PSICODRAMMA DELL’ANORESSIA MENTALE
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SINTESI ESPLICATIVA DI “IO E MIA MADRE”
Ho onorato il Padre e la Madre e sono rimasta schiava.
Ho ucciso il Padre e la Madre e sono rimasta sola.
Ho riconosciuto il Padre e la Madre e sono rimasta libera.
“Io e mia madre” condensa lo psicodramma dell’anoressia mentale. Tra saggio e riflessioni di un travaglio il libro snoda le figure dei genitori, il conflitto tra il corpo e la mente, la ricerca dell’identità psicofisica migliore possibile. Protagonisti sono il famigerato e benemerito “fantasma di morte”, la degenerazione della “posizione edipica”, il duro sentimento della rivalità fraterna: la solitudine affettiva, il conflitto acerbo con i genitori, l’odio verso la sorella. Il tutto in un quadro contrassegnato dall’angoscia di avere un corpo visibile che patisce e una mente invisibile che gestisce, chiare trasposizioni dei fantasmi dei genitori. “Io e mia madre” non è un semplice caso clinico tradotto in letteratura chissà per quali fini, “Io e mia madre” è una ricerca sull’origine dell’anoressia mentale e sul dramma esistenziale di chi s’imbatte in questo maligno conflitto con se stesso. Particolare importanza è stata data alla valenza affettiva legata alla degenerazione della “posizione edipica”. Vediamo qualche passo.
IL FANTASMA DI MORTE
“Non puoi sfuggire alla vita e alla morte sin dal momento in cui sei sputato su questa terra dal grembo di tua madre con tanto dolore.
Non puoi andare in Africa per evitarle e non puoi ingannarle camuffandoti da ippopotamo o da lucertola; la vita e la morte ti riconoscerebbero anche travestito da animale bulimico o anoressico.
Samarcanda è una pia illusione.”
L’anoressia è una sfida continua all’autodistruzione e arriva a picchi notevoli di onnipotenza. L’angoscia è nevrotica, ma spesso trasborda in somatizzazioni acute e dolorosissime. L’organizzazione psichica è complessa e oscilla tra l’ossessione e l’isteria non disdegnando la scissione dell’Io.
LA POSIZIONE EDIPICA
“Anch’io ho un padre e una madre.
Quando i miei genitori sono sereni e scherzano tra di loro, io, io tra di loro, mi sento soddisfatta e felice.
Poche volte i miei genitori sono stati sereni e poche volte io mi sono sentita soddisfatta e felice tra di loro.
Se litigano, so anticipatamente che vince mia madre; proprio l’opposto del mio desiderio.
Questa è un’altra grande ingiustizia che irrimediabilmente ho subito nel corso della mia strana vita: il modo infame con cui mia madre maltratta e disprezza suo marito.
Non mi resta che essere arrabbiata con lui e da delusa vado alla deriva in un mare di solitudine.”
Si pensava l’anoressia mentale come una psicodinamica privilegiata con la figura materna e legata a una frustrazione traumatica della “posizione orale” nel primo anno di vita con annessa “regressione”. In effetti, si riscontra questa collaudata tesi nella pratica clinica, ma si vede chiaramente come la “posizione edipica” sia dominante e determinante al punto di evolversi da “psiconevrosi” in “stato limite”.
“ODI ET AMO”
“Catullo dedicava questi versi allo struggimento d’amore nei confronti di Lesbia; io li affitto per la mia relazione con il cibo.
“Ti odio e ti amo. Forse tu ricerchi perché io faccio ciò. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.”
Mi odio perché ti mangio e ti amo perché ti fai mangiare.
Mi amo perché ti mangio e ti odio perché ti fai mangiare.
Io non conosco l’origine di questo psicodramma, ma lo vivo dentro e mi distruggo.
Le persone affette da anoressia mentale hanno una notevole intelligenza e perspicacia. Personalizzano le conoscenze e le adattano a loro uso e consumo in base al ruolo e all’identità che di volta in volta hanno bisogno di assumere. Inoltre hanno una notevole confidenza con i “processi primari” e la “fantasia”, pur non disdegnando l’esercizio spietato della razionalità.
