TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO
“Sono davanti ad un cancello di una villa e una ragazzina mi porge un vecchio telefono cellulare.
Lo prendo in mano e sul display si visualizza un “sms” che mi ha inviato standomi di fronte.
Il messaggio dice: “Morta, sei felice?”
Mi sento offesa per essere stata definita “morta”, ma le spiego che sono felice e lo faccio da un elicottero volando basso sopra di lei da poterla toccare sulla testa….”
Il sogno è firmato “Morta” e la protagonista lo titola “la morte e la felicità”, per l’appunto.
DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE
CONSIDERAZIONI
La “presa di coscienza” del materiale psichico rimosso, un trauma o un fantasma, si attesta nel rivisitare e rivivere al presente parti formative della nostra storia, eventi che ci hanno psicologicamente segnato e contraddistinto. La vera e giusta “presa di coscienza” non è un gioco intellettuale fine a se stesso e istruito per divertimento dalla nostra facoltà razionale, ma è un processo travagliato che porta all’evoluzione psichica tramite l’accettazione e l’amorosa cura di sé. Questa è l’operazione psicoterapeutica insegnata ventiquattro secoli fa da Socrate e che Morta esegue egregiamente nel suo sogno: “l’ironia e la maieutica” per portare avanti il progetto psichico esistenziale del “conosci te stesso”. Morta è una donna che si definisce in questo modo truculento per attestare che ha razionalizzato e accettato la sua infanzia e adolescenza, la stagione della vita in cui si è formata e che nei suoi desideri avrebbe voluto più vivace e meno pacata, più ricca di “libido” trasgressiva e meno inibita da insulsi divieti e atavici tabù. Ma si sa che del “senno di poi son piene le fossa” e, allora, bisogna procedere verso la revisione e il superamento, la comprensione e il progresso, il recupero e la reintegrazione del materiale psichico estromesso e alienato. Ecco che all’uopo arriva la preziosa funzione dei sogni di gelosa custodia del passato e di preparazione del futuro nella dimensione del presente. I sogni sono i generosi tutori dei nostri desideri. Il “senno di poi” non serve perché è il patrimonio dei “se” e dei “ma” e appartiene al corredo difensivo delle persone inette e indolenti.
Morta ha posto pace al desiderio di riottosità contro le possibilità non attuate, ha operato la “razionalizzazione” dei suoi vissuti e dei suoi fantasmi in riguardo all’infanzia e alla prima adolescenza, ha capito che quello che poteva nascere non è nato semplicemente perché non era stato preparato e perché non era stato disposto e, di conseguenza, non poteva vedere la luce.
Eppure Morta avrebbe voluto essere la ragazzina impudente e schietta, truffaldina e provocatrice con cui nel sogno si mette in relazione con fare sornione e costruttivo.
Analizziamo le vezzose e accattivanti movenze oniriche.
SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA
“Sono davanti ad un cancello di una villa e una ragazzina mi porge un vecchio telefono cellulare.”
Morta usa il meccanismo della “proiezione” e della “spostamento” per entrare in relazione con se stessa e, nello specifico, con la figura adolescente del suo essersi desiderata “una ragazzina” intraprendente e innovativa, ai ferri corti con l’ambiente e con il coltello tra i denti. Morta può uscire allo scoperto e relazionarsi con la sua adolescenza, una tappa della sua vita oltremodo significativa, la madre della sua formazione psichica e l’inizio di quello che non avrebbe voluto essere e che inevitabilmente è stata. Il “vecchio telefono cellulare” rappresenta il sistema delle relazioni, le modalità di rapportarsi con se stessa e con gli altri, con la realtà delle cose e con il mondo. La “ragazzina” rappresenta l’età della trasgressione della spudoratezza, della disinibizione sociale e della provocazione, una tappa esistenziale psichica a metà tra l’infanzia e la prima maturità, l’adolescenza con tutte le sue problematiche conflittuali. Da notare, inoltre, che Morta si trova “davanti al cancello di una villa” ossia davanti ai suoi limiti, ma in una convinzione altolocata del suo “Io” e della sua persona. Queste sono le sue difese psichiche, quelle che le hanno impedito di essere, di poi crescendo e confrontandosi con il prossimo, come avrebbe desiderato.
