CIELO! ANCORA MIO PADRE!

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Mio padre era seduto e io ero in piedi.
Mia madre era anche lei in piedi e stava alla mia destra tra me e lui attorno alla nostra tavola rotonda.
Ricordo un battibecco con mio padre.
Lui aveva le braccia conserte e una maglietta bianca a maniche corte.
Ricordo le spalle larghe e, di riflesso, uguali a quelle del mio compagno.
Io scoppio a piangere e lo abbraccio dicendo che ho bisogno di lui, ma lui è impassibile con le braccia ancora chiuse.
Mia madre interviene e gli dice: “dai Dany, non vedi che ti viene incontro, non fare sempre cosi!”
Lui apre le braccia, ma quello che che io sento è tanto freddo, tanto ma tanto freddo perché la reazione di lui era forzata.
A questo punto il sogno si interrompe.”

Questo è il sogno di Marineve.

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Ancora la vecchia storia con il padre!
Ma la “posizione edipica” si risolve una buona volta o non si supera mai?
La conflittualità con il padre e la madre, insieme ai bollenti sentimenti d’amore e di odio, si evolve e si compone o resta sempre magmatica e fluorescente?
Essendo una tappa formativa di grande portata emotiva, la “posizione edipica” è sempre in atto e funge da stimolo continuo al miglioramento della “coscienza di sé”. Nel suo essere camaleontica si mischia e si capovolge quando si diventa genitori e nei vissuti edipici dei figli.
Inoltre, i vissuti della relazione con il padre e con la madre contrassegnano la maturazione del “fantasma” del distacco con l’avvicinarsi evolutivo della fine. La “posizione edipica” aiuta a migliorare l’approccio psichico verso la morte perché, rispetto alle altre “posizioni psichiche”, aiuta a elaborare in maniera corretta e meno dolorosa il “fantasma” quasi addomesticandolo e riducendone l’angoscia.
La perdita dei genitori educa al distacco e corrobora gli affetti. Questo è l’ultimo regalo che queste figure archetipiche elargiscono ai figli.
L’origine si lega alla conclusione, l’inizio alla fine, la vita alla morte come opposti che necessariamente si richiamano e si rincorrono.
Ecco perché vado spesso predicando che i genitori sono i simboli delle nostre radici e della nostra identità e che vanno adottati nella loro vecchiaia in preparazione della nostra maturazione psicofisica, piuttosto che essere depositati nei moderni lager delle case di riposo.
Ho titolato il sogno di Marineve “Cielo, ancora mio padre!” proprio per questo ritorno in forma variegata della relazione contrastata della figlia con il padre. Proprio quando si pensa di aver dato ampiamente il proprio tributo al dio padre e alla dea madre, ecco che si presenta in sogno, secondo i nostri bisogni psichici più delicati e profondi, l’immagine del padre e della madre in compagnia dei turbolenti fantasmi che si pensavano acquietati e risolti.
A questo punto è interessante snocciolare il sogno di Marineve.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Mio padre era seduto e io ero in piedi.”

Non c’era modo simbolico migliore di esordire in ossequio al padre.
La figlia è “in piedi” perché è in pieno rispetto e manifesto riconoscimento del padre. “Essere in piedi” attesta della vigilanza dell’Io, della consapevolezza della situazione reale e dell’autorevolezza del caso.
Il “padre” è “seduto” in ottemperanza alla sua collocazione “genitale” e al suo ruolo sociale di capo. Il padre è composto e consapevole del potere che incarna nelle allucinazioni oniriche di Marineve.
Il sacro è seduto anche nell’iconografia, mentre il profano è in piedi e in movimento nella ricerca di un ricettacolo in cui nascondersi e occultarsi.
Il “padre” è simbolo dell’istanza psichica limitante e censurante del “Super-Io”, è archetipo, un simbolo universale, una condizione senza la quale non è possibile la vita e l’ordine sociale.
Questo è quanto vive in sogno Marineve in riguardo al padre e all’autorità sacra attribuita al suo augusto, quanto contrastato, genitore.
Marineve vuole essere sul pezzo di fronte al padre, senza distrarsi dal contesto e senza nulla escludere, pena la sofferenza di un’angoscia da solitudine e da fallimento.

