MARIA ALLO SPECCHIO

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Ho sognato di riflettermi nello specchio e mi sono vista brutta e grassa.
Ho pensato che quella non ero io.
Mi dico che devo fare subito qualcosa.”

Questo è il breve e significativo sogno di Maria.

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Il sogno di Maria è diffuso e frequente. Lo fanno indistintamente i maschi e le femmine a tutte le età. Il motivo di tanta diffusione e frequenza si attesta nel fatto che un simile prodotto psichico tratta l’oggettivazione della propria immagine e della propria identità psichiche. Quest’ultima è il precipitato o l’esito delle identificazioni che nell’evoluzione psicofisica ogni persona istruisce. Questo fotogramma si può fermare e fissare soltanto per quel momento storico ed esistenziale perché l’evoluzione non si può bloccare, perché il magma prende forma ma continua a scorrere. L’aspirazione al “sapere di sé” rispecchia le esigenze di tutti sin dalla prima giovinezza e in special modo nell’età matura.
Ma quale oggettività si può avere con una soggettiva introspezione?
Com’è possibile essere soggetto e oggetto nello stesso tempo?
Quanto vale questo metodo così suggerito e così diffuso?
Quali altre strade esistono e si possono seguire?
Sono problemi aperti nell’antichità Greca dalla filosofia dei Sofisti con il porre l’Uomo al centro della speculazione rispetto al precedente primato della Natura. Il manifesto di Protagora recita: “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto al loro essere e di quelle che non sono in quanto al loro non essere”. A questo orientamento conoscitivo antropocentrico si accosta la metodologia antropologica, a stampo esclusivamente psicologico, del “conosci te stesso” praticata dal sofista dissidente Socrate e basata sulla “ironia” e sulla “maieutica”, due momenti fondamentali del “sapere di sé”.
La prima si attesta nella progressiva e consapevole perdita delle false verità in riguardo a se stesso. La “ironia” sarà ripresa da Freud nei concetti di “resistenza” e di “destrutturazione”, due pilastri metodologici della Psicoanalisi ancora oggi. La “resistenza” è il meccanismo psichico che impedisce la presa di coscienza del rimosso ossia del materiale psichico che è stato per difesa dall’angoscia dimenticato e relegato a livello inconscio. Resistenze sono le false convinzioni, in riguardo a noi e al mondo che ci circonda, che occultano le verità profonde.
La “maieutica” o arte della levatrice si attesta, una volta che è stato fatto spazio ed è stato tolto il tappo, nell’emersione naturale dal Profondo psichico della vera essenza umana e personale, quelle verità basilari di ordine logico, etico e politico: io sono un vivente, io sono un valore, io sono un animale sociale. Da queste consapevolezze si costruisce la “coscienza di sé” e si riempie con le mille esperienze personali dell’esistenza.
Ma chi aiuta il parto?
Chi è l’ostetrico?
Socrate mette in discussione il sapere affermato di sé attraverso la semplice richiesta del “perché tu dici questo”: importanza determinante della parola.
Socrate mette in crisi la consapevolezza erudita del malcapitato e arrogante sofista che si nasconde dietro la sua erudizione o sapere dell’altro.
In Psicoanalisi la “maieutica” socratica si ripresenta nella “razionalizzazione del rimosso” e nella presa di coscienza dei “fantasmi” attraverso la progressiva interpretazione del materiale psichico prodotto.
La necessità del maestro che sa, il filosofo, o del compagno di viaggio che conosce la strada, lo psicoanalista, è presente in entrambi i metodi d’indagine antropologica. Il maestro consente l’oggettivazione e la decodificazione del materiale psichico prodotto attraverso la griglia più o meno scientifica, più o meno oggettiva. Ogni scuola psicologica produce un “Sapere” che comprensibilmente ritiene corrispondente alla verità dei fatti. E su questo importante problema si apre un dibattito infinito che si rimanda ai prossimi appuntamenti.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Ho sognato di riflettermi nello specchio”

L’atto di “riflettermi allo specchio” è un rafforzamento simbolico dell’identità psichica ed esprime il bisogno di migliorare la “coscienza di sé”. Include i meccanismi psichici di difesa dall’angoscia della “proiezione”, della “introiezione” e della “identificazione”, nonché la “posizione psichica fallico-narcisistica” con la “libido” corrispondente. Maria è interessata a se stessa e va alla ricerca di conferme sul suo modo di essere, ma, più che dalla sua immagine esterna, è attratta dalla sua immagine interna, dalla sua sfera intima e dalla sua produzione psichica profonda. Tutto questo materiale appartiene alla sua “organizzazione psichica reattiva”: la sua personalità, il suo carattere, il cumulo delle identificazioni che ha formato la sua identità psichica.

