UN MURATORE RIFINITO

LA COSA PARLA
IL LINGUAGGIO DELL’ALTRO
L’inconscio è strutturato come un Linguaggio
Lacan

STORIE DI POPOLO

 

UN MURATORE RIFINITO

Io non so parlare in italiano
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante della formosità
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Come al solito mi faccio tanti problemi
per il fatto che tu vai in giro con seni di mucca e natiche d’elefante,
robe da circo equestre a marca Orfei.
Problemi inutili!
Lo so.
Non dico che tu sei un fenomeno da baraccone
e tanto meno una donna facile,
ma è vero che hai nel davanti e nel didietro due scialuppe di salvataggio
come quelle del Titanic e dell’Andrea Doria prima di affondare.
Comunque, vada pure come deve andare
e da come andrà trarrò gli auspici.
Io non sono superstizioso,
io non sono ricchione,
io non sono misogino,
per cui io penso di provarci con te
e certamente non mi tiro indietro di fronte alla patata,
la tua patata sognata e trasognata ogni notte
nel mio letto puzzolente d’intimità,
una patata che per me è indigesta con tante grazie a mia madre
che sapeva cucinare la sua anche troppo bene
nella stanza da letto con l’amico di turno
quand’ero un bambino indifeso
e apparentemente tutto per i cazzi suoi.
Un bambino che è tutto per i cazzi suoi
tecnicamente si definisce autistico.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante delle stanze da letto
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Io non ti conosco bene, sai?
E poi ci vediamo una volta al mese,
proprio come il tuo marchese,
per cui devi capire le mie remore
quando mi chiedi di scopare o tanto più di scoparti.
Se ti scopassi, però, non sarebbe mica male,
anzi sarebbe decisamente bene
e sarebbe bene per me, per te e per tutti.
Ma cosa vuoi che freghi alla gente se io e te ci scopiamo?
Sarebbe bene soltanto per me e per te.
Anzi, mi correggo, sarebbe bene solo per me,
perché tu vai sempre avanti come un cacciatorpediniere
e dietro lasci soltanto torsoli di mele Melinde e stroz di ogni tipo.
Io sono convinto che ci vediamo troppo poco,
troppo poco per avere qualche possibilità di metterci insieme.
E anche se ci vedessimo due volte al mese,
il malato non migliorerebbe.
Figurati se il poverino può guarire.
Dobbiamo trovare le volte giuste e dignitose
per costruire una buona ragione tra noi due
e per poter parlare di noi due come di una coppia.
Tu sai che una coppia è coppia soltanto quando scopa,
altrimenti si tratta di amici innocenti o di colleghi d’ufficio,
di camerieri di un albergo a ore o di carabinieri in servizio.
Probabilmente, se tu ragionassi alla mia maniera,
sono convinto che saremmo una coppia perfetta,
quella giusta per due aspiranti porzei come noi due.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante dei porzei in coppia
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Penso che tu sia consapevole di questo nostro triccheballacche
e che non te la tiri troppo per questo nostro inghippo,
ma una scopata ogni quindici giorni,
credimi,
non è il massimo della gloria sessuale,
sperando sempre che cada nel momento giusto.
Ricordati che, se in quel giorno tu sei comunista, salta il giro
e allora siamo tutti e due fottuti e ancora nei soliti casini.
Sai che io non l’ho mai pensata così la nostra storia.
Una scopata in amicizia adesso come adesso mi va anche bene
e dopo si vedrà,
soltanto dopo si vedrà
e chissà cosa si vedrà e chi lo vedrà.
Chi vivrà vedrà se ha occhi per vedere,
e, se non ha occhi per vedere, avrà almeno orecchie
per sentir gridare il mio desiderio
sopra il tuo corpo grasso e sporco di Nutella
o in odore di frittura di calamari Findus.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante della Nutella e dei calamari Findus
e so, di certo, che il troppo stroppia.