“Mia madre era anche lei in piedi e stava alla mia destra tra me e lui attorno alla nostra tavola rotonda.”

In nome del padre, della madre e della figlia, recita la “triade edipica”.
Prima del 1900 si conosceva la “triade teologica” padre-figlio-spirito santo, la “trilogia” di Sofocle su Edipo e la “triade di Hegel” tesi-antitesi-sintesi.
Si ascrive a merito di Freud avere elaborato e codificato il tragico travaglio di Edipo secondo una psicodinamica universale.
Marineve non si fa mancare niente e ama fare le cose per bene e al completo, senza omissioni e senza dare per scontato alcunché.
Nel suo sogno colloca la “madre”, in cui a suo tempo nel bene nel male si è identificata, come lei “in piedi” accanto al marito e la rappresenta in stato di all’erta e in pieno ossequio del potere maschile. Marineve riconosce la madre come la moglie del padre e la colloca “alla destra” in un ruolo importante ma subalterno, come il Figlio del Padre nella Trinità: “siede alla destra del Padre”.
La “destra” rappresenta simbolicamente la coscienza e la razionalità, l’universo psichico maschile e il potere dell’azione, la realtà e la visibilità, l’evoluzione vitale e la vigilanza.
Il padre di Marineve mantiene un’oscurità psichica e un potere riconosciuto.
Eppure la Madre è un archetipo, il simbolo universale della vita e della morte, per cui meritava una migliore collocazione, quanto meno un paritario riconoscimento.
Niente da fare!
Marineve vive il padre come superiore in qualità e in quantità, in autorevolezza e in autorità rispetto alla figura materna.
Del resto, Marineve è femmina e le risulta enigmatico il tanto invidiato universo maschile del padre. Spesso in un corpo di donna si nasconde una testa di uomo secondo le possibili combinazioni della “posizione edipica”: il potere della seduzione e dell’intelligenza operativa.
“La nostra tavola rotonda” non è quella dei cavalieri della corte di re Artù, ma è un simbolo di giustizia e di democrazia nell’ambito della famiglia. La differenza si attesta soltanto nell’essere seduti o in piedi.
“La nostra tavola” è l’oggetto simbolico del riconoscimento e dello scambio affettivo, della condivisione dei sentimenti e dei ragionamenti, degli insegnamenti e delle decisioni, delle discussioni e delle competizioni.
Anche se la tavola è sguarnita, il simbolo familiare vale lo stesso ed è importante nella sua positività oggettiva.

“Ricordo un battibecco con mio padre.”

Ecco il conflitto con il padre.
Marineve dormiente prepara il sogno a rappresentare con progressione logica ed emotiva gli eventi che urgono e aspirano a essere rappresentati e portati in scena.
Trattasi di una scaramuccia, di una normale e leggera dialettica nel rapporto con il padre.
“Battibecco” è una disputa in parole che esprime un’idea e una convinzione all’interno di un sentimento conflittuale e di uno scambio affettivo contrastato.
“Battibecco” ha una radice simbolica erotica, una schermaglia di pulsioni e di desideri, perfettamente in linea con i vissuti edipici della figlia verso il padre.
“Ricordo” comporta una “regressione” e verte non su un fatto preciso , ma su uno stato d’animo conflittuale costante: una “regressione” implicita nel sognare.

“Lui aveva le braccia conserte e una maglietta bianca a maniche corte.”