“mi sono vista brutta e grassa”.

Maria non si accetta nel versante interiore e nel versante affettivo. Il “brutta” induce erroneamente a pensare a una qualità estetica. Si tratta, invece, di una qualità psichica conseguente all’uso del meccanismo psichico di difesa della “scissione dell’imago” o dello “splitting” di kleiniana memoria in riguardo al “fantasma dell’immagine di sé”.
Maria scinde quest’ultimo nella “parte positiva”, bella e magra, e nella “parte negativa”, brutta e grassa. Questa operazione è in difesa dall’angoscia dell’abbandono e del coinvolgimento affettivo. Maria non accetta le sue pulsioni e i suoi vissuti in riguardo a se stessa, non si ama, non ha amor proprio e non ha maturato la giusta autostima. Maria è aggressiva dentro e non gratificante verso se stessa e verso gli altri. Inoltre, ha problemi d’investimento di “libido genitale”. Maria si è esclusa e si è sentita esclusa, non si è amata e non ha amato. Il “grassa” si attesta simbolicamente nella degenerazione della sfera affettiva in riguardo all’amore di sé e all’amore dell’altro. Il “grasso” è un derivato dell’abuso del cibo, le simboliche bulimia e obesità.

“Ho pensato che quella non ero io.”

Maria vede una donna che non è lei: solite birichinate del sogno come in un film di Hitchcock!
“Quella” donna è il complesso esteriore e interiore, la dimensione esterna e interna della stessa Maria, “quella” donna è l’allucinazione di se stessa in immagine globale, una visione complessa e non soltanto estetica, una “fantasia” di se stessa. Il termine “fantasia” deriva dal greco antico e significa grossolanamente “prendere luce”, un’allucinazione legata all’eccitazione del desiderio di essere diversa e dal rifiuto di essere quella che è. Non dimentichiamo che il sogno è anche appagamento di un desiderio profondo e rimosso, sempre secondo Freud, ed è basato su allucinazioni sensoriali, normali in sogno, ma psicopatologiche nella veglia.
Maria mette in atto il meccanismo delicato e pericoloso della “negazione” che consiste nel non riconoscersi e nel rifiutarsi: “quella non ero io”. Si evince da questo meccanismo che la gradita rappresentazione di sé si attesta nell’opposto, per cui Maria dalla consapevolezza di questo rifiuto e di questa immagine positiva può procedere al miglioramento: io non voglio essere così e posso essere diversa. Dopo la “negazione”, un meccanismo primitivo di difesa dall’angoscia, deve subentrare la “razionalizzazione” e la presa di coscienza delle “parti di sé” non gradite e da portare in evoluzione per la migliore modificazione possibile. Si può evolvere ma non stravolgere la “organizzazione psichica reattiva” o struttura o formazione psichica.

“Mi dico che devo fare subito qualcosa.”

Ecco la disposizione al cambiamento!
“Mi dico” rappresenta la funzione dell’Io e la disposizione alla presa di coscienza del rimosso, la necessità della “razionalizzazione” delle “parti psichiche” estromesse e dell’accettazione delle “parti psichiche” rifiutate. Maria dimostra di voler superare le resistenze e di sapere rimuovere gli impedimenti a migliorare l’autocoscienza. “Mi dico” è un rafforzamento psichico che passa attraverso il colloquio con se stesso e l’oggettivazione della consapevolezza nella prescrizione delle parole.
“Devo” rievoca l’istanza psichica “Super-Io” nella funzione morale e costrittiva di una benefica forzatura, sempre funzionale al miglioramento di sé, tramite la crescita dell’amor proprio. Maria può partire verso la modificazione evolutiva e migliorativa dell’immagine di sé e della sua persona.
“Fare” evoca il meccanismo psichico di difesa delle “messa in atto” o “acting out” e si traduce in “ergoterapia”, in dati oggettivi, atti e fatti, di parti psichiche di sé. Maria esprime la naturale e necessaria volitività nell’amarsi, ma per farlo deve partire dall’amarsi “brutta” e “grassa”, deve lavorare sulla razionalizzazione di questi due punti base che riguardano l’immagine di sé e la sfera affettiva.
“Subito” condensa urgenza e onnipotenza. “Subito” è possibile soltanto se la consapevolezza del fantasma e del conflitto è adeguata. L’urgenza abbisogna in prima istanza di progressione per poi procedere speditamente verso il migliore esito possibile e consentito dalle condizioni psichiche in atto. “Subito” esprime il rischio di istruire nuove resistenze al posto delle vecchie. La sapienza popolare ci viene incontro con il proverbio “la gatta frettolosa ha partorito i gattini ciechi”.
“Qualcosa” si attesta simbolicamente in un indistinto minimo e atto al riempimento di un complesso di indistinti. In attesa del “fatto” ben preciso Maria esibisce la “funzione del fare”, quella ergoterapia di cui si è detto in precedenza.

