IN VOLO, ATTERRATO E PRECIPITATO
TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO
“Sono in volo su un aereo insieme ad altri passeggeri e stiamo per atterrare su un posto meraviglioso con spiaggia bianca e mare cristallino.
Ma ci sono delle turbolenze, così il comandante è costretto a dirottare l’aereo. Alcuni passeggeri si lanciano con il paracadute, mentre io rimango.
L’aereo allora atterra, ma non su una vera pista d’atterraggio, si tratta di una strada deserta, come abbandonata, circondata da una fitta vegetazione.
Mi guardo intorno e vedo allora le rovine mortali di un aereo precipitato.
Tra me e me allora penso “almeno mi sono salvata”.
Questo è il sogno di Giovanna.
DECODIFICAZIONE – CONTENUTO LATENTE
CONSIDERAZIONI
La collega Tullia Cianchelli ha interpretato questo sogno nell’ultima pubblicazione di “dimensionesogno.com”. La sintonia di un suo invito e di una mia richiesta si è concretizzata nell’accordo di “postare” in successione la sua e la mia decodificazione del “sogno di Giovanna”, in maniera che i tanti marinai possano constatare direttamente le affinità ideologiche e le diversità metodologiche, le vicinanze culturali e le distanze ideologiche, ciò che unisce e ciò che divide nell’approccio sperimentale al sogno che entrambi tenacemente tentiamo.
Al di là di questo confronto, va da sé che il grande pregio di questa collaborazione si attesta nella ricerca del nuovo e nella condivisione del vecchio intorno all’inquietante fenomeno psicofisico del sogno.
Come non apprezzare la sintesi densa di un buon “sapere” e di un originale “dire” della collega?
Si allargano gli orizzonti conoscitivi per chi ricerca e per chi legge.
Da qualche parte di non definito e di non definitivo fortunatamente si arriverà e così resteranno la soddisfazione e il fascino di aver tentato di raggiungere un approdo mobile e di suo, forse, inesistente.
Inizio la mia interpretazione del sogno di Giovanna.
Il titolo “L’aereo… in volo, atterrato e precipitato” si giustifica con l’importanza che il sogno riserva all’autonomia psicofisica della protagonista e nello specifico alla riformulazione progressiva della figura materna con il giusto e dovuto riconoscimento a Giovanna adeguato e possibile.
La nostra protagonista rispolvera le soluzioni progressivamente date alla consistente relazione con la madre, “posizione edipica”, e rievoca la realtà psichica pregressa nella simbologia protetta e incantata dell’aereo in volo per traghettarsi alla realtà psichica in atto, l’aereo atterrato tra mille turbolenze, senza trascurare nel suo “360°” la fase aggressiva e mortifera quando l’odio verso la madre l’aveva costretta alla desolazione mortifera, l’aereo precipitato.
Ancora: il sogno di Giovanna si snoda per contrasti emotivi e per opposizioni sentimentali, tutti scenari vissuti e compatibili con la sua storia psichica. La drammaturgia onirica alterna bellezze a bruttezze, estetica a disarmonia, commedia a dramma, stasi a tensione per sfociare nella migliore soluzione possibile alla condizioni psichiche date.
Ancora: tre soluzioni alla “posizione edipica” di Giovanna, quella dell’Es, quella dell’Io e quella del Super-Io, la triade desiderio-ragione-morale secondo i rispettivi principi del piacere, della realtà e del dovere.
Problema: tutto questo materiale psichico è nel sogno di Giovanna o nel sogno a occhi aperti dell’interprete Salvatore Vallone?
Dubbio umano e questione sempre aperta.
SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA
“Sono in volo su un aereo insieme ad altri passeggeri e stiamo per atterrare su un posto meraviglioso con spiaggia bianca e mare cristallino.”
Giovanna è una giovane donna che, come tante altre, ricerca il miglior rapporto possibile con la madre, una figlia che sta portando a risoluzione la “posizione edipica”, la conflittualità con la madre su cui ha operato una “identificazione” a favore della sua “identità” psichica femminile. La risoluzione è prospera, anzi ottima e feconda, più di quanto prospettato dalla stessa Giovanna, quasi una sistemazione idilliaca nell’angolo migliore del suo cuoricino di figlia devota e riconoscente. L’entusiasmo e il fascino non mancano in questo esordio del sogno a conferma di una buona disposizione al benessere psicofisico.
Vediamo i simboli.
“L’aereo” è il classico recipiente che rievoca il grembo materno sublimato e quella dipendenza psichica resa accettabile dal vario interesse che può venire a una figlia.
Attenzione all’ingombro e alle dimensioni della madre!
Il “volo” condensa il processo psichico difensivo della “sublimazione della libido”. Giovanna ha risolto le competizioni edipiche con la madre e ha composto nel modo più dignitoso il desiderio del padre per adire al migliore equilibrio psicofisico possibile.
