TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO
“Eravamo nella sala da pranzo di via Savoia.
C’era una grande tavola apparecchiata, a cui sedevamo noi figli e tante altre persone, tutti invitati di mia madre.
Mio padre non era con noi.
Mia madre ci ha servito della pasta con la salsa, un “coppino” ciascuno.
Dopo aver finito il primo, aspettavamo tutti la seconda portata che però non arrivava.
Al che, ho chiesto a mia madre se ci fosse soltanto quello da mangiare.
Lei dice di sì ed io la redarguisco: “Ma che figura ci fai fare, mamma, con tutta questa gente invitata?!”
Allora lei mi risponde: “Già! C’è macari u café!”
Questo sogno è firmato “Pippina a pazza”.
DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE
CONSIDERAZIONI
Questo sogno ha sapore di Sicilia e mi è familiare.
Comincio dalla fine.
Nei miei ricordi di bambino “Pippina a pazza” era una donna sempre affacciata alla ringhiera della terrazza sul mare di Ortigia in attesa che all’orizzonte spuntasse il veliero del suo grande amore, un marinaio immaginario di cui era perdutamente innamorata.
Giuseppina …., detta “Pippina a pazza”, aspettava di andare via con lui, ma il marinaio non ritornava semplicemente perché non esisteva nella realtà, ma era soltanto presente nelle allucinazioni della tenera donna.
Questo grande amore era un delirio beneficamente paranoico ed è un ricordo della mia infanzia. Mi è viva l’immagine di questa donna scarmigliata che guardava perduta l’orizzonte del porto di Siracusa dal terrazzo della sua vecchia casa, mezza barocca e mezza popolana, con tanto di statuetta di santa Lucia e di san Sebastiano trafitti dai pugnali dei miscredenti pagani.
Di certo, Giuseppina non finì nel manicomio di Siracusa. Il dottor Basaglia e la sua Legge, mai adempiuta, dovevano addivenire, ma la famiglia amorevolmente si era presa cura di lei proteggendola dalle aberrazioni degenerative umane e psichiche del “lager” manicomiale.
Questo è quanto evoca in me l’autrice del sogno, la sedicente “Pippina a pazza”.
Penso che questo sogno me lo abbia spedito una delle mia sorelle, la più estrosa e creativa, nonché la più provocatrice. Mi piace pensare così e il mio sospetto è corroborato dall’indicazione geografica protetta della “via Savoia”, la strada dei re dove abitavo con la mia numerosa famiglia negli anni cinquanta e sessanta.
In ogni modo bisogna procedere con l’interpretazione del sogno e con il mezzo anonimato rimasto in piedi della protagonista.
SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA
“Eravamo nella sala da pranzo di via Savoia.”
La “sala da pranzo” rappresenta simbolicamente l’affettività e le relazioni significative vissute in famiglia, vissuti a metà formali e a metà sostanziali. La precisazione della via, “via Savoia”, inquadra l’identità del gruppo, quelli che vivevano in quel luogo: un “topos” che contiene un “logos”.
Pippina rievoca in sogno la sua sfera affettiva familiare e i suoi “fantasmi” all’interno di quel contesto, esperienze convissute e condivise con altre persone: “eravamo”. Pippina non ha sofferto, di certo, la solitudine.
“C’era una grande tavola apparecchiata, a cui sedevamo noi figli e tante altre persone, tutti invitati di mia madre.”
Si presenta il simbolo della famiglia allargata e tradizionale, il “clan”, l’istituto sociale dove con i cibi si scambiano affetti e rassicurazioni, identità e protezioni: il “noi siamo quelli” di “una grande tavola apparecchiata”.
“Tutti invitati” contiene la cura e la premura di una madre, “di mia madre”, deputata ad amare i figli, “noi figli”, seduti obbedienti e trepidanti attorno al desco “fiorito di occhi di bambini” e di adulti.
E cosa ci si scambia in questo dolcissimo consesso?
Amore, affetti, protezione, identità, appartenenza: investimenti di “libido genitale”, dice il tecnico.
E le succulente pietanze della cucina siciliana?
Soltanto cibi frugali e semplici, arricchiti dai mille accorgimenti degli aromi e degli odori per ingannare il palato e lo stomaco dei bambini.
