LA TOMBA MAGICA

 

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Sogno la tomba di mia cugina che nella realtà sta combattendo una difficile malattia.
Dopo un po’, dalla tomba sparisce il suo nome, la sua foto e le date di nascita e morte (che però non ricordo).
Mi piace pensare che sia un presagio della sua guarigione.”
Marty McFly

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Il sogno non fa sconti e non si tira indietro di fronte alla verità dei vissuti psichici perché, di suo, si protegge con i meccanismi del “processo primario” proprio camuffandosi.
Il sogno non mente perché è mentitore.
Il sogno dice la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità e lo giura mettendo la mano sul libro sacro di Freud “Interpretazione dei sogni”.
Il sogno non è effimero e ha un rapporto con la realtà in riguardo al suo comporsi durante il sonno. Il sogno ha sempre un “resto diurno”, una causa scatenante a cui dedico sempre una voce nella decodificazione. Nel caso della signora Marty McFly anticipo questo punto.
RESTO DIURNO
Il “resto diurno” del “resto notturno”, la causa scatenante del sogno della signora Marty si attesta in una visita o in un pensiero in riguardo alla cugina ammalata.
RICONSIDERAZIONI
Dicevo che il sogno viaggia da sé e nel suo linguaggio. In base alla trama la signora Marty è umanamente preoccupata per la salute della cugina e spera che il sogno sia foriero di speranza e di prosperità. Sappiamo che il “contenuto manifesto” non sarà identico al “contenuto latente”, per cui non resta che partire senza indugio con la decodificazione per comprovare le mille risorse e le duemila stranezze dell’umano sognare, nello specifico i risvolti psichici inaspettati della signora Marty McFly.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Sogno la tomba di mia cugina”

La signora Marty ha qualche conto in sospeso nei confronti della cugina e scarica aggressività da frustrazione. I vissuti non sono, di certo, lineari e innocenti. La “tomba” simbolicamente contiene angoscia di morte e parti psichiche inespresse e mancate di sé, il “non nato di sé”. La tomba è quella della “cugina” e non quella di Marty McFly, la quale sembra preoccupata giustamente nella realtà di tutti i giorni della malattia della parente e lo dice chiaramente nel racconto e negli auspici del suo sogno. Bisogna ben valutare, però, se si tratta di una difensiva “proiezione” d’aggressività nei confronti della cugina per qualche frustrazione subita o di una altrettanto difensiva “traslazione” nella cugina dei suoi “fantasmi di morte”.
Sin dall’esordio il sogno di Marty McFly propone tre livelli interpretativi.
Il primo lo offre la protagonista ed è di poco spessore: “Mi piace pensare che sia un presagio della sua guarigione.”
Il secondo livello, la “proiezione” d’aggressività è di medio spessore ed esige una relazione conflittuale pregressa con la cugina al di là della malattia in atto.
Il terzo livello, la “traslazione” e lo “spostamento” sempre difensivi dall’angoscia, appartiene alla Psiche profonda e tratta dei “fantasmi di morte” della signora Marty McFly in persona.
Sognare la morte di qualcuno è simbolo di aggressività ed è legato direttamente a una frustrazione subita nella realtà o vissuta nell’immaginazione, in ogni modo introiettata e pronta a riemergere sulla scia di uno stimolo adeguato. La “cugina” può essere stata vissuta male e in maniera competitiva, al di là della contingenza patologica attuale.
La “tomba” richiama il “fantasma di morte”, il grembo mortifero e il “non nato di sé”, l’esperienza materna mancata e non vissuta.
La “cugina” è la “traslazione” della signora McFly e l’occasione per parlare di sé e dei suoi conflitti profondi.

“che nella realtà sta combattendo una difficile malattia.”

Marty si pregia di precisare un particolare non indifferente per giustificare il sogno e, nell’offrire questa informazione, interpreta la causa scatenante del sogno e in particolare la “tomba”. Divide la realtà reale, la malattia, dalla realtà onirica, la tomba, la conseguenza logica all’esito infausto della malattia della cugina. Pur tuttavia, alla fine la signora Marty McFly interpreterà il sogno in maniera fausta; “Mi piace pensare che sia un presagio della sua guarigione.”