IO SONO IL MIO CIBO, IO SONO IL MIO CORPO, IO SONO LA MIA MENTE
“La voce rivendica giustamente e con cortesia i diritti acquisiti dal corpo in tanti anni di vita, nonché gli accordi a suo tempo inscritti nella mia carne e intercorsi al momento del parto.
“Ricordi che tu eri il tuo corpo e non il tuo cibo ?
I am my body, i am not my food !
Ricordi l’angoscia dell’alienazione e l’idolatria del corpo ?
In preda all’angoscia e in maniera ossessiva tu ripetevi: I am my body, i am not my food ! I am my body, i am not my food ! I am my body, i am not my food !
E la cadenza era quella di una nenia araba, la paura era quella di una bambina smarrita, l’isteria era quella di una femmina invasata, l’estasi era quella di una santa disperata.
Adesso tu dici che sei innamorata della tua mente, sostieni che non la cambieresti con nessuna cosa al mondo e insisti sul desiderio di barattare per lei alcune parti ingombranti del tuo corpo, le due natiche da tanga e i due seni da spagnola.
Eh, cara mia, risucchiata da questo pericoloso vortice, arriverai un giorno a dire: I am my mind !
E poi, ancora: I am my mind, i am not my body !
E così sia !”
Lo “stato limite” è evidente in questa scissione dell’Io, ma il delirio non compare in quanto l’analisi dello psicodramma è molto lucido. La capacità di analizzarsi e di cogliere la propria verità psichica è notevole, ma non aiuta a risolvere il conflitto “corpo-mente” e a riportare integrità dove c’è scissione. Questa dote analitica diventa una resistenza al cambiamento, in quanto viene esercitata in maniera solipsistica, senza un esperto interlocutore, per cui la presa di coscienza non si obbiettiva e non si rafforza.
LA RIVALITA’ FRATERNA
“Io la odiavo al punto che, guardando in cucina l’affilato coltello con cui mio padre affettava la soppressa, mi abbandonavo di gusto all’idea e all’emozione di ucciderla.
Immaginavo il suo sangue scorrere dalla gola e disegnare sul vestito celeste una preziosa trama a cubi e avevo la precisa impressione di una tela di Picasso o di una morte estetica.”
Il sentimento della rivalità fraterna è presente nell’anoressia mentale e in assenza di un fratello o di una sorella viene spostato su figure similari e scelte di volta in volta in base alle emergenze psicologiche. Questa importantissima psicodinamica affettiva è stata poco curata e studiata, ma possiede una tremenda forza e si scatena in maniera pesante.
IL DOLORE DEL RITORNO AL PASSATO E LA GIOIA DEL RITORNO ALLA VITA
“Per non morire mai più nella mia vita e per cominciare finalmente a vivere mi sono distesa con cadenza periodica sull’abbozzo di un divano simile a un catafalco.
Il pendolo del tempo ha oscillato con armonia e il rituale profano si è ripetuto per anni secondo i pallidi cicli della bianca luna e in onore al mio nuovo essere femminile.
Il mio navigatore era uno strano cuculo e si chiamava Salvatore come il vecchio siracusano che a suo tempo mi aveva restituito alla vita chiamando una linda e solerte ambulanza.
Mi ha invitato ad andare a ruota libera con i miei pensieri e a tradurli da aborti di emozioni in rozzi suoni, da rozzi suoni in rudimenti di parole.
Sono andata a ruota libera con i miei pensieri e ho cercato la lingua giusta per il linguaggio del mio corpo e della mia mente.
Ho rivissuto il bisogno di potere e l’angoscia di morte, ho vissuto il progressivo “sapere di me” e il dolore per quei tanti qualcosa di mio che non avevo gustato semplicemente perché non ero riuscita a dar loro la vita, ho imparato il fare simbolico e ho assistito al morire della morte.
In questi esotici viaggi sono stata sempre protetta da una stanza bianca e sono stata seguita dai poster della necropoli di Pantalica, del teatro greco di Siracusa, di un balcone barocco con inferriata araba, della fonte Aretusa con il papiro egiziano, del tempio greco di Athena adattato in cattedrale cristiana e di un bambino voglioso che si tocca il pisello.
Sono riuscita a liberare la mia mente, a sentire il mio corpo, a ritrovare la lingua dimenticata e a inventare le parole giuste per il linguaggio di Mara.