Il cibo è il simbolo dell’amore e dell’amore materno nello specifico.
“Chi mi ama mi nutre”, recita un antichissimo adagio popolare, nonché le norme del costume degli animali, per cui seduti a quella “grande tavola apparecchiata” non si gioca a tombola, ma ci si vuol bene e ci si riconosce come gruppo mentre si mangia.
Non si insisterà mai abbastanza sull’importanza psicosociale della colazione, del pranzo e della cena.
Fin qui tutto tranquillo e seducente.
Adesso si profilano le scaramucce psichiche.
La mamma ha invitato “tante altre persone”, la madre ha esteso l’amore ad altri e non soltanto ai suoi figli, che già sono tanti. La madre si è donata nella sua infinita “genitalità” ad altre persone, una gradevole parentela allargata, tutte persone degne di rispetto e di affetto.
Pippina non è, di certo, figlia unica.
Pippina ha fratelli e sorelle con cui dividere la madre e, chissà, se a parti uguali nei suoi dosaggi.
Pippina soffre di rivalità fraterna e ha un conto in sospeso con gli affetti e “in primis” con quelli della madre.
E allora?
Le “altre persone” sono in più, sono un ostacolo alla provvidenza materna, intralciano, intrigano, confondono, portano via qualcosa d’ineffabile e di concreto anche se aiutano ad allargare gli orizzonti psichici e sociali, proteggono e sostengono, comunicano e regalano.
Cosa non ti combina una madre invadente e oltremodo generosa nei “fantasmi” affettivi di una figlia in cerca perpetua d’amore e di rassicurazione? Questo è un primo spaccato psichico di “Pippina a pazza”.
“Mio padre non era con noi.”
L’unità familiare è mutilata perché manca il padre. Pippina sente forte la presenza della madre e avverte l’assenza del padre. Pippina non si è sentita amata abbastanza dal padre. L’amore in famiglia è riservato all’esercizio della madre. Pippina ha una vacanza psichica nella sua “posizione edipica”, il padre per quanto riguarda la sfera affettiva, simbolicamente rappresentata dalla “tavola apparecchiata”. Pippina si è sentita amata dalla madre, nonostante fratelli e sorelle e parenti, tutti presenti a tavola e regolarmente invitati dalla madre.
Dubbio legittimo: visto che la madre si profila chiara e limpida nel suo dispensarsi e nel suo dispensare affetti a modiche dosi a tanta gente, vuoi vedere che Pippina ha qualche conflitto edipico con il padre e che nel sogno si difende escludendolo dalla tavolata imbandita e dalla compagnia degli affetti?
Qualche trauma dell’infanzia in riguardo al padre poco presente e severo?
Il sogno individua un fantasma preciso in forma generica: “Mio padre non era con noi.”
La madre è potente e dominante, una figura importantissima nell’economia psichica di Pippina, ma il padre nella sua assenza non è da meno. La madre ha dovuto occupare, sempre nei vissuti della protagonista, il posto e il ruolo lasciati vacanti dal marito.
Procediamo a vedere dove va a finire questo sogno semplice e simpatico soltanto nell’apparenza.
“Mia madre ci ha servito della pasta con la salsa, un “coppino” ciascuno.”
Fino a questo punto Pippina ha ben assorbito la condivisione dell’amore materno e non chiede l’esclusiva o il diritto di usucapione in questa comunità allegra di persone in convivio che vede una madre protagonista e un padre assente nella comunione dei beni affettivi.
La giustizia affettiva della mamma si manifesta ulteriormente nella distribuzione quantitativa dei sentimenti: “un coppino ciascuno”.
Mi piace precisare che il siciliano “coppino” è una piccola coppa equivalente a un italiano mestolo. L’amore della madre è giusto e non è variegato, è interessato e personalizzato, non è ruffiano e tanto meno “puttano”. L’amore della madre è come la Legge sopra lo scanno dei giudici, “uguale per tutti”.
A Pippina va bene tutto questo nella diplomazia onirica dell’apparente, ma non va bene tutto questo nell’economia profonda dei suoi bisogni affettivi: il “coppino” non basta e la mancanza di esclusiva le brucia.