PSICODINAMICA

Il sogno di Maria sviluppa la maligna psicodinamica del rifiuto dell’immagine di sé attraverso l’infausto meccanismo psichico di difesa della “negazione”. Di poi procede nella disposizione al recupero e all’accettazione delle “parti psichiche” estromesse e rifiutate in riferimento privilegiato alla sfera estetica e affettiva. La psicodinamica acquista la connotazione di uno psicodramma.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

Il sogno di Maria esibisce chiaramente le istanze psichiche “Io”, “Es” e “Super-Io” nelle loro funzioni.
L’Io vigilante e razionale si mostra in “ho pensato, e in “mi dico”.
L’Es pulsionale e rappresentazione dell’istinto è presente in “mi sono vista brutta e grassa.”
Il Super-Io censurante e morale è presente in “devo”.
Il sogno di Maria mostra la “posizione psichica fallico-narcisistica” in “riflettermi nello specchio”, la “posizione psichica orale” in “mi sono vista brutta e grassa.”
La prima sviluppa attraverso la conflittualità estetica il bisogno di potere e di valere nell’isolamento e nella chiusura, la seconda manifesta un’importante valenza affettiva sia nel dare che nel ricevere.

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

Il sogno di Maria usa i seguenti meccanismi psichici di difesa dall’angoscia:
la “condensazione” in “brutta” e in “grassa” e in “specchio”,
lo “spostamento” in “riflettersi” e in “quella” e in “fare”,
la “introiezione” e la “proiezione” e la “identificazione” in “riflettersi allo specchio”,
la “scissione dell’imago” o “splitting” in “brutta e grassa”,
la “negazione” in “quella non ero io”,
la “messa in atto” o “acting out” in “fare.
Il processo psichico di difesa della “regressione” si presenta in “mi sono vista brutta e grassa”, oltre che nella funzione onirica ripristinando allucinazione e azione al posto dell’esercizio normale dei sensi e del pensiero.
Il processo psichico di difesa della “sublimazione della libido” non è in azione diretta, ma può essere richiamato da “devo fare subito qualcosa”.

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Il sogno di Maria evidenzia un tratto psichico nettamente conflittuale di natura “narcisistica”, chiusura, all’interno di una cornice decisamente “orale”, affettiva. La “organizzazione psichica reattiva”, nonostante la brevità del sogno, si lascia individuare nella prevalenza dell’affettività.

FIGURE RETORICHE

Il sogno di Maria si serve delle seguenti figure retoriche:
la “metafora” o relazione di somiglianza in “brutta e grassa” e in “specchio”,
la “metonimia” o nesso logico in “riflettersi” e in “fare”.
La brevità del sogno non offre voli poetici o sensi estetici.

DIAGNOSI

Il sogno di Maria dice di un aspro conflitto affettivo, connotato dalla dialettica bisogno-carenza, rievocato con il ricorso alla “posizione narcisistica” per attestare di un isolamento fermo in un conflitto estetico.

PROGNOSI

La prognosi impone a Maria di sfoderare un poderoso amor proprio per poi passare all’investimento di “libido genitale”, quello che non ha ricevuto nella prima infanzia. Cominci a dare senza risentimento e a coinvolgersi senza paura di essere rifiutata: uscire dal carcere del “se stesso” e buttarsi nell’esistenza.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico si attesta nel ripristino dell’uso del meccanismo psichico di difesa molto delicato e pericoloso della “negazione” e in una perdita di contatto con la realtà, in un delirio basato sulla erronea convinzione di non essere amata e di essere una donna di poco valore e di poco spessore. La conseguenza è la chiusura e l’isolamento. Clinicamente il rischio psicopatologico si attesta in uno “stato limite”, l’oscillazione tra la psiconevrosi depressiva e la psicosi.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “fantasmi” e dei simboli, il grado di “purezza onirica” del sogno di Maria è “4” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.
Il simbolismo prevale di gran lunga sulla brevità narrativa, per cui è stato possibile desumere tanti contenuti e le psicodinamiche latenti.

