sono allegre, stanno bene, sono bambine.”
OSSERVAZIONI FINALI
Nessuna angoscia al risveglio, solo confusione nel ricordare le immagini del sogno, che diventano più chiare mano a mano che passo dallo stato immediatamente successivo al sonno a quello di piena coscienza.
Caro Maestro, mi dica qualcosa, quando Lei spiega mi sembra che sia facile capire e capire mi placa. Forse è questo il senso della conoscenza, guardare l’abisso senza temerlo.
Sabina
DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE
CONSIDERAZIONI
Le “osservazioni finali” di Sabina confermano alcune verità di “scienza umanistica” che sono state progressivamente acquisite sul sogno e sui suoi dintorni psicofisici. Sabina non sente alcuna angoscia al risveglio, dopo aver tanto rielaborato i suoi “fantasmi” e i suoi vissuti sotto la protezione dei meccanismi del “processo primario”: “il sogno è il guardiano del sonno” ed è reso possibile dalla Fantasia e tutelato dalla funzione simbolica, il famoso “Linguaggio dimenticato” o quasi di Fromm. Sabina accusa soltanto “confusione” nel ricordare le immagini del sogno e questo stato è legato al suo maniacale estro analitico e al suo conclamato gusto del particolare. La “confusione” si attesta nell’inquadramento e nella fusione dei dati, nella vendemmia dei particolari, nel mettere insieme capre e cavoli trovando il nesso logico e il tramite simbolico. Senza alcun intervento vigile e consapevole Sabina dormendo ha dipinto il suo sogno con una serie di scenari e di scenette familiari degne della migliore umana “comedia”, un’opera non certo boccaccesca e tanto meno dantesca, un’opera sicuramente proletaria e senza endecasillabi e senza terzine, senza rima alternata o baciata. Sabina è artista nel suo dormire semplicemente perché i sogni li ha sognati da sveglia e da bambina, in grazie alla fertilità della sua benefica Fantasia e alla virulenza dei suoi succulenti “fantasmi”. Il passaggio progressivo dal sonno alla veglia è descritto da Sabina come il processo che viaggia dall’offuscamento emotivo alla lucidità della coscienza, come il tragitto che va dalla dimensione psicofisica profonda alla dimensione razionale, dalle tenebre alla luce, dall’Es all’Io, dal “principio del piacere” al “principio della realtà”, dalla rappresentazione degli istinti alla concettualizzazione consapevole e funzionale al “sapere di sé”. La luce della Fantasia è calda come i “fantasmi” che costruisce, quelli che popolano la creatività e sostengono l’Io nel suo centro e nei suoi dintorni. La luce della Ragione è fredda, è LED, ma estremamente utile per avvinghiare le mille tentazioni dell’angoscia di morte, il nobile e tremendo basamento del Vivente, umano e non, come voleva e scriveva il nevrotico Arthur Schophenauer nel suo “Mondo come volontà e rappresentazione”. Emerge in Sabina che sogna e trova la sua mirabile epifania la diuturna diversità quantitativa e qualitativa tra la Fantasia e la Ragione, i “processi primari” e i “processi secondari”, tra il sistema neurovegetativo e il sistema nervoso centrale, tra l’emisfero cerebrale destro e l’emisfero sinistro. Si tratta di un’apparente diversità e di un inesistente conflitto semplicemente perché la dinamica evolutiva e circolare, alla Hegel per intenderci, avviene all’interno dell’unità psicosomatica chiamata “Uomo”. Si tratta dei tanti “modi umani” di manifestarsi, si tratta degli “attributi umani” del Pensiero e del Corpo, dell’unita “Psico-Soma”. Quest’ultima è la Verità soggettiva e oggettiva, l’assunto ideale e reale di base, la Sostanza e la Unità imprescindibili da cui naturalmente si deduce e si giustifica, si produce e si comprende tutto l’ineguagliabile e inimitabile “Prodotto Umano Lordo”. Non si tratta dell’apice di una platonica o aristotelica piramide, ma di uno “Psico-Soma” uno e tutto, greco “olon”, che svolge e sviluppa in un processo dinamico circolare ed evolutivo gli “attributi umani” psicofisici e li individualizza e concretizza nei “modi umani” della Psiche e del Corpo, il suddetto “Prodotto Umano Lordo”, il neonato PUL.
Ritornando alle osservazioni finali di Sabina, si deve precisare che il passaggio dallo stato ipnoide dell’ultima fase del sonno REM alla consapevolezza vigilante della veglia segna il ritorno alla Realtà esterna e al suo principio. Si spera e si prega di non dimenticare il bagaglio ripieno di emozioni e il fardello ricolmo delle primizie psicofisiche appena vissute, ma soprattutto di ricordare e razionalizzare le consapevolezze che il sogno tra le pieghe e tra le righe ha regalato.
E allora è “facile capire e il capire placa”.
Questa è l’allegoria della “presa di coscienza” coniata da Sabina. E’ proprio questo il senso della conoscenza e della “coscienza di sé”, quel “sapere” contingente del tuo “breve eterno” che ti permette di “guardare l’abisso senza temerlo”.
Questa è l’allegoria della consapevolezza dell’angoscia depressiva di perdita, la coscienza di quella “morte in vita” che ogni uomo coraggioso può capire e di cui può dire, quell’uomo che sa tradurre l’angoscia del vuoto in un parlare “genitale”, in un benefico e concreto atto d’amore fatto di parole e di discorsi, un sentire l’altro come l’oggetto del proprio benessere e senza respingimenti o imposte da pagare, senza chiudere i porti e senza sentirsi perseguitati.
Andiamo al “dunque onirico” dopo tante nobili “chiacchiere” più o meno pertinenti.
SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA
“Le gemelline vanno nella piscina all’aperto sotto casa. Io sono la loro baby sitter, ma non ho voglia di scendere a guardarle, sono stanca, sono a letto e ho bisogno di dormire.”
Dopo aver sviluppato la relazione con il padre e la madre, “posizione psichica edipica”, Sabina analizza il sentimento della “rivalità fraterna”, la sua contrastata relazione con le sorelle e i vissuti al riguardo, nonché la sua specifica e irripetibile individualità e diversità da tutto il resto del mondo, “gemelline” comprese e soprattutto. Ricordo che Sabina si è voluta già orgogliosamente differenziare dalle “gemelline” nella prima parte del sogno, proprio quando diceva che “due sono gemelline femmine e uno forse è un maschietto, ma a tratti è una femmina.” Sabina ha attribuito alle sorelle la “parte femminile” e l’ha raddoppiata con gli attributi di “gemelline” e di “femmine” e ha loro negato la “parte maschile”, la componente attiva e fattiva a favore di quella passiva e remissiva, sempre simbolicamente parlando. In sostanza ha mutilato l’androginia psichica delle sorelle, attributo psichico che ha voluto riservare interamente a se stessa. Come dire: “io sono la sorella cazzuta, quella che ha potere e sa affermarsi, quella che entra in competizione con il padre e che mette in discussione la madre, io sono diversa da voi due perché sono “androgina”, coniugo in me con naturalezza la “parte maschile” e la “parte femminile”, mentre voi due siete doppiamente femmine e condensate la remissività e la passività materne”. Magari Sabina ha apprezzato le grazie femminili delle sorelle, ma non ha condiviso la loro accettazione dello “status” familiare e la loro identificazione “patocca” nella figura materna. Insomma, Sabina si è voluta distinguere dalle sorelle e ha voluto fare parrocchia a se stessa e con se stessa. Sabina manifesta un orgoglio virile che assorbe nella sua psiche grazie al conflitto con il padre e al respingimento difensivo della madre.
Sabina è la “baby sitter” delle sorelle, ma è in crisi.