“Lo prendo in mano e sul display si visualizza un sms che mi ha inviato standomi di fronte.”
Morta è entrata in contatto con se stessa e con il suo passato adolescenziale e si prende amorosa cura di sé, “lo prendo in mano”. Ha piena e oggettiva consapevolezza, “visualizza un sms”, dell’altra sé stessa, la “ragazzina”. Ha razionalizzato e scritto un messaggio a mo’ di pacata “presa di coscienza” senza alcun equivoco e senza alcuna ambivalenza, nudo e schietto, “standomi di fronte”.
“Il messaggio dice: “Morta, sei felice?”
Morta ragazzina dice a se stessa adulta se ha ben capito e razionalizzato la sua adolescenza. Adesso che è una donna compatta e piena di sé, a differenza dell’inquietudine e del tormento del passato, può trovare appagamento e felicità. Quest’ultima è da intendere letteralmente dal greco “eudaimonia”, “buon demone” dentro, una buona e consapevole “libido” tutta da vivere e da godere. “Morta sei felice?” congloba una contraddizione semantica: come può essere felice una Morta? Ma Morta è il suo nome desunto dalla consapevolezza adulta che ha vissuto l’adolescenza in maniera pacata, senza vitalità e trasgressione per paura di essere rifiutata dal suo nucleo affettivo. Morta doveva essere brava e fare la brava.
“Mi sento offesa per essere stata definita “morta”, ma le spiego che sono felice…”
La felicità è l’assenza di affanni e di angosce, è la presenza di un “buon demone” nel corpo e nella mente. Morta spiega e si spiega, “razionalizza”, il suo passato di adolescente ligia al dovere e vissuta a metà, diversa dai suoi coetanei più “springhi” che investivano “libido” senza essere bigotti o bacchettoni. La percezione del “mi sento offesa” si attesta nell’essere colpita emotivamente da una verità tutta sua a cui è arrivata dopo lungo travaglio e onesta gestazione, “le spiego”.
“e lo faccio da un elicottero volando basso sopra di lei da poterla toccare sulla testa….”
Il riconoscimento e la riconoscenza verso il suo essere stata adolescente avvengono secondo un blando processo di “sublimazione della libido”, “un elicottero” che “volando basso” consente una prossimità alla realtà e una amorevole cura di se stessa: io sono questa, non posso essere un’altra. E, allora, Morta è orgogliosa delle sue ragioni, “toccare la testa”, e si può vantare del suo “comunque andare”, del suo coraggioso procedere nel cammino dell’esistenza.
PSICODINAMICA
Il sogno di Morta verte sulla “razionalizzazione” dei vissuti e dei “fantasmi” d’inadeguatezza legati alla sua adolescenza, propone l’amorosa cura di sé, recupera e integra nell’organizzazione psichica “parti di sé” conflittuali e traumatiche. Il sogno di Morta merita la definizione di “elogio della consapevolezza”. Degna di rilievo e ben visibile è la funzione del sogno di compattare la psiche recuperando il materiale alienato o estromesso.
ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE
Il sogno di Morta evidenzia la funzione dell’istanza psichica “Io” nell’essere attrice del meccanismo di difesa dall’angoscia della “razionalizzazione”: “il messaggio dice”, “mi sento offesa” e “le spiego”. E’ presente l’istanza “Es”
in “una ragazzina” e “sei felice”. L’istanza psichica “Super-Io” si lascia intravedere e supporre nella infelicità dell’adolescenza legata a pulsioni repressive e paure introiettate dall’ambiente familiare: “morta, sei felice?” E’ presente la “posizione psichica orale” in “sei felice?” e la “fallico-narcisistica” nella misura naturale: volersi bene e soddisfazione.
MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA
I meccanismi psichici di difesa presenti nel sogno di Morta sono i seguenti: la proiezione” in “una ragazzina”, lo “spostamento” in “una ragazzina”, la “condensazione” in “una ragazzina” e “cancello villa” e “telefono” e “elicottero” e altro. Domina il sogno di Morta il processo psichico di difesa dall’angoscia della “razionalizzazione”: “messaggio” e “le spiego”. E’ presente in forma blanda il processo psichico di difesa della “sublimazione della libido” in “elicottero volando basso”.
ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA
Il sogno di Morta evidenzia un tratto “narcisistico” all’interno di un’ordinata “organizzazione psichica orale”: mi voglio bene e sono determinata da bisogni affettivi.
FIGURE RETORICHE
Le figure retoriche richiamate nel sogno di Morta sono la “metafora” in “ragazzina”, la “metonimia” in “elicottero” e “volare basso”.
DIAGNOSI
La diagnosi dice della psicodinamica della razionalizzazione del materiale psichico rimosso ed emerso alla coscienza. Nello specifico, l’adolescenza travagliata e il “non nato e vissuto di sé” e lo stato adulto sono integrati e compattano la “organizzazione psichica reattiva”, il carattere o la personalità.
PROGNOSI
La prognosi impone a Morta di continuare nelle prese di coscienza e nell’accettazione di sé e dei vissuti adolescenziali. L’amorevole cura di sé e il gusto delle evenienze della sua esistenza consentono di costruire il meglio per sé. Bisogna coltivare “la ragazzina” per esaltare la donna.
RISCHIO PSICOPATOLOGICO
Il rischio psicopatologico si attesta nella possibile “rimozione” difensiva del materiale psichico emergente a livello di coscienza e nella conseguente “psiconevrosi istero-fobica” che è in grado di produrre somatizzazioni eclatanti.
GRADO DI PUREZZA ONIRICA
In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “simboli” e dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Morta è “4” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.
RESTO DIURNO
Il “resto diurno” del “resto notturno”, la causa scatenante del sogno di Morta è legata a un’intuizione pacata di “parti di sé” e alla valutazione razionale del conseguente benessere.
QUALITA’ ONIRICA
La qualità onirica del sogno di Morta è ironica e discorsiva con paradosso linguistico e semantico incorporato: Morta sei felice?
RIFLESSIONI METODOLOGICHE
A coronamento del sogno di Morta e al di là di tutte le sterili teorizzazioni, mi pregio di proporre il travaglio psicofisico di una donna forte e coraggiosa, costretta alle “prese di coscienza” più acrobatiche e drammatiche, Antonia Suarez, l’innamorata e tenera amante del poeta mediterraneo Balduccio Lagrange Sinagra.
Il brano è da sentire e gustare a piccole dosi e con assoluta calma.
ANTONIA,
L’UNICA E LA DOPPIA
Ciao Fernando,
sono Antonia e ho deciso di scriverti
perché ho bisogno di fermarmi un attimo.
In questi giorni corro troppo con il cervello,
quasi il galoppo di uno stallone di razza.
Penso all’euro,
alla fesa di tacchino,
al telefonino da mettere in carica,
al culo a mandolino di mia sorella,
al teatro con i burattini e le marionette,
alla zucca gialla ricca di carotene,
alla cieca fortuna che ci vede da dio.
So pensare a tutte queste cose
e mi ricordo anche di spegnere la moka
prima che il caffè venga su come uno zunami
e inondi il piano della cucina.
Penso,
mi ricordo anche di portare dentro la legna per la stufa
e di svuotare la vaschetta della cenere.
Penso, ma non sono.
Mi ricordo, ma non sono.
Dentro di me sono confusa come una mentecatta
e di per me stessa mi sento sguazzata come una lattina di coca cola.
Non so pensare o capire come sto,
non riesco a mettere in ordine le mie idee.
Ma cosa voglio?
Non so pensare al lavoro,
alla comunità alloggio,
non so pensare a un programma,
se un programma io posso pensare.
