L’ASSO…DI PICCHE

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Ho sognato che la casa della nonna paterna era stata messa in vendita, pur essendo lei ancora in vita.
Una coppia di anziani, dopo aver visto altre case, decide di comprare proprio quella.
Durante la visita della casa io mi trovavo in cucina a giocare con le carte in compagnia di un’altra persona che non ricordo.
Avevo lo stato d’animo a terra perché mi dispiaceva che comprassero la casa.
Dopo qualche giorno incontro la coppia e la moglie, molto dispiaciuta, mi dice che, durante la visita a casa della nonna, il marito aveva preso dei soldi nostri e intendeva ridarmeli.
Ma invece di cinquanta euro, mi da venti euro con davanti alla banconota una carta che rappresentava asso di picche.”

Questo è il sogno di Lucia.

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Il sogno di Lucia rende conto di come riusciamo nel sonno a camuffare i conflitti sedimentati nel tempo a livello psichico profondo e le mille paturnie d’inferiorità e d’inadeguatezza.
Nello specifico il sogno di Lucia tratta della “posizione psichica edipica”, del suo conflitto con i genitori maturato nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza e ancora possibilmente in atto e in forma adulta: dipendenza affettiva e bisogni di protezione.
Il sogno si basa sulla simbologia della “casa”, del “denaro” e delle “carte da gioco” e mette insieme una psicodinamica di sofferenza blanda e diffusa.
“L’asso di picche” fa da protagonista essendo la chiave interpretativa portante con la sua specifica e ambigua simbologia: essere un asso, ma di picche e non di denari, non di coppe, non di spade, non di mazze, non di cuori, non di quadri, non di fiori. I “denari” e i “quadri” rappresentano il potere di investimento della “libido”, le “coppe” condensano la recettività psicofisica femminile, le “spade” e le “mazze” sono simboli decisamente fallici e maschili, i “cuori” contengono l’investimento affettivo ardito, i “fiori” hanno un significato funereo.
Cosa significherà l’asso di picche?
Lo scopriremo cammin facendo.
Per fortuna Lucia non conosce il linguaggio dei simboli e tanto meno la loro interazione, pur tuttavia ha intuito che il sogno poteva evocare “qualcosa di brutto”, come scrive nella sua lettera.
In effetti, i sogni trattano di noi e non di altri o di altro. Lucia rielabora una parte consistente della sua evoluzione psichica e, nello specifico, la naturale psicodinamica conflittuale con il padre e la madre, la sua “posizione psichica edipica”.
La prima parte del sogno evidenzia con sofferenza la modalità di relazione con i genitori, la seconda parte presenta una presa di coscienza foriera per Lucia di buon auspicio per l’autonomia psichica e la rivalutazione, a testimonianza che il sogno dice e propone, è diagnosi, prognosi e terapia dopo aver fatto presente il rischio psicopatologico.
La decodificazione dirà tutto in maniera allargata, tecnica ma chiara.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Ho sognato che la casa della nonna paterna era stata messa in vendita, pur essendo ancora in vita.”

Il sogno di Lucia chiama subito in causa i simboli della “casa”, di una figura femminile materna, “la nonna”, e del padre: la classica triangolazione edipica. Sin dall’esordio il sogno di Lucia presenta una calda sensibilità verso la conflittualità con i genitori a causa di una “posizione psichica edipica” parzialmente risolta.
Analizziamo i simboli.
La “casa” rappresenta la struttura psichica, la “organizzazione reattiva”, il cosiddetto vecchio carattere, la cosiddetta obsoleta personalità, la formazione psicologica, il come abbiamo accomodato e composto i nostri vissuti in “fantasmi”, la qualità delle nostre esperienze, nonché la modalità e la quantità d’uso dei meccanismi di difesa dall’angoscia.
Lucia aliena, vende in vita questa sua “casa”, identificata e “traslata” in quella della “nonna”, perché sente che non ci sta bene, non è padrona delle sue cose in casa sua, accusa delle frustrazioni insolute che le maturano aggressività che poi non riesce a scaricare. Lucia accusa una crisi da sovraccarico e disordine e abbisogna di prendere coscienza di “parti psichiche di sé” non andate a buon fine. Oltretutto, Lucia sente di essere “ancora in vita”, di avere “libido” da investire, energie da spendere, vitalità da vivere.