RESTO DIURNO

Il “resto diurno” del “resto notturno”, la causa scatenante del sogno di Maria si attesta in un ritorno della conflittualità psichica e dell’insoddisfazione. Le carenze affettive sono fattori sensibili in qualsiasi occasione della giornata, per cui i soggetti anaffettivi trovano sempre il modo di coinvolgersi nell’immediato e in prima persona nelle situazioni che condensano e richiamano l’esercizio degli affetti e dei sentimenti.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità onirica del sogno di Maria è proprio la sintesi e il simbolismo: tanti simboli in poche parole. I sogni brevi da un lato risentono di una rielaborazione logica e di un accomodamento narrativo, dall’altro presentano inequivocabilmente la verità oggettiva inclusa nei simboli. Non mentono e sono facili da decodificare.

REM – NONREM

Il sogno di Maria si è svolto nella quarta fase del sonno REM alla luce del simbolismo e delle implicite emozioni. Nella fase antecedente il risveglio Maria ha elaborato il problema dominante e, di poi, ne ha tracciato le linee narrative in tutta semplicità.
Ricordo che nelle fasi REM il sonno è turbolento, mentre nelle fasi NONREM il sonno è profondo e catatonico ossia presenta una caduta del tono muscolare, senza movimenti e spasmi, senza agitazione psicomotoria. La memoria è presente nelle fasi agitate rispetto alle fasi di caduta muscolare e di sonno profondo dove è quasi assente.

FATTORE ALLUCINATORIO

I sensi dichiaratamente allucinati nel sogno di Maria sono i seguenti:
la “vista” in “mi sono vista” e “l’udito” in “mi dico”.
Ricordo che il fattore allucinatorio considera i sensi protagonisti nel sogno. Quest’ultimo è determinato per il resto da un notevole coinvolgimento sensoriale ed emotivo.

GRADO DI ATTENDIBILITA’ E DI FALLACIA

Per sondare la soggettività o l’oggettività, l’approssimazione o la verosimiglianza della decodificazione del sogno di Maria, per valutare se l’interpretazione risente di forzature, stabilisco la prossimità all’oggettività scientifica o alla soggettività mistificatoria in una scala che va da “uno” a “cinque” in cui 1 equivale all’oggettività auspicata e 5 denuncia una forzatura interpretativa verosimile. Tale valutazione è resa possibile dalla presenza di simboli chiari e forti e di psicodinamiche affermate ed esaurienti.
La decodificazione del sogno di Maria, alla luce di quanto suddetto, ha un grado di attendibilità e di fallacia “1” a causa della chiara simbologia e della semplice psicodinamica.

DOMANDE & RISPOSTE

La lettrice anonima ha posto le seguenti domande dopo aver letto con interesse il sogno di Maria.

Domanda
Quindi da soli non ci si può analizzare e tanto meno conoscere?

Risposta
L’introspezione è una buona pratica psicologica e ascetica, ma è soggettiva e resta vincolata alle convinzioni e alle difese di chi la esercita. La filosofia del Positivismo mette in guardia sul pericolo di porsi nello stesso tempo come soggetto e oggetto di osservazione. Se vogliamo che la Psicologia sia una scienza, i dati devono necessariamente oggettivarsi secondo un metodo di indagine ben definito.

Domanda
Ci vuole necessariamente un maestro?

Risposta
Ci vuole uno specchio vivente su cui riflettersi e oggettivarsi in immagini e vissuti e da cui ricevere la consapevolezza, in primo luogo, di essere in relazione con l’altro da te. Di poi, questo compagno di viaggio può favorire le produzioni, “maieutico”, dopo essere stato “ironico” ossia dopo aver seguito la destrutturazione o smantellamento delle resistenze psichiche. E’ cosa buona che il maestro sia anche “asettico” e “oggettivo” nel suo interpretare secondo metodologia scientifica, al fine non indifferente di evitare il rischio di proiettare i suoi vissuti sull’allievo. Quest’ultimo punto è molto importante nella psicoterapia. Sui conflitti del paziente non bisogna caricare i conflitti irrisolti del terapeuta.

Domanda
I sogni brevi sono più facili da interpretare, ma sono anche più attendibili. Perché?

Risposta
Ogni sogno contiene dei pilastri che servono come perni interpretativi attorno ai quali gira la psicodinamica in questione e in atto. Se questa scrematura viene fatta spontaneamente dal sognatore, si è persa la cianfrusaglia e si è acquistata la chiarezza lineare.

Domanda
Ma può succedere che in questa sintesi il sognatore tiri via qualcosa d’importante?

Risposta
Questo è il rischio che si corre, ma del sogno intero ci resta ben poco. Chi sogna sente quale conflitto sta vivendo, quale sofferenza lo affligge o quale gioia lo pervade, per cui, senza conoscere il significato dei simboli, si orienta verso la verità possibile e non tira in ballo le sue resistenze nel dormiveglia, il momento in cui compone la trama del sogno.