Le “braccia conserte” attestano di una chiusura sentimentale, di una difesa dal coinvolgimento emotivo e affettivo. Marineve vive il padre come anaffettivo o non rispondente ai suoi investimenti di “libido” edipica, un padre inadeguato e chiuso nel suo abbigliamento sportivo e giovanile.
Il linguaggio del corpo conferma che “le braccia conserte” sono barriere al cuore e al respiro, al sentimento e all’emozione, al coraggio e all’amore.
In effetti, si tratta di difese psichiche che Marineve proietta sul padre, si tratta della difesa dei suoi bisogni di bambina innamorata e ricca di ormoni e di pulsioni, di desideri e di sentimenti, si tratta di materiale psichico che a suo tempo ha dovuto anestetizzare e, di poi, sublimare nel riconoscimento del padre. Marineve ha desiderato nella realtà la figura paterna e proietta in sogno il patrimonio psichico a cui è stata costretta ad abdicare in base al “principio di realtà” e in offesa al “principio del piacere”.
A conferma di quanto affermato Marineve opera il miracolo regressivo del ringiovanimento del padre: “una maglietta bianca a maniche corte.”
Marineve rievoca il tempo in cui viveva sulla pelle la pulsione e l’emozione verso quest’uomo in carne e ossa che dominava i suoi desideri.
Tutto questo apparteneva all’infanzia, perché adesso il padre è messo in risalto come autorità riconosciuta, “seduto” nella tavola rotonda della casa e vissuto come un uomo anaffettivo.

“Ricordo le spalle larghe e, di riflesso, uguali a quelle del mio compagno.”

Si conferma l’immagine giovanile del padre: “le spalle larghe” classiche del buon tempo virile. Le “spalle larghe” rappresentano la capacità di proteggere e di subire, di abbracciare e di coprire, di contenere sentimenti e valori, emozioni e vezzeggiamenti.
Ma attenzione al “di riflesso” che apre tutta una problematica inquieta e misterica: il padre viene degnamente equiparato al “compagno”.
Il padre e il compagno sono “uguali” nelle “spalle larghe”, il padre e il compagno condividono gli attributi fisici e le corrispondenti doti psicologiche.
Si conferma il comandamento edipico “ti legherai all’uomo che evoca l’immagine e la somiglianza del padre”, a cui fa eco il biblico “sarai sottoposta al desiderio del tuo uomo”, come recita il Genesi dopo il peccato e in condanna della donna Eva.
Ma perché e come avviene questo psicodramma?
La spiegazione si trova nelle “domande & risposte”.
Non resta che procedere nella decodificazione del sogno profetico di Marineve.

“Io scoppio a piangere e lo abbraccio dicendo che ho bisogno di lui, ma lui è impassibile con le braccia ancora chiuse.”

Ecco il trauma nel sogno!
Marineve non si è mai sentita abbastanza amata da suo padre o non le sono bastati quel sentimento e quelle manifestazioni d’affetto che lui ha esternato nell’esercizio quotidiano della vita in famiglia.
Il sogno opera una naturale “regressione” all’infanzia e visita la scena madre dello psicodramma di Marineve e di tante altre infelici bambine: il pianto e l’indifferenza del padre. Il desiderio non è stato esaudito e il pianto è liberatorio e attesta di un amore mancato e infelice. Ma, per fortuna c’è la compensazione dell’uomo simile al padre, almeno nelle caratteristiche essenziali delle “spalle larghe”.
“L’abbraccio” è simbolo di fusione psicofisica, ha una valenza mista, affettiva ed erotica, quel condensato maturato durante il periodo inquieto dell’infanzia e dell’adolescenza.
Il “bisogno di lui”, in specie se verbalizzato dopo l’abbraccio, è pregno di un benefico bisogno di dipendenza dal padre e, di poi, traslato nel suo uomo.
Il “dicendo” condensa una dichiarazione e un dono d’amore: le parole sono i migliori regali che impensabilmente possiamo fare a qualsiasi persona e in specie ai bambini.
Ma ecco che si consuma il dramma dell’anaffettività come nelle migliori tragedie shakesperiane: “ma lui è impassibile con le braccia ancora chiuse.”
“Impassibile” traduce il latino “senza sofferenza” o meglio “senza partecipazione alla sofferenza”.
“Le braccia ancora chiuse” riconfermano la difesa attribuita al padre da un coinvolgimento affettivo, una forma di crudeltà del genitore nei confronti della figlia innamorata.
Risulta ovvia la “proiezione” difensiva di Marineve nell’attribuire al padre la sua forzata anaffettività, la conseguenza di un amore innaturale.
Del resto, Marineve ha dovuto liquidare la “posizione edipica” per legarsi al compagno similare all’ingrato genitore.