“Gli altri passeggeri” rappresentano la condivisione del “mal comune” di avere una madre, un fattore che diventa un “mezzo gaudio” quando esiste il contorno di alleati, i “passeggeri”, che consente di portare avanti il sogno senza turbolenze atmosferiche, visto che siamo in volo. Tecnicamente “gli altri passeggeri” sono un rafforzamento psichico, nonché una difensiva “traslazione”.
“Atterrare” significa prendere realtà e concretezza, riconciliarsi con la madre concreta, quella in carne e ossa, quella tutta ciccia e tutta tette, e riconoscerla nelle sue componenti materiali e pragmatiche. Si tratta del meccanismo psichico di difesa della “materializzazione”, uno strumento psichico di cui poco si parla nella nostra cultura a causa della sua base teosofica.
Il “posto meraviglioso” è proprio quel dato oggettivo da amare e “degno di essere visto”. La simbologia e l’etimologia di “meraviglioso” coincidono nell’affetto e nella concretezza di un vissuto consapevole e attraente. Il “posto” è chiaramente un luogo psichico, la “condensazione” di emozioni e sentimenti realmente vissuti. Evoca l’utopia che etimologicamente si traduce “dov’è il posto” o il “non posto” o il “posto inesistente”: vedi “Utopia” di Tommaso Moro, scritto nel lontano 1516.
“Spiaggia bianca e mare cristallino” condensano l’idealizzazione retorica di una realtà psichica in atto che si sposa con le profondità misteriose della vita psichica, uno stato ideale e concreto, innocente e privo di sensi di colpa.
Questa è la soluzione psichica dettata dall’istanza pulsionale “Es”, dal desiderio e dal sentimento di Giovanna.
Questa è “utopia”?
Decisamente no, perché è un vissuto, un dato psichico.
“Ma ci sono delle turbolenze, così il comandante è costretto a dirottare l’aereo.”
Giovanna si accorge che la relazione con la madre non è poi andata così a buon fine come l’aveva idealizzata e scopre che il riconoscimento della madre reale non è così spedito come nei suoi desideri. Persistono dei conflitti nelle modalità di risolvere gli strascichi della “posizione edipica”. Non è poi tutto oro quel che brilla. A un’ottima e gratificante risoluzione del rapporto con la madre subentra una drammatica dialettica di contrasti e di ambivalenze.
Subentra un “comandante” e una costrizione al dirottamento che impongono una soluzione ispirata al senso morale e al “principio del dovere”.
Se in precedenza la risoluzione era di pertinenza “Es”, questa è dettata dall’istanza morale “Super-Io”.
Vediamo e discutiamo i simboli.
Le “turbolenze” rappresentano gli sconquassi emotivi e gli affanni sentimentali, non certo irreparabili e incomponibili, che accompagnano la vita psichica di una figlia che visita i “fantasmi” elaborati e dedicati alla madre.
“Il comandante” dell’aereo non è il marito o il padre reali, ma è il padre introiettato da Giovanna sotto forma dell’istanza psichica “Super-Io”, quella che assegna il compito morale e stabilisce il senso del limite. In tante turbolenze emotive il “Super-Io” offre la sua soluzione in riguardo al conflitto con la figura materna.
“Costretto a dirottare l’aereo” esige che la soluzione “meravigliosa” non è possibile ed è “utopia”. Esiste anche la soluzione ispirata al senso del dovere, sempre in riguardo alla madre, “l’aereo” per l’appunto. “Dirottare” rappresenta un’emergenza psicologica a cui far fronte e un derogare dalla norma precedente, quella basata sul “principio del piacere”, per convergere sul drammatico “dovere”. Il comandamento prescrive “onora la madre”.
“Alcuni passeggeri si lanciano con il paracadute, mentre io rimango.”
Giovanna in sogno ha proposto a se stessa le soluzioni del “piacere” e del “dovere” e anche quelle del distacco pericoloso e depressivo, della caduta “con il paracadute”. Giovanna sceglie di non separarsi in maniera traumatica, ma di restare con la madre e con le dipendenze che, tutto sommato, non sono poi da buttar via: quella “sindrome di convenienza” di cui parlano gli psichiatri quando non sanno che pesci pigliare. Giovanna poteva separarsi dalla madre in maniera traumatica perdendola di brutto, ma ha preferito andare in progressione e secondo il “principio di realtà”, senza il “dovere” e senza il “piacere” e con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso.
Decodifichiamo i simboli.
I “passeggeri” rappresentano i rafforzamenti e gli alleati su cui “proiettare” la sua possibilità di risolvere la problematica materna attraverso il distacco della caduta traumatica.
Il “paracadute” attenua il trauma del distacco dalla madre e significa l’uso di un “meccanismo psichico di compensazione” nel suo procedere dall’alto verso il basso, nel progressivo passaggio dal “processo di sublimazione” al “processo di materializzazione”, dal cielo alla terra, dal desiderio alla concretezza. Il “paracadute” è chiaramente un antidepressivo e, come tutti i farmaci, lavora sulle tensioni ma non risolve i conflitti psichici.