“Una coppia di anziani, dopo aver visto altre case, decide di comprare proprio quella.”

Traduco dal linguaggio dei simboli: Lucia pensa che i suoi genitori, nonostante abbiano altri figli, “altre case”, hanno scelto proprio lei, “proprio quella”, per essere amati e accuditi. In effetti, si tratta dei bisogni psichici di Lucia, al di là degli accadimenti reali e delle intenzioni dei genitori.
La frustrazione è completa e necessaria. Lucia non si accontenta di stornare i suoi beni psicologici, ma si accanisce a farsi perseguitare proprio da quella “coppia di anziani” che sono i suoi genitori e da cui lei si vuole staccare al fine di rendersi autonoma a tutti i livelli. Ma Lucia li vive in maniera oppressiva, per cui si crea notevoli frustrazioni che maturano aggressività. Non sono i genitori che si accaniscono con la figlia, ma è la figlia che non riesce a rendersi libera da loro. L’aggressività è destinata a ristagnare e a somatizzarsi, a ritorcersi contro se stessa convertendosi in sintomo. “Comprare” equivale simbolicamente a una deliberazione e a una scelta di assimilare l’altrui, di far proprio l’oggetto esterno, di una forma blanda di prevaricazione, di un uso senza abuso. Lucia, “proprio quella”, ha questi bisogni affettivi e protettivi e li trasla sui genitori.

“Durante la visita della casa io mi trovavo in cucina a giocare con le carte in compagnia di un’altra persona che non ricordo.”

Lucia sta riattraversando in sogno la sua relazione con i genitori, “durante la visita della casa”, e rievoca un episodio affettivo e seduttivo vissuto nella relazione con i suoi familiari, “mi trovavo in cucina a giocare”, e possibilmente avvenuto nella prima infanzia. Il “non ricordo” la persona con cui giovava “con le carte” è una “rimozione” difensiva che dispone per una figura significativa e importante, possibilmente uno dei genitori e possibilmente il padre, l’oggetto privilegiato del suo conflitto edipico.

“Avevo lo stato d’animo a terra perché mi dispiaceva che comprassero la casa.”

Si manifesta chiaramente la frustrazione, “stato d’animo a terra”, legata al dolore della mancata autonomia psichica, “mi dispiaceva che comprassero la casa”. La frustrazione, del resto, crea aggressività, ma questa reazione non si esterna di fronte all’invadenza dei genitori, meglio allo spazio lasciato da lei ai familiari di manipolarla e di condizionare le scelte psichiche ed esistenziali future. Il sogno evidenzia un rapporto difficile con i genitori per quella dipendenza che loro possibilmente hanno prodotto e che lei non ha saputo risolvere e commutare in “riconoscimento del padre e della madre”, la corretta e salutare risoluzione della “posizione edipica”.

“Dopo qualche giorno incontro la coppia e la moglie, molto dispiaciuta, mi dice che, durante la visita a casa della nonna, il marito aveva preso dei soldi nostri e intendeva ridarmeli.”

I “soldi” sono simboli di potere e, nello specifico, di “investimenti di libido”. Hanno una valenza “fallica” perché sessualmente consentono valore e potere, sicurezza ed estroversione. Nel rivisitare i genitori o meglio la sua “posizione edipica”, Lucia manifesta solidarietà verso la madre e avversione verso il padre, reo di averla mantenuta in minorità e di non averla aiutata a crescere sessualmente come donna: il marito aveva preso dei soldi nostri”. Lucia si era identificata nella madre, ma il padre non l’aveva aiutata a superare il conflitto edipico trattenendola nelle paludi infide di una relazione di dipendenza e di blocco del desiderio.
Lucia si è traslata nella “nonna” per continuare a dormire e a sognare.
Lucia si ravvede e prende coscienza della sua contorta relazione con i genitori e vuole recuperare e riappropriarsi dell’alienato: “il marito aveva preso dei soldi nostri e intendeva ridarmeli.”.
Questo rigurgito è positivo e lascia ben sperare per future e congrue evoluzioni.