Ricordo che il “coppino” è stato eletto da Pippina come la misura dell’amore materno nel suo essere simbolicamente un dispensatore di “pasta con la salsa”.
Il “ciascuno” indica la giustizia e la misura.
Eravamo tanti in famiglia e a ognuno la madre ha dato il suo: una madre troppo impegnata nella vita corrente per trovare il tempo di fare delle differenze tra i figli.
Ma ciò non toglie che nei vissuti di Pippinella infante una madre ingiusta e abbondante è stata l’oggetto del suo desiderio, un prospero “fantasma” di mamma buona, “parte positiva” del “fantasma della madre”.
“Dopo aver finito il primo, aspettavamo tutti la seconda portata che però non arrivava.”
Il cibo non basta mai, come l’affetto e l’amore dei genitori quando si è “infanti” e senza parola, quando si è bambini e si sente la necessità di vivere i sentimenti di base, quelli intramontabili che aiutano a crescere e a crescere bene senza paura e senza vergogna, con la sana espressione del dare del ricevere.
Quanto ha atteso questa bambina!
Pippina aspettava ancora cibo, ancora amore, ancora sentimenti, ancora calore di pietanze simboliche e sublimate. Crescendo con i fratelli, le sorelle e i parenti, manifesta in sogno questo suo desiderio di avere una mamma non in condominio, ma una mamma che la scegliesse eleggendola come la figlia preferita e prediletta.
A quanto arriva l’allucinazione di un desiderio elaborato e vissuto nella primissima infanzia e conservato dentro sotto forma di “fantasma” e destinato alla dimenticanza per poi emergere, quando meno te l’aspetti, in sogno!
Non arriva nulla, se non quello che c’è per tutti, “un coppino di pasta con la salsa”, quella dose minima ma giusta e uguale per tutti. La madre deve distribuirsi con figli e parenti, ma a Pippina la sua parte non basta.
E’ presente il meccanismo psichico di difesa dall’angoscia della “traslazione” negli altri, “aspettavamo tutti la seconda portata che però non arrivava.” “Mal comune mezzo gaudio”, dicono i toscani consolandosi di una frustrazione subita. E Pippina va avanti senza angoscia, ma questo “fantasma” ha inciso, meglio si è inciso, nel suo carattere, nella sua “formazione psichica reattiva” magari con la tendenza a cercare affetto negli altri attraverso una facilità a comunicare, una forma di estroversione e di sollecitudine intesa a gratificare per essere gratificati.
“Al che, ho chiesto a mia madre se ci fosse soltanto quello da mangiare.”
Come si diceva in precedenza, a Pippina non è bastato “il primo” e voleva “la seconda portata” per sé e per tutti, ma si deve accontentare soltanto di quello che la madre passa in base alla sua economia psichica e al suo ruolo così arduo da gestire: tanti figli e poco cibo nella realtà storica e culturale del dopoguerra. Pippina “ha chiesto”, ma la frustrazione affettiva è inevitabile perché il vissuto affettivo è deficitario nella sua psiche. Quel qualcosa di più o quella “seconda portata” non hanno visto la luce, per cui non resta che incamerare la carenza magari sublimandola e senza adire nella naturale aggressività che consegue a ogni frustrazione. Pippina appare docile e accogliente, ma vediamo il prosieguo del sogno.
“Lei dice di sì ed io la redarguisco: “Ma che figura ci fai fare, mamma, con tutta questa gente invitata?”
“Redarguisco”: latino red-arguere, indietro-dimostrare. Pippina dimostra e accusa la madre che “dice di sì” alla frustrazione affettiva, la madre è consapevole nei vissuti della figlia della sua collocazione importante all’interno della famiglia.
“Che figura” si traduce e si legge: quale posizione hai assunto e assumerai di fronte a questa situazione di generale frustrazione affettiva?
Pippina accusa la madre di avere una famiglia numerosa a cui non può accudire in tutto e per tutto. La “gente invitata” non ha chiesto di venire, come i figli non hanno chiesto di nascere e, oltretutto, in quella famiglia.