“Dopo un po’, dalla tomba sparisce il suo nome, la sua foto e le date di nascita e morte (che però non ricordo).”

La tomba della cugina diventa magicamente anonima e atemporale.
Perché?
McFly Marty usa il meccanismo psichico di difesa dell’ “isolamento” per stemperare l’angoscia e continuare a dormire senza scatenare l’incubo e il risveglio.
McFly si sta difendendo dalla “tomba”, la sua “tomba”, il suo “non nato”.
McFly sta sognando di sé come avviene in tutti i sogni di tutti i viventi.
Il “nome” rappresenta simbolicamente l’identità psichica irripetibile, la sintesi della “formazione psichica reattiva” in atto.
La “foto” condensa l’immagine di sé, l’esibizione sociale compatibile con la difesa dell’intimità, il raffreddamento delle sensazioni e delle emozioni.
Le “date” contengono un “fantasma di morte” in quanto rappresentano la manipolazione della dimensione temporale con il ridimensionamento parcellizzato dello scorrere della vita e della vitalità, gli investimenti della “libido”.
“Non ricordo” comporta l’uso del meccanismo principe di difesa dall’angoscia della “rimozione”.
Del resto, se la signora Marty McFly avesse visto sulla lastra della tomba la sua foto e i suoi dati anagrafici si sarebbe risvegliata immediatamente.

“Mi piace pensare che sia un presagio della sua guarigione.”

Questa è la soluzione superstiziosa che vuole il sogno foriero di futuro e possibilmente fausto e gratificante. L’etimologia di superstizione dice che si tratta di materiale psichico che “sta sopra”, latino “super stat”, roba umana adeguatamente sublimata e priva di concretezza.

PSICODINAMICA

Il sogno di Marty McFly tratta in maniera sintetica la psicodinamica del “non nato di sé”, dell’angoscia legata alle esperienze mancate.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

Il sogno di Marty chiama in causa l’istanza psichica “Es” in “la tomba di mia cugina” e in “dalla tomba sparisce il suo nome, la sua foto e le date di nascita e morte”.
L’istanza psichica “Io” è in atto in “nella realtà sta combattendo una difficile malattia” e in “Mi piace pensare che sia un presagio della sua guarigione.”
L’istanza psichica “Super-Io” non partecipa alla formazione del sogno.
Trattando di perdita depressiva, il sogno della signora Marty McFly richiama la “posizione psichica orale”.

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

Nella sua brevità il sogno si serve dei seguenti meccanismi psichici di difesa dall’angoscia: la “rimozione” in “che però non ricordo”, la “proiezione” in “la tomba di mia cugina”, lo “spostamento” in “la tomba di mia cugina”, la “condensazione” in “nome” e “foto” e “date”, la “traslazione” in “la tomba di mia cugina”, “l’isolamento” in “dalla tomba sparisce il suo nome, la sua foto e le date di nascita e morte”.
Nel sogno di Marty non sono presenti i processi psichici di difesa della “regressione” e della “sublimazione della libido”.

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Il sogno di Marty McFly evidenzia un tratto depressivo all’interno di una “organizzazione psichica reattiva” di qualità “orale”, sensibilità agli affetti.

FIGURE RETORICHE

Le figure retoriche coinvolte sono la “metafora” o relazione di somiglianza in “tomba”, la “metonimia” o relazione logica concettuale in “nome” e “foto” e “date”, la “enfasi” o drammatizzazione in “dalla tomba sparisce il suo nome, la sua foto e le date di nascita e morte”.

DIAGNOSI

La diagnosi dice di un fantasma depressivo di perdita in circolazione e in riguardo al “non nato di sé” e nello specifico la mancata maternità: simbolo della tomba.

PROGNOSI

La prognosi impone alla signora Marty McFly di portare a compimento la presa di coscienza intorno al “non nato di sé” e di vivere al meglio possibile le occasioni e le circostanze in riguardo alla vita e alla vitalità in atto.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico si attesta in una recrudescenza della pulsione depressiva e in una caduta della qualità della vita.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “simboli” e dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Marty è “3” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità onirica è decisamente depressiva in quanto propone temi riguardanti la perdita e il non vissuto.