Inizia nella seconda parte del sogno e con la partecipazione diretta e con il coinvolgimento non mediato da alcuna difesa, tipo la “precedente scissione”, l’elaborazione dell’immagine psichica di Sabina, la visione di se stessa in questo quadro familiare. E in questa ardua impresa la descrizione simbolica tocca picchi di alta poesia in prosa. Sabina non vuole coinvolgersi e non vuole condizionare le sorelle, per cui le lascia giocare, le lascia nella loro infanzia tutta al femminile, le lascia nell’ignoranza di sé. Sabina è stanca di dover convincere le sorelle sulla situazione familiare particolare e vuole riflettere su se stessa e sulla sua condizione. Sa che è forte e diversa da loro, ma non vuole prevaricarle con ragionamenti e prese di coscienza che loro, le “gemelline” femmine, non hanno fatto e non possono fare. Sabina pensa a se stessa e ha tanto bisogno di “rimuovere” questo conflitto aspro con la sua famiglia e di lasciar cadere le armi e l’aggressività per raggiungere l’autonomia che consegue al conflitto e la “razionalizzazione” del trauma. Il riposo del guerriero è meritatissimo. La combattente può riposare dopo aver speso tante energie nell’economia e nella dinamica psichiche della sua famiglia. Emerge in sogno una forma di “ataraxia”, assenza di preoccupazioni e di affanni, se volete di angosce, una nota caratteristica della sapienza indiana e greca di qualche millennio fa. Questa è l’allegoria della “ataraxia”, questa è l’allegoria del “nirvana” occidentale e personale secondo il vangelo personale di Sabina: “non ho voglia di scendere a guardarle, sono stanca, sono a letto e ho bisogno di dormire.”
La simbologia conferma e spiega il quadro in questo modo. Le sorelle sono ingenue e innocenti perché sono rimaste ancorate nelle spire materne, giocano e si liberano di eventuali sensi di colpa, quelli che sicuramente Sabina ha accumulato in tanta lotta e in tanto contrasto e che in questo caso proietta sulle “gemelline”. Sabina “sa di sé” ed è più avanti rispetto a loro, per cui può stare a riflettere sulle sue consapevolezze e curare le sue ferite.
“Gemelline” o del sentimento della rivalità fraterna con rafforzamento della parte femminile, “piscina” o luogo della purificazione dei sensi di colpa in riguardo alla figura materna, “all’aperto” o in ambito sociale e senza approfondimento, “sotto casa” o estromettendo il vissuto e il problema, “baby sitter” o superiorità e potere di gestione o una forma di “Super-Io”, “non ho voglia” o assenza di “libido” da investire, “scendere” o rimuovere o dimenticare e non affrontare il problema, “guardarle” o prendere coscienza, “stanca” o psicoastenia da nirvana, “a letto” o ancora psicoastenia da ataraxia, “dormire” o rimuovere.
Voglio approfondire l’interpretazione e dico e ridico che Sabina riflette se stessa nelle sorelle, proietta i suoi vissuti in loro mostrando in sogno le sue paure di quello che poteva diventare, una mammoletta tutta coniugata al femminile qualora avesse rimosso la figura materna e si fosse identificata totalmente in lei, la “piscina all’aperto sotto casa”. Sabina ha scelto di non rimuovere e di prendere coscienza dei suoi infidi “fantasmi” in riguardo alla madre, ha scelto di essere una donna affermativa e di avere il coraggio del suo “Io”. Ha ripulito i sensi di colpa per viversi al meglio e nella maniera autentica. La stanchezza è il prezzo minimo che si paga a tanto travaglio. Il sonno consegue come una blanda dimenticanza dopo aver tanto vissuto: il giusto riposo del guerriero, la greca “ataraxia”, l’indiano “nirvana”.
E’ proprio vero che a volte “repetita iuvant” e specialmente per uscire dalle ambiguità difensive del sogno, ma è altrettanto vero che spesso le “cose che si ripetono” rompono e anche tanto.
Chiedo ai marinai la venia della buonafede.
“L’appartamento è lo stesso di prima ed è la riproduzione della zona notte dei miei genitori della casa in cui vivevo da ragazzina,”
Traduco immediatamente per non perdere la forza e la bellezza del “lavoro onirico”. Sabina ritorna indietro nel tempo e rivive le fantasie intime e i desideri indicibili nei riguardi dei genitori, rievoca la sua adolescenza ricca di pulsioni e di intenti, rivive la sua giovanile età con i turbamenti e gli struggimenti della bambina di fronte agli adulti. Sabina usa la “regressione” per dare ragione ai suoi vissuti edipici e per confermare il tempo psicofisico in cui i suoi “fantasmi” si sono manifestati nel teatro della prima parte del sogno. Sabina è al presente con la consapevolezza dei suoi trascorsi, del suo passato insomma. Questa è la conferma del “presente psichico in atto”, della teoria sul tempo come distensione dell’anima di Agostino di Tagaste, del dubbio di Freud sulla dimensione psichica temporale, del “breve eterno” che dura il tempo di una vita: la Psiche è fuori dal Tempo anche se vive nel Tempo e si serve delle categorie del passato e del futuro soltanto e solamente riconducendole al presente, “riattualizzando”. Nella modalità della “riattualizzazione” le esperienze vissute del passato e le aspettative progettuali del futuro trovano la loro congrua e ineludibile epifania.
I simboli sono i seguenti: “appartamento” o casa psichica in versione fredda, “riproduzione” o difesa psichica dal coinvolgimento diretto, “zona notte” o intimità e pulsioni, “miei genitori” o le origini in versione conflittuale, “casa” o “organizzazione psichica reattiva”, “in cui vivevo” o i vissuti, “da ragazzina” o turbolenza psicofisica e adolescenza evolutiva.
“solo che dove c’era il ripostiglio c’è la stanza in cui sto dormendo”
Sabina non può più rimuovere perché è adulta e ha preso coscienza della relazione conflittuale con i genitori, non può infilare tutto nel “ripostiglio” e magari in maniera disordinata per confondersi di più. Oggi può solo dormire sulla maturazione psichica portata avanti e non senza trambusto. Dopo la risoluzione della “posizione edipica” Sabina si dispone alla riflessione prima di riformulare il giusto vissuto in riguardo al padre e alla madre, prima di “riconoscere” il padre e la madre come le sue imprescindibili origini, prima di ridurli a simboli e dopo aver tentato di onorarli e di ucciderli. Li aveva “onorati” ed era rimasta schiava, li aveva “uccisi” ed era rimasta sola. Le restava il salvifico monito “Riconosci il padre e la madre”. Ricordo ai marinai che questa psicodinamica edipica la trovate, a metà tra racconto e saggio e a basso costo, nel mio ultimo testo “Io e mia madre”, psicodramma dell’anoressia mentale, pubblicato nel marzo dello scorso anno. Potete leggere sulla destra del blog l’intervista e la recensione. Cliccate la mia immagine in compagnia del gatto Pietro.
Vado ai simboli: “ripostiglio” o rimozione nella dimensione subconscia, “stanza” o parte della struttura psichica in atto e nello specifico la riflessione dell’Io, “sto dormendo” o stato subliminale che favorisce l’assimilazione delle emozioni e dei vissuti collegati.
“e dove c’era la stanza dei miei c’è una cucina con delle donne e che si apre su un salone spazioso e luminoso.”