“Mia madre interviene e gli dice: “dai Dany, non vedi che ti viene incontro, non fare sempre cosi!”

La madre è alleata: “interviene e gli dice”.
Questo vuol dire che Marineve ha superato il conflitto edipico con lei, ha accettato la sconfitta riguardo la sua pretesa espansionistica sul padre e si è identificata al femminile in lei.
Ecco che la madre può essere tirata in ballo come complice e può suggerire al marito di dare riscontro all’affetto della figlia e di modificare il suo atteggiamento costantemente freddo:“dai Dany, non vedi che ti viene incontro”.
Non c’è niente di male se la figlia è legata a filo doppio al padre, ma la reiterazione del comportamento affettivo,”non fare sempre cosi!”, è da interrompere anche perché è la figlia a venire incontro al padre e non il contrario.
Si evidenzia il potere e il culto del padre nella politica culturale della famiglia.
Marineve si è ravveduta sulla sua collocazione di figlia e non di amante.
Il quadro edipico si è composto al meglio con l’auspicato riconoscimento del padre e della madre, ma resta il micidiale vissuto di anaffettività della figlia. La lacuna e la vacanza affettive sono state del tutto compensate dal suo uomo similare al padre?
Il prosieguo del sogno lo dirà.

“Lui apre le braccia, ma quello che che io sento è tanto freddo, tanto ma tanto freddo perché la reazione di lui era forzata.”

Questa riconciliazione “non s’ha da fare”, come il matrimonio di Renzo e Lucia nella bocca dei “bravi” e riferito a don Abbondio.
La disposizione del padre a riconciliarsi è tentata da Marineve,“Lui apre le braccia”, ma è proprio lei che non è disponibile all’auspicato evento perché il trauma che il padre le ha procurato è talmente forte che non è possibile assolvere e tanto meno compensare: “quello che che io sento è tanto freddo, tanto ma tanto freddo”.
La freddezza climatica equivale simbolicamente a un distacco affettivo e a un trauma precoce legato alla mancanza di protezione e di cura.
Marineve non perdona al padre la forzatura del recupero affettivo, almeno Marineve proietta sul padre la costrizione di fronte alla quale si è venuta a trovare nella sua infanzia e adolescenza di fronte a una scelta del padre che la coinvolgeva in maniera diretta.
Il freddo e la forzatura sono vissuti di Marineve proiettati per difesa nel padre a prescindere da come il padre si sia comportato su questi registri nei suoi riguardi: “la reazione di lui era forzata”.

“A questo punto il sogno si interrompe.”

E’ pericoloso avvicinarsi a spiegare la trama e la consistenza emotiva del trauma e allora la “censura” interrompe il sogno e lo blocca senza cadere nell’incubo.
Il sogno tutela chi sogna e anche in questo caso funziona questa “filogenesi” o amore della Specie umana.
Non funzionano più i “meccanismi di difesa” che formano il sogno come la “condensazione” e lo “spostamento”, i “processi primari” sono andati in tilt e allora il travaglio psichico di Marineve trova qui la sua tregua.