Il mio “altro” era nato a Siracusa, non era vecchio e non era giovane, vestiva sempre in doppiopetto grigio senza essere mai elegante.
Del suo viso oggi ricordo soltanto i tratti marcati di uno strano Ulisse.”
“Senza l’altro” la risoluzione dell’anoressia mentale è difficile. “Con l’altro” si conserva l’organizzazione psichica acquisita, ma si diventa padroni a casa propria.
A PROPOSITO DI “IO E MIA MADRE”
di Salvatore Vallone
INCONTRO CON L’AUTORE
Come definirebbe “Io e mia madre” un romanzo, un saggio…?
“Io e mia madre” contiene lo psicodramma dell’anoressia mentale. Tra saggio e narrazione il libro svolge il conflitto della protagonista tra il Corpo e la Mente e con le figure dei genitori nella ricerca dell’identità e dell’equilibrio psicofisico migliore e possibile in quel momento storico della sua esistenza.
Quali sono gli argomenti trattati nel libro?
Protagonisti sono il famigerato “fantasma di morte”, il duro sentimento della rivalità fraterna, la solitudine affettiva, il conflitto acerbo con i genitori, l’odio verso la sorella. Il tutto si sviluppa dentro un quadro contrassegnato dall’angoscia di avere un Corpo visibile che patisce e una Mente invisibile che gestisce, chiare trasposizioni dei “fantasmi” dei genitori. “Io e mia madre” non è un semplice caso clinico tradotto in letteratura chissà per quali fini, “Io e mia madre” è una ricerca sull’origine dell’anoressia mentale e sul dramma esistenziale di chi s’imbatte in questo maligno conflitto con se stesso attraverso il cibo. Particolare importanza è data alla valenza affettiva ed emotiva legata alla degenerazione del conflitto con i genitori.
Come è strutturato il libro?
“Io e mia madre” è strutturato per quadri, una serie di paragrafi dal titolo specifico che sviluppa la psicodinamica dell’anoressia mentale nel corso dell’esistenza della protagonista. Il libro parte dalla crisi conclamata del Corpo e della Mente e arriva alla maturazione della scelta della psicoterapia. La protagonista si lascia cogliere attraverso le fantasie e le riflessioni, le idee e le emozioni, le pulsioni e i desideri che la contraddistinguono come persona unica e irripetibile. Il quadro clinico si evidenzia nella progressiva manifestazione dei sintomi e della cause, nonché nella delucidazione che la stessa protagonista offre a se stessa. Ogni paragrafo ha una sua autonomia, per cui “Io e mia madre” può essere letto anche in maniera libera per paragrafi.
Da cosa trae spunto?
Il libro è la trasposizione scritta di grammatica e di pratica, dello studio teorico e della pratica clinica. “Io e mia madre” conferma le tesi conosciute e amplia la psicodinamica dell’anoressia mentale. Soprattutto la funzione psicologica della figura paterna e la novità del “sentimento della rivalità fraterna” allargano il quadro clinico rispetto alle teorie del passato che inquisivano, più che il vissuto della figlia in riguardo alla madre, direttamente la figura materna come responsabile dell’anoressia mentale.
A chi si rivolge?
Nella sua forma saggistica e narrativa il libro può essere letto da chiunque ama conoscere i fenomeni e le dinamiche che coinvolgono l’inscindibile unione del Corpo e della Mente di un uomo. La lettura di “Io e mia madre” include lo specialista e l’appassionato e procede in maniera spedita e attraente anche grazie ai tanti riferimenti culturali ed eruditi che la protagonista esibisce insieme a un buon narcisismo.
Che cosa è l’anoressia mentale?
L’anoressia mentale è un grave e complesso disturbo psichico alimentare che si attesta in una sfida continua all’autodistruzione e arriva a picchi notevoli di onnipotenza. L’angoscia è “borderline” e trasborda in somatizzazioni acute e dolorosissime. La “organizzazione psichica reattiva” delle persone anoressiche è complessa e oscilla tra l’ossessione e l’isteria, non disdegnando la “scissione dell’Io”. L’anoressia mentale non è clinicamente soltanto un disturbo ossessivo compulsivo, “d.o.c.”, ma si attesta con facilità nello “stato limite” e spesso travalica nel delirio psicotico. In compenso ha ampi margini di rientro dalle crisi acute, per cui la persona anoressica si riconosce dalla magrezza ma non dalle cadute del “principio di realtà”. Il delirio è soprattutto agito in un ambito personale, tra sé e sé.