“Io rimango” attesta della soluzione dell’Io che permane nella relazione con la madre senza traumi e senza violenze, con le annesse dipendenze ma con la consapevolezza di non avere fatto una scelta di piena autonomia. “Io rimango” si traduce in termini psicodinamici “stallo”, il “rimango” con riduzione dell’evoluzione al minimo consentito dalla legge sull’equilibrio di Giovanna. La consapevolezza esclude la pericolosa “negazione” dello sviluppo e il permanere in stato di minorità psichica.
“L’aereo allora atterra, ma non su una vera pista d’atterraggio, si tratta di una strada deserta, come abbandonata, circondata da una fitta vegetazione.”
La soluzione dell’Io di “razionalizzare” la dipendenza dalla madre avviene dopo la dismissione della “sublimazione” con una visita alla madre concreta e reale. Ma questa soluzione e questa realtà psichiche comportano il senso della solitudine, dell’abbandono insieme allo struggimento e al tormento. Giovanna ha paura di non essere in grado di vivere bene questo realistico distacco dalla madre.
Decodifichiamo.
“La vera pista d’atterraggio” è la normale concretizzazione della relazione con la madre e la normale evoluzione razionale di un rapporto basato sulla concretezza.
La “strada deserta” rappresenta una soluzione affettivamente arida e a rischio solitudine e isolamento.
“Abbandonata” si spiega da sé. Giovanna proietta quello che sente dentro.
“Circondata da una fitta vegetazione” equivale ai mille tormenti che assalgono attraverso i mille pensieri e le mille preoccupazioni, gli affanni legati all’assenza della madre e alla rottura della simbiosi. La dipendenza non è poi la fine del mondo perché Giovanna non è pronta per vivere la sua autonomia psichica.
“Mi guardo intorno e vedo allora le rovine mortali di un aereo precipitato.”
Giovanna opera una prima poderosa presa di coscienza di questa scelta di dipendenza dalla madre e rievoca con terrore la soluzione “dell’aereo precipitato”, quella dell’Es: “uccidi la madre” dal momento che non sai onorarla e non sai riconoscerla. La risoluzione della “posizione edipica” comportava per Giovanna “le rovine mortali” di un odio mortifero e di una violenza istintiva, nonché l’essere successivamente divorata dall’espiazione dei sensi di colpa attraverso una serie di sintomi nevrotici ad alto tasso di somatizzazione. Secondo Freud dalla mancata soluzione del conflitto con la madre e il padre conseguono soltanto psiconevrosi e si escludono danni psicotici, ma certo che la degenerazione dei sintomi si approssima a uno stato limite conclamato. Le “rovine mortali” confermano la rottura violenta della simbiosi e l’avvento di un “fantasma di morte” sotto forma di una consistente depressione da perdita e da colpa.
“Mi guardo intorno e vedo” equivale al massimo della consapevolezza, all’esaltazione della visione razionale e della deliberazione che serve per decidere, alla chiarezza mentale che Giovanna ricava dalla presa di coscienza.
“Le rovine mortali” sono un originale conio semantico e poetico, versi degni del Foscolo dei “Sonetti” in cerca delle giuste “illusioni”. I termini sono pessimistici e peggiorativi di uno stato di per se stesso drammatico. Il concetto di “rovina” e di “mortale” rievoca l’animazione mancata di un corpo vivente e non di pietre tombali definibili “sepolcri”, a testimonianza dell’uso spontaneo dei meccanismi poetici dei “processi primari”. La creatività non manca nei simboli dell’Immaginazione e nelle metafore della Fantasia. Al di là della costruzione poetica è degno di rilievo il “fantasma” ultra depressivo di morte, con raddoppiamento della perdita e del distacco, qualora Giovanna avesse usato con la madre una strategia di distacco particolarmente audace e ardita.
“Aereo precipitato” si tratta della soluzione traumatica della “posizione edipica”, la figlia che uccide la madre dopo averla aggredita secondo le coordinate psichiche dell’istanza pulsionale “Es”. Negare la madre e persistere nel rifiuto portano alla vittoria della solitudine sulla pretesa illusione di autonomia.
“Tra me e me allora penso “almeno mi sono salvata”.”
La continua presenza dell’Io pensante e riflessivo di Giovanna testimonia del travaglio riservato alla risoluzione della relazione con la madre, “posizione edipica”, alla ricerca di un esito non traumatico e desolante. Giovanna può affermare alla fine del suo sogno che è rimasta impaniata nell’edipico e che ha stabilito con la madre una relazione di dipendenza compatibile con il suo amor proprio senza andare in depressione: “almeno mi sono salvata”, almeno mi sono conservata e preservata da rischi pesanti.