Ribadisco che la protagonista Pippina sta elaborando la sua collocazione affettiva all’interno della sua famiglia quand’era bambina e il “fantasma della madre” nella sua “parte critica”: accusa ma non aggredisce, contesta ma non condanna.
Tutt’altro!
E si vede andando avanti come si conclude la storia affettiva di Pippina e il suo vissuto nei riguardi della madre.
“Allora lei mi risponde: “Già! C’è macari u café!”
Fenomenale l’ironia finale!
Ironia che richiede a monte un buon esercizio di autoironia.
Pippinella è ironica perché è autoironica.
Pippinella sa ridere di sé, sa ridimensionarsi e proietta nella madre le sue buone doti di sopravvivenza in famiglia e nel sociale: “Già!”.
Che simbolo è il “caffè”?
O meglio: ma che significa “u cafè”?
“U cafè” condensa l’eccitazione nervosa finalizzata al gusto di sé, significa saper ridere di sé e del proprio destino di uomini, attesta di un’accettazione dello “amor fati”, un fare umano tra epicureo e arabo. Il “caffè” è la droga dei poveri, la cocaina dei proletari, il Johnnie Walker dei sopravvissuti a due guerre mondiali e a una guerra coloniale imperialista.
“De consolatione do cafè!”
Elogio del caffè, una lode che mette tutti d’accordo e concilia la miseria con la nobiltà dell’animo.
Si conclude nella maniera più geniale il sogno di “Pippina a pazza”, la donna che attendeva il suo marinaio sul terrazzino della casa in Ortigia prospiciente il golfo naturale di una Siracusa mezza barocca e mezza popolana, una dimora con tanto di statuette di santa Lucia e di san Sebastiano trafitti dai pugnali dei miscredenti pagani.
Se la vera Pippina avesse bevuto “u cafè” dopo un “coppino di pasta con la salsa”, ironia e autoironia, avrebbe vissuto, senza scindersi a livello psichico, il suo destino di donna sopravvissuta alla guerra e agli uomini malvagi, marinaio compreso:
“Eh già!”.
PSICODINAMICA
Il sogno di Pippina sviluppa la psicodinamica legata alla “posizione psichica orale”, l’affettività e gli investimenti di “libido” collegati alle relazioni familiari e sociali. Evidenzia carenza nella consolazione della condivisione affettiva. L’individualità affamata emerge dalla comunione dei beni. La problematica conflittuale blanda è rivolta in maniera privilegiata alla figura materna e si conclude in linea con la reazione autoironica e ironica. La “posizione edipica” è richiamata nell’esclusione della figura paterna dal consesso affettivo: blanda conflittualità compensata. La “posizione psichica genitale”, “donativa”, è mirabilmente impersonata dalla madre anche nella sua equa parsimonia alimentare e affettiva.
ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE
L’istanza psichica “Es” compare in “una grande tavola apparecchiata” e in “Mia madre ci ha servito della pasta con la salsa” e in “aspettavamo tutti la seconda portata che però non arrivava.” e in “C’è macari u café!”.
L’istanza psichica “Io” è presente in “ho chiesto a mia madre” e in “Lei dice” e in “Allora lei mi risponde”.
L’istanza psichica “Super-Io” si evidenzia in “Mio padre non era con noi.” e in “io la redarguisco”.
La “posizione psichica orale” è dominante in quanto il tema dell’affettività è presente in tutto il sogno come causa scatenante.
La “posizione psichica genitale” contraddistingue la psicodinamica di base: è poco, ma c’è amore per tutti e gli affetti della madre sono distribuiti in parti uguali.
MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA
Il sogno di “Pippina a pazza” si serve nella sua formulazione del meccanismo psichico di difesa dall’angoscia della “condensazione” in “sala da pranzo” e in “tavola apparecchiata” e in “pasta con la salsa” e in “u cafè”, dello “spostamento” in “noi figli e tante altre persone, tutti invitati di mia madre.” e in “Dopo aver finito il primo, aspettavamo tutti la seconda portata che però non arrivava.”, della “figurabilità” in un “coppino”, della “proiezione” in “Dopo aver finito il primo, aspettavamo tutti la seconda portata che però non arrivava.” e in “Ma che figura ci fai fare, mamma, con tutta questa gente invitata?!”.