Chi sviluppa l’anoressia?
Si pensava che l’anoressia mentale fosse riservata all’universo femminile e che sviluppasse soltanto una psicodinamica privilegiata con la figura materna. Ma è una tesi parziale, perché il disturbo scatta a determinate condizioni e in specifiche “organizzazioni psichiche reattive” e anche nei maschi. L’anoressia mentale è legata in origine a una frustrazione traumatica della “posizione orale” durante il primo anno di vita e alla sfera affettiva connessa solitamente alla figura materna. In effetti, si riscontra questa collaudata tesi nella pratica clinica, ma si vede chiaramente come la “posizione edipica”, la conflittualità con i genitori, sia dominante e determinante nel prosieguo psichico evolutivo della persona e del pesante disturbo.
Come e cosa si cura?
La psicoterapia a orientamento psicoanalitico è elettiva per capire le cause dello “stato limite”, il meccanismo della “scissione dell’Io”, il significato profondo del delirio. Altre scuole psicoterapeutiche hanno sempre un buon esito nel lucido psicodramma dell’anoressia mentale. Quest’ultima non si cura da sé o per grazia ricevuta. Le persone affette dal disturbo manifestano una buona capacità di analizzarsi e di cogliere la propria verità psichica, ma queste abilità intuitive non aiutano a risolvere il conflitto “Corpo- Mente” e a riportare integrità dove c’è scissione. Addirittura queste doti analitiche diventano una “resistenza” al necessario cambiamento evolutivo, in quanto sono esercitate in maniera solipsistica, senza un esperto interlocutore, per cui la presa di coscienza non si obbiettiva e non si rafforza. Senza “l’altro”, lo psicoterapeuta, la risoluzione dell’anoressia mentale è letteralmente impossibile. “Con l’altro” si prende coscienza dell’organizzazione psichica acquisita e si diventa padroni a casa propria. Una guarigione dell’anoressia mentale senza psicoterapia può comportare una “traslazione dei fantasmi” interessati in un disturbo compatibile e magari meno drammatico in un primo momento. Quando il meccanismo di difesa non funzionerà in maniera adeguata, l’anoressia mentale ritornerà più acuta di prima.
Quali caratteristiche umane hanno le persone anoressiche?
Le persone affette da anoressia mentale hanno una notevole intelligenza e perspicacia. Personalizzano le conoscenze e le adattano a loro uso e consumo in base al ruolo e all’identità che di volta in volta hanno bisogno di assumere. Inoltre, hanno una notevole confidenza con i “processi primari” e la “fantasia”, pur non disdegnando l’esercizio spietato della razionalità. A livello affettivo ed emotivo contraggono le energie invece di investirle, provocando le somatizzazioni più dolorose e originali. Hanno tanto bisogno di essere amate, ma non sanno in primo luogo accudire amorevolmente se stesse.
Dopo la psicoterapia è possibile una ricaduta?
La psicoterapia lavora sulla “coscienza di sé”, migliora la consapevolezza della propria storia psichica evolutiva, rende padroni in casa propria, raggiunge la consapevolezza della propria formazione psichica, accresce la funzione equilibratrice dell’Io sulle pulsioni più istintive e sulle repressioni più spietate. La psicoterapia è essenziale e, se ha avuto un esito fausto, consente alla persona di essere sensibile alle proprie debolezze per farne una forza. Una ricaduta è impossibile nel divenire psichico, ma momenti di crisi, con o senza ritorno del sintomo, sono umani e non avvengono all’insaputa del protagonista. In ogni caso gli strumenti conoscitivi acquisiti rendono il malessere di rapida risoluzione.
Come comportarsi se si teme la presenza di un disturbo del
comportamento alimentare?
I disturbi del comportamento alimentare sono ben radicati nella storia psichica della persona, per cui non vengono fuori all’improvviso. Prima inizia il trattamento psicoterapeutico e minori saranno i danni psicofisici. Se lo trascuri o non lo curi, questo disturbo traligna e porta alla dolorosissima e lenta morte per inedia e consunzione.