“Ma invece di cinquanta euro, mi da venti euro con davanti alla banconota una carta che rappresentava asso di picche.”

Il furto si evolve nella frode, sempre da parte del padre o, meglio, Lucia non sa che farsene del potere seduttivo di donna: troppo impegnativo da incarnare e da gestire. La riduzione da “cinquanta a venti euro” è volontaria, ma in sogno è attribuita in maniera difensiva al padre.
Il cardine esplicativo del sogno di Lucia è, come dicevo nelle Considerazioni, la “carta che rappresentava asso di picche” con il suo significare la convinzione di Lucia di aver desiderato di essere leader, ma di poco valore: troppo impegnativa l’autonomia psichica da vivere e da esercitare nella quotidianità.
“L’asso di picche” rappresenta la vanificazione di una gratificante realizzazione personale, la delusione legata all’immagine di sé: Lucia si era immaginata in maniera diversa da quella che ha realizzato.
Lucia non ha saputo dare realtà e corso ai suoi progetti esistenziali e ai suoi desideri affermativi, non ha risposto in maniera adeguata alle esigenze evolutive perché è rimasta impaniata nella “posizione psichica edipica” e, in particolare, ha attribuito al padre la sua mancata autonomia.

PSICODINAMICA

Il sogno di Lucia sviluppa la psicodinamica della “posizione edipica”, i vissuti e i “fantasmi” legati al rapporto conflittuale con i genitori e alla contrastata realizzazione personale. Lucia esibisce un complesso d’inadeguatezza direttamente proporzionale alla mancata autonomia psichica. Il sogno mostra i tratti del “soggetto di minor diritto” o del “figlio di un dio minore”, pur tuttavia, contiene i segni di una ripresa psichica in grazie a una progressiva presa di coscienza.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

Il sogno di Lucia presenta le istanze psichiche “Es”, “Io” e “Super-Io”.
L’istanza pulsionale emotiva “Es” si vede chiaramente in “Ma invece di cinquanta euro, mi da venti euro con davanti alla banconota una carta che rappresentava asso di picche.” e in “a casa della nonna paterna era stata messa in vendita, pur essendo ancora in vita.”
L’istanza vigilante e razionale “Io” è presente in “Avevo lo stato d’animo a terra perché mi dispiaceva che comprassero la casa.”
L’istanza psichica censoria e morale “Super-Io” si evidenzia in “invece di cinquanta euro, mi da venti euro”.
Il sogno di Lucia svolge una parte consistente della “posizione edipica”.

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

Il sogno di Lucia si serve per quanto riguarda la formazione e la compilazione dei seguenti meccanismi psichici di difesa dall’angoscia: la “traslazione” in “la casa della nonna paterna” e in “proprio quella” e in “comprare”, la “rimozione” in “un’altra persona che non ricordo”, la “condensazione” in “casa” e in “coppia anziani” e in “visita della casa” e in altro, lo “spostamento” in “asso di picche” e in “comprare casa” e in “soldi”, la “figurabilità” in “Ma invece di cinquanta euro, mi da venti euro con davanti alla banconota una carta che rappresentava asso di picche.”
Il processo psichico di difesa dall’angoscia della “regressione” è presente in
“io mi trovavo in cucina a giocare con le carte in compagnia di un’altra persona che non ricordo.”
Il processo psichico di difesa dall’angoscia della “sublimazione della libido” è presente in “giocare con le carte”.

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Il sogno di Lucia evidenzia un tratto nettamente “edipico” all’interno di una “organizzazione psichica reattiva” decisamente “genitale”: conflitto con i genitori e investimenti maturi di “libido” con sacrificio dell’amor proprio.