“Tra me e me” significa introspezione riflessiva. Dopo aver elaborato i dati della questione, Giovanna opera un movimento di ritorno con la contorsione di una buona atleta che si è giostrata tra Scilla e Cariddi, tra l’amore e l’odio nei riguardi della figura materna.
“Penso” appartiene all’attività dell’Io e riguarda la funzione razionale, latino “puto”, stimare e valutare come operazioni propedeutiche alla presa di coscienza.
“Almeno mi sono salvata” si traduce “almeno mi sono conservata e tutelata” dalla desolazione psichica tramite la presa di coscienza della soluzione edipica migliore possibile. Del resto, la relazione con la madre non deve essere risolta nella maniera classica del riconoscimento. Spesso basta la consapevolezza della dominanza della figura materna e del bisogno di lei per un equilibrio psicofisico in divenire.
Questo è quanto.
PSICODINAMICA
Il sogno di Giovanna sviluppa in termini progressivi e ordinati la psicodinamica in riguardo alla relazione con la madre all’interno della “posizione edipica”. In particolare evidenzia il desiderio, la paura e la realtà del “come è andata”. All’uopo propone tre soluzioni: quelle dell’Es, dell’Io e del Super-Io: la pulsione a uccidere, la consapevolezza di una dipendenza possibile e compatibile con la sua autonomia, il senso del dovere e del rispetto. I tre aerei presentano le tre soluzioni del conflitto con la figura materna, ma Giovanna predilige e realizza la seconda: la consapevolezza di una dipendenza possibile e compatibile con la sua autonomia.
ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE
Il sogno di Giovanna evidenzia nettamente l’azione delle tre istanze psichiche “Io”, “Es” e “Super-Io”.
La funzione vigilante, razionale e basata sul “principio di realtà” dell’Io si manifesta in maniera inequivocabile in “Mi guardo intorno e vedo” e in “Tra me e me allora penso”.
La funzione pulsionale e basata sul “principio del piacere” dell’Es (rappresentazione dell’istinto) si mostra chiaramente in “Ma ci sono delle turbolenze” e in “strada deserta, come abbandonata, circondata da una fitta vegetazione.” e in “le rovine mortali di un aereo precipitato”.
La funzione limitante, morale e basata sul “principio del dovere” di kantiana memoria del “Super-Io” si palesa in “il comandante è costretto a dirottare l’aereo”.
In riguardo alle “posizioni psichiche” emerse nel sogno di Giovanna si evince con chiarezza che la “posizione edipica” è dominante e, nello specifico, si evidenzia in “Sono in volo su un aereo” e in “dirottare l’aereo” e in “io rimango” e in “L’aereo allora atterra”.
MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA
I meccanismi psichici di difesa dall’angoscia presenti nel sogno di Giovanna sono i seguenti:
la “condensazione” in “aereo” e in “posto meraviglioso” e in “una strada deserta, come abbandonata, circondata da una fitta vegetazione” e in “rovine mortali” e in “aereo precipitato”,
lo “spostamento” in “passeggeri” e in “il comandante è costretto a dirottare l’aereo”,
la “proiezione” in passeggeri” e in “abbandonata”,
la “idealizzazione” in “spiaggia bianca e mare cristallino”,
la “figurabilità” in “posto meraviglioso con spiaggia bianca e mare cristallino” e in “rovine mortali di un aereo precipitato.”
Nel sogno di Giovanna agisce il processo psichico di difesa della “sublimazione della libido” in “Sono in volo”, così come il processo della “materializzazione” in “atterrare”.
Il processo psichico di difesa della “regressione” si presenta nella funzione onirica ripristinando allucinazione e azione al posto dell’esercizio normale dei sensi e del pensiero.
ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA
Il sogno di Giovanna evidenzia un tratto edipico dominante all’interno di una “organizzazione psichica orale” caratterizzata dalla consapevolezza di una dipendenza accettabile dalla madre. L’affettività si coniuga con l’autonomia in una forma di composizione, più che risoluzione, edipica.
FIGURE RETORICHE
Il sogno di Giovanna forma le seguenti figure retoriche:
la “metafora” o relazione di somiglianza in “aereo”e in “paracadute” e in “fitta vegetazione”,
la metonimia o relazione di senso logico in “volo” e in “atterrare” e in “comandante” e in “dirottare” e in “almeno mi sono salvata”,
la “sineddoche” o parte per il tutto e viceversa in “spiaggia bianca e mare cristallino”,
la “enfasi” o forza espressiva in “le rovine mortali di un aereo precipitato”.
Il sogno di Giovanna coniuga il racconto con il simbolismo in maniera distribuita e non eccelle in creatività poetica.
DIAGNOSI
La diagnosi dice chiaramente di una specifica soluzione edipica: dipendenza dalla madre ben razionalizzata e ben compensata al punto che si può benissimo affermare che la risoluzione è pragmatica e frutto di un’abile composizione dell’Io tra spinte dell’Es e controspinte del Super-Io.