E la dove c’era la stanza dell’intimità dei genitori, quella che ha evocato le fantasie edipiche, c’è la realtà delle figlie cresciute e che si dispongono alla vita sociale con la consapevolezza di essere una famiglia ricca di valori e di intelligenza, ma soprattutto c’è la vita affettiva e l’esercizio del volersi bene. La “cucina” è il simbolo della “libido genitale”, il luogo dove si prepara il cibo, lo spazio dove nel tempo si esercitano gli affetti e i sentimenti dell’amore verso i genitori e i fratelli, quell’amore fraterno che è all’opposto del “sentimento della rivalità fraterna” e che tocca spesso il picco dell’odio con assoluta naturalezza e normalità. Il sentimento dell’odio si sperimenta nella primissima età verso il padre e la madre e verso i fratelli. Freud definì il bambino “perverso polimorfo” mettendo in rilievo soprattutto le pulsioni sessuali e le fantasie sul tema, ma, in effetti e prima di tutto, il bisogno “orale” di accudimento e di sopravvivenza spinge l’esercizio degli affetti a sperimentare il sentimento dell’odio più fottuto. La famiglia nei vissuti di Sabina ha avuto un recupero affettivo. Così come ha recuperato il padre, recupera anche le sorelle: “e vissero tutti felici e contenti”. Di poi, emergono nel quadro onirico le doti sociali e relazionali, il fascino di queste donne, che alla fine è quello di Sabina, di sapersi offrire con disponibilità attraente e con magnetismo erotico, tutti investimenti di libido genitale”.
I simboli sono i seguenti: “stanza dei miei” o la parte edipica, “cucina” o il luogo della “libido genitale” e degli investimenti affettivi maturi, “delle donne” o le sorelle o le gemelline o dell’universo psichico femminile nel versante del potere o “dominae” latino “padrone”, “si apre” o disposizione alla condivisione e alla relazione amorosa, “salone” o la parte sciale e conviviale e relazionale e la disposizione allo scambio della formazione genitale, “spazioso” o educazione allargata e aperta verso il prossimo e seduzione e accoglienza, “luminoso” o dove non manca la ragione e la riflessione e il fascino intellettuale.
Sabina celebra l’orgoglio di stare e saper stare con la gente e tra la gente.
“Mi alzo e guardo le gemelline dal balcone a ringhiera a destra. Devono fare due iniezioni a testa, ma io non sono molto brava a farle e chiedo a una signora che è in cucina di scendere ed espletare il compito.”
Dopo l’offerta al maschio o agli altri si passa alla sessualità e Sabina si trova in alto sul suo “Io” consapevole, sul suo scanno di sapienza e di saggezza, mentre le sorelle sono nelle pastoie dell’imitazione della madre e degli eventuali sensi di colpa. Sabina tiene in gran conto il rischio di mischiarsi a loro in un infido e pericoloso ritorno al passato al fine effimero e impossibile di evitare l’evoluzione e il progresso. Le “gemelline” abbisognano di educazione sessuale, devono imparare a far sesso e a stare con i maschi. Sabina non è in grado di fare da “mater et magistra” su questi temi delicati semplicemente perché questo compito spetta alla madre. E, infatti, chiede alla madre, “la signora che è in cucina” o nell’ambito familiare delle relazioni, di aiutare le ragazze ad assimilare il ruolo femminile, la recettività sessuale e l’esercizio erotico. La similarità con la madre “piscina” si consuma e si completa anche nell’insegnamento della sessualità. E Sabina sta a guardare e a non confondersi con le sorelle. Lei è diversa per formazione e per le prese di coscienza che ha operato in famiglia durante la infanzia e l’adolescenza. Le sorelle si sono formate in maniera consona alla madre, mentre lei è la ribelle e si è individuata proprio differenziandosi: unica e irripetibile più che mai. Le sorelle saranno da meno nell’apportare tratti caratteristici e innovativi alla personale “organizzazione psichica reattiva”, la loro struttura evolutiva.
Vediamo i simboli: “mi alzo” o gesto affermativo di ripresa dopo la riflessione e il riposo del guerriero, “guardo” o prendo consapevolezza, “gemelline” la parte femminile di sé che ha portato in evoluzione e in diversificazione dalle sorelle, “balcone” o dall’alto del suo Io , “la ringhiera” o coazione logica dell’Io, “a destra” o della progressione o della lucidità della coscienza sul passato, “iniezioni” o della sessualità genitale ed educazione sessuale, “io non sono molto brava a farle” o io non sono una buona didatta e non voglio sostituirmi alla madre, “una signora” o la madre, “che è in cucina” o che appartiene alla famiglia e all’esercizio degli affetti, di “scendere” o di materializzarsi ed espletare il compito di educarle.
“Poi vado alla finestra del salone, che dà sulla sinistra della casa, e le vedo mentre attraversano un parco. È diventato autunno, sono allegre, stanno bene, sono bambine.”
Il “riattraversamento” della relazione con le sorelle e dell’ambito familiare da parte di Sabina rileva l’assenza del padre e la presenza massiccia della madre, quasi in compensazione del fatto che nel precedente scenario onirico Sabina l’aveva occultata e tenuta ai margini del teatro familiare. Adesso Sabina riflette dall’alto della sua formazione e si relaziona con la parte regressiva della sua personalità. Riporta il “già vissuto” al “presente” e rivive un collage di emozioni e di ricordi, regredisce e vede le sorelle che vivono la vita delle relazioni e la loro vita nel “presente di quel tempo passato”. Il “parco” è il simbolo della vita e del vivere. Si obnubila la coscienza di Sabina e la tristezza incombe. La consolazione arriva nella consapevolezza che le gemelline sono senza peccato e senza coscienza, stanno bene così. La loro infanzia è senza tormenti, all’incontrario di quella di Sabina. Si riconferma la differenza dei vissuti e la diversità dei “fantasmi” rispetto alle sorelle. Sabina è razionale e affermativa in grazie al conflitto con il padre e all’identificazione nella sua “parte positiva”, Marlon Brando per intenderci, e le sorelle sono preda della madre, bambine educate al femminile in tutto tondo. Questo è quanto risiede nel sogno di Sabina. E’ tutta farina del suo sacco psichico ed è la sua “verità”, quella che emerge e non si nasconde.
Chissà le gemelline che sogni fanno?
Vediamo i simboli: “Vado” o intenzionalità della coscienza scoperta da Franz Brentano, “finestra o della relazione, “salone” o della socialità e delle relazioni e della condivisione, “sinistra” o regressione e passato, “casa” o organizzazione psichica reattiva, “vedo” o sono consapevole, “attraversano” o vivono, “un parco” o la vita in atto, “autunno” o declino degli investimenti della “libido” e raffreddamento emotivo , “allegre” o innocenti e senza coscienza di sé, “stanno bene” o equilibrio psicofisico, “sono bambine” o sono dipendenti e senza parole.
Questo è quanto dovevo al sogno di Sabina, ma non escludo che, se lo rivedo tra un anno, potrò dire qualcosa di più e di diverso alla luce dell’evoluzione che ha assunto l’arte scientifica dell’umana interpretazione dei sogni nella mia ricerca e nei duecentoventi sogni interpretati e fruibili nel mio “blog”. La ricchezza dei contenuti e l’ampliamento della griglia interpretativa sono evidenti e sperimentabili. Tra verità soggettive e verità oggettive il cammino della conoscenza prosegue esibendo i suoi dati umani anche ai Farisei.
PSICODINAMICA
La seconda parte dell’Odissea familiare di Sabina parte dalla psicodinamica del “sentimento della rivalità fraterna” e prosegue accentuando la diversità dei vissuti verso i genitori e della formazione psichica. Sabina si differenza dalle sorelle soprattutto nell’operazione di identificazione nella madre. Mentre Sabina resta sulle sue e nel conflitto con il padre trova la “parte maschile” della sua “androginia” psichica, le gemelline assorbono per difesa una dipendenza dalla figura materna. Sabina ha sofferto, ma ne è valsa la pena. La “regressione” all’adolescenza insieme alle sorelle produce in Sabina una leggera tristezza sul senso del tempo che passa. Remando all’indietro e dando ossigeno ai tizzoni della fanciullezza vissuta e mai perduta, Sabina rievoca in sintesi un tema letterario tanto gettonato dai migliori poeti e letterati che sono andati “alla ricerca del tempo perduto”.