Domanda
Le donne che non accettano il corpo e si vedono grasse sono tante?

Risposta

La donna è naturalmente critica sul suo corpo e in particolare sull’estetica perché ha sviluppato il senso della bellezza e dell’armonia non soltanto per Cultura ma soprattutto per Natura. La sua biologia è particolarmente complessa e produce evoluzioni nel corpo molto laboriose a essere psicologicamente elaborate e fatte proprie. Si pensi all’adolescenza e alla repentina trasformazione endocrina ed anatomica del corpo della bambina. Per assimilare a livello psichico questo enorme trambusto necessitano circa quattro anni. Sto dicendo che una bambina si trova all’improvviso adolescente e donna. Si forma il seno e arriva il ciclo, si sviluppa la parte inferiore del tronco nel suo versante anteriore e posteriore, maturano i lineamenti del viso secondo una forma adulta, ma soprattutto può essere madre. Questo trambusto organico e strutturale viene investito dalla psiche e fatto proprio dopo alcuni anni. Dai dodici ai diciotto anni avviene la maturazione psicologica del complesso dei dati acquisiti. Si diventa donne a dodici anni e si ha la consapevolezza di esser donne a diciotto anni. In questo tempo si consumano conflitti e tormenti, gioie ed entusiasmi. Trattandosi di un vissuto riguardante il corpo, il rapporto con il cibo è tra i primi a essere investito e problematizzato.

Domanda
Ne so qualcosa su questa evoluzione. Ma non faceva prima a dire che le aumenta il culo? Mi saprebbe dire di più sul rapporto con il cibo?

Risposta
Tu che sei donna sai e confermi questo quadro generale e questo processo universale che avviene secondo gli schemi di madre Natura e che risente degli schemi di sorella Cultura. Non ho detto “culo” per un falso senso del pudore, ma culo ci stava proprio bene ed evitavo ipocrite acrobazie. Sul rapporto con il cibo ti allego un breve psicodramma sulla anoressia nervosa, un brano romanzato tratto da un mio studio sul tema e dal titolo significativo “Io non sono il mio cibo”.

Domanda
Grazie! Vartan la manda in psicoterapia?

Risposta
Sì e possibilmente di corsa.

RIFLESSIONI METODOLOGICHE

Essendo stati richiamati i meccanismi di difesa primari della “proiezione”, della “introiezione” e della “identificazione”, è necessario essere esaurienti e spiegarli con la migliore chiarezza e a scapito della precisione scientifica.
La “proiezione e la introiezione e l’identificazione proiettiva” sono facce opposte della stessa medaglia. La “proiezione e l’introiezione” primarie si basano nel bambino sull’indistinzione tra soggetto e oggetto, tra Io e realtà, tra interno ed esterno. Il bambino non ha un confine psicologico per cui si serve della “proiezione” per estromettere vissuti rifiutati di sé, per considerarli provenienti dall’esterno e per attribuirli a persone dell’ambiente.
La “introiezione” consiste nel mettere dentro tratti psichici esterni.
Il lavoro comune di “proiezione” e “introiezione” porta alla “identificazione proiettiva”. Esempio: il bambino introietta alcuni tratti psichici del padre in precedenza proiettati e in lui si identifica o la bambina introietta alcuni tratti psichici della madre in precedenza proiettati e in lei si identifica.
Un ulteriore richiamo teorico va alla “fase fallico-narcisistica” dell’evoluzione della “libido”, fase che si sviluppa dal quarto anno di vita e si attesta nella concentrazione erotica sull’organo sessuale e nella masturbazione, sempre secondo gli studi di Freud sulla sessualità infantile. Quando si parla d’investimento narcisistico della “libido”, s’intende un amore patologico verso se stessi, ma questa fase è molto importante per la formazione dell’amor proprio e dell’autostima, oltre che per la formazione dell’“Io ideale”, un sentimento di perfezione e una tensione verso il meglio come compensazione del residuo narcisismo originario.
In conclusione è obbligo ricordare la “fase dello specchio” elaborata dell’apparente enigmatico Jacques Lacan. Secondo lo psicoanalista francese il bambino tra i sei e i diciotto mesi vive l’esperienza del “guardarsi allo specchio” insieme alla mamma e mostra di riconoscere la propria immagine proprio perché ha la possibilità di percepire l’immagine materna sia dal vivo che riflessa. Secondo Lacan è in questo periodo e da questa esperienza che la “mente” infantile comincia a conoscere e che si forma il nucleo dell’”Io”. Mamma è da intendere come la figura affettivamente prossima e importante per il bambino. Ricordo che per Freud la formazione dell’”Io” avviene qualche anno più tardi, mentre per Melania Klein il bambino possiede un “Io” rudimentale sin dal sesto mese.