PROGNOSI
Giovanna deve far perno sulla sua abilità psichica a comporre e a mediare per evitare l’insorgere del rimosso e la dittatura del dovere, le ansie dell’autonomia e le angosce della solitudine, nonché le imposizioni e le prescrizioni morali. La metafora del progressivo “camminare” nell’esistenza, usata dalla mia collega, è azzeccatissima. Mantenere l’equilibrio affettivo distribuendo gli investimenti di “libido” è un progetto importante.
RISCHIO PSICOPATOLOGICO
Il rischio psicopatologico si attesta in una psiconevrosi edipica, isterica o fobico ossessiva o depressiva, nel caso di un aumento della dipendenza dalla figura materna, magari in un momento di crisi affettiva. All’uopo Giovanna deve ben valutare il riverbero delle delusioni affettive.
GRADO DI PUREZZA ONIRICA
In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Giovanna è “4” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.
Il simbolismo prevale di gran lunga sul fattore narrativo.
RESTO DIURNO
La causa scatenante del sogno di Giovanna, “resto diurno” del “resto notturno”, si attesta in una riflessione sulla relazione con la madre o in un incontro fortuito con figure affettivamente simili.
QUALITA’ ONIRICA
La qualità del sogno di Giovanna coniuga il dramma con l’avventura secondo una formula di pacatezza. La compresenza di una vita in vacanza e di una vita tra rovine mortali non producono lo sconcerto che meriterebbero.
REM – NONREM
Il sogno di Giovanna si è svolto nella fase seconda del sonno REM alla luce del forte simbolismo e delle implicite emozioni.
Ricordo che nelle fasi REM il sonno è turbolento, mentre nelle fasi NONREM il sonno è profondo e catatonico ossia presenta una caduta del tono muscolare, senza movimenti e spasmi, senza agitazione psicomotoria. La memoria è presente nelle fasi agitate rispetto alle fasi di caduta muscolare e di sonno profondo dove è quasi assente.
FATTORE ALLUCINATORIO
Al di là del generale coinvolgimento dei sensi, Giovanna allucina in sogno espressamente la “vista” in “mi guardo intorno e vedo”.
La cospirazione dei sensi si manifesta nel senso della stabilità in “sono in volo” e in “atterra” e in “rimango”.
Per il resto, il sogno di Giovanna presenta sensazioni semplici ed emozioni lineari, un prodotto decisamente ben calibrato e, di certo, non esagerato.
GRADO DI ATTENDIBILITA’ E DI FALLACIA
Per sondare la soggettività o l’oggettività, l’approssimazione o la verosimiglianza della decodificazione del sogno di Giovanna, per valutare se l’interpretazione risente di forzature, stabilisco la prossimità all’oggettività scientifica o alla soggettività mistificatoria in una scala che va da “uno” a “cinque” in cui 1 equivale all’oggettività auspicata e 5 denuncia una forzatura interpretativa verosimile. Tale valutazione è resa possibile dalla presenza di simboli chiari e forti e di psicodinamiche affermate ed esaurienti.
La decodificazione del sogno di Giovanna, alla luce di quanto suddetto, ha un grado di attendibilità e di fallacia “2” a causa della chiara simbologia e della evidente psicodinamica.
DOMANDE & RISPOSTE
La lettrice anonima ha posto le seguenti domande dopo aver letto attentamente il sogno di Giovanna nella versione della dottoressa Cianchelli, Lost”, e nella mia versione, L’aereo…”.
Domanda
Più che una domanda faccio una valutazione. La decodificazione della sua collega è da “dottoressa”, mentre la sua è da “professore”.
Risposta
Pienamente d’accordo.
Domanda
Per me è stato sorprendente che dite quasi le stesse cose in maniera diversa. La dottoressa è più sintetica e più precisa, mentre lei è, a volte, vago e generico anche se dice tante cose.
Risposta
E’ proprio vero. Condivido.
Domanda
Ma siete sicuri che l’aereo è proprio il simbolo della madre?
Risposta
Del grembo sicuramente. L’aereo è un buon contenitore attrezzato per tutte le acrobazie psicofisiche.
Domanda
Ma esiste una sola scuola per interpretare i sogni?
Risposta
Certamente no. Lo studio dei simboli è antichissimo come l’uomo che lo ha elaborato e naturalmente applicato. Si tratta dei “processi primari” basati sui meccanismi della condensazione, dello spostamento, della simbolizzazione, della drammatizzazione, della rappresentazione per l’opposto e della figurabilità.
Domanda
Appartenete alla stessa scuola?
Risposta
Non lo so e non saprei dire, ma dall’interpretazione del sogno di Giovanna si nota una forte vicinanza.