Vale “Silvia rimembri ancora quel tempo di tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi…”, ma vale su tutti “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, sette volumi monumentali intrisi di Letteratura e di Filosofia, di Psicoanalisi e di Antropologia culturale e soprattutto dei tormenti esistenziali dell’uomo Marcel.
E cosa dire di “Lessico famigliare” di Natalia Ginsburg?
Perché non rivedere “Amarcord” di Fellini Federico, un sognatore a occhi aperti che ha proiettato i suoi tanti “fantasmi” sopra una tela cinematografica fissando i canoni della Bellezza surreale?
L’operazione involontaria del sognare di Sabina attinge a piene mani su modalità psichiche squisitamente umane come l’adolescenza e il “già vissuto” che non riesce mai a diventare passato a causa di quella maledetta capacità di esserci e di essere presenti anche nel passato. Sabina contamina il “già vissuto” e il “già detto” assumendo un atteggiamento tutto suo che traduce in immagini i suoi personali resoconti servendosi di parole altrettanto personali.
PUNTI CARDINE
I “punti cardine” dell’interpretazione del sogno di Sabina sono i seguenti: “io sono la loro baby sitter” e “zona notte dei miei genitori della casa in cui vivevo da ragazzina”.
ULTERIORI RILIEVI METODOLOGICI
La sezione di “simboli” si è particolarmente individualizzata. Mentre in passato traducevo il simbolo collettivo e universale, adesso lo individualizzo nel contesto che il sognatore sviluppa, per cui oscilla tra il personale e il collettivo. Mi avvicino sempre più alla dimensione soggettiva senza trascurare la gente che ci circonda e ci condivide.
Il sogno di Sabina sottende i “fantasmi” del padre e della madre nella versione edipica e i “fantasmi” dei fratelli secondo il “sentimento della rivalità”.
Gli “archetipi” del Padre e della Madre si rincorrono senza evidenziarsi nei termini di una totalità universale.
Le istanze Io, Es e Super-Io sono in azione. L’Io vigilante e razionale si manifesta in “mi alzo e guardo” e in “chiedo” e in “vado alla finestra” e in “vedo”. L’istanza “Es” o rappresentazione delle pulsioni si manifesta in “sono stanca, sono a letto e ho bisogno di dormire.” e in “devono fare due iniezioni” e “mentre attraversano il parco”. Nella quasi totalità il sogno elabora materiale psichico particolarmente sensibile e degno di condensare e di rappresentare emozioni e pulsioni. L’istanza “Super-Io”, censoria e limitante, fa capolino in “baby sitter”.
Il sogno di Sabina sviluppa la “posizione psichica edipica” in combutta con l’azione turbolenta di un “sentimento della rivalità fraterna” che cerca sempre l’appagamento e il privilegio affettivo dei genitori.
I “meccanismi” e i “processi” di difesa dall’angoscia presi in carico da Sabina nel suo sogno sono i seguenti:
la “condensazione” in “piscina” e in “zona notte” e in “stanza” e in “ripostiglio” e in “cucina” e in “salone” e in “iniezioni” e in “destra2 e in “sinistra” e in “parco” e in “allegre” e in “bambine” e in “autunno,
lo “spostamento” in “baby sitter” e in “signora”,
la “rimozione” in “ripostiglio” e in “ho bisogno di dormire”,
la “regressione”, in “zona notte dei miei genitori della casa in cui vivevo da ragazzina”,
la “figurabilità” in “L’appartamento è lo stesso di prima ed è la riproduzione della zona notte dei miei genitori della casa in cui vivevo da ragazzina, solo che dove c’era il ripostiglio c’è la stanza in cui sto dormendo e dove c’era la stanza dei miei c’è una cucina con delle donne, che si apre su un salone spazioso e luminoso. Mi alzo e guardo le gemelline dal balcone a ringhiera a destra”.
Il sogno di Sabina coniuga ed evidenzia un tratto “orale” e un tratto “edipico”, l’affettività nella rivalità fraterna e la conflittualità nella scelta di cosa prendere e di cosa lasciare in riguardo alle figure genitoriali. La “organizzazione psichica reattiva” è intenzionata alla “genitalità”, ma è supportata da un forte amor proprio che la colora di un “narcisismo” alla greca o alla latina, un impulso all’autocompiacimento equilibrato dal dettame filosofico epicureo e stoico di Orazio: “est modus in rebus.” Esistono dei limiti al di qua e al di là dei quali non si attesta la rettitudine.
Il sogno di Sabina forma le seguenti figure retoriche:
la “metafora” o relazione di somiglianza in “zona notte” e in “ripostiglio” e in “iniezioni” e in “parco” e in “autunno” e in altro,
la “metonimia” o relazione di senso logico in “destra” e in “sinistra” e in “dormire” e in altro,
la “enfasi” o forza espressiva in “non ho voglia di scendere a guardarle, sono stanca, sono a letto e ho bisogno di dormire.”
Sono presenti le seguenti allegorie: la presa di coscienza in è “facile capire e il capire placa”, la consapevolezza dell’angoscia depressiva di perdita, la coscienza della “morte in vita” in “guardare l’abisso senza temerlo”. L’allegoria della “ataraxia” greca e del “nirvana” occidentale in “non ho voglia di scendere a guardarle, sono stanca, sono a letto e ho bisogno di dormire.”
La “diagnosi” dice del “sentimento della rivalità fraterna” che si interseca con la conflittualità edipica in riguardo privilegiato alla figura materna.
La “prognosi” suggerisce a Sabina di coltivare la sua irripetibile individualità mantenendo al caldo la capacità analitica di sviscerare il “particolare” ma con la preghiera di razionalizzarlo al più presto e senza trascinarlo nel tempo effimero.
Il “rischio psicopatologico” si attesta nell’invasione dei “particolari” e nel loro mancato coordinamento con pregiudizio per la sfera emotiva: ansia diffusa. Resta sempre in agguato la “psiconevrosi edipica” qualora si verifichi un “deficit” contingente di “razionalizzazione” dei turbolenti “fantasmi”.
Il “grado di purezza” del sogno di Sabina è sull’ordine del “buono”. Anche se narrato in maniera logica e consequenziale, la ricchezza dei simboli attesta che il processo di accomodamento e di acconciatura del sogno è minimo.
Il “resto diurno” è confermato nel colloquio riflessivo con la sorella.
La “qualità onirica” è “analitica” con mille rimandi a temi e situazioni ad alto valore estetico e letterario. Esistono nuclei passibili di ulteriori sviluppi narrativi. Ma a questo ci penserà Sabina se ne ha voglia. Voglio dire che i suoi temi sono degni di essere allargati e trattati per iscritto secondo prosa o secondo poesia. Sabina ha una grande capacità di cogliere nelle parole i valori del “significante”.
Il sogno è stato composto a partire dalla seconda fase del sonno REM.
Il “fattore allucinatorio” esalta il senso della “vista” in “guardo le gemelline dal balcone” e in “e le vedo mentre attraversano un parco.”
Il “grado di attendibilità” della decodificazione del sogno di Sabina è “discreto”. Ci sono dei punti di snodo dell’interpretazione che si sono rivelati particolarmente delicati e ambigui. Il “grado di fallacia” è “mediocre”.