FIGURE RETORICHE

Le figure retoriche coinvolte nel sogno di Lucia sono la “metafora” o relazione di somiglianza in “casa” e “vendita”, la “metonimia” o relazione concettuale in “comprare” e in “soldi” e in “asso di picche”.

DIAGNOSI

La diagnosi dice di una “posizione edipica” parzialmente risolta che si riverbera in una contrastata autonomia psichica e in una serie di sensazioni d’inadeguatezza con riduzione degli investimenti della “libido”.

PROGNOSI

La prognosi impone a Lucia di completare la sua relazione con i genitori con il “riconoscimento” del padre e della madre senza dipendenze varie e variopinte e al fine di raggiungere la libertà di pensare e di agire.
Il riattraversamento consentirà la riformulazione dei vissuti in loro riguardo e l’emergere dell’emozione della “pietas”, la sacralità delle loro figure. La presa di coscienza favorirà, inoltre, una duttilità psichica e un vissuto globale meno severo con una progressiva risoluzione della parte conflittuale del legame.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico si attesta in una psiconevrosi cosiddetta “edipica”: isterica, fobico ossessiva, d’angoscia o depressiva. Nel persistere di uno stato conflittuale rientra anche la caduta della qualità della vita e le varie difficoltà nelle relazioni significative e non.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Lucia è “4” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.

RESTO DIURNO

La causa scatenante del sogno di Lucia si attesta in un incontro o in un ricordo o in una riflessione sullo stato psichico in atto.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità del sogno di Lucia è depressiva in quanto esprime in maniera ricorrente temi riguardanti la perdita.

RIFLESSIONI METODOLOGICHE

Lucia e chi legge si chiederanno come si risolve in maniera corretta e proficua la “posizione edipica”, l’universale conflitto con i genitori, una tappa evolutiva fondamentale per l’autonomia psichica.
Propongo una sintesi teorica chiarificatrice e un brano tratto da “Io e mia madre”, libro pubblicato dalla casa editrice “Segmenti”, sulla psicodinamica edipica.
La triade teorica e operativa è la seguente:

Ho onorato il Padre e la Madre e sono rimasto schiavo.
Ho ucciso il Padre e la Madre e sono rimasto solo.
Ho riconosciuto il Padre e la Madre e sono rimasto libero.