Domanda
Il sogno usa i simboli, ma spesso nell’interpretazione usate altri simboli. Mi ha colpito un casino la dottoressa Cianchelli quando conclude il suo lavoro dicendo che “Tra il volo e lo schianto, c’è forse da imparare a camminare.” Introduce il simbolo del camminare. E’ vero?
Risposta
Verissimo! L’arte della parola è un linguaggio e quello dei simboli è arte.
Domanda
Mi spiega meglio?
Risposta
La lingua italiana è un insieme di parole, il vocabolario, un insieme di segni grafici e fonetici che includono sensi e significati. Quando il senso lo dai tu, come nel sogno, e vai al di là del significato comune per esprimere i tuoi vissuti, allora stai creando e sei il poeta di te stesso, ti stai esprimendo per simboli. Questi ultimi sono personali e soggettivi o collettivi e oggettivi. La decodificazione del sogno si basa su questi ultimi. Per intervenire sui primi, i simboli soggettivi, è necessario interpretare il sogno sul lettino dello psicoanalista e procedere con certosina pazienza.
Domanda
Discorso complicato. Ma come affronta lei l’interpretazione di un sogno che le è arrivato da persone che non conosce?
Risposta
Lo leggo e lo lascio depositare. Quando mi sveglio di notte, rifletto e immancabilmente mi riaddormento. Quando lo riprendo, butto giù la bozza interpretativa e poi lo rivedo e lo compongo. Le migliori intuizioni sui simboli e sulle psicodinamiche avvengono di notte. Non a caso si chiama “contenuto latente” e io lo cerco e lo trovo al buio.
Domanda
Giovanna la mandiamo in terapia?
Risposta
A me sembra chiaro che Giovanna ha potuto fare questo sogno perché si è lasciata seguire nella conoscenza di se stessa. Il suo sogno è il monumento alla sua psicoterapia. Ha sognato con chiarezza simbolica quello che ha vissuto nel corso della sua esperienza analitica.
Domanda
Ma che madre ha avuto Giovanna?
Risposta
Una madre normalissima, come tante che affollano le nostre strade e i nostri cammini. La bambina si è tanto legata e ha fatto fatica a staccarsi secondo i suoi bisogni.
Domanda
E dei bisogni delle madri cosa mi dice?
Risposta
Esiste una categoria di madri che fatica a riconoscere i figli come altro da sé e che non tagliano il cordone ombelicale psichico nel tempo giusto. Le madri possessive hanno una storia psichica contraddistinta da forti bisogni affettivi e proiettano sui figli quello che hanno desiderato per loro e che non hanno ricevuto. Sono donne che hanno composto la relazione con i loro genitori, “posizione edipica”, mantenendo una vena carismatica verso il padre e assumendola sulle spalle: matriarcato.
Domanda
Accetta altri collaboratori?
Risposta
A braccia aperte, sia per il confronto e l’approfondimento e sia perché ho più tempo per lavorare in campagna e andare al mare.
RIFLESSIONI METODOLOGICHE
Il brano scelto tratta la risoluzione della psicodinamica edipica, la relazione conflittuale con i genitori, questa tappa fondamentale nella formazione della “organizzazione psichica reattiva”, carattere o personalità.
Evidenzia, inoltre, come si può “concludere” la psicoterapia di un conflitto psicosomatico molto tosto.
Si può capire qualcosa soltanto leggendolo.
IO SONO IL MIO SIMBOLO
Ho ancora paura d’invecchiare.
Sono sempre stata morbosamente attratta dagli anziani e dalla loro precaria condizione.
E’ terribile subire di giorno in giorno l’inesorabile degrado del corpo, la progressiva flaccidezza dei muscoli, la traumatica fragilità delle ossa, le dolorose disfunzioni dei vari organi, la sconcertante caduta della vitalità, il macabro rattrappirsi della pelle e tutti quei penosi fenomeni dell’invecchiamento che si evolvono naturalmente in una putrida decomposizione.
Eppure questa è la vita e la morte, questo è il ciclo biologico che ruota insieme al sole, ai pianeti, ai satelliti, alle comete e alle galassie, questa è l’aria, questa è la terra, questa è l’acqua, questo è il fuoco di ogni essere vivente e in questa sublime cornice ci sono anch’io: questa sono io.
Uccidono ancora oggi le infami parole che la fantasia malata dell’uomo di quel tempo aveva messo in bocca al suo padreterno dopo il peccato originale in condanna dell’ingenuo Adamo e dimentico dell’infelice Eva: “…ritornerai alla terra… perché tu sei polvere e in polvere ritornerai.”
Che uomo !
E che padreterno !
Entrambi micidiali anche per un elefante nano e adulto.
Quella “terra” non era la prospera dea “madre” della mitologia greca, ma il tragico risultato di un’orrenda metamorfosi.
Che padre perverso e crudele la fantasia umana, incalzata dall’angoscia della fine, aveva partorito con l’aiuto di una fredda ostetrica chiamata “morte” !