DOMANDE & RISPOSTE
Era doveroso che fosse la signora Maria in carne e ossa a leggere l’interpretazione del sogno di Sabina e a portare i suoi commenti e le sue richieste.
Domanda
Più in carne che ossa e da buona veneta con lo spiedo e il cabernet in tavola, ma comunque va bene così: il mio motto è “meglio cento giorni da leone che un giorno da pecora”. Comincio dicendole che ho capito una buona parte dell’interpretazione del sogno di Sabina anche perché lei spesso si ripete. Meglio così! Ho qualche domanda sui riferimenti che lei fa alla filosofia e ad altro, ma prima le chiedo se lunedì sera ha visto sul canale due il film “Ultimo tango a Parigi”.
Risposta
E tu pensi che se la RAI, la famigerata e benemerita “radio audizioni italiana” di antica data, si sforza a dare un film d’autore dopo tanta quotidiana merda di cuochi, di giornalisti, di politici, di opinionisti, di astrologi e di varia umanità, io non vedo il capolavoro di Bernardo Bertolucci in versione restaurata e originale? Ma certo che l’ho rivisto e me lo sono anche rigustato con quarantacinque anni in più sul groppone. Come ha ben detto nell’introduzione il poliedrico Carlo Freccero, uno che ha studiato all’Università e che sa fare molto bene il suo mestiere di scrittore e di critico, si tratta di un film che risale all’anno 1972 e che è stato non solo censurato, ma addirittura, “horribile dictu”, condannato al rogo di tutti i “negativi” presenti nel mercato italiano. I “negativi” erano i fotogrammi delle pellicole in celluloide ed erano molto sensibili al fuoco: vedi la scena in “Nuovo cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore dell’incendio della sala cinematografica. Tra parentesi:(meno male che ne avevano occultato due copie). Non basta: Bernardo Bertolucci fu condannato a qualche anno di galera, pena sospesa con la condizionale, per offesa al “comune senso del pudore”, per oscenità e fu privato dei diritti civili per cinque anni. Correva l’anno 1976. Ancora oggi ci si chiede cos’è il “comune senso del pudore”, come si stabilisce e si fissa il “comune senso del pudore, con quale ipocrisia si colora il “comune senso del pudore. Ma tu pensa come eravamo ridotti sotto la dittatura della “democrazia cristiana” e del “partito socialista” negli anni ‘70 e ‘80. Almeno quei politici erano istruiti e sapevano ben baciare i banchi delle varie chiese romane, gli ultimi uomini discutibili ma a loro modo “etici” prima dell’avvento della “plutocrazia” e della “paranoia”, governo in mano ai mercanti capitalisti di reti televisive e agli avventurieri afflitti da mania di persecuzione, i sedicenti comici sovranisti e gli istrioni populisti. Soltanto nel 1987 c’è stata una nuova sentenza che ha assolto dall’accusa di oscenità “Ultimo tango a Parigi” e lo ha restituito alla visione critica e al gusto maturo degli spettatori adulti, insomma alla consapevolezza intelligente degli italiani. Questo lavoro di Bertolucci non è un film buttato là così per caso o per capriccio o per fare cassetta, come si usa oggi con gli attori di grido che fanno veramente cagare con le “Vacanze di Natale”, le “Vacanze di Capodanno” e con la povera “Befana”. “Ultimo tango a Parigi” non è un film con due tette al vento, la peluria abbondante di un pube femminile e quattro posizioni sessuali da equilibrista contorsionista e tirate fuori dalle mille e passa posizioni del formidabile artistico Kamasutra. “Ultimo tango a Parigi” non è un film erotico, non è un film pornografico ante literam, non è una volgare commedia all’italiana, è semplicemente un film drammatico, un capolavoro tanto studiato e ben calibrato nei minimi particolari visivi, musicali, teorici, culturali e chi più ne ha più ne metta. E’ uno “spaccato” squisitamente antropologico degli anni settanta inquadrato e recitato nella capitale dell’Esistenzialismo e della Psicoanalisi, la mitica e fascinosa Parigi, la città della Rivoluzione, dell’Arte, della Filosofia e della libera espressione umana. La trama, pur tuttavia, era stata concepita nel clima intellettuale della “Roma puttana” di Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni, di Pier Paolo Pasolini, di Alberto Moravia, di Federico Fellini e di tanti altri registi e scrittori in un clima trasgressivo di “Grande Bellezza”. Ricordo che Pasolini di giorno insegnava e scriveva, di notte viveva il suo Eros e il suo Thanatos come i protagonisti dei suoi romanzi e di “Ultimo tango a Parigi”. E nella notte dei quartieri popolari e pulsanti di erotica vitalità trovò la gioia dei sensi e la sua morte violenta come Paul. Correva l’anno 1975, ma questo è un altro discorso.
Domanda
Meno male. Me lo spiega un po’? Io ho visto il film e mi è piaciuto e ho anche capito che quello che vedevo non era quello che significava e che non c’era niente di volgare e di osceno. Mio marito non era d’accordo, ma io l’ho visto con i miei figli grandi. Alla fine mi hanno detto che non erano per niente scandalizzati e che su “yu porn” c’è veramente il disastro più completo per quanto riguarda quelle cose e gli organi sessuali. Vede che non riesco a dire le parole “culi”, “cazzi” e “tette” e “fighe”, vede come sono condizionata dall’educazione ricevuta da bambina in casa e in parrocchia dalle suore e dai preti. Incredibile ma vero!
Risposta
Hai visto? E’ proprio così! Siamo prodotti psichici e culturali condizionati in buona parte. Allora, cominciamo, ma ti do soltanto le coordinate per iniziare prima a gustare il film e poi a capirlo. Ricordati che prima un film si vive e poi si capisce se si vuole, altrimenti può anche finire tutto là, nell’averlo visto, sentito e vissuto.
Bertolucci e Arcalli hanno scritto la trama del film considerando essenzialmente come “cornice” la Filosofia dell’Esistenza e la Psicoanalisi e mettendoci dentro come “contenuto” le storie di vita di un uomo qualsiasi e di una donna qualsiasi, due modelli di modi ineludibili di vivere. Procedo a spiegarti meglio.
Dall’Esistenzialismo Bertolucci e Arcalli hanno preso la concezione pessimistica dell’uomo, il suo andare inesorabilmente verso la morte, la solitudine e le angosce, il senso del Nulla e il suicidio come sua affermazione, il senso della nausea e il dolore dell’inautenticità, la banalità dell’esistenza e la condanna all’anonimato, l’impossibilità di cogliere un senso di autenticità del vivere semplicemente perché non esiste. La Morte è assurda e la Vita è un andare verso la Morte e verso la realizzazione dell’assurdità. Questa è l’evoluzione del pensiero di Kierkegaard, di Schophenauer, di Jaspers e di altri filosofi che è arrivata ad Heidegger e a Sartre, gli ultimi teorici dell’Esistenzialismo e aggiungo fortunatamente, perché non si può vivere da frati trappisti. Anzi, questi ultimi con il loro continuo “fratello ricordati che devi morire” avevano la certezza della resurrezione dell’anima e del ritorno nella casa del Padre, mentre gi esistenzialisti non avevano nessuna speranza, neanche quella del “Nulla eterno” di Ugo Foscolo nel meraviglioso sonetto “Alla sera”.