UCCIDI LA MADRE

Sul lavoro sono nervosa, mi sento provvisoria e costretta a vivere con persone insignificanti; tu cerchi le affinità elettive e trovi sempre incastri incompatibili.
La convivenza mi è impossibile.
Detesto mia madre e le operaie del maglificio, donne stupide di tanto e felici di poco.
Io ho altri scopi nella vita ed è frustrante perdere il mio tempo in questa fabbrica di maglioni colorati, che, ricattata delle multinazionali, stenta da sempre a decollare.
Le crisi di panico bloccano ogni mia iniziativa e ogni mio progetto, vanificano le energie residue.
Da bambina ho sognato di dilatare all’infinito le mie conoscenze e di trasmetterle agli altri bambini, da adulta mi ritrovo rinchiusa per otto ore al giorno in un ambiente angusto e braccata da tanta mediocrità; ho paura di assorbirla e di rassegnarmi a vivere con la mentalità della donna in carriera, una massa di carne più o meno organizzata e piena di frigidità.
Il mio corpo è appena uscito dall’indistinto e la mia mente è appena rinata dal caos.
Mi atterrisce il pensiero che fra dieci anni posso ancora trovarmi in questi uffici, con questi telefoni, in mezzo a queste poltrone da manager, tra bolle di accompagnamento e relative fatture, circondata da rozzi camionisti che ti chiedono dov’è andato a finire il tuo seno o a chi affitti la vagina ogni notte per una pipa di tabacco.
L’odore acre dei tessuti mi dà la nausea e il rumore continuo dei telai mi irrita la pelle.
Non sono stanca, ma semplicemente insoddisfatta perché alla fine della giornata non raccolgo niente di costruttivo per me e per il mio futuro prossimo.
Il sistema economico brucia risorse e aspirazioni umane per produrre beni di consumo e frustrazioni; i processi evolutivi sono sempre in perdita e la civiltà resta ancora l’opinione occulta di pochi eletti.
Se fossi almeno libera dalle crisi fobiche e dalle limitazioni dei miei genitori, fuggirei lontano, tanto lontano, in un mondo ancora primitivo dove il pallino imprenditoriale di mia madre e l’inettitudine di mio padre non avrebbero alcuna possibilità di esistere.
Andrei via soprattutto da lei perché mi fa sentire dipendente e mantenuta.
Studiare e istruirsi sono ritenuti dalla filosofia familiare capricci infantili; l’unico motivo che rende la vita degna di essere vissuta è il lavoro, soltanto e sempre il lavoro.
Altro che bighellonare goliardicamente all’università tra le calli e i campielli di Venezia !
In questa fanatica concezione della dignità del lavoro i miei genitori sono in perfetto accordo con lo spirito religioso dei calvinisti e senza alcuna sacra coscienza adorano il dio quattrino, un culto così diffuso nella cultura occidentale e così prospero nel nostro orgoglioso nord-est; dell’ozio e delle attività sorelle non esiste alcuna traccia nelle loro aride menti e nei loro insensibili cuori.
Poveri genitori, mi fanno tanta tenerezza e a volte anche tanta pena.
Del resto, attualmente non mi sentirei tranquilla in un salone con trecento persone per assistere a una lezione sul Canzoniere del Petrarca e non saprei gustare, come merita, la nona satira di Orazio.
Se cerco l’appoggio dei miei genitori, mi ritrovo inevitabilmente sola; delle loro attenzioni e delle loro premure non avverto neppure l’eco.
Per converso i loro squallidi pregiudizi mi inducono feroci sensi di colpa, che poi naturalmente pago con le crisi di panico e con le scariche isteriche.
Nell’assumere nuovamente il ruolo di studentessa pesano la dipendenza economica e la paura di quelle ulteriori delusioni che confermerebbero le stolte convinzioni dei miei genitori.
Mia madre si lamenta sempre di lavorare tanto, di non trovare un adeguato sostegno in me e si dimostra molto subdola nel cavalcare il tema della figlia ingrata.
Forse io non sono da meno, ma lei è madre e io sono figlia.
Come potrei concentrarmi nello studio se si lamenta in ogni occasione di essere molto stanca e mi chiede continuamente di aiutarla nel suo lavoro ?
Io non resisto alla tirannia dei miei sensi di colpa, per cui come una puttana sono sempre disponibile sul marciapiede.
Ho pensato di andare a vivere da sola, ma il progetto è stato immediatamente archiviato dal momento che, se studio, non posso lavorare e di conseguenza non posso mantenere la mia sopravvivenza e la mia libertà.
A tale fugace pensiero e sotto le sferzate logiche dell’inevitabile dipendenza da mia madre durante la notte si è ripresentata una crisi d’asma con panico incorporato e con tutti quegli accessori che non si possono definire salutari optional.