IO NON SONO IL MIO CIBO

Ho piena coscienza di non vivere degnamente il presente, di avere bisogno di un passato da rinvangare con rancore e di un futuro da subire senza trasporto.
In questo misero modo non riesco a godere di nulla.
Immersa nella mia frigidità temo i ricordi ed evito i desideri; un passato nostalgico e un futuro migliore sono interdetti anche ai miei odiati sogni.
L’entusiasmo è un ricordo colpevolizzato e appartiene agli altri.
Ogni domenica sono triste e piango.
La domenica non è il giorno ideale da vivere in solitudine, specialmente se intuisco che dipende soltanto da me la costrizione a questa balorda e oscena clausura.
In compenso nel giorno del Signore non mancano le liti dei miei genitori, il salutare toccasana per sentirmi viva o la giusta frustata per un frate trappista.
L’occasione è propizia per chiudermi in camera e scrivere sull’indifeso diario le note dolenti del mio pessimismo individuale con la vena patetica di un infelice Leopardi e del mio pessimismo cosmico con la vena ambigua di un teatrale Schopenhauer.
Il giorno sta finendo, comincia la sera e, come da copione, divento insofferente e irritabile.
I conflitti surriscaldano la materia grigia e i neuroni si accavallano nei meandri del mio cervello alla ricerca del posto giusto per assistere allo spettacolo: il quasi alcolismo di mio padre, la quasi isteria di mia madre, i miei attacchi di panico, il giudizio degli altri, la disapprovazione degli altri, il rifiuto degli altri, l’ennesima conferma della mia quasi nullità.
Stasera si recita a soggetto e il tutto mi fa sentire la donna più disgraziata del mondo: un cumulo di sventure e di mancate virtù.
Anche lo specchio della matrigna di Biancaneve risponde con il mio nome alle quotidiane richieste: “specchio bello, specchio rotondo, chi è la più brutta del mondo ?”
Oppure: “specchio bello, specchio delle mie brame, chi è la più idiota del reame?”
Io sono da sempre brutta e idiota ed esiste sempre un’altra persona bella e intelligente.
E io ?
Trasparente o nulla !
Per non sentirmi da mitomane l’immondo ricettacolo di tutto il male del mondo, preferisco ricadere nell’angoscia dell’indefinito e mi compiaccio all’idea della mia evanescenza.
In tanta sventura il cibo si presenta come il mio limite psicofisico, un’ambivalente fonte di felicità.
“Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.”
Catullo dedicava questi versi allo struggimento d’amore nei confronti di Lesbia; io li affitto per la mia relazione con il cibo.
“Ti odio e ti amo. Forse tu ricerchi perché io faccio ciò. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.”
Mi odio perché ti mangio e ti amo perché ti fai mangiare.
Mi amo perché ti mangio e ti odio perché ti fai mangiare.
Io non conosco l’origine di questo psicodramma, ma lo vivo dentro e mi distruggo.
La psicodinamica dell’odio e dell’amore ha tutto il senso e il sapore di una relazione edipica non risolta; una scena antica ed enigmatica si ripresenta sul mio dissestato palcoscenico.
A questo punto la voce della coscienza fugge dalle radici e grida a squarciagola: “I am my body ! I am my body ! I am my body !”
“I am not my food ! I am not my food ! I am not my food !”
“Io sono il mio corpo ! Io non sono il mio cibo !”
Il cibo non mi appartiene, il cibo è quel qualcosa di altro da me che viene assimilato dal mio corpo.
Mi atterrisce l’idea che il mio essere sia uscito fuori e si sia attestato nel cibo: io desidero restare in me stessa e non risiedere in un oggetto esterno.
I trasferimenti e le alienazioni sono sempre motivo d’angoscia.
Intuisco che questa proiezione difensiva di me stessa nello spazio è un pericoloso territorio di confine e che al di là del solco non c’è la possibilità di un ritorno nella detestata normalità; in effetti acquisterei un biglietto di sola andata verso la morte psichica dentro una bara di farmaci.
Povera me !
Sento che sono arrivata ai bordi del mio microcosmo; ancora un passo e precipito nel vuoto.
Mi guardo allo specchio con disprezzo e mi dico senza convinzione: “sei una nullità, non ti ami, non ti piaci, mangi e continui a ingurgitare per distruggere il tuo corpo e non trovi pace.”
Il cibo è una droga che magicamente attizza il desiderio e mi attrae pericolosamente nella sua fascinosa orbita.
Mi sento goffa, poco femminile e poco fine: uno scaricatore di porto.
Il mio corpo è l’esatto contrario di quello che io sono dentro: la forza esteriore si oppone alla debolezza interiore e l’imponenza fa a pugni con la fragilità.
In passato disprezzavo il mio corpo, adesso lo riempio a dismisura e in questo tormento nutro il nemico di ieri.
Il cibo diventa un’ossessione che si risolve nella tremenda onnipotenza di realizzare tutti i desideri del corpo.
Sono riuscita a riempirmi, a gonfiarmi, a ingravidarmi da sola.