Dalla Psicoanalisi classica Bertolucci e Arcalli hanno preso la griglia psicoanalitica del primo Freud, quello degli “Studi sull’isteria” e dei “Saggi sulla sessualità infantile” e della “Interpretazione dei sogni”, e i principi del secondo Freud, quello del dopo prima guerra mondiale, quello traumatizzato dalla distruzione del mondo civile che aveva elaborato i nuovi principi psichici dell’uomo, Eros e Thànatos, Vita e Morte, quello che aveva tirato in ballo la pulsione erotica e sessuale in opposizione alla pulsione autodistruttiva in associazione al micidiale meccanismo psichico di difesa della “coazione a ripetere”, della pulsione a rimettere in circolazione vissuti e comportamenti archiviati e mai superati perché mai capiti e razionalizzati. Seguimi senza avere la paura di non capire.
In questo benefico “baillame” filosofico e psicoanalitico Bertolucci e Arcalli, due “studiati” come dite voi veneti che non fate il tifo per la Lega nord, hanno calato anche qualche digressione e approfondimento della Psicoanalisi del francese Lacan, lo psicoanalista che aveva preso di mira l’Inconscio e l’aveva collocato visibilmente nella Parola, “le ca on parle”, la cosa o l’Inconscio parla o si parla. Questo significa che nel film Bertolucci e Arcalli avevano collocato anche una polivalenza della parola e del linguaggio: la parola come silenzio, la parola come rumore, la parola come suono, la parola come pulsione, la parola come emozione e la parola come ragione.
Ma non basta ancora, perché nel film abbiamo due personaggi, Paul e Jeanne, due sconosciuti e due vittime dell’Esistenza e del Nulla che la contraddistingue, un uomo e una donna che hanno storie di vita diverse e un esito finale identico, la morte. L’interesse comune è quello di viversi nell’indeterminato e senza definirsi, di non usare la storia personale e le parole, di viversi di volta in volta nell’attimo e nel frammento e nell’assenza del tempo e della continuità storica, di esaltare Eros e Thànatos del secondo Freud attraverso le fasi dello sviluppo psicosessuale del primo Freud: fase “orale”, “anale”, “fallico-narcisistica” e “genitale” attraverso l’esaltazione della “libido” collegata e collocata negli organi erogeni deputati, la bocca, la mucosa anale, gli organi sessuali in versione individuale con la masturbazione e in versione di coppia con il coito. Non basta, perché tutto questo contenuto viene inquadrato nella cornice “edipica” dei due protagonisti: la loro relazione conflittuale e ambivalente con i genitori. Ti spiego. Paul ha quarantacinque anni e Jeanne ha vent’anni, una coppia edipica decisamente. Lui può essere suo padre e lei può essere sua figlia. Ancora: Paul ha appena perso per suicidio la moglie Rosa, una donna che l’aveva tradito con un altro uomo e con cui aveva un vissuto chiaramente conflittuale e di dipendenza, come si vede e si capisce nella scena in cui lui parla al feretro composto e di straordinaria bellezza nonostante il tanto strazio che la donna si era inferto con il rasoio, simbolo fallico di violenza. Jeanne era innamorata in maniera ambigua del padre colonnello e alla fine uccide Paul con la pistola del padre. La pistola è un simbolo fallico. Insomma, cara Maria, vedi che da tutte le parti viene fuori in questo film tanto di cultura e niente di zozzura. Viene fuori un impasto intellettuale di grande pregio e di buon conio da recitare principalmente in una casa disadorna e tutta da riempire con la libera espressione delle emozioni e degli orgasmi. La “casa” è il simbolo della struttura psichica in atto ed è quasi vuota perché saranno Paul e Jeanne a metterci dentro e di volta in volta le loro suppellettili psicofisiche. Attenzione: ho detto psicofisiche, non corporee e basta, esperienze vissute fino al midollo erotico in esorcismo dell’angoscia di morte.
Domanda
Lei, dottore, mi sta aprendo gli occhi. Continui a spiegarmi, per favore.
Risposta
Procedo più chiaramente possibile. Hai visto che nelle scene cosiddette di sesso c’è la “posizione orale” nel bacio e non nel sesso orale reciproco, nella “posizione anale” c’è la scena del rapporto coadiuvato dal burro, nella “posizione fallico-narcisistica” c’è la scena di Jeanne che si masturba, nella “posizione genitale” ci sono tutte le scene dei rapporti sessuali basati su una libera e paritaria espressione della “libido” individuale, ora attiva e ora passiva. Non ha senso parlare di stupro e di violenza sessuale in questo film, perché i due protagonisti umanamente hanno un comune denominatore, quello di uscire dall’angoscia esistenziale attraverso la sessualità istintiva e pulsionale, uscire da Thanatos attraverso Eros, quello di vivere lo “spirito dionisiaco” di Nietzsche e di omettere le parole anagrafiche e i grandi ragionamenti, di andare al di là del Tempo e della Storia nell’attimo eterno e nell’anonimato indefinito. Il fine è sempre quello di esaltare i valori erotici del corpo, di sconfiggere la noia, di difendersi dalla nausea, di riempire la vacuità, di commutare l’angoscia del Nulla nelle gioie inespresse dei sensi. La sessualità vitalistica è Vita e l’orgasmo è l’antidoto della Morte per inedia. Eros e Thanatos sono dialetticamente intesi nella scimmia umana, Paul e Jeanne, che fa il verso alle evanescenti creature angeliche e che mostra il sesso e il culo come le creature diaboliche che si oppongono al culto banale dell’obbedienza e del conformismo a qualsiasi tipo di divinità. In tanta opera di distruzione del Tempo e della Storia resiste e domina lo Spazio con la geometria e il volume della stanza e dei corpi, la prima pulsante e i secondi intrisi di vitalità orgiastica.
Domanda
Ma perché Jeanne uccide Paul alla fine?
Risposta
Perché Paul si era innamorato di lei e lo dice con parole convenzionali e con modi diversi rispetto al passato sciupando e vanificando l’intensità del dramma della vita erotica che lui stesso aveva proposto a Jeanne sin dall’inizio della loro originale relazione e che la donna aveva accettato sulla scia del fascino di un padre erotico che si portava dentro e in preda finalmente all’appagamento delle sensazioni che aveva vissuto nell’infanzia e che si era trascinata intatte fino ai suoi vent’anni. Paul non si era proposto come l’uomo “maieutico” che avrebbe consentito a Jeanne il parto della “coscienza di sé”. Paul aveva additato il traguardo di fare risuonare le note vitalistiche che si sprigionano dal corpo e che oscillano inesorabilmente tra Eros e Thanatos, come nel pendolo di Galilei o nel fuso delle Moire. Simbolicamente Jeanne usa il fallo del padre, la pistola, per dire a Paul che lei non ha superato la sua “posizione edipica” e che può uccidere il padre perché cambia le carte in tavola passando dalla sessualità sfrenata a un anonimo e pacato sentimento d’amore di stampo borghese. Mentre Paul riconosce Jeanne come la sua donna ed è pronto ad amarla donandosi secondo i dettami della “libido genitale”, quest’ultima è ancora ferma al palo della tempesta tra Eros e Thanatos, è incapace di evolversi insieme al suo compagno di viaggio da due individui a una coppia. A Jeanne non resta che procedere da sola nelle sue traversie esistenziali alla ricerca di un poderoso calcio in culo per continuare a vivere anche quando in lei niente chiede di continuare ed è pronta per il suicidio. Questo è il prezzo che Jeanne paga al mancato riconoscimento del padre, alla mancata soluzione del conflitto edipico: la morte in vita. Anche lei segue Paul nella tomba dei sensi che non si sono evoluti in sentimenti. Mi ripeto in questo delicato passaggio. Paul, confutando se stesso e convertendosi ai valori borghesi del buon marito e del buon padre di famiglia, ( vedi lo stadio etico di Kierkegaard ), è morto nella mente e nel corpo. Lui ha superato la “posizione edipica”, ha risolto la dipendenza dalla madre quando ha scaricato i suoi struggenti “fantasmi” edipici sul feretro muto di Rosa, la moglie fedifraga e suicida in piena regola con la modalità e la moda esistenzialiste. Paul si è liberato dell’inciampo materno e si è proposto alla sua donna come uomo innamorato sottomettendosi e perdendo il fascino del maschio maledetto. Stava per fare una retromarcia fenomenale verso l’esistenza “banale”, quella fatta di padre, di madre, di figli, di lavoro, di casetta, di “baguette”, di lavatrice e di “citroen”, ma Jeanne non era nella sua lunghezza d’onda. Jeanne era ferma alla sua conformazione fisica e alla sua modalità psichica di vivere la vitalità andando incontro alla Morte con il cuore vuoto più che leggero.