A volte sento che il mio corpo funziona,
funziona anche bene se vogliamo,
ma c’è un nastro in testa
che mi frastorna e mi rimescola,
un nastro di pensieri come un film,
una pellicola di celluloide
che scorre girandomi e rigirandomi dentro.
Nessuna immagine si può fermare
perché il nastro deve scorrere e non si può fissare.
E così so
che di corsa sono finalmente andata in farmacia
a prendere lo Xanax per mia madre e l’Efferalgan per me,
che si sono tenuti cinquanta centesimi di resto
e che mi hanno fottuta con questo maledetto euro che non capirò mai
perché la morte della lira mi ha mandato in confusione.
E così so
che alle tre di notte mi sono bevuta una moka express,
che ieri ho fumato meno di un pacchetto e mezzo di sigarette,
che venticinque euro non corrispondono alle cinquanta mila lire
che mio padre mi dava per il lavoro in serra,
che la fesa di tacchino non equivale al petto di pollo
soltanto perché costa meno.
Ma io dove sono?
Dove sono?
Io sono dietro,
dietro i pensieri,
dietro il corpo,
dietro la faccia,
dietro questa facciata esterna di benessere,
dietro le faccende quotidiane,
dietro le attività del centro diurno,
ma sono così dietro che mi sono persa di vista.
Ho bisogno di sentire,
di sentirmi,
di fermare questo film,
questo nastro che scorre indipendentemente da ciò che faccio,
ma che è così confuso
che non riesco a proiettarlo in uno schermo grande
per poterlo focalizzare.
Ci sono due Antonie,
una fa e partecipa attivamente alla vita quotidiana
e in qualche modo funziona,
e una sta dietro la fronte
perché non le è possibile stare altrove.
Questa Antonia qualche volta scende da dietro la fronte
e va tra la pancia e il cuore.
E allora un senso di tristezza la invade
e tutto sa di tristezza,
ma questa Antonia non sa darle un nome,
non sa capire.
E tutto diventa così pesante,
così inumano da uscire fuori di testa e fuori dalla testa.
Le pareti della mia stanza sono tutte bianche e senza quadri,
ma c’è una minuscola macchiolina nera
che tempo fa ho fatto con i colori a olio
e io qualche volta sono lì,
sono in quella macchiolina
e sono quella macchiolina.
La cosa mi aiuta a sentire che non tutto funziona
perché c’è sempre qualcosa di nero.
Quella macchiolina è più nera di tutti i miei vestiti
che sono sicuramente più grandi
ma che ormai sono diventati parte di un esterno
e che quindi io non sento più come miei
perché tutto di me fa parte di un esterno forse ancora sconosciuto.
La mia posizione non è ancora definita in questo esterno
e parto sempre svantaggiata.
Leader o merda?
La leader non sono capace di farlo,
ma mi piacerebbe,
mi piacerebbe un casino.
La merda sono capace di farla,
ma non mi piace,
non mi piace per niente.
O forse si è comunque e sempre unici
senza correre il rischio di perdersi nell’omogeneità di tutti gli altri.
La partecipazione è comunque e sempre un rischio,
ci si può perdere come sta succedendo a me,
non ci si trova più,
non ci si sente più
perché importante è stare con gli altri,
sentire gli altri,
essere con gli altri nelle attività mie e degli altri.
Ma io,
io quella di sempre,
quella che conosco o credo di conoscere da anni,
quella che sente l’angoscia e che vive il nero come unico spazio,
quella che è tutto e quella che è niente,
quella che preferisce essere niente
perché il niente è l’unica cosa possibile,
un’assenza assoluta eppure una presenza,
un essere in tanti da tutte le parti senza esserlo,
un eppure niente,
insomma io dove sono?
Si, forse mi trovo in una posizione scomoda,
forse la mia è una posizione scomoda,
ma è meglio così sicuramente,
perché adesso la mia posizione è più funzionale
o comunque adesso ho più possibilità di arrivare da qualche parte.