E allora un limite lo vogliamo mettere tra noi due?
Si o no?
La differenza di vita tra noi esiste.
Tu vai a destra, io a sinistra,
tu fai economia, io sperpero,
tu vegeti di mariagiovanna, io tiro di coca,
tu intellettuale di merda, io popolano ignorante,
tu buddista, io non so di cosa parli quando parli di Budda,
tu ami il biliardo, io amo la puzza degli animali.
E allora?
Allora noi due siamo fatti solo per scopare,
soltanto per scopare,
perché, anche se tu sei vegetariana, non disdegni
di farti riempire di carne
o di farmi cuocere l’osso buco nel tuo brodino.
Tu sei una donna,
una generosissima donna,
un’igienica donna da Vagisil,
una donna che ama la pulizia di un buon bidè prima e dopo l’amplesso
per sciacquare anche i sensi di colpa
di aver tradito un marito già cornuto di suo
e dopo incoronato a raffica anche da te.
E’ proprio vero che si nasce sfigati e che sfigati si nasce.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante del Vagisil e del bidè
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Volevo qualche chance in più
per legarti al polso il mio palloncino,
per mettere il mio povero cappello sulle tue notevoli chiappe,
per segnare il mio territorio come un gatto pisciandoci sopra,
ma tu, ingrata e cinica, non mi hai dato questa possibilità
e il polso l’hai usato per smanettarti
dopo aver messo a letto i bambini,
il cappello l’hai trasformato in un orinale
per gli usi consentiti dalla legge,
il territorio l’hai commutato in una galera
per alieni curiosi del sabato sera degli umani.
Ah, i bambini, i tuoi innocenti bambini!
Tutta diversa,
quasi irriconoscibile quando stai con loro,
quando ti rivolgi a loro,
quando ti mescoli a loro,
quando ti fai ammirare in completo deshabilliè da loro.
Io geloso?
Ma cosa dici?
Tu non sai quello che dici.
Tu dai fiato ai polmoni tanto per parlare respirando.
Io, secondo le tue congetture, sarei geloso dei tuoi figli.
Ma chi se ne frega!
Je m’en fous!
Te lo dico in tutta volgarità, oltre che in francese.
Io mi sbatto con garbo quei poveri coglioni
che hai massacrato con le tue religiose stronzate,
con i tuoi dissacranti voti di castità
e con i tuoi aberranti sensi di colpa.
I figli sono tuoi e non miei,
li hai fatti con un altro e non con me,
ti sei fatta montare da un altro e non da me,
ti sei fatta riempire da un altro e non da me.
Ma come si fa?
Sei un paradosso vivente,
una contraddizione che cammina,
un enigma in carne e ossa,
una minchiata con lo scheletro.
Tanto casta e tanto insolente!
Tanto santa e tanto laica!
Come la moglie del principe di Lampedusa,
il famigerato Gattopardo,
ti fai il segno della croce prima di farti sbattere
e dopo che ti sei fatta sbattere.
E’ tutta colpa della tua mente perfida e della tua figa zoccoletta.
Bisognava che ti curassi al tempo giusto,
mia cara,
quand’eri bambina
e quando ogni notte stranamente godevi
all’impietosa visione dei tuoi genitori
che si montavano a rate e godevano in contanti.
Il tuo male si chiama complesso di Edipo.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante del complesso di Edipo
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Mangerei prima un passato di verdure
e poi due wurstel con la senape,
quella tedesca però.
Che problema c’è?
Nessuno!
Strano che io mi ponga blocchi del genere
dal momento che tu sei sempre disposta a cucinare.
Sto parlando con te e di te, sai?
Io sono sicuro di quello che dico.
E tu che dici?
Cosa mi dici di questo tuo blocco sessuale?
Niente?
E allora corri, corri cavallina,
corri per la prateria,
corri di qua,
corri di là
e zompa sul primo stallone come tu sai ben fare,
tu che sei mater et magistra.
Che caldo che fa stasera!
E’ meglio che mi prenda un buon gelato
al bar dalla signora Irene di Pedeguarda,
però un gelato veramente freddo,
fatto con il latte e non con il grasso di balena.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante del gelato artigianale
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Il desiderio di un rapporto serio,
possibilmente di un fidanzamento tradizionale
con tanto di brillante Trilogy e mazzi di rose rosse,
non l’ho mai negato
e non lo nego più che mai oggi
perché lo vorrebbe anche la mia mamma.
Io sono convinto di voler fare questo grande passo,
ma quello che è più grave è il fatto
che io sono veramente convinto
di voler fare questo terribile passo.
Vorrei responsabilità,
tante responsabilità da annegarci dentro,
ma proprio tante di quelle responsabilità
da non pensare più a nient’altro
se non alle cose vere e reali,
quelle di Tommaso,
quelle che si palpano come le tue grasse chiappe
quando sei disposta a fartele palpare.
Soltanto in questo modo finalmente manderei in stramona
le mille paturnie della mia mente birichina
che non sa far altro che pensare.
Io penso,
penso,
penso.
Io penso sempre,
ma non in maniera umana.
Io penso in maniera non umana,
disumana forse.
Io penso come uno schizofrenico
che ha perso la bussola della realtà
e che si è spappolato gli emisferi del cervello a furia di pensar doppio,
doppio come il brodo Star del tempo che fu.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante della psichiatria pesante
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Tu che ne dici?
Mi bagno prima della pioggia
o mi sono già messo l’impermeabile?
Come si risolve questo problema?
E allora dimmi tu come risolvo questo problema.
Dimmi tu,
dimmelo tu per favore,
tu che sai tutto e di tutto.
Devo andare dallo strizzacervelli?
Tu sei pazza!
Sei tu che devi andare dallo strizzacervelli,
così come vai dalla maga,
dalla strega,
dall’astrologa,
dalla massaggiatrice
e anche dalla puttana della miseria
che sicuramente abita nella tua contrada e forse proprio a casa tua.
Tu sei una sfigata!
Io non mi farò mai strizzare il cervello
da un illustre mercante della mente e per giunta a pagamento.
E che pagamento!
Mi toccherebbe accendere un mutuo
presso la banca delle Prealpi di Cefalù
per spegnere il saldo delle sedute.
Piuttosto preferisco infilar le monetine dentro la macchinetta del poker
al bar della grassona Ingrid e in quel buco di culo di Campea,
sperando in un tris di dieci
per sentir tintinnare venticinque volte un euro nella cassettina di metallo.
Non si sa mai,
stasera può succedere di tutto,
proprio di tutto.
Può succedere anche che dalla fessura della porta del cesso
entri o esca il vero amore,
veramente il vero amore,
quello del mal di stomaco o del tiro mancino.
E’ meglio però che metta cinque euro nella macchinetta dei preservativi,
quella provvidenziale e benemerita macchinetta,
quella che sta fuori dalla farmacia di corso Garibaldi
imperterrita al caldo e al freddo,
quella che vede sempre in faccia uomini e donne
che si propongono di scopare e di non far figli.
Che maledetti!
E se la poverina fosse obiettrice di coscienza?
Che mestiere ingrato!