Io sono brava e basto a me stessa !
Se penso per il mio corpo a un tramezzino tonno e uova del “bar della posta”, devo averlo immediatamente: la magia psichica e la filosofia infantile di un “io penso e dunque possiedo”.
Se penso per il mio corpo a una pizzetta margherita della “locanda all’angelo”, devo averla subito: un filosofo si rivoltola nella sua polvere.
Se penso per il mio corpo a una merendina del mulino bianco “Barilla”, devo averla subito: un mago si rigira nella sua polvere.
Se penso per il mio corpo a un sacchetto di patatine “san Carlo”, devo averlo subito: quanti filosofi, a questo punto, e quanti maghi si rimescolano nella loro polvere.
Se penso per il mio corpo a un baule di “nutella” della “Ferrero”, devo averlo subito per annegarci dentro: la “nutella” è la madre buona di tutti i bambini infelici dell’Occidente.
“Cogito, ergo habeo”: in onore ai miei studi classici io posso orgogliosamente affermare che questo è il principio logico e magico che spiega ed esaudisce tutti i desideri del mio corpo.
Il pensiero forte mi sostiene e il pensiero debole mi trasporta.
A questo punto non m’importa di essere grassa o di essere magra.
Il corpo è l’attore protagonista della mia vita e finalmente io posso gridare ai quattro venti e ai quattro cantoni senza ombra di dubbio: “I am my body ! I am my body ! I am my body !”
Una strana soddisfazione invade il mio attuale essere grassa e al cannibalismo di divorare il cibo da dare in pasto al mio corpo subentra lentamente il senso di colpa per tanta aggressività e il disprezzo per tanta stupidità.
Questo cibo non è consacrato e non assolve i miei peccati.
L’essere grassa entra in conflitto con l’essere magra.
In ogni caso i diritti del dio corpo sono sempre tutelati ed esaltati e io posso ancora gridare ai quattro venti e ai quattro cantoni la solita verità: “i am my body” !
Il provvidenziale vomito risolve radicalmente il conflitto.
Per risolvere la bulimia è stata opportunamente elaborata l’anoressia.
La possibilità di essere magra si insinua nella realtà di essere grassa e comincia a serpeggiare nel mio cervello per essere poi traghettata nelle ghiandole endocrine e liberamente trasportata dai neuroni, dalle sinapsi, dai nervi, dalle arterie, dalle vene e dai capillari in tutto il corpo.
Il nuovo messaggio è arrivato a destinazione, si trasfigura in un desiderio prepotente e si concretizza in un’imposizione biologica.
L’anoressia non è un sogno a occhi aperti o a occhi chiusi, ma un traguardo concreto, una realtà di fatto, un pezzo di lava.
Sento anche il bisogno di far parlare gli altri di me in maniera diversa: tutti devono cambiare giudizio su di me.
Procedo come una ruspa da imperativo in imperativo e demolisco ogni ingombro sul mio cammino.
Adesso il corpo rotondo passa al contrattacco e si trasforma in lineare.
Signore e signori, ecco il miracolo a cui non avreste mai pensato di assistere nella vostra monotona vita e che si oppone a qualsiasi geometria organica: dal cerchio si passa alla linea senza alcuna contraddizione.
Mi sento un fenomeno da baraccone, ma non importa perché io devo costringervi non solo a cambiare giudizio su di me, ma in primo luogo ad accorgervi di me.
Voi, finora, mi avete ignorata o giudicata felice e rotondetta, ebbene, vi siete sbagliati tutti e di grosso !
Adesso vi mostro ancora con il corpo chi sono e di cosa sono capace.
Se l’ingrassare comporta un compromesso con la vita, il dimagrire scatena un fantasma di morte.
Il nuovo benessere psicofisico coincide con il pallore dell’essere cadaverica.
La paura della morte non esiste di fronte alla prospettiva di essere magrissima, di vivere e pensare da magra: “meglio vivere un giorno da magra, che cento anni da grassa” si può ancora leggere sui muri di Fagarè, Sernaglia e Moriago, tutt’e tre della Battaglia, in ricordo di una guerra tutta anoressica.
Voglio vivere come io voglio essere: magrissima !
L’eccitazione si trasferisce al cervello: bisogna dimagrire al più presto.
Non nutrirsi è insufficiente e il processo è troppo lento.
La droga leggera fa dimagrire subito: mariuiana, hascisc, olio di hascisc.
I farmaci fanno dimagrire subito: prozac e anfetamine.
Falsificare le ricette mediche non sarà un reato per la mia legge naturale.
Le droghe pesanti fanno dimagrire immediatamente: gradisce sniffare cocaina ?
Aiutiamo la natura con lsd: viaggiare con l’acido, oltretutto, è bello ed eccitante.
Non basta !
Dimagrisco poco e sono depressa.
Voglio l’eroina perché mi distrugge fisicamente.
Io sto bene solo se sono un cadavere.
Dopo il pallore arriverà il “rigor mortis”.
Non ho paura di questa degenerazione del corpo e sono consapevole che il mio nobile progetto comporta il rischio di morire.
Ben venga la rigidità delle membra, se questo è il mio solo benessere.