Partecipare alla vita è sempre più funzionale,
perché la vita è fatta per essere vissuta e non per essere sfibrata,
ma credo che per vivere la vita
bisogna essere in equilibrio con se stessi e con gli altri
e io non sono in equilibrio con me stesa
e forse non lo sono nemmeno con gli altri.
Non lo sono con me stessa
perché comunque sento che c’è una parte di me che sta dietro a tutto
e che forse si fa avanti solo qualche volta quando scrivo,
quando mi sento triste o nervosa,
quando mi vengono le mie cose,
quando vado al supermercato per comprare la fesa di manzo.
Forse è così che devono andare le cose,
devo trovare a quella parte di me uno spazio adeguato e compatibile,
devo trovarle la misura giusta,
devo lasciarla vivere qualche volta e nella giusta misura
perché non vada a invadere tutto.
Questa invasione potrebbe essere distruttiva,
se non per me, per le relazioni che ho con gli altri.
Ma sai una cosa?
Qualche volta mi manca questa parte di me,
perché sono io comunque
e questa sua presenza in sordina dietro i pensieri,
dietro la pancia a botte,
dietro il sedere a cofano,
non mi fa stare bene
perché mi fa sentire nell’esigenza di sentire,
di sentire più me stessa,
di sentire dove sto andando e non di andare e basta,
perché io e lei siamo corpo e mente, materia e spirito
e non può funzionare il corpo mentre la mente si sente triste,
non può funzionare la materia mentre l’anima si sente in fallo.
La mia mente è divisa tra due correnti di pensiero,
una di tutti i giorni che nasce con l’euro e che sembrerebbe funzioni,
una che sta dietro e osserva
e che forse si sente anche trascurata.
La mia anima è malata di peccato
perché la mia materia ha tanto peccato in parole, omissioni e opere
e forse si sente inadeguata agli entusiasmi dell’unità europea
o della fesa di tacchino impanata alla milanese.
La mia materia ha peccato e la mia anima si è ammalata.
Questa è la verità,
la mia verità,
la mia elementare verità.
Infatti io sono fatta dei quattro elementi.
Il mio corpo è la terra,
il mio spirito è il fuoco,
la mia mente che funziona è l’acqua,
la mente che contempla è l’aria.
Tutto questo fa parte di un unico pianeta
e l’unico pianeta è l’essere umano
e io sono un essere umano.
Si,
siamo fatti così
e nello spazio c’è spazio per tutti.
Importante è vivere in armonia con tutte le nostre parti
e dare a ognuna lo spazio giusto.
Ma non è sempre facile.
So mettere tutto a far parte di un gioco armonioso,
ma a volte funziona a settori e uno esclude l’altro.
Ci si sente facilmente un tutto unico di notte,
quando tutto tace e il buio occulta le parti,
ma la luce del giorno porta con sé la disgregazione
ed ecco che allora si diventa un corpo che funziona,
uno spirito che dorme,
una mente che viaggia come l’euro in Europa,
un pensiero che è agli albori
e partecipa alle relazioni con tutti gli elementi.
Così inevitabilmente c’è un’altra me stessa
che si sente esclusa e che osserva tutto,
non una sola me stessa
ma tante me stesse che sentono e che osservano.
Lo psichiatra dice
che l’identità dell’essere umano non è assolutamente monolitica,
ma è costituita da tante parti,
da tanti modi,
da tanti modelli.
E allora va bene così,
sono nel giusto
e sono nel normale.
Ti ringrazio,
amore mio,
perché mi dai la possibilità di riflettere
e di stare bene nella mia confusione,
perché mi dai la possibilità,
scrivendoti,
di mettere ordine nel mio piccolo caos anche da sola e senza farmaci,
soltanto con la certezza che comunque tu ci sei.
Ciao,
sempre tua Antonia & Antonia,
l’unica e la doppia.
Salvatore Vallone
Pieve di Soligo (TV), mese di ottobre dell’anno 1989.