RIFLESSIONI METODOLOGICHE

La magia in sogno appartiene alle caratteristiche del “processo primario” che lo forma e lo compone.
Il “processo primario” e il sogno condividono i seguenti fattori: la relazione del soggetto con se stesso, l’auto-rielaborazione allucinatoria dei vissuti psichici, l’alterazione dello schema temporale, la distorsione della categoria spaziale, la coesistenza degli opposti, il gusto del paradosso, il declino etico e morale, il mancato riconoscimento della realtà, l’eccesso della fantasia, il principio del piacere, l’appagamento del desiderio, la soddisfazione del bisogno, la compensazione della frustrazione, la riparazione del trauma. La magia risulta dalla combinazione dei vari fattori come ad esempio l’eccesso della fantasia, le distorsioni delle categorie spazio-temporali e il gusto del paradosso.
In conclusioni mi compiaccio di sottoporre alla vostra attenzione una storia classicamente umana al forte sapore di perdita, a testimonianza che un tratto psichico depressivo ci appartiene e ci contraddistingue in quanto lo incameriamo tra i “fantasmi” del primo anno di vita.
Andiamo sul pezzo.
“Lei si chiamava Rita” tratta di una storia d’amore tra Rita, detta la Rossa per la sua ideologia marxista, e Sebastiano, detto il Turco per il colore scuro della pelle, tragicamente conclusa con la morte della donna nel novembre del 1968 durante una manifestazione studentesca e operaia. “Ianu lu turcu” rievoca l’indimenticabile Rita vent’anni dopo in un complicato incontro con una donna dagli occhi verdi scagliati di marrone, gli stessi occhi di Rita la Rossa. Un cumulo di parole ha reso possibile rivivere emozioni e testimoniare fatti. A ogni lettore spetta democraticamente il suo vissuto.
Buon viaggio!

 

LEI SI CHIAMAVA RITA

 

Quando fanaticamente cerchi una ragione,
trovi sempre un’emozione bastarda che non è d’accordo.
E’ proprio vero che il paradiso abita in un anonimo condominio di periferia
e non nel sublime mistico del cielo.
Su questa meravigliosa terra c’è sempre un qualcuno a cui ubbidire
e un qualcosa a cui soccombere,
mentre i bambini sognano nei loro giochi erotici un padre e una madre
che si prendano cura dei loro ormoni in crescendo.
Per una dolce trasgressione c’è sempre un desiderio di vita
legato a un corpo bello che nega ancora una volta di dover morire.

Lei si chiamava Rita e nei suoi occhi aveva i tuoi occhi.

Come diceva il buon Cesare Pavese nelle sue poesie
e prima di ammazzarsi,
la morte è una bella donna
che verrà con i tuoi occhi dipinti ed esagerati,
con i tuoi seni di pietra lavica ancora incandescente.
Il poeta Pagliaccetto esorcizza lo sberleffo di una tragica perdita
alternandola a una breve felicità,
una felicità non effimera.
Io non abbandonerei mai un delirio sentito e sincero,
né tanto meno lo contrabbanderei con una realtà ingrata in atto.
Io continuo a costruire tante nuove realtà,
tante realtà tutte mie e tutte da abitare,
tante nuove case in cui girare nudo
per ricordarmi che sono ancora un uomo libero,
libero di pensare e libero di fare,
libero di testimoniare la mia immunità da una società mentalmente sconnessa.
Io, oggi, posso affermare che non sono militesente,
tanto meno immunodeficiente,
perché sono stato obbligato a regalare alla patria quindici mesi della mia giovinezza
per avere in cambio una medaglietta di bronzo,
perché mi sono curato l’ipocondria con le canzoni di Franco Battiato,
unico e innocuo antidoto in circolazione per le disgrazie della vita.
Ma ci sarà un futuro?
Per tutti c’è un futuro,
ma io non voglio un futuro qualunque,
un futuro come quello di tutti gli altri.
Voglio un futuro personalizzato,
tutto mio e tutto squilibrato,
firmato soltanto da me,
un futuro immunodeficiente o soltanto deficiente,
un domani bisognoso in tutto e di tutto.
Per il mio dopo infame ci sarà sempre un altro treno
o un’altra paura da inforcare come una montain-bike,
un panino imbottito con la porchetta romagnola
o un piatto di cicerchia francescana d’estrazione umbra.