PSICODINAMICA

Il sogno di Marineve svolge la psicodinamica della “posizione edipica” e nello specifico i vissuti in relazione al padre.
L’anaffettività contraddistingue il quadro.
Marineve risolve in maniera fredda un eventuale recupero della figura paterna.
Si profila, inoltre, un trauma che rende inaccessibile affettivamente il padre.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

L’istanza psichica vigilante “Io” è manifesta in “Ricordo”.
L’istanza psichica pulsionale “Es” è presente in “Io scoppio a piangere e lo abbraccio dicendo che ho bisogno di lui, ma lui è impassibile con le braccia ancora chiuse.”
e in “ma quello che che io sento è tanto freddo, tanto ma tanto freddo”.
L’istanza psichica censoria “Super-Io” si presenta in “Mio padre”.
La “posizione psichica edipica” è dominante in tutto il sogno e nello specifico in “Io scoppio a piangere e lo abbraccio dicendo che ho bisogno di lui, ma lui è impassibile con le braccia ancora chiuse.” e in “Mia madre era anche lei in piedi e stava alla mia destra tra me e lui attorno alla nostra tavola rotonda.”

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

Il sogno di Marineve usa i meccanismi psichici di difesa dall’angoscia della “condensazione” in “seduto” e in “in piedi” e in “alla mia destra” e in battibecco”,
dello “spostamento” in “spalle larghe” e in “braccia conserte” e in “impassibile” e in “viene incontro”,
della “drammatizzazione” in “dai Dany, non vedi che ti viene incontro, non fare sempre cosi!”,
della “proiezione” in “impassibile ancora con le braccia chiuse” e in “freddo tanto perché la reazione di lui era forzata.” e in “braccia conserte”,
della “coazione a ripetere” in “non fare sempre così”.
Il processo psichico di difesa dall’angoscia della “sublimazione della libido” non è presente.
Il processo psichico di difesa della “regressione” si manifesta in ”Ricordo un battibecco con mio padre.”

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Il sogno di Marineve mostra nettamente un tratto psichico “edipico”, relazione conflittuale con il padre, all’interno di una “organizzazione psichica reattiva” a prevalenza “genitale”, forte disposizione all’amore donativo materno e agli investimenti affettivi. In questi ultimi Marineve immette contenuti massimi o minimi. In tal modo i coinvolgimenti sono di grande trasporto e calore o formali e freddi.

FIGURE RETORICHE

Le figure retoriche presenti nel sogno di Marineve sono la “metafora” o relazione di somiglianza in “tavola rotonda” e in “battibecco” e in “braccia conserte” e in “abbraccio,
la “metonimia” o nesso logico in “seduto” e in “in piedi” e in “scoppio a piangere” e in “impassibile” e in “viene incontro”,
la “sineddoche” o la parte per il tutto e viceversa in “le braccia conserte” e in “le braccia ancora chiuse”,
la “enfasi” o forza espressiva in “Mia madre interviene e gli dice: “dai Dany, non vedi che ti viene incontro, non fare sempre cosi!”
Nella sua semplicità descrittiva il sogno di Marineve usa tanti simboli e per questo motivo possiede una vena poetica popolare.

DIAGNOSI

Il sogno di Marineve dice di una “posizione edipica” irrisolta e foriera di anaffettività.
Include un trauma di non meglio precisata consistenza e addebitato alla figura paterna.
Marineve pensa di aver sistemato la relazione con il padre, ma emergono lacune non ancora colmate e sanate.

PROGNOSI

La prognosi invita Marineve a portare a termine la presa di coscienza di cosa le è rimasto dentro in riguardo alla relazione affettiva con il padre e a sistemarlo nell’economia psichica in atto con la migliore consapevolezza possibile. Questa operazione è funzionale a una migliore distribuzione dei suoi affetti e a una migliore modulazione degli stessi: risolvere i grandi amori e i grandi odi e distribuire gli investimenti affettivi in maniera non turbolenta.
Il tutto al fine di vivere meglio le relazioni sociali e di avere una degna collocazione tra famiglia e società, tra il vecchio in emersione e il nuovo in prospettiva.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico per Marineve si attesta in una recrudescenza della “posizione edipica” e in un riflesso conflittuale verso figure importanti della sua vita. Le psiconevrosi edipiche sono quelle d’angoscia, istero-fobica con crisi di panico e depressiva.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Marineve è “3” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.
Realismo e simbolismo si combinano discorsivamente in maniera equa.