Sono ben sistemata con annessi e connessi; in effetti non mi manca quasi niente per avere il passaporto della felicità, ma il guaio peggiore è che non vedo una misera via di uscita da tanta disgrazia.
Mi dico con tono sicuro che questo è soltanto un periodo terribile della mia vita e mi ridico con tono deciso che questo è soltanto un periodo terribile della mia vita.
Alla fine riesco a convincermi e a trovare pace sul fatto che questo è soltanto un periodo terribile della mia vita e mi solleva la riflessione che con i miei fallimenti non posso chiedere alcuna prova d’appello ai miei genitori, per cui mi conviene essere dipendente al massimo e non creare alcun conflitto con le loro poche idee e con i miei tanti bisogni.
Io sono un fallimento e mi trascino una serie di sconfitte come il lungo e bianco strascico di una sposa illibata.
Non mi resta che lavorare senza salario per restituire ai miei genitori il denaro che hanno investito su di me e posso di tanto in tanto anche ammalarmi secondo le varie ed eventuali emergenze psicologiche.
Pur tuttavia, mi sento in debito all’infinito nei loro confronti e mi sento colpevole di un qualcosa di indefinito nei confronti di tutti.
Mia madre, oltretutto, ha modificato il suo atteggiamento e, incredibile a dirsi, in questo periodo é tanto premurosa e gentile verso di me.
Capisco che questa è la sottile trappola che la perfida matrigna di Biancaneve tendeva alla figliastra debole e insicura.
In compenso la dolce signora riversa tutta la sua aggressività sul marito e le liti giornaliere sono cresciute di numero e di intensità.
Immancabilmente scarica merda su quel pover’uomo come le fogne di Venezia nella putrida laguna.
Anche di questo misfatto mi sento in colpa e non so se essere solidale con lei o preoccupata per lui, quel padre così anonimo e così mio.
Rasserenandomi da sola e senza il micidiale “serenase”, spero e nello stesso tempo temo di riprendere il filo della mia vita dopo una brutale intossicazione di farmaci e dopo tanti anni di parcheggio esistenziale.
Vorrei fare qualcosa, ma ho paura di fallire ancora.
Non ho alcuna fiducia in me stessa e nelle mie costanti incompiute.
Ho vissuto per cinque anni soltanto esperienze tutte da rimuovere nel buco nero di un ipotetico inconscio.
Vorrei tentare qualcosa di creativo, un investimento tutto mio nel settore della pubblicità, della moda, della pittura, della fotografia, del giornalismo, della letteratura.
Vorrei essere me stessa.
Vorrei, vorrei, ma chi sono io ?
Niente da fare.
E’ peggio che andar di notte, come la befana, con le scarpe tutte rotte.
Nel lavoro attuale non c’è niente di poetico; io so di essere artistoide e di usare malamente e contro me stessa la mia sensibilità e le mie risorse estetiche.
Del resto, vivendo nella campagna trevigiana, sono lontana dai grandi circuiti della creatività e sono costretta a sognare in grande perché mi sento braccata in uno spazio angusto.
Il destino infame mi ha fatto nascere e crescere in una certa famiglia e in un certo posto; io non posso cambiare alcunché del mio passato e non riesco a cambiare alcunché del mio presente.
Questa visione araba della vita non mi appartiene, ma per il momento mi serve e me la tengo cara tra le cosce.
In famiglia e in paese la mentalità è ristretta: lavoro, denaro, villa, volvo, mercedes, merlot, poenta e osei, cabernet, poenta e brasoe, raboso, poenta e costesine, risi e bisi, cicchetti e spriz, prosecco e speo.
E di tutto il resto ?
Nient’altro o quasi niente.
In questa situazione mi sento una scolaretta delle scuole elementari, una figlia dipendente dalla madre, una bambina diversa dalle sue coetanee.
Se riuscissi almeno a staccarmi da questo esasperato individualismo, a demolire i muri di questo spietato narcisismo, se mi sentissi almeno una minima parte del gruppo, sono sicura che darei il cento per cento di me stessa, ma purtroppo l’impresa è impossibile perché in famiglia non mi sono mai sentita così.
Io sono un’esclusa, continuo dal posto sbagliato a guardare inebetita il mondo e tutti quelli che lo abitano attraverso un vetro, il vetro del mio salotto, e non riesco a far parte di un qualcosa di intero, di un qualcosa di organico.
Come una bambina ingenua e capricciosa resto sempre una scheggia impazzita e non concepisco altra forza e altra rottura al di là della malattia e del suicidio.
Mi convinco sempre più della necessità di distruggere dentro di me la figura materna per non restare bambina.
E il padre ?
Il padre si è sistemato da solo o almeno così mi sembra.
Che in tutto questo ci sia ancora lo zampino di mia madre ?
Non importa.
Il padre per il momento é sistemato.
E’ meglio procedere.

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