Nel dramma dell’anoressia mentale che ruolo ha la famiglia?
Le figure del padre e della madre sono importanti per la formazione psichica dei figli e, di conseguenza, del disturbo, ma tutto il quadro clinico dipende esclusivamente dai vissuti della persona, figlio o figlia, e non dal comportamento dei genitori. Mi spiego meglio. Con gli stessi genitori non tutti i figli maturano lo stesso disturbo psicosomatico o la stessa “organizzazione psichica reattiva” o struttura caratteriale. Di poi, il sentimento della rivalità fraterna è presente nell’anoressia mentale e in assenza di un fratello o di una sorella viene spostato su figure similari e scelte di volta in volta in base alle emergenze psicologiche. Questa importantissima psicodinamica affettiva, che si attesta nel vivere il fratello o la sorella come tremendi rivali da eliminare perché portano via l’affetto dei genitori e i privilegi del figlio unico, è stata poco curata e studiata, ma possiede una tremenda forza e si scatena in maniera pesante nell’anoressia mentale. Anche nella cosiddetta “normalità” il sentimento della rivalità fraterna incide nella formazione psichica.
Nel libro si afferma: “Non puoi sfuggire alla vita e alla morte sin
dal momento in cui sei spuntato su questa terra dal grembo di tua madre
con tanto dolore. Non puoi andare in Africa per evitarle e non puoi ingannarle
camuffandoti da ippopotamo o da lucertola; la vita e la morte ti
riconoscerebbero anche travestito da animale bulimico o anoressico.
Samarcanda è una pia illusione.”
Perché nell’anoressia ricorre questa sfida continua all’autodistruzione?
Semplicemente perché l’anoressia mentale ha come basamento psichico il famigerato “fantasma di morte”, un vissuto traumatico di perdita e di qualità depressiva che si forma nel primo anno di vita durante la prevalenza determinante della “libido orale” e della funzione alimentare come appagamento. I bambini interpretano il sollievo dai morsi della fame come una forma di cura e premura di chi lo nutre ed elabora un sentimento interessato di gratitudine: un “imprinting” sublimato in sentimento d’amore, l’equivalenza del “chi mi ama mi nutre e chi mi nutre mi ama”. Ma non basta, perché l’anoressia mentale non sa fare a meno della “libido anale” e, quindi, dell’esercizio del sadomasochismo con manifestazioni aberranti dell’aggressività. Della relazione con i genitori e i fratelli, ho già detto. In questa psicodinamica si inserisce il “fare la corte alla morte”, nonché la sindrome del padreterno con il delirio dell’onnipotenza. L’anoressia mentale svolge una costante tenzone con la possibilità della morte: non mangio e vediamo fino a quanto tempo riesco a fare a meno del cibo per dimostrare agli idioti che io ce la faccio e non muoio. Su questi temi dinamici e conflittuali “Io e mia madre” è particolarmente ricco di significativi particolari e di apparenti curiosità.
La consapevolezza di sé e della propria sofferenza come vengono gestite da chi è affetto da anoressia? E le emozioni?
E’ molto diffusa la convinzione che il “sapere di sé” di socratica memoria sia affettivamente arido ed emotivamente freddo. L’autocoscienza si basa sulla funzione razionale dell’uomo, “processo secondario”, ed è stata sempre invocata dai filosofi della psiche e della conoscenza come la condizione di base o la categoria delle categorie. Il “conosci te stesso” non toglie nulla alla sfera affettiva ed emotiva, tutt’altro! Il “sapere di sé” esalta la dimensione neurovegetativa proprio perché la libera dalle inutili resistenze a lasciarsi andare che prima l’affliggevano con le censure e le difese. La consapevolezza di sé, della propria storia e della funzionalità psichica è per l’anoressia mentale la giusta ed efficace cura da portare avanti vita natural durante. Degno di nota al proposito è il quadro finale del libro dal titolo significativo “Il dolore del ritorno al passato e la gioia del ritorno alla vita”.
Queste sono soltanto risposte a domande. La lettura ordinata o disordinata di “Io e mia madre” completerà l’opera di comprensione.
La ringrazio.
Grazie a lei e a Segmenti per questa opportunità di comunicare con la gente.