Sono presenti i processi psichici di difesa dell’angoscia della “regressione” in “eravamo” e in “aspettavamo” e della “sublimazione della libido orale” in “C’è macari u café!” .
ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA
Il sogno di Pippina evidenzia nettamente un tratto psichico “orale”, ordine affettivo e qualità relazionale, all’interno di una cornice altrettanto nettamente “genitale”, disposizione a dare e a ricevere.
FIGURE RETORICHE
Il sogno di Pippina espone le seguenti figure retoriche: la “metafora” o rapporto di somiglianza in “tavola apparecchiata” e in “u cafè” e in “coppino”, la “metonimia” o nesso logico in “sala da pranzo” e in “pasta con la salsa”. Il sogno di Pippina ha una poetica popolare narrativa e una sceneggiatura realistica, tipo i film del neorealismo italiano dell’immediato dopoguerra e mirabilmente interpretati dal principe Antonio De Curtis, in arte Totò.
DIAGNOSI
Il sogno di Pippina dice di una psiconevrosi depressiva legata non alla perdita di affetti, ma al bisogno di riscontri affettivi e all’uopo Pippina si dispone verso gli altri in maniera suadente e collusiva.
PROGNOSI
Pippina è chiamata a essere consapevole dei suoi bisogni affettivi e a gestirli con le compensazioni giuste affidandosi a persone che meritano le sue cure, le sue premure e le sue simpatiche effusioni. Attenta a isolarsi e a ristagnare con gli investimenti di “libido”!
RISCHIO PSICOPATOLOGICO
Il rischio psicopatologico si attesta in un ritiro degli investimenti di “libido” e in una “sindrome depressiva” legata alla dominanza del “fantasma della perdita”. Metaforicamente Pippina non deve privarsi di un “coppino” di pasta con la salsa ogni giorno e deve mangiarlo con soddisfazione insieme al suo prossimo.
GRADO DI PUREZZA ONIRICA
In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Pippina è “4” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.
Il sogno di Pippina è naturale e reale nella sua semplicità espressiva e simbolica, un quadretto da commedia di Edoardo e Titina De Filippo.
RESTO DIURNO
La causa scatenante del sogno di “Pippina a pazza”, il “resto diurno” del “resto notturno”, si attesta in un normale ricordo di usi e costumi della figura materna o in una frustrazione dell’affettività o delusione.
QUALITA’ ONIRICA
Il sogno di “Pippina a pazza” si è già qualificato con lo pseudonimo scelto dalla protagonista. Meglio: il sogno presenta tratti popolari di neorealismo e con il simbolismo concilia in maniera ineccepibile la finale ironia.
REM – NONREM
Il sogno di Pippina è avvenuto nell’ultima fase REM perché concilia fatti ed elaborazione fantastica in maniera pacata. Nell’elaborare e vivere la psicodinamica del sogno, il fantasma è abbastanza razionalizzato e la psiche è ben strutturata, per cui il lieve dramma si conclude in simpatia: autoironia e ironia.
FATTORE ALLUCINATORIO
Il sogno di Pippina coinvolge e allucina i seguenti sensi: la “vista” in “Eravamo nella sala da pranzo” e seguente, “l’udito” in “Allora lei mi risponde: “Già! C’è macari u café!”.
Il “gusto” in “pasta con la salsa” poteva attivarsi con un un semplice attributo tipo “buona”.
Manca quel “sesto senso” che è il compendio personalissimo di una sensazione mista.
Manca il “tatto” e “l’odorato”. In riferimento a quest’ultimo non risulta nel sogno che la salsa era profumata di basilico.
Le allucinazioni sono di intensità media, quelle valide per sognare e dipendono dal fatto che Pippina ha ben razionalizzato la psicodinamica affettiva elaborata.
DOMANDE & RISPOSTE
Il lettore anonimo ha posto le seguenti domande a titolo ulteriormente esplicativo del sogno di Pippina.
Domanda
Cosa pensa del sogno di Pippina?