RESTO DIURNO

La causa scatenante del sogno di Marineve è il ricordo o l’incontro con il padre o con una figura similare. Nel giorno antecedente si verifica sempre un’esperienza o un vissuto che funge da aggancio alla psicodinamica elaborata nel sogno.
Definisco il sogno “resto notturno” semplicemente perché quello che ricordiamo al risveglio è una minima parte di quello che elaboriamo con i “processi primari” e che purtroppo viene perduto per assenza di memoria. Quanto più siamo svegli nel sonno REM o verso l’alba dopo il sonno profondo e più ricordiamo e, di conseguenza, compiliamo il sogno in maniera logica consequenziale.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità del sogno di Marineve è realistica narrativa.

REM – NON REM

Il sogno di Marineve presenta una consequenzialità logica e simbolica, per cui è stato elaborato in una fase REM mediana, la seconda o la terza, tra le tre le quattro.
Ricordo che nelle fasi REM il sonno è turbolento, mentre nelle fasi NONREM il sonno è profondo e catatonico ossia presenta una caduta del tono muscolare, senza movimenti e spasmi, senza agitazione psicomotoria. La memoria è presente nelle fasi agitate rispetto alle fasi di caduta muscolare e di sonno profondo dove è quasi assente.

FATTORE ALLUCINATORIO

I sensi coinvolti con le corrispondenti allucinazioni nel sogno di Marineve sono i seguenti: la vista, il tatto e l’udito.
La “vista” è allucinata nella gran parte del sogno e nello specifico in “Mio padre era seduto e io ero in piedi.” e nel prosieguo.
Il “tatto” è allucinato in “lo abbraccio” e in “quello che che io sento è tanto freddo, tanto ma tanto freddo”.
L’”udito” è allucinato in “dicendo che ho bisogno di lui” e in “Mia madre interviene e gli dice: “dai Dany, non vedi che ti viene incontro, non fare sempre cosi!”
Il concorso dei sensi o “sesto senso” è allucinato in “scoppio a piangere”.

DOMANDE & RISPOSTE

Il lettore anonimo ha posto le seguenti domande dopo aver letto con curiosità la decodificazione del sogno di Marineve.

Domanda
Sembrava un sogno semplice e invece si è rivelato un sogno complesso.

Risposta
Proprio così!
I sogni non sono mai dei semplici sogni, come le canzoni di musica leggera non sono così leggere come sono definite

Domanda
Marineve si riconcilierà con il padre?

Risposta
Marineve ha in atto con il padre il miglior equilibrio emotivo e affettivo possibile. Riconciliarsi significa migliorare con coraggio la presa di coscienza del trauma a lui collegato e che il sogno lascia intravedere, indica ma non manifesta.

Domanda
Quindi deve fare una psicoterapia o ce la può fare da sola.

Risposta
Buone entrambe, ma da cosa sogna e da come scrive si evince una buona introspezione, frutto di un costante esercizio di analisi e di ricerca. Finché non c’è sintomo, può farcela da sola.

Domanda
Ho notato che lei consiglia poco la psicoterapia contro i suoi interessi globali.

Risposta
Quando non si è motivati e soprattutto non si è motivati da una sofferenza, la psicoterapia è impossibile e, di conseguenza, inutile.

Domanda
Mi può spiegare il titolo?

Risposta
Era comune in passato l’espressione “Cielo, mio marito!” nell’umorismo delle barzellette per indicare la sorpresa in flagranza di un tradimento sessuale. La lettura del sogno mi ha ricordato questo imbarazzante effetto della serie “tutto ritorna e non si risolve”, come le libertà sessuali di matrice poligamica.

Domanda
Quanto influisce il padre e la madre nella scelta del compagno o della compagna?