Lei si chiamava Rita e nei suoi occhi aveva i tuoi occhi.

Affidati al gioco perverso della chat,
lasciati andare con le molecole dentro il box della doccia,
sculetta con le chiappe lardose mentre fai footing,
dondola le natiche di ovatta nell’attesa del tuo turno,
crolla piacevolmente nel sonno vigile di un sogno a occhi aperti.
Lascia che il caso non renda struggenti il desiderio
e la nostalgia di un brivido impedito,
di un tabù camuffato,
di un sogno ammuffito nel cassetto
come quel buon pane dimenticato dai nostri vecchi durante l’ultima guerra
per la paura della fame di domani
e per non saperlo gustare abbastanza nei duri tempi della grande fame,
nei duri tempi della grande depressione,
nei duri tempi del grande inverno.
Quelli eran tempi!
Quelli eran giorni!
Non potevi chiedere di più.
E oggi?
Oggi cosa ci resta?
Le follie quotidiane,
i messaggi sconnessi,
gli mms,
i m&m’ns,
le fuggitive palpate nel cesso,
un cofano di pop-corn,
le stelle cadenti nella notte di san Lorenzo,
un tanga amaranto da cubista,
un perizoma anarchico senza perimetro,
un valore aggiunto,
purtroppo sempre aggiunto a un altro valore.
Questo ci resta,
un ambaradan,
un ambaraban ciccì coccò senza civette sul comò,
un ambaradan e un ambaraban che non sono una caccia al tesoro,
ma una caccia all’ignoto,
al milite ignoto che tanti hanno conosciuto
e che nessuno ha mai visto ritornare.

Lei si chiamava Rita e nei suoi occhi aveva i tuoi occhi.

Io cerco un’esca alla complicità.
Il mio è un resistere agli eventi naturali,
un desiderio di potenza,
una nostalgia del superuomo che non sono mai stato,
una ricerca d’immoralità,
una miscela di gas e di gasolio,
una stazione di servizio per le donne.
Ti ho avuta in ogni modo,
con tanto brodo e poco arrosto,
con un amore infinito e buono come quelle tette a pagnotta
che ogni mattina distribuisci agli occhi della gente
con il desiderio di farle divorare dalla bocca di un amore da poco,
quell’amore degno di quell’essere meraviglioso
che si cela dietro le tue camicette strane.

Lei si chiamava Rita e nei suoi occhi aveva i tuoi occhi.

Non usare gli occhi per chiederti chi sono.
Se mi vuoi,
mi troverai di notte nella novantunesima strada
sempre alla ricerca di quella puttana che non sei,
con i capelli da educanda,
con lo sguardo pulito e crudele di chi non sa ricordare
quella carezza imbarazzante di un padre inarrivabile
e quella strana complicità di una madre rivale.
Era bello il tuo papà?
Un gigante per il tuo essere bambina,
la sua bambina ma non la sua donna,
un dio per il tuo essere pura,
la purezza dell’ignoranza.
Fatti coraggio!
Ti è andata male.
Cosa ci vuoi fare?
Ci sarà sempre qualcosa da sognare e da desiderare.
Purtroppo!
Intanto?
Intanto ricordami di comprare il pane,
possibilmente due buone pagnotte di scuola pugliese,
grosse come le tue chiappe incipriate
e profumate di un nauseabondo Shopar de Cashmir.

Lei si chiamava Rita e nei suoi occhi aveva i tuoi occhi.

 

 

Elaborata in Pieve di Soligo (TV) da Salvatore Vallone,
nel mese di Aprile dell’anno 1999

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