Risposta
E’ un sogno molto ricco di materiale psichico, degno di una donna matura e composta nei suoi equilibri psicofisici, una donna che ha sofferto in maniera naturale le carenze affettive dell’infanzia e che ne ha fatto buon uso per formarsi una personalità, una “formazione reattiva” che non fa difetto di autoironia e di ironia, di socievolezza e di altruismo, di creatività e di estetica. Aggiungerei, è il sogno di una donna che ha ben sublimato le angosce d’isolamento e di solitudine inserendosi da protagonista in contesti sociali protettivi.
Domanda
Pippina è sua sorella?
Risposta
Non glielo ho chiesto, ma credo proprio che sia la terzogenita, quella che normalmente soffre tanto nel bel mezzo di sei fratelli. I “figli di mezzo” soffrono tanto di “rivalità fraterna” e la risolvono accentuando il “principio di realtà” e volando presto dal nido familiare per cercare fortuna altrove.
Domanda
Perché non era presente il padre in questo sogno e perché Pippina ci ha tenuto a precisarlo?
Risposta
E’ un sogno al femminile che denota l’importanza della donna nell’ambiente in cui è cresciuta Pippina e l’autonomia dell’universo femminile nei confronti del maschile. In Sicilia vigeva e vige un potente matriarcato, un fortissimo legame alla madre, una “legge del sangue” radicata nel sistema neurovegetativo. Ricordo che i carcerati si tatuavano sul braccio il marchio indelebile “Amo mamma” e non certo per ingannare il tempo, ma per un effettivo legame interiore a questa figura onnipresente e risolutrice. Del padre non c’era bisogno se non per complicare psicodinamiche che con la madre erano di per se stesse semplici perché sanguigne. Spesso la madre fungeva da “Super-Io”, senso del dovere e del limite, al posto del padre, ma la Legge della Madre non coincideva e non coincide con la Legge del Padre.
Domanda
Cosa vuol dire?
Risposta
Le regole della Madre sono fortemente emotive, le regole del Padre sono freddamente razionali, le prime si sentono dentro, le seconde si agiscono fuori. Il senso del dovere inculcato dalla madre è soggettivo e individuale, il senso del dovere comunicato dal padre è oggettivo e universale. Le radici culturali della “mafia” risiedono nel matriarcato, così come le radici psichiche si attestano in questa soggettività della Legge che porta alla prevaricazione e alla violenza. Questo dico senza nulla togliere alla Sociologia e alle altre Scienze che indagano il fenomeno criminale.
Domanda
La figura materna è dominante nel sogno di Pippina e nella cultura siciliana?
Risposta
Certamente sì!
La Madre porta avanti tutta l’economia familiare psichica e logistica, la Madre è colei che sa come sbarcare il lunario e come gestire al meglio tanti figli, anzi al massimo e “macari co cafè”.
Domanda
Ma in Sicilia le madri sono tanto disponibili a tutti i livelli?
Risposta
Dipende sempre dai vissuti dei figli e Pippina ha avvertito e vissuto poco affetto, ne voleva un “tantinino” di più. Le donne e le madri siciliane sono molto materne e poco “falliche” nel senso del potere manifesto. Per converso, sono molto seduttive e tenere. Si avvicinano simbolicamente alla fusione di Afrodite e di Venere, ma non fa difetto Giunone.
Domanda
Quali film del “neorealismo” italiano richiama il sogno di Pippina?
Risposta
Non ricordo il titolo, ma ricordo la scena in cui Totò e la sua famiglia sono a tavola davanti a una spelonca di spaghetti al pomodoro e si riempiono bocca e tasche di quel “bendidio”. Ricordo Alberto Sordi in “Un americano a Roma” che, dopo aver tentato di mangiare i classici cibi di oltreoceano, ricorre alla solita spelonca di “maccaroni” al grido “mi avete provocato e io vi mangio”. Ma tanti film degli anni cinquanta e sessanta a firma Roberto Rossellini e Luigi Zampa, quelli in “bianco e nero” come in “bianco e nero” era la vita di allora, sono dominati dalla famiglia italiana e dalla tavola mediterranea.
RIFLESSIONI METODOLOGICHE
Quale migliore riferimento al caffè e all’ironia se non quello della “Satira”, l’elaborazione poetica e culturale antica formulata dai Greci e dai Latini, quel “piatto pieno di primizie” che si offre ai potenti e agli imbecilli, a coloro che non sanno di sé, agli intoccabili che si possono soltanto toccare con i versi laici e profani di un poeta che usa i “processi primari”, le figure retoriche, le ardite associazioni e il “particolare” per pensare e proporre in “universale”.