Domanda
Ma Bertolucci cosa ci ha messo di suo nel film?
Risposta
Sono due gli sceneggiatori, ma l’ispirazione è di Bertolucci. Ha detto, infatti, che la trama del film nasce da un sogno che aveva fatto e che si era ripetuto, un sogno universale che consiste semplicemente nell’incontro per strada di una bellissima donna sconosciuta e nel fare l’amore con lei senza sapere la sua identità. Questa è la “posizione edipica” del piccolo Bernardo Bertolucci e da sempre di tutti i bambini del mondo. Questo è il caso di Edipo che senza saperlo sposa la madre Giocasta nella trilogia tragica di Sofocle: Edipo re, Edipo a Colono e Antigone. Spiego il sogno: la “bellissima donna” è la “parte positiva” del “fantasma della madre”, la seduzione erotica che ogni bambino elabora con desiderio e vive con struggimento. La donna è “sconosciuta” per non incorrere nel risveglio e nell’incubo. Non poteva trovarsi di fronte il viso della mamma. La “strada” è il luogo della realtà sociale e della pratica della vita, oltre che un film drammatico del primo Federico Fellini. “Fare l’amore” traduce l’esercizio della “libido genitale”, un coito incestuoso la cui realizzazione incorre ardentemente nel desiderio di ogni bambino nella forma di una calda fusione erotica corpo a corpo e nel coinvolgimento generico degli organi sessuali. In “Ultimo tango a Parigi” la “posizione edipica” è la cornice psichica profonda dei due protagonisti. Bertolucci aveva elaborato la sua e l’aveva proiettata nella trama del film e, di poi, tramite i “negativi in celluloide” nella grande tela cinematografica: “traslazione” e “proiezione” nei due personaggi del film. Per questi ultimi soltanto in questo quadro è possibile il riscatto dal Male di vivere e dalla Morte che impazza e domina. Soltanto attraverso l’esaltazione orgasmica dei sensi e nell’attimo può avvenire un momentaneo riscatto dall’angoscia umana di base. Entrambi ci riescono, ma lui soccombe nel momento in cui si stacca dallo “spirito dionisiaco” per accedere allo “spirito apollineo” per dirla alla Nietzsche, nel momento in cui passa da Eros e Thanatos alla Ragione che tutto comprende, spiega e assolve, per dirla alla Freud. Ricordo che Apollo era il dio della Ragione e dell’Arte. Quest’ultima era stata fissata dalla Grecia classica nella Bellezza composta e razionale: concetto di armonia tra le parti che trovi nelle opere di Fidia.
Domanda
Non riesco a crederci. Quello che mi dice lo capisco e mi si illuminano le scene del film e anche il cervello. Ma quanto ignorante sono e quanto ignoranti erano quelli della censura?
Risposta
Siamo a Roma. La presenza e l’ombra dello stato del Vaticano, e tutto quello che di oscurantista esso sottende e rappresenta, hanno avuto e hanno tanta importanza nel condizionare la nostra cultura su posizioni retrograde e rigide. La fissità indiscutibile degli schemi morali, la misoginia e la sessuofobia di base non hanno favorito la giusta evoluzione degli schemi interpretativi ed esecutivi dell’uomo e della realtà. Anche la funzione di controllo del territorio tramite le chiese e le parrocchie esercitava un orientamento non soltanto per le anime ma soprattutto per i corpi. Gli istituti politici e giuridici erano in linea con la fissità delle norme teologiche e queste ultime spesso erano dettate dagli organi ufficiali e ufficiosi della Stato Vaticano. La Cultura bloccata rendeva impossibile l’evoluzione della Civiltà. Nonostante la rivoluzione culturale del ‘68 e la rivoluzione delle donne, negli anni ‘70 si respirava un’aria viziata dappertutto e non era causata dalla libertà di fumare le “ms” o le “marlboro” dappertutto, ma dai residui fascisti e clericali che si erano ben depositati nelle testoline dei nostri genitori e negli interessi dei nostri politici. Oggi non ci sono più preti e le chiese sono chiuse. I loro patrimoni culturali e artistici vanno in malora come se fossero dei beni privati. E’ un vero peccato, perché quei beni sono di tutta l’umanità. Se il pontefice massimo riducesse d’imperio l’obbligo del celibato ecclesiastico nel sacramento dell’Ordine alla libera scelta del sacerdote, se il Papa allargasse il sacramento del matrimonio anche agli operai della sua vigna con l’esercizio della sessualità almeno genitale, avremmo veramente il boom economico auspicato maldestramente dagli istrioni contemporanei con i decreti sulla dignità del lavoro e avremmo meno pedofili: più preti, più lavoro intanto, meno bambini e adolescenti in pericolo, meno chierici da condannare soltanto moralmente. Le chiese aperte al culto religioso e al gusto storico e artistico degli uomini hanno anche la funzione di controllare il territorio e ridurre la disoccupazione. Nonostante i simboli di morte e le angosce del peccato che si portano dietro, siano benvenute tutte le religioni tolleranti e aperte ai tempi e alle culture. In caso contrario si perpetua quel rigore fideistico e morale che tanti danni causa negli uomini e nelle società, non ultimi la pedofilia e il terrorismo.
Domanda
Lei mi sta dicendo che la Chiesa ha contribuito alla condanna del film di Bernardo Bertolucci. Del resto, le streghe le condannava al rogo.