Risposta
Domanda semplice e doverosa che richiede una lunga ed esauriente risposta.
Il padre e la madre, la “posizione edipica”, ritornano nei sogni più di altri personaggi e li affollano in maniera sorprendente.
Marineve e tutte le donne sono state attratte nell’infanzia dalla figura paterna nel bene e nel male, “fantasma del padre” nella “parte positiva e negativa, e, di conseguenza, hanno introiettato, messo dentro o interiorizzato, l’immagine inquieta dell’uomo fascinoso a cui abbandonarsi e in cui emotivamente perdersi. Di poi, hanno dovuto fare i conti con la frustrazione del desiderio e si sono identificate nella figura materna dopo l’opportuna riconciliazione per il colpo gobbo che volevano infliggere. Hanno mantenuto intatte dentro la “imago” del padre e la pulsione erotica e sessuale annessa e connessa. L’esercizio della vita offre l’incontro fortuito con quell’uomo che, suo bengrado e suo malgrado, rievoca e scatena quell’imago e quelle pulsioni, le farfalline allo stomaco, di cui Marineve e le donne s’innamorano perdutamente e si legano, lasciando gli altri maschi a chiedersi “ma perché ha scelto lui e non ha scelto me”, come dice Max Pezzali nella sua canzone, prodotto
psico-culturale, “La regola dell’amico”. La stessa psicodinamica vale per il maschio nei confronti della madre.

Domanda
Lei dice che si rimane colpiti dall’uomo o dalla donna che evocano l’immagine interiorizzata del padre o della madre.
Ma non è esagerato questo determinismo?
Quale libertà ci resta nello scegliere chi amare?

Risposta
Perfettamente d’accordo!
Sembra che ci resti soltanto una libertà condizionata e non un libero arbitrio e tanto meno una libertà assoluta.
Essere turbati dall’uomo che evoca il padre e dalla donna che evoca la madre secondo l’imago introiettata durante la “posizione edipica” è veramente riduttivo e quasi inumano, quasi da prodotti condizionati dalla Mente e dal Corpo. Effettivamente l’immagine di un uomo angelico, creativo e idealista va a farsi fottere insieme all’immagine metafisica di un uomo figlio di qualcuno d’importante che sta nei cieli.
L’uomo è ridotto a un insieme di schemi da “stimolo e risposta”, un oggetto materiale affetto da un meccanicismo esagerato ed esasperato.
Stimarsi umanamente oggetti di conoscenza è la base di ogni sedicente scienza, al di là delle conclusioni meccaniche o metafisiche.
Tutto si spiega e tutto si può spiegare sempre secondo i principi primi, il metodo di lavoro e il codice interpretativo che il ricercatore pone e fissa.
Anche le conclusioni spirituali e libertarie, finalistiche per l’appunto, si possono comprendere e spiegare.
Tornando alla questione della scelta del partner, aggiungo che, per ridurre il condizionamento delle immagini introiettate, basta avere una buona coscienza di quanto i genitori hanno influito nella formazione psichica: una libertà condizionata.
Risulta che le coppie edipiche sono destinate alla separazione per esaurimento del carburante pregresso, mentre le coppie consapevoli che si scelgono e si esercitano quotidianamente senza pendenze irrisolte arrivano alle nozze di diamante.
Discorsi impegnati, ma ancora aperti.
Ridiamoci sopra con Max Pezzali e la sua “Regola dell’amico” che pone la domanda “ma perché proprio lui che non ha la nostra loquacità”?
La mia risposta è “perché evoca il fantasma edipico del padre”.
Altrimenti spiegatemi voi le farfalline allo stomaco e gli amori impossibili e ineffabili.

Domanda
Potrebbe in futuro rendere più semplici le interpretazioni dei sogni?
Spesso si ripete e non si capisce cosa dice.

Risposta
Ci provo sempre a essere chiaro cercando di non banalizzare, ma vedo che non ci riseco.
Comunque grazie per la richiesta. Ci proverò ancora.

 

 

 

 

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