Che figlio vanaglorioso e vulnerabile la fantasia umana, incalzata dall’angoscia della morte, aveva partorito senza l’amor proprio e senza l’amorosa coscienza della propria realtà !
Queste orrende elaborazioni poggiavano su un pessimistico vissuto del corpo e della natura biologica ed erano le fantasie di un uomo che nel massimo momento di esaltazione schizofrenica si faceva figlio di Dio per occultare la sua disperazione di fronte alla presunta ineluttabilità del nulla.
Altro che eterno ritorno o vita eterna !
Eppure queste squallide creazioni umane sono ancora in circolazione, legate a filo doppio con l’angusta concezione di una materia deperibile e con l’ingenuo desiderio di un paradiso gratificante; queste fantasie perverse continuano a volare elegantemente nel cielo come l’aquila alla ricerca del picco più alto per il suo caldo nido o continuano a razzolare goffamente nel fango come la gallina nella speranza di beccare un altro verme per le sue preziose uova.
Del resto, finché l’uomo persisterà nell’alienazione e nella svendita di se stesso per risolvere l’angoscia della vita e della morte e si lascerà convincere dalla prima offerta di un “al di là” nei truffaldini mercati del centro e della periferia, la salute mentale e la civiltà ne soffriranno e prospereranno soltanto le industrie delle onoranze funebri, le multinazionali delle chiese, la borsa valori del sacro, gli studi dei cuculi e i covi satanici.
L’uomo deve cogliere il suo vero essere nel corpo e nell’ ”al di qua” senza vivere la vita e la vecchiaia con il terrore di un’anticamera della morte.
Il vecchio uomo derelitto si guardava ogni mattina allo specchio, scopriva i tragici segni del tempo sulla sua carne e imparava a leggerli senza avvertire il bisogno di apprendere da un vero semiologo la giusta arte dell’interpretazione.
Incalzato dall’angoscia della morte questo povero prestigiatore tirava fuori dal suo cilindro una decodificazione funesta con la stessa abilità di Umberto Eco durante una lezione sui segni di un’immagine pubblicitaria o di un cartello stradale.
Quest’uomo allo specchio si accorgeva dalla pelle che il tempo aveva insultato e costantemente offeso il suo corpo e che a nulla era valso l’aver scritto un elogio della vecchiaia e della morte sotto forma di consolazione.
Il dramma, più o meno lungo, della sua vita era stato inciso con il bulino dall’invidioso tempo sulle colorate pagine della sua pelle; in esse era disegnata l’orribile mappa di un doloroso viatico.
Quest’uomo allo specchio poteva anche affermare che la sua vita era stata contrassegnata dalla felicità più intensa e che aveva dichiarato regolarmente al fisco la sua sfrenata gioia di vivere, ma adesso era costretto a prendere atto che l’insulto del tempo non aveva risparmiato il suo corpo, che era invecchiato secondo le leggi di una maledetta natura e che non poteva disdire l’ultimo fatale viaggio.
Era sempre un uomo angosciato alla ricerca di una qualsiasi Samarcanda.
Era sempre un povero prestigiatore licenziato anche dal circo più sgangherato della periferia emiliana.
Lo specchio era stato l’ambasciatore che non portava pena e il testimone della sua pretesa e illusoria caduta dal cielo, quel cielo tanto invidiato a quei miseri e umili fratelli che non si erano mai ribellati al Padre e alla Madre, a Dio.
La tanto agognata natura immortale risaliva a stolti progenitori ammalati di onnipotenza e mai abbastanza ebbri dell’illusione di sopravvivere.
Ma anche questa orribile farsa appartiene fortunatamente al mio passato.
La voce adesso risuona dentro di me: “devi riconoscere le tue radici !”
Ecco il vero comandamento: “riconosci il Padre e la Madre”.
“Quale erede di questi corpi e di queste figure ricordati che nel cielo non ci sono più i tuoi desideri che attendono di cadere sulla terra per realizzarsi, ma soltanto le tue illusioni e le tue angosce che attendono di dissolversi nello spazio infinito o di essere risucchiate in un personale big-bang.”
Lo specchio mi ha dato finalmente l’immagine di un corpo reale e di una mente originale, mi ha offerto la coscienza della loro completezza, mi ha regalato il senso della loro bellezza: la mia creatività simbolica.
Da bambina, come un selvaggio, avevo una tremenda paura del suo riflesso e mi atterriva la visione di un altro me stesso che stava di là e di un altro me stesso che stava di qua.
Allora io dov’ero ?
Io ero la bella addormentata nel bosco e giacevo nella pietosa e rassicurante culla di un orfanotrofio.
A questo punto era necessario raccattarmi frammento per frammento come un coccio infranto e ricucirmi pezza per pezza come un sacco rotto, ma avevo finalmente capito che io ero questa qui e stavo solamente di qua.