Risposta
Appunto, hanno “traslato” Bertolucci nel suo film e l’hanno bruciato vivo. La “traslazione” dell’omicidio è evidente. Come dire: “oggi come oggi, purtroppo, non posso ucciderti, ma ancora posso uccidere la tua creatura e posso costringere la tua fantasia perversa e il tuo cervello malato a non funzionare”. Questa è una violenza terribile. Pensa alla frase di Benito Mussolini su Antonio Gramsci quando lo relegò nel carcere a vita: “quella testa non deve più pensare”. Immagina se a Dante Alighieri avessero bruciato la Divina Commedia. Magari gli studenti avrebbero fatto festa, ma quanto terrore incute ancora oggi la condanna dell’opera di un uomo che esplora e cerca di comunicare delle verità difficili ma certamente vere, verità scoperte da altri che hanno subito la stessa sorte. I libri di Freud furono bruciati e il grande vecchio ne soffrì maledettamente. Oltretutto era molto impressionabile e vide in quel gesto nazista la fine del mondo civile e la sua stessa fine. Nonostante tutto e nonostante il tumore alla mascella continuava a fumare i suoi sigari olandesi e, non potendo aprire la bocca, si aiutava con una pinza da biancheria per infilarsi la morte in bocca. Si è detto che i tempi non erano maturi per la visione di “Ultimo tango a Parigi” e che la gente non poteva capire i contenuti filosofici e psicologici. E’ assolutamente falso. La gente è sempre pronta ad ascoltare e a capire le novità. Basta spiegarle nel modo giusto. Io sto spiegando a te la griglia d’interpretazione più importante del film “Ultimo tango a Parigi” e tu capisci e ti si illumina lo sguardo al pensiero che tra immagini erotiche e sessuali si possa nascondere un mondo di scoperte teoriche e pratiche, la filosofia esistenzialista e la teoria della “libido” e della sessualità umana. Ma se il potere ufficiale e ufficioso non permette la divulgazione perché teme di essere screditato e soppiantato, perché ha paura della tua crescita umana e intellettiva e ha bisogno di imporsi e di coartare la tua coscienza, allora ti condanna al carcere e ti condanna al rogo tramite la tua creatura, un film ben fatto e adatto all’evoluzione dei tempi. Da benefattori Bertolucci e Arcalli si sono trovati a espiare un reato esistente nei codici fascisti e inesistente nei codici psichici e filosofici, i codici naturali umani per intenderci. Dire che i tempi non erano maturi lascia l’amaro in bocca e induce la domanda di quando i tempi saranno maturi. Bisogna stare sempre attenti a tutte le novità umane, scientifiche e non. Dopo averle ben capite, si può esercitare lo spirito critico e decidere se aderire o se respingere, ma mai condannare e soprattutto al rogo. Che bruttura! Eppure è successa anche a Bertolucci e ad Arcalli nel “civile” 1976. Ti do qualche data storica per avere un’idea dei tempi: 1970 legge sul divorzio, 1978 legge sull’aborto, 1981 abrogazione del delitto d’onore. Specialmente per l’ultimo siamo veramente in grave e significativo ritardo, non mestruale, ma mentale. Vedi un po’ tu se questa è civiltà! Ma la malattia mentale al potere non finisce qua, tutt’altro! Si è aggravata nel nostro tempo con il dominio democratico degli ebefrenici e dei paranoici, i teorici dell’improvvisazione qualunquistica e i teorici del sentimento dell’odio e non solo razzista, ma quello spostato dai connazionali meridionali al migrante dal naso camuso e nel profugo dal viso olivastro, uomini, donne e bambini a cui viene negato il “diritto naturale” della vita e della conservazione della vita, quel “giusnaturalismo” elaborato nel Seicento da Ugo Grozio e da Alberico Gentile, i “diritti” oggettivati nel possesso di un corpo vivente che si antepongono ai “diritti positivi” di qualsiasi Stato e su cui quest’ultimo deve basare le sue Leggi, quei diritti di base che esigono che dove c’è vita c’é diritto a vivere, al di là del nome e del cognome e della nazionalità, al di là della religione e della cultura, al di là della teosofia di Budda. Tutti i porti sono aperti al naufrago sin da quando Ulisse peregrinava nel “mare nostrum”, il mare che sta tra le terre, per stare lontano dalla pallosa Penelope e per gustare le attenzioni mortali della maga Circe e delle graziose Sirene anche lui oscillando tra Eros e Thanatos come Paul e Jeanne. Anche il mio amico Pietro da buon gatto siracusano di razza rossa capisce questi principi naturali e richiede, se è possibile e con garbo ruffiano, la sua porzione di “kitekat” per non andare a uccidere un perfido topo di campagna. Ma la Follia si è impadronita del potere e degli uomini che direttamente lo rappresentano e lo esercitano, nonché di quelli che direttamente lo sostengono e lo giustificano. Erasmo se la ride a crepapelle nella sua tomba a Rotterdam dall’alto delle sue poche ceneri. Se non ci credi, prova a leggere “Elogio della follia”. “Ve l’avevo detto per ischerzo, ma vedo che siete caduti nella merda fino al collo”: ah, malefico olandese!
Domanda
Cosa mi consiglia di leggere per capire meglio non soltanto un film?
Risposta
E’ tremendo per un uomo non avere gli strumenti linguistici per esprimersi, non possedere i grimaldelli d’interpretazione e di critica del mondo che lo circonda per agire, non avere gli schemi di inquadramento dei dati che affluiscono in maniera copiosa nella sua zucca vuota. Oggi, insieme alla povertà materiale è da considerare la povertà degli strumenti interpretativi ed esecutivi. E così prosperano i ciarlatani e gli imbonitori, quelli che si azzuffano come i polli nel cortile dentro gli schermi televisivi, giornalisti e politici che dicono sempre le stesse cose e che ripetono le stesse litanie da decenni con le stesse facce, filosofi e critici d’arte che mettono a dura prova il loro sistema cardiocircolatorio e la nostra capacità di sopportazione con un turpiloquio gratuito e che fa senso, con una prevaricazione terribile come quella di non far parlare l’altro e di ingiuriarlo. Una grande responsabilità appartiene al sistema scolastico che non fornisce gli strumenti e gli schemi per interpretare la realtà, i dati, le notizie e le informazioni. Le varie e ricorrenti riforme scolastiche hanno deprivato le nuove generazioni della capacità di pensare e di parlare, di criticare e di elaborare, di riattraversare e di riattualizzare. Basta guardare la struttura dei libri di testo. La mia generazione all’incontrario era colma di ideologie e di strumenti per la comprensione dei tempi e delle culture: anche troppo! Platone, Aristotele, Hegel, Marx, Freud e altri minori erano di casa. Si pensava con la testa degli altri, più che con la propria. Ma del resto, anche la testa ha bisogno di crescere per avere la consapevolezza dell’impossibilità di essere autentici e della possibilità di essere autonomi. Inoltre, si comunicava tanto di più e non ci si isolava, si stava insieme e si ballava sopra un mattone in una balera, in una terrazza o nel salotto buono della mamma. Ma questa non era la felicità. Oggi le culture sono continuamente critiche e per niente statiche e soprattutto più evolute, ma il sistema educativo e d’istruzione non è al passo e chissà perché. Oggi è meglio di ieri e sicuramente il domani sarà ancora migliore perché avremo qualche scoperta scientifica da celebrare e da godere. Concludo il lungo pistolotto consigliandoti di prendere il sommario di filosofia di tuo figlio e nel terzo volume troverai Freud, Heidegger, Sartre. Leggili e se non capisci tutto, va bene lo stesso. Capirai in una seconda e terza lettura. Leggi di Alberto Moravia “La noia” e “Gli indifferenti” o altri romanzi che trovi in libreria a basso costo. Vuoi un’equivalente dinamica tra Eros e Thanatos? Leggi “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa. Vedi poi anche il film di Luchino Visconti degli anni sessanta che è stato restaurato da qualche anno. Regalati “Ultimo tango a Parigi” e guardalo con occhi nuovi e con la mente sgombra da pregiudizi morali. Ne gusterai la bellezza e ti sentirai emotivamente coinvolta. Non dico che andrai in orgasmo, ma ti sentirai rimescolata dentro. Ti si allargheranno gli orizzonti di comprensione dei prodotti umani e ti accorgerai che “niente di nuovo sotto il sole” e che “tutto si ripete” e si allarga ad altre sfere della capacità umana di comunicare. Da tempo non resta che la “contaminazione” perché tutto è stato detto e scritto e tutto si può soltanto ridire e riscrivere con approfondimenti in base ai tempi e alle culture. E’ semplicemente impossibile essere originali e autentici. Poi riponi il “dvd” e i libri nella parte visibile della tua libreria.
Domanda
Che cavalcata! Sono stanca.
Risposta
Indubbiamente è venuto fuori da una tua curiosità un “papello” di roba. Torno al sogno di Sabina e propongo, in chiusura e restando sul tema, il video di una semplice e inestimabile poesia di Mariangela Gualtieri, “Ringraziare desidero”, oltretutto da lei recitata, personalmente e in persona, come direbbe il solito ridicolo comico di periferia politicamente promosso. Il tutto è in onore della vena creativa latente di Sabina.
Grazie & Grazie a tutti voi.