Associo al sogno di “Pippina a pazza” la lettura svelta della satira musicata “Don Raffaè” di Fabrizio De Andrè e l’ascolto sorridente del brano: il tema è la sempiterna collusione tra poteri ufficiali e poteri occulti, tra la legalità e l’illegalità, tra la guardia carceraria Pasquale Cafiero e il capo camorra Don Raffaè, che non è il sanguinario Raffaele Cutolo secondo la comunicazione dello stesso Fabrizio De Andrè. Ho scelto la versione cantata insieme a Roberto Mutolo, sensibile interprete della canzone napoletana antica e moderna.
Richiamo dall’antico mondo romano la rilettura del poeta satirico Lucilio.
Ancora sul tema: il nostro mondo è popolato da bravissimi autori e attori che fanno della “Satira” il cavallo di battaglia per la civiltà e per la denuncia: vedi per ieri Dario Fo e per oggi Maurizio Crozza. Ma tanti attori, ingiustamente meno famosi perché non abbastanza televisivi, sono da ricordare come Alessandro Bergonzoni e Giole Dix.
DON RAFFAE’
Io mi chiamo Pasquale Cafiero
e son brigadiere del carcere oinè
io mi chiamo Cafiero Pasquale
sto a Poggio Reale dal ’53
e al centesimo catenaccio
alla sera mi sento uno straccio
per fortuna che al braccio speciale
c’è un uomo geniale che parla co’ me
Tutto il giorno con quattro infamoni
briganti, papponi, cornuti e lacchè
tutte l’ore cò ‘sta fetenzia
che sputa minaccia e s’à piglia cò me
ma alla fine m’assetto papale
mi sbottono e mi leggo ‘o giornale
mi consiglio con don Raffae’
mi spiega che penso e bevimm’ò cafè
A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella ci ha dato mammà
Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
si costerna, s’indigna, s’impegna
poi getta la spugna con gran dignità
mi scervello e mi asciugo la fronte
per fortuna c’è chi mi risponde
a quell’uomo sceltissimo immenso
io chiedo consenso a don Raffaè
Un galantuomo che tiene sei figli
ha chiesto una casa e ci danno consigli
mentre ‘o assessore che Dio lo perdoni
‘ndrento a ‘e roullotte ci tiene i visoni
voi vi basta una mossa una voce
c’ha ‘sto Cristo ci levano ‘a croce
con rispetto s’è fatto le tre
volite ‘a spremuta o volite ‘o cafè
A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella ci ha dato mammà
A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella preciso mammà
Qui ci stà l’inflazione, la svalutazione
e la borsa ce l’ha chi ce l’ha
io non tengo compendio che chillo stipendio
e un ambo se sogno ‘a papà
aggiungete mia figlia Innocenza
vuo’ marito non tiene pazienza
non vi chiedo la grazia pe’ me
vi faccio la barba o la fate da sé
Voi tenete un cappotto cammello
che al maxi processo eravate ‘o chiù bello
un vestito gessato marrone
così ci è sembrato alla televisione
pe’ ‘ste nozze vi prego Eccellenza
mi prestasse pe’ fare presenza
io già tengo le scarpe e ‘o gillè
gradite ‘o Campari o volite ‘o cafè
A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella ci ha dato mammà
A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella preciso mammà
Qui non c’è più decoro le carceri d’oro
ma chi l’ha mi viste chissà
chiste so’ fatiscienti pe’ chisto i fetienti
se tengono l’immunità
don Raffaè voi politicamente
io ve lo giuro sarebbe ‘no santo
ma ‘ca dinto voi state a pagà
e fora chiss’atre se stanno a spassà
A proposito tengo ‘no frate
che da quindici anni sta disoccupato
chill’ha fatto cinquanta concorsi
novanta domande e duecento ricorsi
voi che date conforto e lavoro
Eminenza vi bacio v’imploro
chillo duorme co’ mamma e co’ me
che crema d’Arabia ch’è chisto cafè