Salvatore Vallone

Non è ancora finito il quadro di Maria.
Il prodotto culturale che rievoca il suo sogno è decisamente una canzone di Noemi, scritta da Vasco Rossi e da Gaetano Curreri, un binomio collaudato nel bene e nel male, nell’ottimismo e nel pessimismo dei temi trattati. La canzone in questione si intitola “Vuoto a perdere” ed è connotata da una tinta “nero profondo” che rasenta il nichilismo nel descrivere la crisi di una donna di mezza età. Clinicamente si tratta di un testo “borderline” che coniuga la perdita depressiva di qualsiasi investimento di “libido” con un desolato vuoto interiore. Non si tratta di una nevrotica “angoscia di castrazione” della serie mi manca questo o quello, né fortunatamente di “angoscia di frammentazione” a stampo psicotico, ma siamo nello stato psichico di mezzo splendidamente descritto dai seguenti versi.
“Sono un peso per me stessa,
sono un vuoto a perdere.”
Tremendo!
Il “peso” attesta di una donna bloccata nelle energie d’investimento, oberata dai sensi di colpa e destinata all’immobilità affettiva. Il “vuoto a perdere” coniuga la depressione con l’inconsistenza aggravate dal rifiuto e dal disprezzo di sé.
“Sono diventata grande senza neanche accorgermene”.
La consapevolezza mancata denota un’evoluzione psicofisica senza affettività e senza emozioni. Questa donna non ha saputo costruire esperienze vitali e non ha formato verità possibili. L’unica consapevolezza è quella di non accettare il suo corpo, la chiara “traslazione” della “mia cellulite”.
E’ tragica una crescita basata sulla “scissione dell’Io” e sul depressivo nulla!
“Sono un’altra da me stessa,
sono un vuoto a perdere.
Sono diventata questa
senza neanche accorgermene.”
Come volevasi dimostrare… un testo che filosoficamente oscilla tra il Pessimismo e il Nichilismo dei più biechi esistenzialisti, un quadro popolare di scuola neorealista che offre identificazione a tante donne in vena di auto-compatimento masochistico, una fenomenologia psichiatrica che viaggia tra la depressiva perdita d’oggetto e l’alienazione psicotica.
La musica con i suoi alti e bassi rende vibrante la poesia delle parole.

VUOTO A PERDERE
di
Vasco Rossi e Gaetano Curreri

Sono un peso per me stessa,
sono un vuoto a perdere.
Sono diventata grande senza neanche accorgermene
e ora sono qui che guardo,
che mi guardo crescere
la mia cellulite, le mie nuove
consapevolezze, consapevolezze.
Quanto tempo che è passato
senza che me ne accorgessi,
quanti giorni sono stati,
sono stati quasi eterni,
quanta vita che ho vissuto inconsapevolmente,
quanta vita che ho buttato,
che ho buttato via per niente,
che ho buttato via per niente.
Sai ti dirò come mai
giro ancora per strada,
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più
a cercare qualcosa,
qualche cosa di più
che alla fine poi ti tocca di pagare.
Sono un’altra da me stessa,
sono un vuoto a perdere,
sono diventata questa
senza neanche accorgermene.
Ora sono qui che guardo,
che mi guardo crescere la mia cellulite,
le mie nuove consapevolezze, consapevolezze
Sai ti dirò come mai
giro ancora per strada,
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più,
mentre vado a cercare quello che non c’è più
perché il tempo ha cambiato le persone,
ma non mi fermo più
mentre vado a cercare quello che non c’è più
perché il tempo ha cambiato le persone.
Sono un’altra da me stessa,
sono un vuoto a perdere.
Sono diventata questa
senza neanche accorgermene.

 

 

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