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante delle cose fatte bene e al momento giusto,
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Il forte senso del rispetto e del dovere,
che sin da piccolo i miei genitori mi hanno infilato nel cuoricino,
m’impedisce di trattarti male e tanto meno di offenderti.
Questi principi dovrebbero traslocare dal mio cervello
per essere scaricati in un cesso pubblico
e dotato di doppio sciacquone.
Oppure dovrebbero essere falciati come l’erba da un provetto contadino
per poi diventare fieno
ed essere mangiato e cagato dalle mucche.
Tutto torna alla Natura,
tutto torna dove proviene.
Il solito ciclo del carbonio!
Tutto nasce dalla merda e alla merda ritorna.
Ma io non sono villano in ogni senso,
per cui persisto nel farmi tanti problemi per niente.
Prova tu a convincermi che i miei sono problemi da niente
e spingimi in pista a ballare il liscio.
E vai con il liscio!
No, purtroppo non è roba per me.
Sono troppo diverso,
sono un muratore rifinito,
so di cazzuola e d’intonaco,
so di caldarella e di martellina,
so di cemento armato e disarmato.
Io non so di vita e tanto meno di saper vivere.
Figurati se m’intendo di ballo!
A proposito di ballo mi viene in mente il mio amico Jonny,
il bullo di Gaiarine,
quello che raccattava sempre da qualche parte un latino americano
per strofinarsi i zebedei in un bel pube piatto e odoroso di donna
con la scusa che la baciata si doveva ballare in quel modo.
Jonny non si faceva alcun problema a suonar la chitarra,
la sua chitarra elettrica,
sopra qualsiasi elemento che sapeva in qualche modo di femminile.
Devo prendere esempio da lui.
Jonny non si tirava mai indietro
e si lasciava sempre fregare volentieri dalle fighe che lo circondavano.
Devo prendere questo da lui.
Se io prendo questo da lui, io a lui cosa do?
A Jonny potrei dare i miei principi morali,
ma lui non li vuole,
non sa che farsene.
A Jonny potrei dare le mie inibizioni,
ma lui non le vuole,
non sa che farsene.
Lui mi può dare l’istinto
e così mi regalerebbe la possibilità di avere un sacco di donne
disposte a farsi suonare da me.
Lui potrebbe, ma io non voglio niente da lui.
E allora mi tengo le mie paure.
Io so che le mie paure sono infondate.
So anche che è solo questione di tempo
e le mie paure evaporeranno come nebbia al sole.
Devo essere più aggressivo,
devo crescere nel desiderio,
devo desiderare un culo esageratamente grosso e grasso.
Pretendo troppo?
Devo crescere nel mio sadomaso.
E poi un culo è sempre un culo,
non è certo l’ombelico del mondo
e poi non si vede quando sei a cavallo.

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante del culo
e so, di certo, che il troppo stroppia.

Sabato sera sei libera?
Hai la casa disoccupata?
Se sì, puoi prenotare un posto per me?
Verrei a farmi una scorpacciata della tua ciccia fresca,
anche se odorosa di patatina fritta, rifritta e quasi brustolata.
Voglio lasciarti, come un forte stallone, l’impronta degli zoccoli
tra le pieghe del lenzuolo e della tua pancia flaccida.
Intanto, in mancanza di un buco da riempire, mi restano le mani
per scaricare tutta la libido che mi sento addosso come zavorra.
Mi verrai sopra,
così non ti vedo le due metà del posteriore.
Mi compenserò con la tua quinta di tette,
due macigni sospesi nel vuoto sopra il mio viso.
In fondo, un rapporto di sesso è sempre un ottimo rapporto,
un rapporto vero,
il solo rapporto vero che non può mentire perché è vero,
almeno nella versione maschile.
Tu, invece, sei fasulla
perché puoi sempre recitare a soggetto
e puoi fingere sul tema in qualsiasi teatro di periferia.
Che truffa!

Io non so parlare in italiano,
ho frequentato le scuole serali a Vittorio Veneto,
ma sono amante della febbre del sabato sera
e so, di certo, che il troppo stroppia.

 

 

 

Flusso di coscienza elaborato da Salvatore Vallone in Pieve di Soligo (TV)
e nel mese di Aprile dell’anno 1992

 

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