In passato come Orfeo abbracciavo la mia ombra e mi disperavo quando le braccia stringevano il vuoto al mio petto; allora non ero in grado di porre a me stessa neanche un mitico “chi sono”.
E nello scorrere inesorabile di un tempo galantuomo ho cominciato a spezzare le catene della schiavitù, a liberarmi dalle ambiguità della dipendenza, a emergere come soggetto e ad amarmi come persona, mediando la realtà del mio corpo con la realtà della sua immagine, integrando il corpo concreto con il corpo vissuto e tutto sempre all’ombra di un profondo amor proprio.
E il corpo tabù ?
E’ finito nel cesso con le mie contrastate cacchine.
Il mio corpo e la mia mente hanno finalmente conquistato le grazie raffinate di un generoso “hic et nunc” e di un gratificante “aquì y ahora”.
Con la benefica compiacenza della vera fantasia il mio corpo si è anche fatto simbolo ed ha risolto l’angoscia di morire proprio accettando la sua vitalità e scoprendo la sua creatività: adesso io sono il mio fuoco, la mia terra, la mia acqua, la mia aria.
Per tanto tempo sono stata il corpo dei miei genitori e la parola della tradizione; mi ero ridotta al silenzio, ero “senza parola” come una sapida barzelletta dell’inimitabile “settimana enigmistica”, ma adesso posso predicare a me stessa la mia parola perché io riconosco il Padre e la Madre, la Vita e la Morte, il vero Dio.
Domani penserò anche agli altri.
Intanto Eros e Psiche si amano alla grande e si sono trasferiti a Maser nella splendida villa di Andrea Palladio in mezzo alle verdi colline trevigiane e con l’immancabile biglietto da visita nell’atrio, le statue in marmo dedicate da Antonio Canova al loro felice amore.
Edonè è venuto alla luce con un bel fiocco azzurro per la gioia dei genitori, dei nonni e di tutto il vicinato.
Narciso ha finalmente messo giudizio e si comporta da buon semidio; qualcuno giura di averlo visto in intimità con Eco nel boschetto del Montello.
Dioniso si ubriaca di tanto in tanto, ma si sa che questa è la sua naturale trasgressione; per il resto è generoso come sempre, la compagnia femminile non gli manca e predilige le tettone.
Tanhatos è andato in pensione e le sue ancelle sono rimaste senza lavoro, ma con i benefici della cassa integrazione possono girare vezzose per le vie del centro in cerca di sballo: Lachesi si è rifatta il seno, Cloto ha smaltito la cellulite e Atropo ha scoperto le gioie del sesso.
Le allegre sorelle hanno gettato nel Piave il fuso, lo stame, il metro e la forbice; il solito qualcuno assicura che apriranno una sartoria alla moda in piazza dei Signori a Treviso e con le loro firme il successo è assicurato.
IL DOLORE DEL RITORNO AL PASSATO
E LA GIOIA DEL RITORNO ALLA VITA
Per non morire mai più nella mia vita e per cominciare finalmente a vivere mi sono distesa con cadenza periodica sull’abbozzo di un divano simile a un catafalco.
Il pendolo del tempo ha oscillato con armonia e il rituale profano si è ripetuto per anni secondo i pallidi cicli della bianca luna e in onore al mio nuovo essere femminile.
Il mio navigatore era uno strano cuculo e si chiamava come il vecchio siracusano che a suo tempo mi aveva restituito alla vita chiamando una linda e solerte ambulanza.
Mi ha invitato ad andare a ruota libera con i miei pensieri e a tradurli da aborti di emozioni in rozzi suoni, da rozzi suoni in rudimenti di parole.
Sono andata a ruota libera con i miei pensieri e ho cercato la lingua giusta per il linguaggio del mio corpo e della mia mente.
Ho rivissuto il bisogno di potere e l’angoscia di morte, ho vissuto il progressivo “sapere di me” e il dolore per quei tanti qualcosa di mio che non avevo gustato semplicemente perché non ero riuscita a dar loro la vita, ho imparato il fare simbolico e ho assistito al morire della morte.
In questi esotici viaggi sono stata sempre protetta da una stanza bianca e sono stata seguita dai poster della necropoli di Pantalica, del teatro greco di Siracusa, di un balcone barocco con inferriata araba, della fonte Aretusa con il papiro egiziano, del tempio greco di Athena adattato in cattedrale cristiana e di un bambino voglioso che si tocca il pisello.
Sono riuscita a liberare la mia mente, a sentire il mio corpo, a ritrovare la lingua dimenticata e a inventare le parole giuste per il linguaggio di Mara.
Il mio “altro” era nato a Siracusa, non era vecchio e non era giovane, vestiva sempre in doppiopetto grigio senza essere mai elegante.
Del suo viso oggi ricordo soltanto i tratti marcati di uno strano Ulisse.
Salvatore Vallone
Correva l’anno 1987 in quel di Pieve di Soligo.